3. I SENTIMENTI

 

 

 

 

 

CHE COSA SONO I SENTIMENTI

Nel tentativo di spiegare che cosa siano i sentimenti, comincerò facendo ai lettori una domanda: quando riflettete su un qualsiasi sentimento, più o meno piacevole o intenso, provato in passato, che cosa identificate quale suo contenuto? Non vi sto interrogando sulla causa, né sull’intensità o sulla valenza positiva o negativa di quel sentimento; e nemmeno sui pensieri che si presentarono alla vostra mente nella scia di quell’esperienza. In realtà, qui io intendo i contenuti mentali, gli ingredienti, la materia, di cui è fatto un sentimento.

Affinché questo esperimento puramente mentale funzioni, vi darò qualche spunto: pensate di starvene sdraiati sulla sabbia mentre il sole del tramonto vi accarezza dolcemente la pelle e l’acqua del mare lambisce i vostri piedi; dietro di voi c’è un fruscio di aghi di pino, mossi da una leggera brezza estiva; la temperatura è di circa venticinque gradi e in cielo non c’è neppure una nube. Prendetevela comoda e assaporate la scena. Supponiamo che non siate mortalmente annoiati e che, al contrario, vi sentiate molto bene; anzi, troppo bene, come un mio amico ama dire. La domanda ora è: in che consiste quel «sentirsi bene»? Vi darò solo qualche indizio. Forse il tepore che sentite sulla pelle è piacevole. Il respiro è facile, dentro-fuori, inspirazione-espirazione, libero da qualsiasi resistenza a livello del torace o della gola. I muscoli sono rilassati e non percepite alcun senso di tensione articolare. Sentite il vostro corpo senza peso, a contatto con la terra, ma al tempo stesso leggero. Avete il controllo sul vostro organismo e ne percepite il funzionamento fluido e senza intoppi: nessun dolore, semplicemente perfetto. L’energia per muovervi non vi manca, ma per qualche motivo preferite restarvene tranquilli - una paradossale combinazione di potenzialità da una parte, e di godimento dell’immobilità dall’altra. In breve, il vostro corpo vi dà sensazioni diverse rispetto a numerose dimensioni, alcune delle quali assolutamente evidenti e localizzabili, altre più elusive. Per esempio, sebbene percepiate il benessere e l’assenza di dolore - e sebbene la localizzazione di tale fenomeno sia il corpo con tutte le sue funzioni -, la sensazione è talmente diffusa da rendervi difficile descrivere con precisione dove si stia verificando.

E poi vi sono le conseguenze mentali dello stato appena descritto. Quando riuscite a distogliere l’attenzione dall’assoluto benessere del momento, e a potenziare le rappresentazioni mentali non direttamente pertinenti al vostro corpo, scoprite in voi una mente piena di pensieri, i cui temi creano una nuova ondata di sentimenti piacevoli. Ecco emergere, insieme a scene effettivamente godute in passato, l’immagine di eventi pregustati con desiderio. Scoprite anche d’avere una disposizione mentale - come dire? - felice. Avete adottato una modalità di pensiero in cui le immagini sono bene a fuoco e fluiscono copiose e senza sforzo. Tutta questa positività ha due conseguenze: la comparsa di pensieri il cui tema è consono all’emozione e l’emergere di una modalità di pensiero, uno stile di elaborazione mentale, che aumenta la velocità di generazione delle immagini moltiplicandole. Avvertite, come Wordsworth «ad alcune miglia dall’abbazia di Tintern», «dolci sensazioni ... nel sangue, dentro il cuore» e scoprite che quelle sensazioni sono «perfino nella parte più pura della mente, e capaci d’infondervi un quieto ristoro».1 Le entità che siete soliti considerare come «corpo» e «mente» si sono armoniosamente fuse. Ogni conflitto sembra ora placato. Gli opposti paiono meno opposti.

Ciò che definisce la piacevole percezione di simili istanti, rendendola meritevole del termine distintivo di «sentimento» e differenziandola così da qualsiasi altro pensiero, è - direi - la rappresentazione mentale del corpo o di alcune sue parti come entità operanti in un modo particolare. Il sentimento, nel senso più stretto e rigoroso del termine, è l’idea che il corpo sia in un certo modo. In questa definizione si può sostituire «idea» con «pensiero» e «percezione». Se guardiamo al di là dell’oggetto che ha causato il sentimento - e i pensieri e la modalità di pensiero conseguenti - vediamo precisarsi il suo nucleo: i contenuti del sentimento consistono nella rappresentazione di un particolare stato del corpo.

Gli stessi commenti sarebbero pienamente applicabili ai sentimenti di tristezza e di qualsiasi altra emozione, come pure ai sentimenti degli appetiti e di qualunque sequenza di reazioni regolatrici abbia luogo nell’organismo. I sentimenti, nell’accezione adottata in questo libro, non insorgono solo dalle emozioni vere e proprie, ma da qualsiasi insieme di reazioni omeostatiche, e traducono nel linguaggio della mente lo stato vitale in cui versa l’organismo. Qui, io suggerisco che esistano «modalità corporee» distinte risultanti da diverse reazioni omeostatiche, dalle più semplici alle più complesse. Esistono anche oggetti induttori distinti, e altrettanto distinti pensieri conseguenti alla reazione, e modalità di pensiero corrispondenti. La tristezza, per esempio, si accompagna a una minor produzione di immagini alle quali viene tuttavia prestata maggiore attenzione: una situazione opposta al rapido susseguirsi di immagini - che peraltro ricevono un’attenzione brevissima - tipico della felicità. I sentimenti sono percezioni, e io propongo che la loro percezione trovi il necessario supporto nelle mappe cerebrali del corpo. Una certa variazione del piacere o del dolore è un contenuto costante di quella percezione che chiamiamo sentimento.

Accanto alla percezione del corpo c’è sia quella di pensieri con temi consoni all’emozione, sia quella di una certa modalità di pensiero - uno stile di elaborazione mentale. Come avviene tale percezione? Essa deriva dalla costruzione di metarappresentazioni dei processi mentali, un’operazione di livello superiore in cui una parte della mente ne rappresenta un’altra. Questo ci permette di registrare un rallentamento o un’accelerazione dei nostri pensieri, a seconda che prestiamo loro maggiore o minore attenzione o che i pensieri raffigurino oggetti o eventi cogliendoli, a seconda dei casi, da vicino o da lontano. La mia ipotesi, allora, presentata sotto forma di definizione provvisoria, è che un sentimento sia la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti. I sentimenti emergono quando il semplice accumulo dei dettagli registrati nelle mappe raggiunge un certo stadio. Da una prospettiva diversa, Suzanne Langer ha colto la natura di quell’emergere dicendo che il processo viene avvertito quando l’attività di una parte del sistema nervoso raggiunge un’«altezza critica».2 Il sentimento è una conseguenza del processo omeostatico in corso, il passo successivo del ciclo.

L’ipotesi appena esposta è incompatibile con la concezione secondo la quale i sentimenti (o le emozioni, quando emozione e sentimento sono usati come sinonimi) sarebbero essenzialmente una collezione di pensieri con un contenuto consono a una particolare descrizione - per esempio, nel caso della tristezza, pensieri relativi a situazioni di perdita.

Io credo che questa concezione svuoti in modo irrimediabile la nozione di sentimento. Se i sentimenti fossero davvero insiemi di pensieri con determinati temi, come potrebbero distinguersi da altri pensieri? Come potrebbero conservare quell’individualità funzionale che ne giustifica lo status di processi mentali speciali? A mio avviso, i sentimenti sono funzionalmente distinti perché la loro essenza consiste nei pensieri che rappresentano il corpo nel suo coinvolgimento in un processo reattivo. Togliete quell’essenza, e il concetto di sentimento svanisce. Togliete quell’essenza, e nessuno potrà più dire: «Mi sento» felice; dovrà dire piuttosto: «Penso» pensieri felici. Tutto questo, però, solleva una domanda legittima: che cos’è che rende «felici» i pensieri? Se noi non sperimentassimo un certo stato corporeo caratterizzato da una certa qualità che chiamiamo piacere e che consideriamo «buona» e «positiva» nel contesto della nostra vita, non avremmo più alcuna ragione per considerare felice - o triste - qualsiasi pensiero.

Per come la vedo io, l'origine delle percezioni che costituiscono l’essenza del sentimento è chiara: c’è un oggetto generale - il corpo - costituito di molte parti continuamente registrate in molteplici strutture cerebrali. Chiari sono anche i contenuti di quelle percezioni: i diversi stati del corpo descritti dalle mappe cerebrali, scelti in un’ampia gamma di possibilità. La micro- e la macrostruttura dei muscoli in tensione, per esempio, sono un contenuto diverso da quello dei muscoli rilassati. Lo stesso vale per lo stato del cuore quando batte rapidamente o lentamente e per la funzione di altri apparati - respiratorio, digerente - la cui attività può procedere in modo tranquillo e armonioso, oppure con difficoltà e scarsa coordinazione. Un altro esempio, forse il più importante, è quello della composizione del sangue rispetto ad alcune molecole dalle quali dipende la nostra vita, e la cui concentrazione è rappresentata, istante per istante, all’interno di specifiche regioni cerebrali. Lo stato particolare di quelle componenti del corpo, così come è ritratto nelle mappe cerebrali, è un contenuto delle percezioni che costituiscono i sentimenti. I substrati immediati dei sentimenti sono dunque le mappe di miriadi di aspetti di stati corporei diversi, nelle regioni del cervello deputate all’elaborazione sensoriale, designate a ricevere segnali afferenti da tutto il corpo.

Qualcuno potrebbe obiettare che, a quanto pare, noi non registriamo in modo cosciente la percezione di tutti questi stati corporei. E in effetti, grazie a Dio, non le registriamo tutte. Alcuni di quegli stati sono sperimentati in modo assolutamente specifico e non sempre piacevole - basti pensare a un’aritmia cardiaca, a una contrazione dolorosa dell’intestino, eccetera. Ma nel caso della maggior parte delle altre componenti, io ipotizzo che siano percepite in una forma «composita». Alcune configurazioni chimiche del milieu interno, per esempio, si manifestano a noi come sensazioni di fondo di energia, affaticamento o malessere. Noi percepiamo anche l’insieme delle modificazioni comportamentali che poi diventano appetiti e desideri. Ovviamente non «percepiamo» la caduta del livello ematico di glucosio al di sotto del suo valore soglia accettabile; ne sperimentiamo tuttavia rapidamente le conseguenze: compaiono certi comportamenti (per esempio il desiderio di cibo); i muscoli non obbediscono più ai nostri comandi; ci sentiamo stanchi.

Provare un certo sentimento, per esempio il piacere, significa percepire che il corpo si trova in una certa disposizione, il che richiede l’esistenza di mappe sensoriali contenenti determinate configurazioni neurali e dalle quali si possano ricavare immagini mentali. Avverto il lettore che l’emergere delle immagini mentali dalle configurazioni neurali non è un processo pienamente chiarito (esiste, nella nostra comprensione di tale processo, una lacuna della quale ci occuperemo nel capitolo 5), ma ne sappiamo abbastanza per ipotizzare che esso sia sostenuto da substrati identificabili - nel caso dei sentimenti, da diverse mappe dello stato corporeo, in diverse regioni cerebrali - e implichi, in tempi successivi, complesse interazioni fra quelle regioni. Il processo non è localizzato in un’unica area cerebrale.

In breve, il contenuto essenziale dei sentimenti è la mappa di un particolare stato corporeo; il substrato dei sentimenti è L’insieme delle configurazioni neurali corrispondenti allo stato del corpo e dalle quali può emergere un’immagine mentale di quello stato. Essenzialmente, un sentimento è un’idea - un’idea del corpo e, in particolare, un’idea di un certo aspetto del corpo, del suo interno, in determinate circostanze. Il sentimento di un’emozione è l’idea del corpo nel momento in cui esso è perturbato dall’emozione. Come vedremo nelle prossime pagine, tuttavia, è poco probabile che la rappresentazione del corpo in mappe, che costituisce la parte essenziale di questa ipotesi, sia diretta come la immaginava William James.



C’È QUALCOSA DI PIÙ NEI SENTIMENTI, OLTRE ALLA PERCEZIONE DELLO STATO CORPOREO?

Quando dico che i sentimenti sono in larga misura costituiti dalla percezione di un determinato stato del corpo, o che la percezione di uno stato del corpo costituisce l’essenza di un sentimento, il mio uso delle espressioni «in larga misura» ed «essenza» non è casuale. La ragione di questa sottigliezza può essere colta riflettendo sull’ipotesi-definizione discussa finora. In molte circostanze, soprattutto quando manca il tempo per un’analisi, i sentimenti sono esclusivamente la percezione di un certo stato corporeo. In altre, tuttavia, essi comportano la percezione di un particolare stato corporeo e la percezione di un particolare stato della mente a esso associato - la percezione, cioè, delle modificazioni nella modalità di pensiero a cui ho fatto riferimento in precedenza, indicandole come una delle conseguenze del sentimento. Ciò che accade in tali circostanze è che, accanto a immagini del nostro corpo che lo rappresentano in un modo o nell’altro, abbiamo parallelamente anche immagini del nostro stile di pensiero.

