21. La fantasia al lavoro: nuove professioni
È indubbio che i
cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie digitali, dall’avvento
del virtuale e del multimedia trasformeranno in modo radicale
l’odierno scenario socio-politico e, di conseguenza, lavorativo.
Facendo un parallelo che riporta al Medioevo, il sociologo francese
Leo Scheer prevede lo sviluppo, su scala planetaria, di tre nuove
caste di cittadini: gli operatori informatici (i servi della
gleba), i professionisti della comunicazione (i sacerdoti), gli
operatori della comunicazione (i guerrieri). L’analisi è suggestiva
ma interpreta il futuro secondo vecchi schemi, che si vorrebbero
superati. Quella che inizialmente (perché ancora impostata su
modelli classici) si delineerà come nuova élite nomade del Terzo
millennio (sostanzialmente fondata, secondo Scheer, dai guerrieri e
dai sacerdoti), dovrà progressivamente allargare le sue fila e
divenire lo zoccolo duro della comunità creativa e cooperativa del
futuro su basi planetarie. Sempre che il futuro si sviluppi secondo
queste felici prospettive di condivisione dei Saperi e, prima
ancora, dei Poteri. Partendo dalle tendenze che già oggi si stanno
delineando – nei campi tecnologico, scientifico, educativo,
sociale, artistico – ho lasciato vagare la fantasia oltre le porte
del Duemila. E, un po’ per scherzo, un po’ sul serio, ho strappato
al futuro il profilo di 13 professionisti a venire.
21.1. Il nanotecnologo.
Il futuro poggia su
applicazioni infinitamente piccole, o infinitamente leggere.
Portatili per eccellenza, robot in
miniatura e apparecchiature non più grosse di un’unghia saranno i
veri beni del nomade globale. A inventarli ci pensa il
nanotecnologo, una sorta di Archimede pitagorico, capace di
applicare i più sofisticati ritrovati della scienza e della tecnica
per creare minuscole macchine d’uso quotidiano. Alcune, le più
minute, possono essere inserite sottoforma di microchip nel corpo
umano, per sanare malattie congenite o per accrescere il potere di
certi organi. L’uomo e la donna bionici escono dalla
fantascienza per entrare nella vita reale; sono equipaggiati con
microstrumentazioni che consentono loro di avere un udito o una
vista eccezionali, oppure presentano innesti cerebrali con cui
collegarsi alla Rete delle reti. Chi ha un cuore artificiale o una
protesi inserita nel proprio organismo (una mano d’acciaio, una
rotula in lega leggera) sa che si può convivere benissimo con corpi
estranei ad alta tecnologia.
Fra coloro che hanno
già imboccato la via della miniaturizzazione high-tech c’è Texas
Instruments, che ha messo a punto una sofisticatissima tecnologia,
Timeline O,18 u, capace di concentrare 126 milioni di transistor in
uno stesso circuito. Grazie a Timeline, dunque, si possono già
costruire circuiti per calcolatori non più grandi di un’unghia ma
dotati di una potenza di calcolo equivalente a quella di venti Pc
attuali. Non meno sorprendenti sono i risultati ottenuti nei
laboratori americani Lawrence Livermore, un tempo dedicati allo
sviluppo di armi intelligenti e ora in via di riconversione civile.
È stata sviluppata qui una nuova tecnica di incisione sui microchip
che permetterà di realizzare dei processori dieci volte più veloci
e mille volte più capaci quanto a memoria. Per scrivere i circuiti
sul silicio viene sfruttata la Euv, la luce ultravioletta
estrema.
