21. La fantasia al lavoro: nuove professioni
 
 
 
 
È indubbio che i cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie digitali, dall’avvento del virtuale e del multimedia trasformeranno in modo radicale l’odierno scenario socio-politico e, di conseguenza, lavorativo. Facendo un parallelo che riporta al Medioevo, il sociologo francese Leo Scheer prevede lo sviluppo, su scala planetaria, di tre nuove caste di cittadini: gli operatori informatici (i servi della gleba), i professionisti della comunicazione (i sacerdoti), gli operatori della comunicazione (i guerrieri). L’analisi è suggestiva ma interpreta il futuro secondo vecchi schemi, che si vorrebbero superati. Quella che inizialmente (perché ancora impostata su modelli classici) si delineerà come nuova élite nomade del Terzo millennio (sostanzialmente fondata, secondo Scheer, dai guerrieri e dai sacerdoti), dovrà progressivamente allargare le sue fila e divenire lo zoccolo duro della comunità creativa e cooperativa del futuro su basi planetarie. Sempre che il futuro si sviluppi secondo queste felici prospettive di condivisione dei Saperi e, prima ancora, dei Poteri. Partendo dalle tendenze che già oggi si stanno delineando – nei campi tecnologico, scientifico, educativo, sociale, artistico – ho lasciato vagare la fantasia oltre le porte del Duemila. E, un po’ per scherzo, un po’ sul serio, ho strappato al futuro il profilo di 13 professionisti a venire.
 
 
21.1. Il nanotecnologo.
 
Il futuro poggia su applicazioni infinitamente piccole, o infinitamente leggere. Portatili per eccellenza, robot in miniatura e apparecchiature non più grosse di un’unghia saranno i veri beni del nomade globale. A inventarli ci pensa il nanotecnologo, una sorta di Archimede pitagorico, capace di applicare i più sofisticati ritrovati della scienza e della tecnica per creare minuscole macchine d’uso quotidiano. Alcune, le più minute, possono essere inserite sottoforma di microchip nel corpo umano, per sanare malattie congenite o per accrescere il potere di certi organi. L’uomo e la donna bionici escono dalla fantascienza per entrare nella vita reale; sono equipaggiati con microstrumentazioni che consentono loro di avere un udito o una vista eccezionali, oppure presentano innesti cerebrali con cui collegarsi alla Rete delle reti. Chi ha un cuore artificiale o una protesi inserita nel proprio organismo (una mano d’acciaio, una rotula in lega leggera) sa che si può convivere benissimo con corpi estranei ad alta tecnologia.
Fra coloro che hanno già imboccato la via della miniaturizzazione high-tech c’è Texas Instruments, che ha messo a punto una sofisticatissima tecnologia, Timeline O,18 u, capace di concentrare 126 milioni di transistor in uno stesso circuito. Grazie a Timeline, dunque, si possono già costruire circuiti per calcolatori non più grandi di un’unghia ma dotati di una potenza di calcolo equivalente a quella di venti Pc attuali. Non meno sorprendenti sono i risultati ottenuti nei laboratori americani Lawrence Livermore, un tempo dedicati allo sviluppo di armi intelligenti e ora in via di riconversione civile. È stata sviluppata qui una nuova tecnica di incisione sui microchip che permetterà di realizzare dei processori dieci volte più veloci e mille volte più capaci quanto a memoria. Per scrivere i circuiti sul silicio viene sfruttata la Euv, la luce ultravioletta estrema.
 
 
21.2. L’investigatore di contenuti.
 
Nel mare magnum dell’informazione digitale ormai estesa su scala planetaria uno dei ruoli chiave del terzo millennio sarà quella figura di professionista in grado di distillare dalla massa dei dati il succo nutritivo dell’informazione: allo stato puro o arricchito di utili e richiestissimi elementi di analisi e di approfondimento. Il giornalista vecchio stampo scompare per lasciare il campo a un ibrido superdotato capace di inglobare in sé contemporaneamente le abilità di un informatico, di un reporter d’assalto, di un editorialista, di un investigatore e di un archivista. Ciò che conta è il contenuto, la qualità (rigorosamente alta e impeccabile) dell’informazione.
 