In certi casi, forse nella varietà più avanzata del fenomeno, il processo del sentire è tutt’altro che semplice. Esso comprende, in primo luogo, gli stati corporei che sono l’essenza del sentimento e gli conferiscono il suo contenuto distintivo; in secondo luogo, la modalità di pensiero alterata che accompagna la percezione di quello stato corporeo essenziale; e, in terzo luogo, il tipo di pensieri il cui tema è consono e in armonia con il genere di emozione percepita. In tali occasioni, se prendiamo l’esempio di un sentimento positivo, potremmo dire che la mente non si limita a rappresentare il ben-essere. Essa rappresenta anche il ben-pensare. Il corpo funziona in modo armonioso - perlomeno, questo è quanto la mente afferma - e le nostre facoltà intellettuali sono al massimo della forma, o comunque possono arrivare ad esserlo. Analogamente, il sentimento della tristezza non ha a che fare solo con la percezione di un malessere nel corpo o della mancanza di energie per andare avanti. Spesso ha a che fare con una modalità di pensiero inefficiente, inceppata davanti a un numero limitato di idee, imperniate sul tema della perdita.



I SENTIMENTI SONO PERCEZIONI INTERATTIVE

I sentimenti sono percezioni e in quanto tali, per certi versi, paragonabili ad altre percezioni. Le percezioni visive reali, per esempio, corrispondono a oggetti del mondo esterno, le cui caratteristiche fisiche colpiscono la nostra retina e modificano temporaneamente le configurazioni delle mappe sensoriali nel sistema visivo. Anche nel caso dei sentimenti, all’origine del processo c’è un oggetto le cui caratteristiche fisiche innescano una catena di segnali che attraversano le mappe cerebrali nelle quali l’oggetto stesso è rappresentato. Proprio come nella percezione visiva, parte del fenomeno è dovuta all’ oggetto, e parte all’interpretazione che ne dà il cervello. Tuttavia quel che è diverso - e non si tratta di una differenza banale - è che nel caso dei sentimenti gli oggetti e gli eventi all’origine del processo si trovano all’interno del corpo, e non all’esterno. Può darsi che i sentimenti siano processi mentali come qualsiasi altra percezione, ma i loro oggetti, rappresentati nelle mappe, sono comunque parti e stati dell’organismo in cui essi insorgono.

Questa importante differenza ne genera altre due. In primo luogo, oltre a esser legati in origine a un oggetto - il corpo - i sentimenti sono legati anche all’oggetto emozionalmente adeguato che ha

3.1

Figura 3.1 Continuazione del diagramma della figura 2.5, qui completato fino all’emergere dei sentimenti associati alla paura. La trasmissione dei segnali dal corpo al cervello (freccia esterna, più spessa, che conduce dal box E, in basso a sinistra, al box F in alto a destra) può essere influenzata dai siti di scatenamento ed esecuzione (frecce provenienti dal box 1, Modificazione della trasmissione dei segnali). I siti di scatenamento ed esecuzione influenzano il processo anche creando Modificazioni nella modalità cognitiva e nel ricordo associato (box 2), e operando Cambiamenti nelle mappe somatiche (box 3), modificazioni dirette che costituiscono il substrato neurale prossimo dei sentimenti. Si noti come tanto lo stadio di stima/valutazione, quanto, quello finale del sentimento abbiano luogo a livello cerebrale, nelle cortecce associative e di ordine superiore.

iniziato il ciclo emozione/sentimento. In modo curioso, lo stimolo emozionalmente adeguato - l’oggetto che induce l’emozione - determina l’oggetto all’origine di un sentimento. Pertanto, quando ci riferiamo all’«oggetto» di un’emozione o di un sentimento, dobbiamo specificare e chiarire quale oggetto intendiamo. La vista di un paesaggio marino spettacolare è un oggetto emozionalmente adeguato. Lo stato corporeo che risulta dalla contemplazione di quel paesaggio è l’oggetto reale originario, poi avvertito nello stato del sentimento.

In secondo luogo - ma non per questo meno importante - il cervello dispone di mezzi diretti per reagire all’oggetto quando è in gioco il sentimento, giacché in questo caso l’oggetto è all’interno, e non all’esterno, del corpo. Qui, il cervello può agire direttamente sull’oggetto della percezione. Lo può fare modificandone lo stato, o alterando la trasmissione dei segnali da esso afferenti. L’oggetto all’origine del processo e la sua mappa cerebrale possono influenzarsi a vicenda in una sorta di fenomeno di riverbero che non si riscontra, per esempio, nella percezione di un oggetto esterno. Potete contemplare Guernica di Picasso con tutta l’intensità che volete, per tutto il tempo che volete e con tutto il coinvolgimento che volete, ma al dipinto non accadrà nulla. I vostri pensieri su di esso cambieranno, naturalmente, ma l’oggetto rimarrà intatto - almeno così si spera. Nel caso del sentimento, invece, l’oggetto stesso può essere radicalmente modificato. In alcuni casi, quelle modificazioni equivarranno a prendere un pennello e della vernice fresca e, con quelli, alterare il quadro.

In altre parole, i sentimenti non sono una percezione passiva o fulminea, soprattutto non nel caso dei sentimenti di gioia e di dolore. Per un certo tempo dopo il loro insorgere - un tempo nell’ordine di secondi o minuti - vi è un coinvolgimento dinamico del corpo, quasi sicuramente ripetuto, e una successiva variazione dinamica della percezione. Noi percepiamo una serie di transizioni. Percepiamo un’interazione - un dare e un prendere.3

A questo punto, potreste aver qualcosa da obiettare sul mio uso delle parole, e sostenere che quanto sto descrivendo si applica ai sentimenti corrispondenti alle emozioni e ai fenomeni regolatori associati, ma forse non ad altri tipi di sentimento. E io qui dovrei ribadire che l’unico altro uso proprio del termine «sentimento» o «sentire» si riferisce all’atto del toccare o al suo risultato, cioè a una percezione tattile. Per quanto riguarda l’uso dominante della parola «sentimento», come ho stabilito fin dall’inizio, direi che tutti i sentimenti sono la percezione di alcune delle reazioni regolatrici fondamentali discusse in precedenza; oppure di appetiti; o ancora di emozioni vere e proprie, dal dolore senza appello alla beatitudine. Quando parliamo del «feeling» legato a una certa sfumatura di azzurro o a una certa nota musicale, in realtà ci stiamo riferendo alla percezione affettiva che, per noi, accompagna la vista di quel colore o il suono di quella nota, indipendentemente da quanto sottile possa essere la perturbazione estetica.4 Anche quando, in un certo senso, facciamo un uso scorretto della nozione del sentimento e del sentire - per esempio quando diciamo: «Sento di aver ragione su questa faccenda»; oppure: «Sento di non poter essere d’accordo con te» - stiamo facendo riferimento, seppur in modo vago, al sentire che accompagna quell’idea - di credere in un determinato fatto o di appoggiare o meno una certa opinione. L’atto di credere in qualcosa o di appoggiare un’opinione, infatti, causa la comparsa di una determinata emozione. Per quanto io riesca a immaginare, sono ben poche - ammesso che esistano - le percezioni di oggetti o eventi qualsiasi, realmente presenti o richiamate dalla memoria, che siano neutrali in termini emozionali. Per costituzione innata, o in seguito all’apprendimento, noi reagiamo alla maggior parte degli oggetti (forse a tutti) provando in primo luogo delle emozioni, per quanto tenui; e in secondo luogo i sentimenti che a quelle fanno seguito, per quanto deboli possano essere.



DIVAGAZIONI: QUANDO MEMORIA E DESIDERIO SI MESCOLANO

Nel corso degli anni, ho spesso sentito dire che possiamo forse ricorrere al corpo per spiegare la gioia, il dolore e la paura - questo è naturale - ma di certo non possiamo farlo per il desiderio, l’amore o l’orgoglio. Questa riluttanza mi ha sempre affascinato, e tutte le volte che qualcuno ha affermato qualcosa del genere rivolgendosi direttamente a me, la mia replica è stata sempre dello stesso tenore: e perché no? Proviamo. Non fa alcuna differenza se il mio interlocutore è un uomo o una donna: io propongo sempre lo stesso esperimento di pensiero. Considerate il momento, spero recente, in cui avete visto una donna o un uomo (a voi la scelta) che - nell’arco di qualche secondo - ha risvegliato in voi un ben preciso stato di desiderio carnale. Provate a pensare che cosa avvenne, in termini di fisiologia, servendovi dei meccanismi neurobiologici che sto discutendo.

L’oggetto originario di quel risveglio si è presentato, in tutto il suo splendore, probabilmente non nella sua interezza, ma in parti. Può darsi che ad attirare per primo la vostra attenzione sia stato il profilo di una caviglia, quel suo modo di emergere dalla scarpa e di dissolversi nella pienezza di una gamba - questa non più vista, ma solo immaginata, sotto una gonna. («Mi si è presentata un pezzo alla volta; aveva più curve di una strada panoramica» diceva Fred Astaire, descrivendo l’apparizione di una Cyd Charisse inarrivabile e tentatrice in Spettacolo di varietà). Oppure, potrebbe essere stata la linea di un collo che usciva da una camicia. O forse non si è trattato di una parte del corpo, ma del portamento, dei movimenti, dell’energia e della decisione che parevano animarlo. Quale che sia stata la presentazione, il sistema degli appetiti ormai è coinvolto e vengono scelte le risposte appropriate: in che consistono? In preparazioni e simulazioni. Il sistema degli appetiti ha promosso un certo numero di modificazioni fisiche impercettibili - e forse anche non troppo impercettibili - che fanno parte di una routine di preparazione alla consumazione finale dell’appetito. Non importa se poi, fra gente civile, quella consumazione non avrà mai luogo. Ecco avvicendarsi, nel vostro milieu interno, rapide alterazioni chimiche, modificazioni del battito cardiaco e della respirazione compatibili con i desideri a malapena definiti, una ridistribuzione del flusso sanguigno, e una predisposizione, a livello muscolare, dei vari schemi motori che potreste mettere in atto, ma che probabilmente vi asterrete dall’intraprendere. Il vostro sistema muscoloscheletrico va incontro a un riassestamento: in effetti insorgono nuove tensioni là dove un momento prima non ce n’erano, e compaiono anche strani fenomeni di rilassamento. A complicare tutto questo, entra in gioco l’immaginazione, rendendo adesso più chiari i vostri desideri. Il meccanismo della gratificazione, chimica e neurale, è al massimo, e il corpo esibisce alcuni dei comportamenti associati al sentimento finale del piacere. Tutto effettivamente molto eccitante ... e anche ben rappresentabile sotto forma di mappe nelle regioni cerebrali somatosensitive e di supporto cognitivo. Pensare all’obiettivo dell’appetito causa in voi emozioni piacevoli e i sentimenti corrispondenti, piacevoli anch’essi. A questo punto, il desiderio è tutto vostro.

In questo esempio, la fine coordinazione di appetiti, emozioni e sentimenti diventa evidente. Se l’obiettivo dell’appetito fosse stato accessibile e l’aveste appagato, la sua soddisfazione avrebbe probabilmente causato una specifica emozione di gioia, almeno così si spera, e avrebbe trasformato il desiderio in esaltazione. Se l’obiettivo fosse stato soffocato, avrebbe potuto insorgere invece la rabbia. Ma se il processo fosse rimasto in sospeso per un po’, nel meraviglioso paese dei sogni a occhi aperti, alla fine si sarebbe tranquillamente estinto. Spiacenti, niente sigaretta del dopo. Non siete in un film noir.

La fame e la sete sono poi così diverse dal desiderio sessuale? Senza dubbio più semplici, ma non davvero diverse nei meccanismi. Ecco perché tutti e tre possono fondersi tanto facilmente e a volte perfino compensarsi reciprocamente. La principale distinzione proviene dalla memoria, dal fatto cioè che i ricordi e la riorganizzazione permanente delle nostre esperienze personali abbiano un ruolo più importante nel dispiegarsi del desiderio sessuale, di quello che hanno, di solito, nel caso della fame e della sete. (Ma guardatevi da gastronomi e intenditori di vino, che faranno del loro meglio per levarvi quest’idea dalla testa). Come che sia, esiste una ricca interazione fra l’oggetto del desiderio e una gran quantità di ricordi personali a esso pertinenti - desideri, aspirazioni e piaceri del passato, reali o immaginari.