21.2. L’investigatore di contenuti.
Nel mare magnum
dell’informazione digitale ormai estesa su scala planetaria uno dei
ruoli chiave del terzo millennio sarà quella figura di
professionista in grado di distillare dalla massa dei dati il succo
nutritivo dell’informazione: allo stato puro o arricchito di utili
e richiestissimi elementi di analisi e di approfondimento. Il
giornalista vecchio stampo scompare per lasciare il campo a un
ibrido superdotato capace di inglobare in sé contemporaneamente le
abilità di un informatico, di un reporter d’assalto, di un
editorialista, di un investigatore e di un archivista. Ciò che
conta è il contenuto, la qualità (rigorosamente alta e impeccabile)
dell’informazione.
21.3. Il tecnoarchitetto.
Capace di assecondare
le esigenze, i gusti, le piccole-grandi manie di una generazione in
movimento perpetuo: così si profila il nuovo artista dell’abitare.
A lui il compito di ricreare, reinventare gli spazi del vivere e
lavorare quotidiano in base ai nuovi schemi della mobilità e della
intercambiabilità degli ambienti. Mobili e stanze saranno rotanti,
polifunzionali. Pareti e infissi nasconderanno fasci di fibre
ottiche e terminazioni elettroniche. Più che “intelligente” la casa
sarà “geniale”: avrà pareti a cristalli liquidi in grado di
animarsi al tocco (allora, a seconda della situazione e del gusto,
potrà comparire un tramonto sul Pacifico, un’alba tra i ghiaccia
artici, un’aurora boreale), schermi giganti a scomparsa (per la Tv
on demand o il cinema in versione integrale), illuminazioni
sensibili ai comandi vocali. La casa-modello di Gates non sarà più
solo il sogno realizzato di un cyber-miliardario. Si parlerà di
dimore mutanti, malleabili a seconda degli inquilini che di volta
in volta le abiteranno. Per il tecnoarchitetto in versione nomade
il mondo dell’abitare è ancora tutto da inventare. Per non parlare
delle aree lavorative, che già oggi stanno subendo una radicale
trasformazione. Gli impieghi temporanei, il lavoro mobile o di
squadra spingono a riorganizzare gli spazi e reinventare gli
ambienti. Il prototipo di questa impostazione è quello che è stato
definito il modello del cave and commons,
tana e spazi comuni. Nelle grandi e piccole aziende l’esigenza
fondamentale è ormai quella di stabilire un equilibrio tra lavoro
individuale e lavoro di squadra, tra privacy e aggregazione. Le
postazioni/scrivanie (ognuna equipaggiata con computer, schedario,
telefono, modem-fax) debbono diventare elementi flessibili e su
ruote, capaci di adattarsi alle diverse situazioni e di creare
configurazioni polifunzionali, dall’open space alla sala riunioni.
Già oggi la Steelcase Incorporation vende per 7OOO dollari un
bozzolo cilindrico superattrezzato che può aprirsi o chiudersi
completamente. I vari bozzoli sono raggruppati intorno a un grande
tavolo costruito come un puzzle scomponibile in diversi pezzi.
Quando le postazioni individuali sono aperte gli impiegati possono
comunicare gli uni con gli altri in uno spazio comune, partecipare
a un meeting o seguire un seminario.
21.4. Il neoetnologo.
In un mondo
sottoposto a una mutazione epocale verranno a crearsi nuove tribù,
non fondate su legami di parentela o di territorio, ma su una
condivisione di intenti, di interessi, di stili di vita. Fioriranno
culture legate a nuove percezioni del reale e del virtuale, del
possibile e dell’immaginario. Scompariranno popoli, ne nasceranno
di nuovi. Esseri mutanti, semi-robot, androidi, cyborg umanizzati
entreranno a far parte del convivio umano. Una schiera di
specialisti avrà il compito di riscrivere la mappa dell’umanità
sulla base di questo mutato panorama etnico-sociale.