I legami affettivi e l’amore romantico sono riconducibili a simili descrizioni biologiche? Non vedo perché no, sempre che il tentativo di chiarire i meccanismi fondamentali di questi fenomeni non sia spinto al punto di cercare una spiegazione - peraltro non necessaria - delle proprie esperienze personali uniche, banalizzando così la sfera individuale. Possiamo sicuramente separare il desiderio sessuale dai legami affettivi, grazie alle ricerche condotte sulle modalità con cui i peptidi ossitocina e vasopressina, due ormoni normalmente sintetizzati dal nostro corpo, influenzano il comportamento sessuale e affettivo di Microtus ochrogaster, un’affascinante specie di piccoli roditori. Nella femmina, il blocco dell’ossitocina prima dell’accoppiamento non interferisce con il comportamento sessuale, ma previene lo stabilirsi di un legame affettivo con il compagno: sesso sì, fedeltà no. Nel maschio della stessa specie, un effetto simile è ottenuto bloccando la vasopressina, anche in questo caso prima dell’accoppiamento: quest’ultimo ha comunque luogo, ma il maschio, che in questa specie è solitamente fedele, non si lega alla femmina, né si preoccuperà di difendere lei o la prole, quando sarà il momento.5 Certo, il sesso e l'attaccamento non sono amore; tuttavia costituiscono una parte della sua genealogia.6

Lo stesso vale per l'orgoglio o la vergogna, due affetti spesso ritenuti privi di un’espressione corporea. Che invece hanno, come del resto è naturale che sia. È possibile immaginare una postura più caratteristica di quella di una persona traboccante d’orgoglio? Esattamente che cos’è che colpisce? Gli occhi, certo: spalancati, concentrati e intenti a sfidare il mondo; il mento in su; collo e busto diritti; il petto in fuori, esibito senza timore; e poi l’incedere, fermo e deciso. E queste sono solo alcune modificazioni corporee visibili. Si pensi invece a un uomo offeso e umiliato. Indubbiamente, la situazione emotiva è ben altra. E diversi come il giorno dalla notte sono i pensieri che accompagnano questa emozione e che affiorano dopo l’insorgere dei sentimenti relativi. Anche in questo caso, però, fra l'evento innescante e i pensieri consoni corrispondenti troviamo uno stato completamente distinto e rappresentabile con mappe cerebrali.

Altrettanto dovrebbe valere per l’amore fraterno, il sentimento che più di ogni altro ci riscatta e la cui modulazione dipende dall’archivio esclusivo di registrazioni autobiografiche che definiscono la nostra identità. E comunque, anch’esso si fonda, come Spinoza aveva tanto chiaramente intuito, su occasioni di piacere - piacere fisico, che altro? - indotte dal pensiero di un particolare oggetto.



SENTIMENTI NEL CERVELLO

L’idea che i sentimenti siano correlati alle mappe neurali dello stato corporeo è ora sottoposta a verifica sperimentale. Recentemente, nel nostro laboratorio, abbiamo condotto una ricerca sulla distribuzione dell’attività cerebrale associata ai sentimenti di determinate emozioni.7 Secondo l’ipotesi che ispirava la ricerca, nel momento in cui emergono i sentimenti, vi è un significativo coinvolgimento delle aree del cervello che ricevono segnali dalle varie parti del corpo, aree che pertanto rappresentano lo stato corrente dell’organismo formando mappe corrispondenti. Quelle aree cerebrali, localizzate a vario livello nel sistema nervoso centrale, comprendono la corteccia del cingolo; due cortecce somatosensitive note come insula e S2; l’ipotalamo; e diversi nuclei del tegmento (la parte posteriore) mesencefalico.

Per verificare la nostra ipotesi, i miei colleghi Antoine Bechara, Hanna Damasio e Daniel Tranel e io ci procurammo la cooperazione di più di quaranta persone, equamente suddivise nei due sessi, nessuna delle quali aveva mai sofferto di patologie neurologiche o psichiatriche. Spiegammo ai nostri

3.2

Figura 3.2 Le principali regioni somatosensitive, dal livello del tronco encefalico alla corteccia cerebrale. I normali sentimenti delle emozioni richiedono l’integrità di tutte queste regioni, ma ciascuna di esse ha un ruolo diverso nel processo. Tutte le regioni sono importanti, ma alcune di esse (l’insula, la corteccia del cingolo, e i nuclei del tronco encefalico) lo sono più di altre. E probabilmente l’insula, pur essendo così defilata, è la più importante di tutte.

soggetti che intendevamo studiare l’attività del loro cervello mentre essi sperimentavano uno di questi quattro possibili sentimenti: felicità, tristezza, paura o rabbia.

L’indagine si basava sulla misurazione dell’afflusso di sangue in diverse aree cerebrali, misurazione effettuata avvalendosi di una tecnica nota come tomografìa a emissione di positroni (pet). E' noto che la quantità di sangue che irrora ogni regione del cervello è fortemente correlata al metabolismo dei neuroni presenti in quella regione, e il metabolismo è a sua volta correlato all’attività locale dei neuroni. Gli incrementi o i decrementi di afflusso ematico, rilevati grazie a questa tecnica in una determinata area, e risultati statisticamente significativi, indicano che i neuroni di quella regione sono rispettivamente molto più attivi, o meno attivi, durante l’esecuzione di un particolare compito mentale.

La chiave di questo esperimento stava nel trovare un modo per innescare le emozioni. Chiedemmo a ciascun soggetto di pensare a un episodio della propria vita, carico di valenze emotive. L’unico requisito era che l’episodio fosse particolarmente intenso e implicasse felicità, tristezza, paura o rabbia. Poi chiedemmo a ciascun soggetto di pensare all’episodio specifico fin nei minimi dettagli, e di riferire tutte le immagini possibili, in modo che le emozioni legate a quell’evento passato potessero essere riespresse con la massima intensità nel presente. Come abbiamo già osservato in precedenza, questa sorta di dispositivo mnemonico emozionale è alla base di alcune tecniche di recitazione, e scoprimmo con piacere che funzionava anche nel nostro contesto sperimentale. Non solo la maggior parte degli adulti in genere ha vissuto episodi di questo tipo, ma molti di essi sono anche in grado di evocarne i dettagli fini e possono letteralmente rivivere quelle emozioni e quei sentimenti con un’intensità sorprendente.

Chiedemmo dunque a ciascun soggetto di pensare a un episodio della propria vita con un forte contenuto emozionale. Tutto quello che si chiedeva era che l’episodio fosse particolarmente intenso.

In una fase antecedente all’esperimento vero e proprio, determinammo quali emozioni ciascun soggetto riuscisse a replicare meglio, misurando contemporaneamente parametri fisiologici quali la frequenza cardiaca e la conduttanza cutanea. Poi cominciammo il vero esperimento. Chiedemmo a ciascun soggetto di replicare l’esperienza di un’emozione - per esempio la tristezza; la persona iniziava il processo immaginando l episodio prescelto nella tranquillità della sala in cui veniva effettuata la scansione. I soggetti erano stati istruiti in modo che segnalassero con un piccolo movimento della mano il momento in cui cominciavano a sentire l’emozione, ed era solo dopo quel segnale che noi iniziavamo la raccolta dei dati. L’esperimento era dunque asimmetricamente concentrato sulla misurazione dell’attività cerebrale durante l’esperienza dei sentimenti reali, e non durante lo stadio precedente, in cui l’individuo richiamava alla memoria un oggetto emotivamente adeguato e scatenava l’emozione.

L’analisi dei dati diede ampia conferma alla nostra ipotesi. Tutte le aree somatosensitive in esame - la corteccia del cingolo, le cortecce dell’insula e della S2, e i nuclei del tegmento mesencefalico - dimostrarono, a seconda dei casi, un’attivazione o una disattivazione statisticamente significativa. Ciò indicava che, durante il processo del sentire, le mappe degli stati corporei erano andate incontro a modificazioni significative. Ma non è tutto: come ci aspettavamo, questi schemi di attivazione/disattivazione variavano a seconda dell’emozione. Allo stesso modo in cui il corpo viene diversamente percepito mentre si prova gioia o tristezza, noi riuscimmo a dimostrare che anche le mappe cerebrali corrispondenti a quegli stati corporei erano diverse.

Questi risultati erano importanti per molti versi. Fu gratificante scoprire come l’esperienza del sentire un’emozione fosse effettivamente associata a una modificazione nelle mappe neurali dello stato del corpo. Fatto più importante, ora avevamo indicazioni più solide a cui riferirci nei nostri successivi studi sulla neurobiologia del sentimento. I risultati ci dissero - e ce lo dissero senza incertezze - che alcuni misteri della fisiologia dei sentimenti potevano essere risolti studiando i circuiti neurali delle regioni cerebrali somatosensitive e la loro funzione fisiologica e biochimica.

Lo studio fornì anche altri risultati, tanto inattesi quanto benvenuti. Durante la scansione avevamo

3.3

Figura 3.3 Regioni cerebrali attivate durante la percezione di un sentimento di gioia, nel corso di una pet. I due disegni a destra della figura mostrano una sezione mediale (interna) dell’emisfero destro (in alto) e sinistro (in basso). Si registrano significative modificazioni di attività nel cingolo anteriore (ca), nel cingolo posteriore (cp), nell’ipotalamo (ip) e nel prosencefalo basale (pb). I quattro disegni a sinistra mostrano il cervello in sezione assiale (quasi orizzontale). L’emisfero sinistro è contrassegnato con S e l’emisfero destro con D. Si noti l’attività significativa nella regione dell’insula (in) - visibile in due sezioni, sia nell’emisfero destro che nel sinistro - e nel cingolo posteriore (cp), anche in questo caso in due sezioni.

monitorato continuamente le risposte fisiologiche dei nostri soggetti e osservammo che le modificazioni della conduttanza cutanea precedevano sempre il segnale con cui il soggetto ci avvertiva dell’affacciarsi di un sentimento. In altre parole, i nostri monitor registravano l’attività sismica dell’emozione inequivocabilmente prima che i soggetti muovessero la mano per indicare che l’esperienza era cominciata. Sebbene non

Figura 3.4 Mappe cerebrali ottenute nello stesso esperimento, corrispondenti alla percezione di sentimenti di tristezza. Si nota una significativa attività nell’insula - anche in questo caso in entrambi gli emisferi e in più sezioni -, attività diversa da quella osservata durante l’esperienza di sentimenti di gioia. Lo stesso vale per i cambiamenti registrati nel cingolo anteriore.

avessimo in programma di studiare anche tale aspetto, l’esperimento ci offrì tuttavia un’ulteriore dimostrazione del fatto che gli stati emotivi vengono prima, e i sentimenti dopo.

Un altro risultato indicativo aveva a che fare con lo stato delle regioni corticali legate al processo del pensiero, più precisamente le cortecce delle parti laterali e polari del lobo frontale. Noi non avevamo formulato alcuna ipotesi per spiegare in che modo le modalità di pensiero, variamente innescate nei diversi sentimenti, si rivelassero nel cervello. Tuttavia, i risultati erano del tutto ragionevoli. Nella condizione di tristezza c’era una marcata disattivazione delle cortecce prefrontali (un dato che indica, in modo significativo, una riduzione dell’attività in tutta la regione). Nella condizione di felicità, trovammo l’opposto (una importante indicazione di un’aumentata attività nella regione). Questi dati si accordano bene con il fatto che la fluidità di ideazione diminuisce nel primo caso e aumenta nel secondo.



QUALCHE COMMENTO SU RISULTATI AFFINI

Fa sempre piacere trovare conferme alle proprie preferenze teoriche; ma è comunque buona regola non entusiasmarsi troppo per i propri risultati, finché i dati ottenuti da altri non li confermino. Se la forte indicazione delle regioni somatosensitive affiorata nel nostro studio sui sentimenti fosse un risultato solido, altri ricercatori dovrebbero trovare dati compatibili con i nostri. In effetti, utilizzando il nostro stesso approccio (ossia tecniche di visualizzazione di immagini funzionali, come la pet e la fMRI ) si è raccolta una massa di osservazioni compatibili, relative a un’ampia gamma di sentimenti.

A tale proposito, gli studi di Raymond Dolan e dei suoi colleghi sono particolarmente attinenti perché si confrontarono in modo specifico con il nostro lavoro; anche ricerche non legate alla nostra hanno comunque prodotto risultati compatibili.8 Indipendentemente dal fatto che il soggetto in esame stia sperimentando il piacere di mangiare del cioccolato, l’insano sentimento dell’amore romantico, il senso di colpa di Clitennestra o l’eccitamento innescato dall’assistere a spezzoni di film erotici, le aree chiave individuate nel nostro esperimento (per esempio le cortecce dell’insula e del cingolo) presentano modificazioni significative - in particolare una maggiore o minore attività, con una diversa distribuzione all’interno della regione chiave, a testimonianza del fatto che gli stati dei sentimenti sono legati a un significativo coinvolgimento di queste parti del cervello.9 E prevedibile che nel processo siano coinvolte anche altre regioni, precisamente quelle implicate nell’effettiva generazione delle emozioni corrispondenti; comunque, il punto da chiarire, qui, è che la modificazione dell’attività registrata nelle regioni somatosensitive è legata agli stati dei sentimenti. Come vedremo in seguito in questo stesso capitolo, i sentimenti associati all’assunzione di narcotici, o al forte desiderio di assumerne, possono anch’essi produrre un significativo coinvolgimento delle stesse aree cerebrali.

Esiste una connessione intima e significativa fra certi tipi di musica, un sentimento intenso di dolore o di gioia, e quelle sensazioni fisiche che descriviamo come «brividi» o «tremori» o «fremiti». Per qualche strano motivo, certi strumenti musicali - in particolare la voce umana - e certe composizioni musicali evocano stati emotivi implicanti una molteplicità di reazioni cutanee: fanno impallidire, rabbrividire e rizzare i peli.10 Forse nulla è più chiarificatore, ai nostri fini, dei dati raccolti in uno studio condotto da Anne Blood e Robert Zatorre. Questi ricercatori desideravano studiare i correlati neurali degli stati piacevoli indotti dall’ascolto di brani di musica capaci di far venire i brividi lungo la schiena.11 Essi trovarono quei correlati nelle regioni somatosensitive dell’insula e del cingolo anteriore, significativamente coinvolte dai brani eccitanti. Blood e Zatorre studiarono inoltre la correlazione fra l’intensità dell’attivazione neurale e la valenza eccitante dei brani, così come la riferivano i soggetti. In tal modo dimostrarono che l’attivazione era legata ai brani eccitanti (scelti dai singoli individui) e non alla mera esposizione alla musica. Fatto curioso, c’è il sospetto, su altre basi, che la comparsa dei brividi sia indotta dall’immediata disponibilità di oppioidi endogeni nelle regioni del cervello modificate da questi sentimenti.12 Lo studio di Blood e Zatorre identificò anche alcune regioni implicate nella produzione delle risposte emozionali a stati piacevoli - per esempio, la corteccia orbitofrontale destra, lo striato ventrale sinistro - e altre regioni negativamente correlate allo stato piacevole - per esempio l’amigdala destra. Proprio come, a suo tempo, avevamo osservato anche noi.

Anche gli studi sull’elaborazione del dolore hanno qualcosa da dirci in proposito. In un esperimento significativo condotto da Kenneth Casey, i partecipanti venivano sottoposti a una scansione cerebrale mentre veniva loro somministrato uno stimolo doloroso (l’immersione di una mano nell’acqua gelata) o uno stimolo vibratorio non doloroso, sempre della mano.13 Lo stimolo doloroso dava luogo a notevoli modificazioni di attività in due regioni somatosensitive (l’insula e la S2). Lo stimolo vibratorio produceva invece l’attivazione di un’altra regione somatosensitiva (la S1) ma non dell’insula o della S2, che sono le regioni più strettamente allineate ai sentimenti delle emozioni. Dopo ciascuna stimolazione, i ricercatori somministrarono ai pazienti del fentanyl (un farmaco che mima la morfina perché agisce sui recettori μ per gli oppioidi) e ripeterono la scansione. Nella condizione di dolore, il fentanyl riusciva a ridurre sia il dolore sia il coinvolgimento dell’insula e della S2. Nella condizione vibratoria, la somministrazione del fentanyl lasciava intatte sia la percezione della vibrazione sia l’attivazione della S1. Questi risultati rivelano con una certa chiarezza un’organizzazione fisiologica distinta per i sentimenti legati al dolore o al piacere e per i «sentimenti» associati a sensazioni tattili o vibratorie.

L’insula e la S2 sono fortemente correlate ai primi, la S1 ai secondi. Altrove ho osservato che il substrato fisiologico dell’emozione e la sensazione del dolore possono essere dissociati da farmaci come il Valium, che rimuovono la componente affettiva lasciando intatta la sensazione. La descrizione più adatta di una tal situazione è che uno «sente» il dolore, ma non ne è disturbato.14



QUALCHE ULTERIORE ELEMENTO A SOSTEGNO

È stato dimostrato in modo convincente che la percezione della sete è associata a significative modificazioni di attività della corteccia del cingolo e dell’insula.15 Lo stato della sete, in se stesso, risulta - oltre che dal rilevamento di uno squilibrio idrico - dalla sottile interazione fra ormoni come la vasopressina e l’angiotensina II da una parte, e regioni del cervello come l’ipotalamo e il grigio periacqueduttale dall’altra - le quali, a loro volta, hanno la funzione di evocare comportamenti mirati ad alleviare la sete, ossia sequenze altamente coordinate nel corso delle quali ha luogo la liberazione di ormoni e l’attuazione di programmi motori.16

Risparmierò al lettore la descrizione di come la percezione del bisogno di vuotare la vescica, nel maschio o nella femmina, o quella di averla vuotata, siano correlati a modificazioni che interessano - ebbene sì - la corteccia del cingolo.17 Avrei però qualcosa da dire sugli appetiti e i desideri risvegliati dalla vista di film erotici. Prevedibilmente, la corteccia del cingolo e dell’insula sono altamente coinvolte affinché si possa percepire l’eccitazione. Regioni come le cortecce orbitofrontali e lo striato sono anch’esse implicate, e in effetti stimolano l’eccitamento. Tuttavia, quando si prende in considerazione il sesso dei soggetti, si osserva una notevole differenza nel coinvolgimento dell’ipotalamo: esso è significativo nei maschi, ma non nelle femmine.18



IL SUBSTRATO DEI SENTIMENTI

Quando, negli anni Cinquanta, David Hubel e Torsten Wiesel misero mano al loro celebre lavoro sulle basi neurali della visione, nessuno aveva la più vaga idea del genere di organizzazione che essi avrebbero scoperto nella corteccia visiva primaria; più precisamente, del genere di organizzazione submodulare che ci permette di costruire mappe cerebrali di un oggetto visivo.19 Le modalità alla base delle mappe visive erano un mistero. D’altro canto, si sapeva perfettamente quale fosse l’area generale da scandagliare per svelare quei segreti: si trattava, precisamente, della catena di vie nervose e stazioni di elaborazione che parte dalla retina e termina nelle cortecce visive. Con ogni evidenza, nell’indagine sui sentimenti abbiamo raggiunto uno stadio paragonabile, per molti versi, a quello in cui versava la ricerca sulla visione quando Hubel e Wiesel lanciarono il loro programma. Fino a poco tempo fa, molti scienziati erano riluttanti ad ammettere che il sistema somatosensitivo potesse essere un substrato essenziale del sentimento. Questo è forse l’ultimo residuo di resistenza alla congettura avanzata a suo tempo da William James, e cioè che quando sentiamo delle emozioni, noi percepiamo in realtà degli stati corporei. Vi è anche uno strano compiacimento nei confronti dell’idea che i sentimenti affettivi non possano avere una base sensoriale paragonabile a quella della visione o dell’udito. I dati forniti dalle ricerche su lesioni cerebrali e, più recentemente, dagli studi di immagini funzionali del cervello citate in precedenza, hanno tuttavia definitivamente mutato tale atteggiamento. In effetti, le regioni somatosensitive sono implicate nel processo del sentire; e l’insula, un elemento fondamentale delle cortecce somatosensitive, lo è in modo forse più significativo di qualsiasi altra struttura. La S2, la S1 e la corteccia del cingolo sono anch’esse coinvolte, ma la loro partecipazione si verifica a un livello diverso. Per molte ragioni credo che il coinvolgimento dell’insula sia di capitale importanza.

Vediamo qui confluire due ordini di evidenze: in primo luogo, dall’analisi introspettiva degli stati dei sentimenti, è logico che questi ultimi debbano dipendere dall’elaborazione somatosensitiva. In secondo luogo, come abbiamo appena visto, dalle evidenze neurologiche e dalle tecniche di visualizzazione risulta che una struttura come l’insula è effettivamente implicata, in modo differenziato, negli stati dei sentimenti.20

Un’altra serie di dati, ottenuti in tempi recenti, rende questa convergenza ancora più convincente. Le fibre dei nervi periferici e le vie nervose deputate alla trasmissione dell’informazione proveniente dall’interno del corpo e afferente al cervello non terminano, come si pensava una volta, nella corteccia che riceve segnali legati al senso del tatto ( S1, la corteccia somatosensitiva primaria), ma in una regione loro propria, e cioè nella corteccia dell’insula, precisamente la stessa regione i cui schemi di attività sono perturbati dai sentimenti dell’emozione.21

Il neurofisiologo e neuroanatomista A.D. Craig ha compiuto scoperte importanti, e ha il gran merito di aver inseguito un’idea smarritasi nelle nebbie dei primordi della neurofisiologia - e tradizionalmente negata dai manuali di neurologia: l’idea di un senso enterocettivo, che informa il cervello sullo stato interno del corpo.22 In altre parole, la stessa regione che viene messa in relazione ai sentimenti sia dalle ipotesi teoriche, sia dagli studi di visualizzazione funzionale, risulta essere la destinataria dei segnali che con ogni probabilità rappresentano il contenuto dei sentimenti: segnali che hanno a che fare con gli stati dolorosi; la temperatura corporea; le vampe di rossore; il prurito; il solletico; i brividi; le sensazioni viscerali e genitali; lo stato della muscolatura liscia nei vasi sanguigni e negli altri visceri; il pH locale; i livelli di glucosio; l’osmolalità; la presenza di agenti infiammatori; eccetera. Da diverse prospettive, dunque, le regioni somatosensitive sembrano essere un substrato essenziale per i sentimenti, e la corteccia insulare pare, fra tutte, la più importante. Quest’idea, ormai non più una mera ipotesi, costituisce una piattaforma dalla quale è oggi possibile lanciare, per gli anni a venire, un nuovo livello di indagine per lo studio dei più fini dettagli della neurobiologia dei sentimenti.



CHI PUÒ AVERE DEI SENTIMENTI?

Nel tentativo di scoprire i processi fondamentali che permettono il sentimento, si perviene alle seguenti considerazioni. In primo luogo, un’entità capace di sentimento deve essere un organismo che non solo abbia un corpo, ma anche un mezzo per rappresentare quel corpo all’interno di se stesso. Pensiamo a organismi complessi come le piante, le quali chiaramente sono vive e hanno un corpo, ma non dispongono di un mezzo - come le mappe fornite dal nostro cervello - per rappresentare le parti di quel corpo e i loro stati. Le piante reagiscono a molti stimoli: alla luce, al calore, all’acqua e ai nutrienti. Qualcuno, fra coloro che hanno il pollice verde, crede che reagiscano anche a certe parole di incoraggiamento. Esse sembrano tuttavia mancare

3.5A

Figura 3.5A Una chiave per interpretare i diversi tipi di segnali sensoriali afferenti al cervello. Esistono due vie di trasmissione: umorale (nella quale, per esempio, le sostanze chimiche trasportate dal sangue attivano direttamente i sensori neurali presenti nell’ipotalamo o in organi circumventricolari quali l’area postrema); e murale (nella quale i segnali elettrochimici sono trasmessi lungo vie nervose dagli assoni di neuroni che scaricano sul corpo cellulare di altri neuroni, attraverso le sinapsi). Tutti questi segnali hanno due fonti: il mondo esterno e il mondo interno del corpo (rispettivamente, esterocettivi ed enterocettivi). Le emozioni sono, in linea di massima, modificazioni del mondo interno. Pertanto, i segnali sensoriali che costituiscono la base dei sentimenti dell’emozione sono in larga misura enterocettivi. La principale fonte di questi segnali è rappresentata dai visceri e dal milieu interno, tuttavia vi possono partecipare anche segnali relativi allo stato dei sistemi vestibolare e muscoloscheletrico.23

3.5B

Figura 3.5B Segnalazione dal corpo al cervello. Rappresentazione schematica delle strutture essenziali implicate nella trasmissione al cervello di segnali provenienti dal milieu interno e dai visceri. Una parte sostanziale di tale segnalazione essenziale è trasmessa attraverso vie che partono dal midollo spinale e della possibilità di essere coscienti di un sentimento. Il primo requisito per l’esistenza del sentimento, quindi, è riconducibile alla presenza di un sistema nervoso.