21.5. Il digiterapeuta.
Come prevedibile, lo
strizzacervelli non scomparirà dalla scena; è la scena che, al
contrario, cambia radicalmente. Freud e il
complesso di Edipo vengono spazzati via da un fascio di bit. D’ora
in poi sono i fenomeni della pluridentità, della metamorfosi, del
cambiamento perenne, della velocità di reazione delle macchine
(rispetto alla lentezza di assorbimento informativo dell’uomo) il
terreno su cui debbono intervenire gli psicologi. Le cause
degli scompensi psico-emotivi hanno matrici senza precedenti nella
storia. Il campo d’azione è vastissimo e inquietante. Operando su più livelli, non ultimo quello digitale, al
terapeuta (lui/lei) è demandato il recupero persino di chi si è
“perduto” nelle maglie della Rete, dimentico della sua vera
identità, la mente abbandonata al flusso incessante dei
dati. Ma questo è un caso estremo. Saranno invece di
routine, purtroppo, le crisi da burnout,
cioè da collasso del sistema nervoso. L’uomo contemporaneo si trova
a doversi “interfacciare” con computer che operano sull’unità di
tempo del nanosecondo (in uno schioccare di dita trascorrono più di
cinquecento milioni di nanosecondi). Di fronte alla velocità di
reazione delle macchine e ai loro ritmi operativi, l’uomo – per
rimanere nella metafora informatica – subisce un “sovraccarico”
mentale, un eccessivo accumulo di dati/informazioni, e va in tilt.
Siamo alla frenesia da prestazione, allo stress causato
dall’iperefficienza in versione high-tech.
21.6. L’investigatore olistico.
È la moderna versione
dello sciamano tribale, del veggente, del sensitivo. È l’uomo/donna
allenato a entrare in stati alterati di coscienza (sogni lucidi,
trance, viaggi astrali, autoipnosi, stati allucinogeni) capaci di
trasportarlo in dimensioni parallele rispetto a quella normalmente
percepita dagli umani. Lui/lei esplora altri mondi, investiga altre
realtà, riporta le sue esperienze alla comunità scientifica: è il
ponte tra questo e altri livelli energetici, altre consapevolezze.
Vive una vita al confine tra reale e possibile; insegna ai non
iniziati (volenterosi) a provocare in se stessi fenomeni estatici
con i quali superare l’“illusione” del mondo come lo conosciamo per
scoprire altre, insospettate, forme di percezione. Pochi in realtà
hanno la forza interiore e l’equilibrio psicologico necessari per
avventurarsi in questi regni misteriosi e superare le difficoltà e
le crisi d’identità che spesso ne conseguono. I fili di una nuova
spiritualità e di una consapevolezza passano anche attraverso
questo spaesamento psico-esistenziale. Agli specialisti il compito
di spianare la strada.
21.7. Il precettore a domicilio.
In un mondo in cui
l’apprendimento diventa permanente la figura dell’educatore assume
un ruolo chiave. Rispolverato dal passato e rivisitato in chiave
high-tech, torna alla ribalta il precettore. Nell’organizzazione
destrutturata delle enclave, le istituzioni scolastiche, così come
sono state finora concepite, non hanno più alcuna ragione di
esistere. Non foss’altro per la funzione coercitiva che hanno
sempre svolto: «Lo si vede al primo sguardo che, come i manicomi e
gli istituti di rieducazione, gli edifici delle scuole pubbliche
sono stati costruiti per custodire uomini e imporre loro una
disciplina. Quei locali da tecnocrati, fusi in cemento armato, sono
assolutamente inadatti per lo studio» (Hans Magnus Enzensberger).