In secondo luogo, quel sistema nervoso deve essere in grado dapprima di produrre mappe delle strutture e degli stati del corpo e poi di trasformare dal nucleo del trigemino, localizzato nel tronco encefalico. A ogni livello del midollo spinale, in una regione nota come «lamina I» (nel corno posteriore della materia grigia spinale, e nella parte caudale del nucleo del trigemino), l'informazione trasmessa da fibre nervose periferiche di tipo C e A8 (sottili, amieliniche, a conduzione lenta) viene portata ai centri superiori. Queste informazioni provengono letteralmente da ogni punto del corpo e riguardano parametri diversissimi quali lo stato di contrazione della muscolatura liscia delle arterie, l'entità del flusso ematico locale, la temperatura locale, la presenza di sostanze chimiche indicatrici di lesioni tissutali e i livelli di pH, O2, e CO2. Tutte queste informazioni sono ulteriormente trasmesse a un nucleo talamico dedicato (vMpo) e poi alle mappe neurali delle regioni posteriori e anteriori dell'insula. In seguito, l'insula può inviare segnali a regioni quali la corteccia prefrontale ventromediale e la corteccia del cingolo anteriore. Sulla via che porta al talamo, questa informazione viene resa disponibile anche al nucleo del tratto solitario (nts) che riceve segnali dal nervo vago (una fondamentale via per il transito di informazioni provenienti dai visceri, che aggirano il midollo spinale), al nucleo parabrachiale (pb) e all’ipotalamo (ipotal). Il nucleo parabrachiale e quello del tratto solitario trasmettono anch'essi segnali all'insula attraverso un altro nucleo talamico (vMb). E interessante osservare che le vie lungo le quali viaggiano informazioni riguardanti il movimento del corpo e la sua posizione nello spazio si servono di una catena di trasmissione del tutto diversa. Le fibre nervose periferiche che trasmettono quei segnali (A8) hanno un maggior calibro e sono a conduzione veloce. Le parti del midollo spinale e del nucleo del trigemino usate per i segnali di movimento sono anch'esse diverse, e altrettanto lo sono i nuclei di relè talamici e le destinazioni corticali finali (la corteccia somatosensitiva S1).

della possibilità di essere coscienti di un sentimento. Il primo requisito per l'esistenza del sentimento, quindi, è riconducibile alla presenza di un sistema nervoso.

In secondo luogo, quel sistema nervoso deve essere in grado dapprima di produrre mappe delle strutture e degli stati del corpo e poi di trasformare in configurazioni mentali o immagini le configurazioni neurali contenute in quelle mappe. Senza quest’ultimo passaggio, il sistema nervoso produrrebbe le mappe delle modificazioni del corpo che costituiscono il substrato dei sentimenti, senza però arrivare assolutamente a generare le idee che chiamiamo sentimenti.

In terzo luogo, il verificarsi di un sentimento nel senso tradizionale del termine richiede che i suoi contenuti siano noti all’organismo; in altre parole, la coscienza è un requisito per l’emergere del sentimento. La relazione fra i due - coscienza e sentimento - è complessa. Semplificando, se non siamo coscienti, non siamo in grado di sentire. D’altra parte, il meccanismo stesso del sentire contribuisce ai processi della coscienza, e precisamente alla creazione del sé, senza del quale nulla può essere conosciuto. La via d’uscita da questa difficoltà ci viene offerta dal comprendere che il processo del sentire è ramificato e dotato di numerosi livelli. Alcuni passaggi necessari alla genesi del sentimento sono allo stesso modo necessari a produrre il proto-sé, dal quale dipendono dapprima il sé e poi la coscienza. Alcuni passaggi, tuttavia, sono specifici dell’insieme di modificazioni omeostatiche percepite: in altre parole, sono specifici per un determinato oggetto.

In quarto luogo, le mappe cerebrali che costituiscono il substrato essenziale dei sentimenti rappresentano modalità dello stato corporeo che sono state eseguite sotto il comando di altre parti dello stesso cervello. Il cervello di un organismo senziente, insomma, crea quegli stessi stati del corpo che evocano i sentimenti nel momento in cui esso reagisce a oggetti ed eventi con emozioni o appetiti. Negli organismi capaci di sentimenti, quindi, il cervello è doppiamente necessario. Sicuramente esso deve esistere per produrre le mappe del corpo. Ancor prima, d’altra parte, esso deve esistere per dirigere o costruire quel particolare stato emozionale del corpo che finisce poi per essere rappresentato a livello cerebrale come sentimento.

Queste circostanze richiamano l’attenzione sulla probabile ragione per cui i sentimenti divennero possibili nell’evoluzione. Questa è l’esistenza di mappe cerebrali per la rappresentazione degli stati del corpo. A loro volta, quelle mappe divennero possibili perché il meccanismo cerebrale preposto alla regolazione del corpo le richiedeva per compiere le proprie operazioni regolatrici, in particolare quelle che hanno luogo durante il dispiegamento di una reazione emozionale. Ciò significa che i sentimenti non dipendono solo dalla presenza di un corpo e di un cervello capace di farsene delle rappresentazioni, ma anche dal fatto che vi sia già un meccanismo cerebrale di regolazione dei processi vitali, ivi compresa quella sua parte che causa reazioni quali le emozioni e gli appetiti. Senza il preesistente meccanismo cerebrale delle emozioni, non potrebbe esservi nulla di interessante da sentire. Ancora una volta, all’inizio erano l’emozione e i suoi fondamenti. Il sentire non è un processo passivo.



STATI DEL CORPO E MAPPE DEL CORPO

Nelle sue linee essenziali, la proposta fin qui presentata è abbastanza semplice. E giunto però il momento di complicare il quadro. A titolo di introduzione, presenterò due problemi.

La nostra ipotesi è che qualsiasi cosa noi sentiamo debba basarsi sulla forma dell’attività delle regioni cerebrali somatosensitive. Se esse non fossero disponibili, noi non sentiremmo nulla, proprio come non vedremmo nulla se fossimo privati delle fondamentali aree visive del nostro cervello. Noi sperimentiamo dunque i sentimenti per gentile concessione delle regioni somatosensitive. Può darsi che questo suoni un po’ ovvio, ma devo ricordare che, fino a pochissimo tempo fa, la scienza evitava accuratamente di assegnare i sentimenti a qualsiasi sistema cerebrale; si limitava a collocarli in qualche luogo evanescente nel cervello - o attorno a esso. Ed ecco una possibile obiezione, che è ragionevole e pertanto meritevole di attenzione, ma che in realtà è infondata. In generale, le regioni somatosensitive producono una mappa precisa di quanto ha luogo nel corpo in quel momento; in alcuni casi, tuttavia, non è così, per la semplice ragione che l’attività delle regioni impegnate nella produzione della mappa, o i segnali afferenti a esse, possono essere stati in qualche maniera modificati. La mappa, in altri termini, non è più fedele. Questo pregiudica la validità dell’ipotesi secondo cui noi sentiamo ciò che è rappresentato nelle aree somatosensitive? Niente affatto. Ne saprete di più fra un istante.

Il secondo punto riguarda l’illuminante congettura di William James, e cioè che i sentimenti siano necessariamente una percezione del corpo reale, modificato dall’emozione. Uno dei motivi per cui essa fu attaccata, finendo poi con l'essere virtualmente dimenticata, aveva a che fare con l’idea che, se dovesse dipendere dalla percezione degli stati del corpo reale, il processo del sentire avverrebbe in ritardo, e sarebbe quindi inefficace. Ci vuole tempo, per modificare il corpo e registrarne a livello cerebrale i cambiamenti! Si dà il caso, tuttavia, che occorra tempo anche per sentire. Un’esperienza mentale di gioia o di tristezza impiega un tempo relativamente lungo a formarsi e nulla fa pensare che esperienze mentali siffatte insorgano in un tempo minore di quello necessario per elaborare i cambiamenti del corpo appena discussi. Al contrario, dati recenti indicano che i sentimenti emergono nell’arco di diversi secondi, in genere da due a venti.24 La precedente obiezione ha tuttavia un merito, perché se il sistema operasse sempre con la precisione immaginata da James, non potrebbe funzionare costantemente e correttamente. Ho proposto alcune alternative imperniate su un concetto essenziale: i sentimenti non emergono necessariamente da reali stati del corpo - sebbene possano farlo - ma piuttosto dalle mappe reali costruite in un qualsiasi momento dalle regioni somatosensitive del cervello. Tenendo presenti questi due punti, siamo ora pronti ad analizzare la mia concezione sull’organizzazione e il funzionamento del sistema dei sentimenti.



STATI CORPOREI REALI E SIMULATI

In ogni momento della nostra vita le regioni cerebrali somatosensitive ricevono segnali con i quali costruire le mappe dello stato corrente del corpo. Possiamo immaginare queste mappe come una serie di corrispondenze fra ogni singolo luogo del corpo e le regioni cerebrali in questione. Questo quadro così limpido, chiaro come il disegno di un ingegnere, è reso però confuso dal fatto che altre regioni cerebrali possono interferire direttamente o con i segnali afferenti alle aree somatosensitive, o con l’attività di queste ultime. Il risultato di tali «interferenze» è estremamente curioso. Per quanto riguarda la nostra mente cosciente, la fonte di conoscenza di ciò che ha luogo nel corpo è una sola: l’attività neurale presente, istante per istante, nelle regioni somatosensitive. Di conseguenza, qualsiasi interferenza con questo meccanismo può creare una «falsa» mappa di quanto sta accadendo nel corpo in un particolare momento.

Analgesia naturale

Un buon esempio di «falsa» mappa è quella che emerge in alcune circostanze, quando il cervello filtra, escludendoli, i segnali nocicettivi provenienti dal corpo. Il cervello elimina efficacemente dalle mappe centrali del corpo le configurazioni che permetterebbero l’esperienza del dolore. Questi meccanismi di «falsa» rappresentazione si sono affermati nel corso dell’evoluzione per buone ragioni. Quando si fugge da un pericolo è utile non sentire il dolore che potrebbe venire dalle ferite inflitte dalla causa stessa di quel pericolo (per esempio i denti di un predatore) o dall’atto stesso di fuggire (lesioni provocate da ostacoli durante la fuga).

Oggi conosciamo molti dettagli sulle modalità di tale interferenza. I nuclei localizzati nella regione del tegmento mesencefalico nota come grigio periacqueduttale (pag) inviano messaggi alle vie nervose che, in condizioni normali, trasmetterebbero segnali di danno tissutale conducendo all’esperienza del dolore. Quei messaggi impediscono il transito di tali segnali.25 In seguito a questa operazione di filtro, noi ci ritroviamo con una «falsa» mappa corporea. Qui, com’è ovvio, non è in discussione il collegamento fra il processo e il corpo: la dipendenza del sentimento dal «linguaggio» del corpo è ancora confermata. Solo, ciò che di fatto sentiamo non è esattamente ciò che avremmo sentito senza la giudiziosa interferenza del cervello. L’effetto di questa interferenza equivale all’assunzione di una dose più alta di aspirina o di morfina, o anche a trovarsi in condizioni di anestesia locale. Con la differenza che il cervello sta facendo tutto questo per noi in modo naturale. Per inciso, la metafora della morfina è molto calzante perché una variante di tale interferenza impiega molecole prodotte spontaneamente dall’organismo analoghe alla morfina: più precisamente, peptidi oppioidi come le endorfine. Esistono diverse classi di peptidi oppioidi, tutti sintetizzati dall’organismo e pertanto chiamati «endogeni». Oltre alle endorfine, essi comprendono le endomorfine, l’encefalina e la dinorfina. Queste molecole si legano a classi specifiche di recettori, localizzati in particolari neuroni di determinate regioni del cervello. Pertanto, in particolari situazioni di necessità, la natura ci offre lo stesso trattamento analgesico che un medico compassionevole somministrerebbe a un paziente in preda al dolore.

Possiamo trovare dimostrazioni di questi meccanismi un po’ dappertutto. Non appena calcano la scena, gli attori, i presentatori - e in genere tutti coloro ai quali è capitato di dover affrontare il pubblico non sentendosi troppo bene - sperimentano la curiosa scomparsa dei peggiori sintomi fisici di qualsiasi malanno. Tradizionalmente, il miracolo viene attribuito a una «scarica di adrenalina». Il concetto che vi sia implicata una sostanza chimica è in effetti corretto, ma non basta a spiegare dove quella sostanza agisca e perché la sua azione causi gli effetti desiderati. Io ritengo che in realtà in tali situazioni si verifichi una modificazione estremamente vantaggiosa delle mappe che rappresentano lo stato corrente del corpo. La modificazione richiede diversi messaggi neurali e implica l’intervento di alcune sostanze chimiche, sebbene probabilmente l’adrenalina non sia la più importante. Anche i soldati, sul campo di battaglia, vanno incontro a una modificazione delle mappe che rappresentano il dolore e la paura nel loro cervello. Se così non fosse, gli atti di eroismo sarebbero molto meno frequenti. Se questo stratagemma non fosse stato aggiunto al menu del nostro cervello, l’evoluzione, forse, avrebbe abbandonato il meccanismo stesso del parto, favorendo una varietà di riproduzione meno dolorosa.

Io sospetto che alcune ben note condizioni psicopatologiche sequestrino questo magnifico meccanismo aggiuntivo. Le cosiddette reazioni isteriche o di conversione, nelle quali il paziente non sente o non muove parti del corpo, potrebbero benissimo essere la conseguenza di modificazioni transitorie, ma radicali, delle mappe che rappresentano lo stato corrente del corpo. Diversi disturbi psichiatrici «somatoformi» possono essere spiegati in questo modo. Per inciso, una semplice deviazione di uno di questi meccanismi potrebbe aiutare a sopprimere il ricordo di eventi che un tempo ci provocarono una marcata sofferenza.

Empatia

È evidente che il cervello può simulare internamente alcuni stati corporei emozionali, come accade nel processo in cui la compassione, che è un’emozione, si trasforma in un sentimento di empatia. Immaginiamo che qualcuno vi racconti di un orribile incidente in cui una persona è rimasta gravemente ferita. Può darsi che per un attimo sentiate una fitta di dolore che rispecchia, nella vostra mente, il dolore dell’individuo in questione. Vi sentite come se foste voi la vittima, e il sentimento può essere più o meno intenso, a seconda della portata dell’incidente o della vostra conoscenza della persona coinvolta. Il meccanismo che si presume produca questa sorta di sentimento è una varietà di quello che ho chiamato circuito corporeo «come se». Esso implica, a livello cerebrale, una simulazione interna che consiste nella rapida modificazione delle mappe dello stato corrente del corpo. Ciò accade quando certe regioni cerebrali, per esempio le cortecce prefrontali/premotrici, segnalano direttamente alle regioni somatosensitive del cervello. L’esistenza e la localizzazione di tipi analoghi di neuroni è stata stabilita di recente. Quei neuroni possono rappresentare, nel cervello di una persona, i movimenti che quello stesso cervello vede in un altro individuo, e inviare segnali alle strutture sensomotorie in modo che i movimenti corrispondenti siano «visti in anteprima» in una modalità di simulazione, oppure effettivamente eseguiti. Questi neuroni sono davvero presenti nella corteccia frontale delle scimmie e degli esseri umani, e sono noti come «neuroni specchio».26 Io credo che il circuito «come se» da me postulato nell’Errore di Cartesio faccia ricorso a una variante di questo meccanismo.

Il risultato della simulazione diretta degli stati corporei nelle regioni somatosensitive non è diverso da quello della filtrazione di segnali provenienti dal corpo. In entrambi i casi, temporaneamente, il cervello crea una serie di mappe del corpo che non corrispondono esattamente allo stato reale in cui esso si trova. Il cervello usa i segnali afferenti dalla periferia come creta per scolpire un particolare stato del corpo nelle regioni dove è possibile costruire una tale rappresentazione, ossia nelle regioni somatosensitive. Quello che si sente, allora, è basato su quella «falsa» costruzione, e non sul «reale» stato del corpo.

Uno studio recente, condotto da Ralph Adolphs ha affrontato direttamente il problema degli stati corporei simulati.27 Lo studio mirava a indagare le basi dell’empatia e coinvolse più di cento pazienti con lesioni neurologiche localizzate in vari siti della corteccia cerebrale, ai quali si chiese di partecipare a un compito che comportava il tipo di processo necessario per le risposte di empatia. A ogni soggetto furono mostrate le fotografie di una persona sconosciuta che esibiva una qualche espressione emozionale; il compito consisteva nell’indicare che cosa stesse provando la persona fotografata. I ricercatori chiesero a ciascun soggetto di mettersi nei panni della persona raffigurata e di cercare di indovinare il suo stato mentale. L’ipotesi che si intendeva verificare era la seguente, e cioè che pazienti con lesioni alle cortecce somatosensitive non sarebbero stati in grado di eseguire normalmente questo compito.

La maggior parte dei pazienti se la cavò facilmente, con la stessa precisione mostrata da soggetti normali, tranne due gruppi specifici di individui, la cui prestazione risultò compromessa. Il primo gruppo era abbastanza prevedibile, essendo costituito da individui con danni localizzati alle cortecce associative visive, soprattutto quella della regione occipito-temporale ventrale destra. Questo settore del cervello è essenziale per la stima di configurazioni visive. Se la sua integrità viene a mancare, le espressioni facciali esibite nelle fotografie non possono essere percepite come un tutto unitario, nonostante le immagini siano «viste» nel senso generale del termine.

L’altro gruppo di pazienti era quello più significativo: consisteva di soggetti con danni localizzati nella regione delle cortecce somatosensitive di destra e, più precisamente, nell’insula, nella S2 e nella S1. Questo è l’insieme delle regioni in cui il cervello realizza il più alto livello di rappresentazione integrata dello stato del corpo. In assenza di questa regione, il cervello non può simulare gli stati corporei altrui in modo efficace. Manca infatti del palcoscenico su cui rappresentare le variazioni sul tema dello stato del corpo.

Il fatto che la regione corrispondente nell’ emisfero cerebrale sinistro non abbia la stessa funzione è di grande significato fisiologico. Pazienti con danni localizzati al complesso delle regioni somatosensitive di sinistra eseguivano normalmente il test dell’«empatia». Questo risultato è un altro indice di come le cortecce somatosensitive destre siano «dominanti» per quanto riguarda la rappresentazione corporea integrata. Esso serve anche a spiegare come mai il danno localizzato in questa regione sia costantemente associato a difetti interessanti l’emozione e il sentimento, e a patologie note come anosognosia e negletto, alla cui base è un’idea difettosa dello stato corrente del corpo.28 L’asimmetria tra destra e sinistra nella funzione delle cortecce somatosensitive dell’uomo è probabilmente dovuta all’impegno specifico di quelle di sinistra nel linguaggio e nell’eloquio.

Altre conferme provengono da studi in cui individui normali, osservando fotografie raffiguranti emozioni, attivavano immediatamente i muscoli facciali necessari per assumere essi stessi l’espressione raffigurata nelle immagini. Sebbene i soggetti non fossero consapevoli di questa «predisposizione» speculare dei propri muscoli, gli elettrodi posizionati sul loro volto registravano le alterazioni elettromiografiche.29

Riassumendo, le aree somatosensitive costituiscono una sorta di teatro, dove non solo possono essere «rappresentati ed esibiti» gli stati corporei reali, ma è possibile mettere in scena anche un vasto assortimento di stati corporei «falsi»: per esempio, stati corporei «come se», stati corporei filtrati, e così via. Probabilmente, i comandi per produrre gli stati corporei «come se» provengono da numerose aree delle cortecce prefrontali, come hanno indicato recenti ricerche sui neuroni specchio negli animali e nell’uomo.



PERCEZIONI ALLUCINATORIE DEL CORPO

Il cervello permette, con una gran varietà di mezzi, percezioni allucinatorie di alcuni stati corporei. Possiamo immaginare come una simile caratteristica sia sorta nell’evoluzione. All’inizio il cervello produceva esclusivamente mappe fedeli dello stato del corpo. In seguito sorsero altre possibilità, per esempio quella di eliminare temporaneamente, nelle mappe, la rappresentazione di stati come quelli culminanti nel dolore. Successivamente, forse, comparve la capacità di simulare stati dolorosi là dove non esistevano. Con ogni evidenza, queste nuove possibilità presentavano un vantaggio selettivo e furono conservate. Al pari di altre utili caratteristiche della nostra costituzione naturale, sono soggette a variazioni patologiche che possono impedirne l’uso proficuo, come sembra accadere nell’isteria e nei disturbi affini.

Un ulteriore valore pratico di questi meccanismi è la loro tempestività. Il cervello può modificare le mappe corporee molto rapidamente, in tempi dell’ordine delle centinaia di millisecondi o anche meno - il breve periodo di tempo richiesto dagli assoni mielinici per condurre segnali a distanza di qualche centimetro: ad esempio, dalla corteccia prefrontale alle mappe somatosensitive dell’insula. Affinché il cervello induca modificazioni nel corpo vero e proprio, la scala temporale è invece nell’ordine dei secondi. Occorre circa un secondo perché assoni lunghi, e spesso amielinici, conducano segnali a parti del corpo distanti decine di centimetri dal cervello. Questa è anche la scala temporale necessaria perché un ormone sia liberato nel sangue e cominci a produrre la sua cascata di effetti. Probabilmente è questa la ragione per cui, in moltissime circostanze, possiamo percepire una squisita relazione temporale fra le sottili sfumature di sentimento e i pensieri che le hanno stimolate o sono conseguenti a esse. L’alta velocità dei meccanismi «come se» avvicina, dal punto di vista temporale, i pensieri e i sentimenti più di quanto accadrebbe se questi ultimi dipendessero esclusivamente da reali modificazioni corporee.

Vale la pena di notare che allucinazioni come quelle descritte non hanno un carattere adattativo quando si verificano in sistemi sensoriali diversi da quello enterocettivo. Le allucinazioni visive sono estremamente disturbanti e altrettanto può dirsi di quelle uditive. In esse non c’è alcun aspetto benefico, e i pazienti neurologici e psichiatrici che ne vanno soggetti non le vivono come esperienze piacevoli. Lo stesso vale per le percezioni allucinatorie relative al senso dell’olfatto o del gusto, a volte sperimentate dai pazienti epilettici. Ciò nondimeno, escludendo le poche condizioni psicopatologiche citate, le allucinazioni che riguardano lo stato del corpo rappresentano risorse preziose per la mente normale.



LA CHIMICA DEL SENTIMENTO

Ormai tutti sanno che i cosiddetti farmaci psicotropi trasformano sentimenti di tristezza e inadeguatezza in sentimenti di soddisfazione e fiducia. Molto tempo prima che il Prozac comparisse sulla scena, tuttavia, l’alcol, i narcotici, gli analgesici, nonché ormoni quali gli estrogeni e il testosterone, insieme a moltissimi farmaci psicotropi, avevano dimostrato che i sentimenti possono essere alterati dalle sostanze chimiche. Ovviamente, l’azione di tutti questi composti chimici è dovuta alla loro struttura molecolare. In che modo queste sostanze producono i loro cospicui effetti? Di solito, la spiegazione è che le molecole agiscono su particolari neuroni, in determinate regioni cerebrali, producendo il risultato desiderato. Dal punto di vista dei meccanismi neurobiologici, tutto questo suona come una specie di gioco di prestigio. Tristano e Isotta bevono il filtro d’amore, et voilà!, nella scena successiva sono innamorati. Non è affatto chiaro come una molecola X, legandosi ai neuroni localizzati nell’area cerebrale Y, possa sospendere l’angoscia e farvi sentire traboccanti d’amore. Quale valore esplicativo può avere l’affermazione che, una volta inondati di testosterone, gli adolescenti maschi possono diventare violenti ed eccessivamente concentrati sul sesso? In questa spiegazione, fra la molecola del testosterone e il comportamento dell’adolescente, manca un livello funzionale.

L’incompletezza della spiegazione a livello molecolare deriva dal fatto che la reale origine degli stati dei sentimenti - la loro natura mentale - non è concettualizzata in termini biologici. La spiegazione a livello molecolare fa parte della soluzione dell’enigma, ma non chiarisce assolutamente quello che a noi davvero interesserebbe capire. I meccanismi molecolari attivati dall’introduzione di un farmaco nel sistema rendono conto della catena di processi che porta all’alterazione del sentimento, ma non dei processi che alla fine stabiliscono il sentimento stesso. Si è detto poco su quali siano le particolari funzioni neurali che un farmaco modifica al punto da alterare i sentimenti. Si è detto poco anche su quali sistemi supportino tali funzioni. Conosciamo la localizzazione dei recettori neuronali ai quali certe molecole possono legarsi. (Per esempio, sappiamo che i recettori per gli oppioidi della classe μ sono localizzati in regioni del cervello come la corteccia del cingolo, e sappiamo che gli oppioidi esogeni, come quelli endogeni, agiscono legandosi a quei recettori).30 Sappiamo che, nei neuroni dotati di recettori per gli oppioidi, il legame di una molecola a quei recettori causa una modificazione funzionale. In seguito al legame fra oppioidi e recettori μ di certi neuroni corticali, si ha l’attivazione di alcuni neuroni nell’area ventrale del tegmento mesencefalico, con conseguente liberazione di dopamina in strutture quali il nucleus accumbens del prosencefalo basale. Successivamente hanno luogo numerosi comportamenti gratificanti, e si esperirà un sentimento piacevole.31 Le configurazioni neurali che formano la base dei sentimenti, tuttavia, non si verificano solo nei neuroni delle regioni menzionate in precedenza, e probabilmente le reali configurazioni «costitutive» dei sentimenti non sono affatto localizzate in essi. Con ogni probabilità, le configurazioni neurali essenziali, quelle che sono la causa prossima dello stato del sentimento, si verificano altrove - precisamente in regioni somatosensitive come l’insula - in conseguenza dell’attività di neuroni direttamente influenzati dalle sostanze chimiche.