L’apprendimento deve essere vissuto come un piacere, un gioco,
un’avventura entusiasmante. Non certo come una rigida imposizione,
capace di soffocare sul nascere qualsiasi inclinazione allo studio,
qualsiasi innata abilità creativa (per la musica, il disegno, le
arti applicate, l’elaborazione matematica). Studiare invece fra
confortevoli mura domestiche e non in un territorio alieno e
inospitale accresce già di per sé la voglia di applicarsi. Per
permettere all’allievo di socializzare con altri coetanei, si
prevede la formazione di gruppi di studio da cinque a sette
elementi: l’ideale, secondo gli esperti, per creare un “gruppo
suscettibile di interazioni”. A questo punto entra in gioco il
precettore (uomo/donna) a domicilio, che riunirà di volta in volta
il suo gruppo di studio in casa di questo o di quell’allievo (ogni
abitazione deve quindi prevedere un angolo o una stanza per lo
studio collettivo, per quanto informale). Nella fase iniziale
dell’apprendimento, diciamo nella fascia di età dai 6 ai 10 anni,
potranno esserci uno o due precettori di riferimento. A loro è
destinato il compito di iniziare l’allievo alle varie discipline
scientifiche e umanistiche ma anche di insegnargli a interagire con
la complessa realtà del XXI secolo. Rientrano in un programma di
studio ipotetico e assolutamente personalizzato lezioni su come
utilizzare un computer, come imparare ad apprezzare la natura
(vivendola), come orientarsi in un centro cittadino o in una
simulazione in realtà virtuale. Non mancano nemmeno gli stimoli, le
briciole di saggezza che potrebbe elargire un maestro spirituale; è
importante che gli allievi arricchiscano la propria attività
interiore, che imparino a percepire la continua osmosi tra interno
ed esterno, a coltivare il proprio io senza dimenticare l’“altro”.
«Non si apprende per accumulare tesori di sapienza ma per mettere
ciò che si è imparato al servizio del mondo» (Rudolf Steiner). Per
quanto riguarda l’abilità e la professionalità dell’insegnante, il
controllo è demandato soprattutto alle famiglie piuttosto che a
un’anonima istituzione burocratica. «In un piccolo gruppo di
scolari e di genitori si fa presto a passare parola che un
insegnante è svogliato, incapace o terroristico più di quanto si
possa sopportare. Un pedagogo del genere perderà ben presto i suoi
clienti» (H.M. Enzensberger).
Nell’istruzione
superiore i precettori saranno molteplici (a seconda delle
discipline) e a quel punto potranno presentarsi diverse soluzioni:
i gruppi di studio possono ritrovarsi in casa di un allievo,
nell’abitazione-studio di un precettore oppure in un gabinetto di
chimica, in biblioteca, in un laboratorio di fisica, in palestra.
Naturalmente in tutte le fasi di apprendimento, dalla più tenera
età fino all’istruzione universitaria, gli studenti abbinerano le
lezioni semi-individuali coi precettori a quelle in realtà virtuale
sul computer. Con questo sistema educativo anche di fronte a un
improvviso spostamento i figli dei nomadi globali riescono a
mantenere inalterato il ritmo di studio: le lezioni via Internet
possono essere seguite da qualsiasi angolo del pianeta, mentre
l’inserimento in un nuovo gruppo di studio è facilitato dal numero
limitato degli allievi. Uno dei requisiti di un tale sistema
educativo è che le lezioni, reali e virtuali, si possano svolgere
in una lingua franca (inizialmente sarà l’inglese), comprensibile
da tutti e in qualsiasi parte del mondo; a questo impianto di base
possono comunque venir accostate lezioni nella lingua locale o in
quella di riferimento del gruppo di studio.
In sintesi, se nella
società industriale andavamo a scuola, nella società
dell’informazione è la scuola che viene da noi: fisicamente e
virtualmente. La teledidattica, l’insegnamento a distanza via
Internet o su linee dirette di collegamento audio-video è già una
realtà in molti Paesi occidentali (3). Eil Noam, direttore
dell’Istituto per le teleinformazioni della Columbia University,
sostiene che nel giro di pochi anni «una fetta considerevole
dell’istruzione di massa convenzionale verrà offerta a livello
elettronico. Ciò significa anche che gli atenei abbattono le loro
torri d’avorio per aprirsi all’istruzione su grande scala; la
laurea universitaria non sarà più appannaggio di pochi.
L’istruzione permanente e la riqualificazione professionale non
sono solo belle parole».
21.8. L’agronomo galattico.
La crescita
demografica è un dato di fatto, a cui non consegue però un
corrispondente aumento delle risorse del pianeta. Se nel 2025
dovremo sfamare il doppio della popolazione attuale saremo in grado
di farlo solo sfruttando in maniera intelligente (e senza inutili
sprechi) quello che abbiamo. L’agronomo, il nutrizionista, il
fitobiologo, il chimico diventano quindi figure chiave del XXI
secolo. Per creare degli ecosistemi (vedi enclave) autosufficienti
anche dal punto di vista nutritivo non c’è niente di meglio che
sfruttare, in versione terrestre, gli studi sui sistemi di
autosostentamento che gli agronomi stanno realizzando per i viaggi
nello spazio. I sistemi biologici creati per le navicelle spaziali,
per ora su base sperimentale, sono in grado di produrre cibo e
ossigeno in un ciclo chiuso di produzione, consumo e riciclo delle
risorse a disposizione. Per ora si sta lavorando sulle colture
alimentari che sono alla base della nostra dieta: pomodori, patate,
soia, frumento, cipolle, fragole. Nel frattempo però si cercano
anche nuove sostanze ad alto contenuto calorico. È il caso di
un’alga commestibile verde-blu chiamata spirulina, che cresce
facilmente in serbatoi d’acqua e non occupa molto spazio;
logicamente deve essere trattata per risultare gradevole al palato.
Il nutrizionista T.C. Lee fa parte del gruppo di studio dei sistemi
nutritivi biogenerativi che la Nasa finanzia presso la Rutgers
University del New Jersey e ha in mente un progetto ambizioso.
Vuole cioè mettere a punto macchianari che dalla materia prima
sfornino direttamente un prodotto alimentare finito. Attualmente,
per esempio, sta studiando una macchina in cui introdurre germogli
di soia per vedere uscire olio, farina e formaggio di soia, e
persino proteine strutturate che potrebbero essere utilizzate come
sostituto della carne.
L’agronomo galattico
si troverà a operare in stretta collaborazione con un’altra figura
di spicco del nostro futuro paesaggio alimentare, il biotecnologo.
Già in questa fine di secolo si sono potuti rilevare – non senza un
qualche atavico timore nei confronti di tutto ciò che sfiora la
sfera dell’artificiale – i risultati ottenuti dall’ingegneria
genetica applicata alla produzione agroalimentare. Manipolando i
codici genetici gli esperti sono per esempio riusciti a ottenere
piante in grado di sopportare condizioni climatiche estreme di
caldo, freddo o secco. Diverse aziende di biotecnologia
statunitensi sono riuscite a produrre con colture cellulari di
laboratorio vaniglia, thaumatina (la sostanza a più elevato potere
dolcificante scoperta in natura; è 100.000 volte più dolce dello
zucchero) cotone e rari aromi naturali.
21.9. L’analista simbolico.
Il termine è ormai
entrato nell’uso comune. Rientrano nella categoria degli analisti
simbolici tutti quei professionisti che risolvono i problemi
riducendo la realtà a delle immagini astratte, dei simboli per
l’appunto. Stiamo parlando di ricercatori, consulenti aziendali,
ingegneri, informatici, avvocati, esperti della comunicazione o
dell’alta finanza. Personaggi che manipolano la realtà
riarrangiandola sotto forma di algoritmi matematici, argomenti
legali, astuzie finanziarie, teorie scientifiche, rappresentazioni
orali o virtuali.