Nel quadro che ho delineato, è possibile specificare quali siano i processi che conducono a sentimenti alterati e quali siano i siti per l’azione dei farmaci. Se i sentimenti insorgono da configurazioni neurali che rappresentano lo stato corporeo corrente in tutta la miriade dei suoi aspetti, allora l’ipotesi più semplice è che le molecole modificatrici dell’umore producano la loro magia alterando la forma dell’attività neurale di quelle mappe somatosensitive. Possono farlo attraverso tre meccanismi diversi, operanti separatamente o insieme: uno di essi interferisce con la trasmissione dei segnali afferenti dal corpo; un altro funziona creando una particolare configurazione di attività neurale nelle mappe del corpo; l’ultimo, infine, opera modificando lo stesso stato del corpo. Tutti questi meccanismi sono aperti alla possibilità di interferenze farmacologiche.

Varie evidenze indicano l’importanza, per la genesi dei sentimenti, delle mappe cerebrali prodotte nelle regioni somatosensitive. Come abbiamo già osservato, l’analisi introspettiva dei sentimenti normali, durante il loro dispiegamento, punta inequivocabilmente alla percezione di varie modificazioni corporee. Gli esperimenti di visualizzazione di immagini funzionali del cervello da noi esaminati in precedenza rivelano - quale correlato neurale dei sentimenti - alterazioni della forma dell’attività nelle regioni somatosensitive. Un’altra affascinante fonte di indizi è data dall’analisi introspettiva di coloro che fanno uso di droghe al preciso scopo di procurarsi una condizione di intensa felicità. Queste descrizioni in prima persona contengono frequenti riferimenti ad alterazioni corporee sperimentate durante gli «sballi» da droga. Ecco alcuni tipici esempi:

«Il mio corpo era pieno di energia e nello stesso tempo completamente rilassato».

«E come se ogni singola cellula, ogni singola fibra del tuo corpo, saltasse per la felicità».

«C’è una leggera proprietà anestetica... e una sensazione diffusa, formicolante, di tepore».

«Era come un orgasmo totale, a cui partecipasse tutto il corpo».

«C’è un calore pervasivo nel corpo».

«Il bagno caldo era così bello che non potevo parlare».

«Era come se la testa esplodesse... un piacevole tepore e una intensa sensazione di rilassamento».

«Come il senso di relax che si prova dopo aver fatto sesso, anzi meglio».

«Uno sballo del corpo».

«Un formicolio... è il corpo che ti dice di essere completamente intorpidito».

«Ti senti come se fossi avvolto nella coperta più piacevole, calda e comoda del mondo».

«Il mio corpo divenne istantaneamente caldo - soprattutto le guance, che sentivo decisamente calde».32

Tutte queste descrizioni parlano degli stessi fenomeni - rilassamento, tepore, torpore, anestesia, analgesia, rilassamento orgasmico, energia. Di nuovo, non fa alcuna differenza se questi cambiamenti abbiano effettivamente luogo nel corpo e siano trasmessi alle mappe somatosensitive; se siano invece architettati direttamente in queste mappe; o se accadano entrambe le cose. Le sensazioni sono regolarmente accompagnate da pensieri di eventi positivi, un’aumentata capacità di «capire», facoltà fisiche e intellettuali potenziate, rimozione di barriere e preoccupazioni. Stranamente, le prime quattro descrizioni si riferiscono a «sballi» da cocaina. Le tre testimonianze successive sono di consumatori di ecstasy, e le ultime cinque di individui che assumevano eroina. L’alcol produce effetti analoghi, ma più modesti. La constatazione che' questi effetti presentano un nucleo comune è ancor più impressionante se si pensa che le sostanze che li causano sono chimicamente differenti e agiscono, nel cervello, su sistemi chimici differenti. Tutte queste molecole agiscono sui sistemi cerebrali come se fossero sintetizzate in modo endogeno. La cocaina e l’anfetamina, per esempio, agiscono sul sistema dopaminergico. Ciò nondimeno l'ecstasy - la variante attualmente di moda dell’anfetamina, con un nome scioglilingua: metilendiossimetanfetamina o mdma - agisce sul sistema serotoninergico. Come abbiamo visto, l'eroina e le altre sostanze affini si legano ai recettori per gli oppioidi μ e δ. L’alcol funziona con la mediazione dei recettori gaba-a e nmda del glutammato.33

E importante osservare che il coinvolgimento sistematico delle regioni somatosensitive - come quello descritto in precedenza negli studi di sentimenti naturali, condotti con tecniche di visualizzazione di immagini funzionali - viene rilevato anche in esperimenti in cui i sentimenti derivano dall’assunzione di ecstasy, eroina, cocaina e marijuana, ovvero dal desiderio di tali sostanze. Ancora una volta, fra i siti coinvolti dominano la corteccia del cingolo e l’insula.34

La distribuzione anatomica dei recettori sui quali agiscono queste sostanze è piuttosto varia, e da una droga all’altra si riscontrano alcune differenze. Tuttavia, i sentimenti che esse inducono sono assolutamente simili. È ragionevole ipotizzare che, in un modo o nell’altro, a un certo punto della loro azione, le diverse molecole contribuiscano a generare analoghe configurazioni di attività a livello delle regioni somatosensitive. In altre parole, l’effetto percettivo deriva dalle modificazioni indotte in uno o più siti neurali condivisi, a loro volta risultanti dalle diverse cascate di modificazioni che interessano i sistemi neurali e sono innescate dalle diverse sostanze. Una descrizione a livello di molecole e recettori non basta a spiegare gli effetti osservati.

Poiché tutti i sentimenti contengono necessariamente una componente di dolore o di piacere, e poiché le immagini mentali che chiamiamo sentimenti insorgono dalle configurazioni neurali esibite nelle mappe del corpo, è ragionevole ipotizzare che il dolore e le sue varianti si manifestino quando, nel cervello, le mappe del corpo presentano determinate configurazioni.

Analogamente, il piacere e le sue varianti sono il risultato di determinate configurazioni delle mappe. Sentire dolore o piacere significa avere in corso processi biologici in cui la nostra immagine corporea, così come è rappresentata nelle mappe del cervello, corrisponde a una certa configurazione. Farmaci come la morfina o l’aspirina alterano quelle configurazioni. Così fanno l’ecstasy e l’alcol, gli anestetici, e certe forme di meditazione. Così fanno i pensieri disperati. E quelli di speranza e salvezza.



ENTRANO IN SCENA I CRITICI

Alcuni critici, pur accettando la precedente discussione sulla base fisiologica del sentimento, rimarranno comunque insoddisfatti, e diranno che io non ho ancora spiegato perché i sentimenti siano percepiti come sono percepiti. A questo punto, potrei replicare che la loro domanda è mal formulata, e che i sentimenti sono percepiti nel modo in cui lo sono semplicemente perché è così, perché questa è la natura delle cose. Ma capisco la loro posizione, e gli argomenti certo non mi mancano. Intendo quindi continuare, arricchendo di dettagli le risposte date finora e indicando nel modo più specifico possibile l’intima natura dei processi di formazione delle mappe che contribuiscono alla genesi di un sentimento.

Di primo acchito, le mappe del corpo alla base del sentimento possono sembrare rappresentazioni vaghe e approssimative dello stato dei visceri o dei muscoli. Ripensiamoci, però. Innanzitutto, ogni regione del corpo - letteralmente - viene rappresentata contemporaneamente alle altre, perché ciascuna contiene terminazioni in grado di inviare al sistema nervoso centrale segnali relativi allo stato delle cellule che la costituiscono. La segnalazione è complessa. Non è una questione di «zeri» e di «uno», che serva a indicare, per esempio, che una cellula è «on» o «off». I segnali sono estremamente sfumati. Le terminazioni nervose possono indicare, per esempio, l’entità della concentrazione di ossigeno e di anidride carbonica nelle immediate vicinanze della cellula. Possono segnalare il pH del bagno chimico in cui ogni cellula si trova immersa, e la presenza di composti tossici, all’interno o all’esterno di essa. Ancora, possono rilevare la comparsa di molecole endogene come le citochine, la cui presenza indica che la cellula versa in uno stato di sofferenza e che su di essa incombe un processo patologico. Le terminazioni nervose possono indicare anche lo stato di contrazione delle fibre muscolari - dalle fibrocellule muscolari lisce presenti nella parete di ogni arteria, grande o piccola che sia, fino alle grandi fibre muscolari striate che costituiscono i muscoli degli arti, della parete del torace o della faccia. Le terminazioni nervose possono pertanto indicare al cervello che cosa stiano facendo, in ogni determinato istante, organi come la cute o l’intestino. Ma non basta: oltre all’informazione afferente dalle terminazioni nervose, le mappe corporee che costituiscono il substrato dei sentimenti sono informate anche direttamente - attraverso una via non neurale - delle variazioni di concentrazione ematica di una miriade di sostanze chimiche.

Nella parte del cervello nota come ipotalamo, per esempio, vi sono gruppi di neuroni che leggono direttamente la concentrazione del glucosio (zucchero) nel sangue e agiscono di conseguenza. L’azione da essi intrapresa, come abbiamo già detto, viene indicata come impulso o appetito. Un calo della concentrazione di glucosio porta al sorgere di un appetito - lo stato della fame - e all’innesco di comportamenti mirati all’ingestione di cibo e in ultima analisi alla correzione del livello di glucosio troppo basso. Allo stesso modo, una riduzione nella disponibilità di acqua genera la sete e porta al risparmio di liquidi, ordinando ai reni di non eliminarne troppi e modificando la respirazione in modo da perdere meno acqua insieme all’aria espirata. Altri siti - precisamente l’area postrema del tronco encefalico, e gli organi sotto il fornice vicino ai ventricoli laterali - si comportano come l’ipotalamo. Essi convertono i segnali chimici veicolati dal sangue in segnali neurali trasmessi lungo vie nervose all’interno del cervello. Il risultato è lo stesso: il cervello si procura una mappa dello stato del corpo.

Poiché il cervello controlla l’intero organismo sia direttamente a livello locale (attraverso le terminazioni nervose) sia a livello globale, chimicamente (attraverso il flusso sanguigno), la quantità di sfumature e dettagli presenti in queste mappe è decisamente notevole. Esse effettuano campionamenti per definire lo stato delle funzioni vitali in tutto l’organismo; poi, a partire da quei campioni di dati sorprendentemente ampi, distillano mappe integrate dello stato del corpo. Ho il sospetto che quando affermiamo di sentirci bene - o malissimo - la sensazione che sperimentiamo derivi da questi campioni compositi basati sulle mappe della biochimica del nostro milieu interno. Potrebbe essere del tutto inesatto asserire, come spesso facciamo, che il traffico di segnali neurali nel tronco encefalico e nell’ipotalamo non è mai cosciente. Io ritengo che parte di esso lo sia invece di continuo, in una forma particolare, e che corrisponda precisamente a ciò che costituisce i nostri sentimenti di fondo. Essi possono passare inosservati, è vero; ma questa è tutt’altra faccenda. In realtà, noi prestiamo loro attenzione quanto basta. Pensateci su, la prossima volta in cui vi parrà di aver preso un brutto raffreddore o, meglio ancora, quando vi sentirete al settimo cielo e penserete di non poter essere più fortunati di così.



ANCORA OBIEZIONI

A questo punto salteranno fuori altri critici, per dire, magari, che la cabina di pilotaggio di un moderno aeroplano è piena di sensori per il controllo dell’aereo; e questi sensori, guarda caso, sono molto simili a quelli che sto descrivendo qui. E mi chiederanno: l’aeroplano è senziente? E se è così, saprebbe spiegare perché mai sente come sente?

Qualsiasi tentativo di accostare ciò che accade in un organismo vivente complesso con quanto ha luogo in una macchina, anche splendidamente progettata - diciamo, un Boeing 777 -, è a mio avviso un’impresa molto imprudente. Certo, l’avionica di un aereo tanto perfezionato contiene mappe per monitorare, istante per istante, numerose funzioni: la funzione delle parti mobili delle ali, degli stabilizzatori e del timone; diversi parametri relativi al funzionamento dei motori; il consumo di carburante. Sono monitorate anche determinate variabili ambientali come la temperatura, la velocità del vento, l’altitudine, eccetera. Alcuni calcolatori integrano costantemente tutti questi dati, così da consentire la correzione intelligente del comportamento dell’aereo. La somiglianza con i meccanismi dell’omeostasi è evidente. Tuttavia, dal punto di vista qualitativo vi sono notevoli - che dico? enormi - differenze tra le mappe presenti nel cervello di un organismo vivente e il sistema di pilotaggio del Boeing 777. Analizziamole, dunque.

In primo luogo, la scala del dettaglio con cui sono rappresentate strutture e operazioni. Gli strumenti in cabina non sono che una pallida imitazione dei meccanismi di monitoraggio presenti nel sistema nervoso centrale di un organismo complesso. Nel nostro corpo, si potrebbero paragonare a sistemi che ci indicano se abbiamo o meno le gambe accavallate, che misurano la frequenza cardiaca e la temperatura corporea; e che ci informano su quante ore possiamo resistere prima di metterci nuovamente a tavola. Sistemi utilissimi, ma non bastanti a garantire la sopravvivenza. Ora, il mio scopo non è certo quello di sminuire quei fantastici 777. Voglio solo dire che, per sopravvivere, il 777 non ha bisogno di altri sistemi di monitoraggio, oltre a quelli che ha già: la sua «sopravvivenza» è legata ai piloti - esseri viventi - che lo controllano e senza i quali il tutto sarebbe privo di senso. Lo stesso si applica, per inciso, ai velivoli che viaggiano senza equipaggio: la loro «vita» dipende dai sistemi di controllo missione.