21.10. Il potenziatore dei sensi.
Il corpo è
irriducibile: questo è un dato di fatto. Non lo si può nascondere
ma si può ridurne l’utilizzo. E questo sarebbe male. È dal corpo
che arrivano alla mente gli stimoli più fertili, gli input capaci
di nutrire l’immaginazione e i processi creativi. La vita non potrà
mai ridursi a relazioni interpersonali scambiate in un algido mondo
virtuale. E se mai ciò dovesse accadere, si potrà sempre chiedere
aiuto al potenziatore dei sensi. Entrare nel suo parco ludico è
riscoprire piaceri antichi e sofisticatissimi, elevati in questo
caso all’ennesima potenza. Chiunque voglia risvegliare o educare la
vista, l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto sa che deve
rivolgersi a questo mago della natura e della chimica. Un esempio?
Prendiamo l’olfatto. Per entrare nel giardino degli odori bisogna
farsi bendare e lasciarsi guidare semplicemente dal fiuto, come
segugi delle proprie sensazioni. Lentamente, dall’oscurità
emergeranno impalpabili realtà: l’odore del sottobosco dopo la
pioggia, la fragranza del pane appena sfornato, l’afrore di due
corpi in una notte d’amore; essenze di patchouli, legno di sandalo
e giacinto si mescoleranno ai profumi di un roseto, di un lenzuolo
lasciato a contatto con un mazzetto di lavanda, dell’incenso
bruciato in un tempio millenario; si respirerà il fieno tagliato di
fresco, la brezza salmastra di un oceano ma anche il puzzo di cane
bagnato, le emanazioni pestilenziali di un corpo malato, della
carne in via di decomposizione. È la realtà a 360 gradi: piacere e
dolore, ricordi e sensazioni si mescolano e costruiscono un
cocktail sensoriale di grande effetto. Non c’è artista (dal
compositore di suoni sintetici al creatore di ologrammi) che, prima
o poi, non si affidi al potenziatore dei sensi. Fino a non molto
tempo fa in alcune regioni del Medio Oriente (Yemen in testa) si
stringevano matrimoni fra giovani che a malapena erano riusciti a
incrociare i loro sguardi. Negli incontri durante il periodo di
fidanzamento la futura sposa si presentava quasi sempre col volto
velato. Unica nota distintiva: il suo profumo, un mix di essenze
creato da lei stessa. La prima notte di nozze era usanza che lo
sposo, bendato, scoprisse a poco a poco il corpo dell’amata
seguendo le tracce di quel particolarissimo profumo, abilmente
applicato in alcuni punti segreti. È con lo stesso misto di
curiosità e aspettativa che ci si avvicina al giardino dei sensi
del potenziatore, ricavandone un’eccitazione poetico-emozionale non
minore di quella che avrebbe potuto sperimentare un giovane marito
dello Yemen.
21.11. Il biourbanista.
Un esperto della
costruzione che dovrà imparare a lavorare sul nulla. Dal punto di
vista urbanistico una fase si è conclusa, un’altra completamente
inedita se ne deve aprire. Ora non si tratta più di ristrutturare
piccoli centri medievali o regalare una nuova facciata a metropoli
sulla china della decadenza; c’è bisogno di costruire ex novo
città-modello (di ridotte dimensioni) che riescano a funzionare
come ecosistemi autosostenibili a emissione zero: il che significa
in grado di produrre energia pulita (solare, eolica, oppure
ricavata dal moto ondoso) e di riciclare scorie e rifiuti organici.
Forse, rinunciando alle opere ciclopiche (dalle dighe ai
grattacieli) per controllare le energie sottili delle natura
l’oasi-Terra potrebbe tornare a risplendere.
Il rispetto per
l’ambiente circostante si rispecchierà anche nei moduli
architettonici. Unità abitative e luoghi pubblici assumeranno
qualità metamorfiche; saranno talmente in sintonia con il paesaggio
(grazie al loro carattere non invasivo e all’utilizzo sapiente di
materiali locali) da divenire tutt’uno con il paesaggio. Al massimo
di naturalezza costruttiva corrisponderà, paradossalmente, il
massimo di sofisticazione tecnologica. E qui il biourbanista potrà
mettere a frutto tutta la sua sapiente creatività. Muraglie di
verde cangiante potranno celare schermi a cristalli liquidi per
spettacoli di piazza; aiuole di orchidee e di esotiche
infiorescenze saranno munite di segreti accessi alla Rete. I punti
di collegamento al sistema nervoso globale dovranno essere
disponibili ovunque, come lo sono oggi le cabine telefoniche, i
Bancomat e le panetterie. Lo sforzo culturale richiesto a questa
figura di professionista è quello di conciliare l’essenza naturale
dell’uomo con il livello di manipolazione tecnica del XXI
secolo.
21.12. Il creatore di tempo libero.
Non ha nulla a che
vedere col prototipo dell’animatore di villaggio turistico; non
opera in una scuola per pittori dilettanti nè tantomeno in una
palestra di body building. Il creatore di tempo libero è,
professionalmente, qualcosa di molto più sofisticato: uno
psicologo/educatore in versione ludica. È colui che fa del gioco e
dei momenti di relax un mezzo di apprendimento alternativo. Se il
trend prevede una diminuzione del tempo lavorato a favore del
cosidetto tempo libero ciò comporta la nascita di esperti che
inventino nuovi modi di vivere quest’ultimo, creando un cocktail di
proposte stimolanti tanto per il corpo quanto per l’intelletto. Può
sembrare strano ma c’è un sacco di gente che non sa come
trascorrere le ore teoricamente dedicate allo svago: non c’è niente
di male nell’annoiarsi ma deve essere una scelta
consapevole.
Giocando e
divertendosi si può per esempio apprendere a suonare uno strumento
musicale così come imparare a relazionarsi con gli altri in
situazioni estreme (nel chiuso di una navicella spaziale o di una
capsula per la ricerca scientifica negli abissi oceanici); gli
scacchi possono servire per sviluppare un pensiero matematico; il
bricolage può coinvolgere un gruppo di falegnami “fai da te” nella
costruzione di una sauna d’uso comune. Le vie del gioco sono
infinite: chi un tempo fu bambino dovrebbe saperlo. E riscoprirlo.
L’abilità del creatore di tempo libero consiste nel coinvolgere le
persone nelle attività a loro più congeniali inventando al contempo
“giochi per adulti” sempre più innovativi, dove i processi di
apprendimento psico/fisico e la componente ludica siano
perfettamente equilibrati.
21.13. Il peace-keeper.
È l’uomo con una
vocazione: mantenere la pace fra gli uomini. Non è un mediatore, un
diplomatico di stampo classico e nemmeno un missionario a caccia di
proseliti; la sua figura professionale non è diretta emanazione
delle gerarchie ecclesiastiche e delle burocrazie statali. Il
peace-keeper è un battitore libero, un uomo che nella vita ha
deciso di coltivare al massimo grado l’arte delle relazioni umane.
Lo si potrebbe definire la versione pacifista del soldato
mercenario. Lo si ritrova al lavoro ovunque insorga un conflitto,
locale o internazionale, tra le gang metropolitane in lotta per il
controllo di un territorio, nel bel mezzo dei grandi sommovimenti
sociali, così come tra le opposte fazioni in una guerra di
religione. Il suo metodo di lavoro parte dall’assunto che per
risolvere un conflitto bisogna ricercare fra le due parti in causa
il terreno dei bisogni comuni smorzando le cause di attrito. Lui
stesso si propone come un “facilitatore”, un professionista del
dialogo che, in un sottile gioco di domande e di coinvolgimenti
incrociati, permette alle controparti di scoprire le loro
rispettive umanità, il rapporto simbiotico che loro malgrado li
unisce. È colui/colei che aiuta gli altri uomini a superare la
rigidità dei processi di identificazione legati al sesso, alla
razza, alla classe, all’etnia, alla religione, all’ideologia: il
primo passo verso qualsiasi progetto di vita comune su grande
scala.