Alcune componenti dell’aeroplano sono «animate» - gli ipersostentatori e i deflettori, il timone, gli aerofreni, i carrelli - ma nessuna di esse è «viva» in senso biologico. Nessuna di quelle componenti è fatta di cellule la cui integrità dipenda dal rifornimento, garantito a ciascuna di esse, di ossigeno e nutrienti. Al contrario, ogni parte elementare del nostro organismo, ogni cellula del nostro corpo, non è solo animata: è viva. Cosa ancor più straordinaria e importante, ogni cellula è un organismo vivente individuale, una creatura, insomma, con una sua individualità: una data di nascita, un ciclo vitale, e una probabile data di morte. Ogni cellula è una creatura che deve badare a se stessa e la cui sopravvivenza dipende sia dalle istruzioni contenute nel genoma, sia dalle circostanze ambientali. I meccanismi innati di regolazione delle funzioni vitali discussi in precedenza per gli esseri umani sono presenti, nella scala biologica, in ogni sistema, organo, tessuto e singola cellula del nostro organismo. Qui, il ragionevole candidato al titolo di «particella» elementare essenziale non è più l’atomo, ma la cellula vivente.

Nelle tonnellate di alluminio, leghe, plastica, gomma e silicio costituenti il grande uccello della Boeing non c’è nulla che equivalga davvero a quella cellula vivente. Vi sono chilometri di filo elettrico, migliaia di metri quadrati di leghe composite, e milioni di viti, bulloni e rivetti; ed è vero che tutti questi componenti sono fatti di materia, la quale è costituita di atomi. Altrettanto vale pure, a livello di microstruttura, per la nostra carne umana. Ma la materia fisica dell’aeroplano non è viva: le sue parti non sono costituite da cellule viventi con un’eredità genetica, un destino biologico e un rischio di vita. E se anche qualcuno volesse sostenere che l’aeroplano è stato dotato dagli ingegneri di una «cura autonoma» per la propria sopravvivenza, in grado di prevenire le conseguenze delle manovre sbagliate di un pilota distratto, la differenza - lampante - è ineludibile. L’avionica integrata dell’aereo cura solo l’esecuzione delle sue funzioni di volo. Quanto al nostro cervello e alla nostra mente, essi hanno un interesse globale per l’integrità di tutto il nostro essere, in quanto vivente, in ogni sua più piccola parte; al di sotto di tutto questo, poi, ogni sua più piccola parte ha una cura locale, automatica, per la propria conservazione.

Queste distinzioni sono immancabilmente ignorate ogni volta che si confrontano esseri viventi e macchine intelligenti, come i robot. Qui io voglio solo chiarire che il nostro cervello riceve segnali dal profondo della materia vivente e pertanto genera mappe locali e globali che ne rappresentano l’intima anatomia e l’intimo stato funzionale. Tale situazione, tanto impressionante in qualsiasi organismo vivente complesso, è decisamente sorprendente negli esseri umani. Non voglio in alcun modo sminuire il valore delle interessanti creature artificiali create nei laboratori di Gerald Edelman o di Rodney Brooks. Sotto diversi aspetti, quelle creature ci consentono una comprensione più profonda di certi processi cerebrali e possono diventare utili complementi del nostro cervello. Voglio semplicemente osservare che queste creature inanimate non sono viventi nel senso in cui lo siamo noi ed è improbabile che sentano come sentiamo noi.35

Si noti, a questo punto, una cosa alquanto strana, cronicamente trascurata: i sensori nervosi che trasmettono le informazioni necessarie al cervello e i nuclei e le lamine nervose che registrano l’informazione al suo interno sono esse stesse costituite da cellule viventi, soggette agli stessi rischi delle altre cellule, bisognose di meccanismi simili di regolazione omeostatica. Queste cellule nervose non sono spettatori imparziali. Non sono innocenti mezzi di trasporto né lavagne vuote o specchi in attesa di qualcosa da riflettere. Per quanto riguarda l’oggetto della segnalazione e le mappe transitorie assemblate a partire dai segnali afferenti, i neuroni rispettivamente coinvolti nella segnalazione o nella rappresentazione hanno, per così dire, voce in capitolo. Le configurazioni neurali assunte dai neuroni somatosensitivi derivano da tutte le attività del corpo che essi devono rappresentare. Tali attività danno forma alla configurazione, le conferiscono una certa intensità e un profilo temporale, e tutto questo contribuisce a stabilire come mai un sentimento sia percepito in un certo modo. Probabilmente, però, la qualità dei sentimenti dipende anche dall’intima struttura degli stessi neuroni. E probabile che la qualità esperienziale del sentimento dipenda dal mezzo in cui essa è realizzata.

Infine, c’è da notare qualcosa di davvero affascinante, e ancora una volta trascurato a proposito della natura dell’animazione, tanto nelle parti mobili del Boeing quanto nel nostro corpo vivente. Nel Boeing, l’animazione ha a che fare con le diverse funzioni che l’aeroplano deve svolgere - rullare sulla pista, decollare, volare, atterrare. L’equivalente di tutto questo, nel nostro corpo, è l’animazione che ha luogo quando guardiamo, ascoltiamo, comunichiamo, corriamo, saltiamo o nuotiamo. Vale la pena di notare, tuttavia, che quando si parla delle emozioni e dei loro fondamenti, quella parte dell’animazione umana non è che la punta di un iceberg. La parte sommersa ha a che fare con l’animazione mirata esclusivamente al controllo dello stato della vita nel nostro organismo: nelle singole parti come nel suo complesso. È precisamente quella parte dell’animazione che costituisce l’essenziale substrato dei sentimenti. Nelle macchine intelligenti prodotte finora non esiste un equivalente di quella componente dell’animazione. La mia risposta a questo secondo tipo di critica è dunque che il 777 è incapace di sentire alcunché di simile ai sentimenti umani perché, fra le molte ragioni, non deve controllare - e meno che mai rappresentare - qualcosa che equivalga alla nostra vita interiore.

La spiegazione del perché i sentimenti siano percepiti come sono percepiti prende le mosse da questa considerazione: i sentimenti si fondano su rappresentazioni composite dello stato della vita nel corso del processo di regolazione finalizzato alla sopravvivenza dell’organismo in uno stato di funzionalità ottimale. Le rappresentazioni spaziano interessando la miriade di componenti dell’organismo, fino al livello costituito dall’intero. Il modo in cui i sentimenti vengono percepiti è legato a:


1. L’intima struttura dei processi vitali in un organismo pluricellulare dotato di un cervello complesso.

2. Il funzionamento dei processi vitali.

3. Le reazioni di correzione automaticamente generate da alcuni stati della vita, e le reazioni - innate e acquisite - che gli organismi mettono in atto quando nelle loro mappe cerebrali sono presenti determinati oggetti e situazioni.

4. Il fatto che quando vengono intraprese le reazioni regolatrici, indotte da cause interne o esterne, il flusso dei processi vitali è reso più o meno facile, fluido ed efficiente.

5. La natura del mezzo neurale in cui tutte queste strutture e questi processi sono rappresentati.

Di tanto in tanto mi è stato chiesto come possano, queste idee, render conto della «negatività» o della «positività» dei sentimenti, sottintendendo che sia impossibile spiegare i segnali positivi o negativi dei sentimenti. Ma è davvero così? Nel punto 4 si afferma che esistono stati dell’organismo in cui la regolazione dei processi vitali diventa efficiente, o addirittura ottimale, facile e liberamente fluente. Questa non è un’ipotesi, ma un dato di fatto fisiologico ben consolidato. I sentimenti che solitamente accompagnano tali stati fisiologicamente favorevoli sono ritenuti «positivi», caratterizzati come sono non solamente dall’assenza di dolore, ma da diversi tipi di piacere. Esistono anche stati dell’organismo in cui i processi vitali sono in lotta per trovare un equilibrio e possono addirittura essere caoticamente fuori controllo. I sentimenti che di solito accompagnano questi stati sono ritenuti «negativi», essendo caratterizzati non solo dall’assenza di piacere, ma da diversi tipi di dolore.

Possiamo forse affermare con una certa sicurezza che i sentimenti positivi e negativi sono determinati dallo stato in cui si trova la regolazione dei processi vitali. Il segnale è dato dalla loro vicinanza, o lontananza, dagli stati che meglio rappresentano una regolazione ottimale della vita. Per inciso, è probabile che anche l’«intensità» dei sentimenti sia correlata all’entità delle correzioni necessarie negli stati negativi, e al grado in cui quelli positivi superano il punto di regolazione omeostatica nella direzione ottimale.

Ho il sospetto che la qualità ultima dei sentimenti - una componente della ragione per cui essi sono percepiti come sono percepiti - sia loro conferita dal mezzo neuronale. Tuttavia, una parte sostanziale della spiegazione del modo in cui essi sono percepiti ha a che fare con la maggiore o minore fluidità, o difficoltà, dei processi di regolazione delle funzioni vitali. Questo è semplicemente il loro modo di funzionare, dato quello strano stato che chiamiamo vita e l’altrettanto strana natura degli organismi - il conatus di Spinoza - che li spinge a cercare l’autoconservazione, accada quel che accada, finché la vita stessa non sarà interrotta dall’invecchiamento, dalla malattia, o da lesioni inflitte dall’esterno.

Il fatto che noi, esseri senzienti e complessi, chiamiamo positivi alcuni sentimenti e negativi altri, è direttamente collegato alla fluidità o alla difficoltà dei processi vitali. Gli stati di fluidità sono naturalmente preferiti dal nostro conatus - noi gravitiamo intorno a essi -, mentre gli stati di sforzo e di tensione sono naturalmente evitati - ce ne teniamo alla larga. Possiamo percepire queste relazioni, e possiamo anche verificare che, nella traiettoria della nostra vita, gli stati fluidi, che percepiamo come positivi, finiscono per essere associati a eventi che definiamo buoni, mentre gli stati della vita caratterizzati da sforzo e tensione, percepiti come negativi, finiscono per essere associati al male.

È tempo, ormai, di perfezionare la formulazione proposta all’inizio di questo capitolo. L’origine dei sentimenti è il corpo, più specificamente alcune delle sue parti. Ora però possiamo spingerci più a fondo e svelare un’origine più fine al di sotto di quel livello di descrizione: essa coincide con le molte cellule che compongono le parti del corpo e che esistono sia come singoli organismi con un proprio conatus, sia come membri cooperativi di quella società irreggimentata che chiamiamo corpo umano e che sono tenuti insieme dal conatus dell’organismo nella sua globalità.

I contenuti dei sentimenti sono configurazioni dello stato corporeo rappresentato nelle mappe somatosensitive. Ora però, possiamo aggiungere che, nel dispiegarsi di un sentimento, le configurazioni transitorie dello stato corporeo cambiano rapidamente sotto le influenze reciproche e riverberanti del cervello e del corpo. Inoltre, sia la valenza positiva/negativa dei sentimenti, sia la loro intensità, corrispondono alla facilità o alla difficoltà complessive con cui procedono, in quel momento, gli eventi della vita.

Infine, possiamo aggiungere che le cellule costituenti le regioni cerebrali somatosensitive, come pure le vie nervose che trasmettono al cervello i segnali afferenti dal corpo, probabilmente non sono componenti hardware, per loro natura neutrali. E probabile invece che esse diano un contributo essenziale alla qualità delle percezioni che chiamiamo sentimenti.

Questo è anche il momento di ricongiungere quel che avevo separato, rimettendone insieme le componenti. Una delle ragioni per cui distinguo emozione e sentimento è insita nel metodo della ricerca: per comprendere l’intera gamma dei fenomeni affettivi, è utile separarne le componenti, studiarne il funzionamento, e distinguere in che modo esse siano coordinate nel tempo. Tuttavia, una volta acquisita la comprensione desiderata, o comunque parte di essa, è altrettanto importante rimettere insieme le parti del meccanismo, così da poter contemplare l’unità funzionale che esse costituiscono.

La ricostruzione di quell’intero ci riconduce all’affermazione di Spinoza, per il quale corpo e mente erano attributi paralleli della medesima sostanza. Noi li scrutiamo con la lente delle scienze biologiche perché vogliamo sapere come funzioni quell’unica sostanza, e come vengano generati, in essa, i diversi aspetti del corpo e della mente. Ma adesso, dopo aver studiato emozioni e sentimenti in relativo isolamento, possiamo, in una breve parentesi di tranquillità, tornare a ricongiungerli, considerandoli affetti.