 
21.3. Il tecnoarchitetto.
 
Capace di assecondare le esigenze, i gusti, le piccole-grandi manie di una generazione in movimento perpetuo: così si profila il nuovo artista dell’abitare. A lui il compito di ricreare, reinventare gli spazi del vivere e lavorare quotidiano in base ai nuovi schemi della mobilità e della intercambiabilità degli ambienti. Mobili e stanze saranno rotanti, polifunzionali. Pareti e infissi nasconderanno fasci di fibre ottiche e terminazioni elettroniche. Più che “intelligente” la casa sarà “geniale”: avrà pareti a cristalli liquidi in grado di animarsi al tocco (allora, a seconda della situazione e del gusto, potrà comparire un tramonto sul Pacifico, un’alba tra i ghiaccia artici, un’aurora boreale), schermi giganti a scomparsa (per la Tv on demand o il cinema in versione integrale), illuminazioni sensibili ai comandi vocali. La casa-modello di Gates non sarà più solo il sogno realizzato di un cyber-miliardario. Si parlerà di dimore mutanti, malleabili a seconda degli inquilini che di volta in volta le abiteranno. Per il tecnoarchitetto in versione nomade il mondo dell’abitare è ancora tutto da inventare. Per non parlare delle aree lavorative, che già oggi stanno subendo una radicale trasformazione. Gli impieghi temporanei, il lavoro mobile o di squadra spingono a riorganizzare gli spazi e reinventare gli ambienti. Il prototipo di questa impostazione è quello che è stato definito il modello del cave and commons, tana e spazi comuni. Nelle grandi e piccole aziende l’esigenza fondamentale è ormai quella di stabilire un equilibrio tra lavoro individuale e lavoro di squadra, tra privacy e aggregazione. Le postazioni/scrivanie (ognuna equipaggiata con computer, schedario, telefono, modem-fax) debbono diventare elementi flessibili e su ruote, capaci di adattarsi alle diverse situazioni e di creare configurazioni polifunzionali, dall’open space alla sala riunioni. Già oggi la Steelcase Incorporation vende per 7OOO dollari un bozzolo cilindrico superattrezzato che può aprirsi o chiudersi completamente. I vari bozzoli sono raggruppati intorno a un grande tavolo costruito come un puzzle scomponibile in diversi pezzi. Quando le postazioni individuali sono aperte gli impiegati possono comunicare gli uni con gli altri in uno spazio comune, partecipare a un meeting o seguire un seminario.
 
 
21.4. Il neoetnologo.
 
In un mondo sottoposto a una mutazione epocale verranno a crearsi nuove tribù, non fondate su legami di parentela o di territorio, ma su una condivisione di intenti, di interessi, di stili di vita. Fioriranno culture legate a nuove percezioni del reale e del virtuale, del possibile e dell’immaginario. Scompariranno popoli, ne nasceranno di nuovi. Esseri mutanti, semi-robot, androidi, cyborg umanizzati entreranno a far parte del convivio umano. Una schiera di specialisti avrà il compito di riscrivere la mappa dell’umanità sulla base di questo mutato panorama etnico-sociale.
 
 
21.5. Il digiterapeuta.
 
Come prevedibile, lo strizzacervelli non scomparirà dalla scena; è la scena che, al contrario, cambia radicalmente. Freud e il complesso di Edipo vengono spazzati via da un fascio di bit. D’ora in poi sono i fenomeni della pluridentità, della metamorfosi, del cambiamento perenne, della velocità di reazione delle macchine (rispetto alla lentezza di assorbimento informativo dell’uomo) il terreno su cui debbono intervenire gli psicologi. Le cause degli scompensi psico-emotivi hanno matrici senza precedenti nella storia. Il campo d’azione è vastissimo e inquietante. Operando su più livelli, non ultimo quello digitale, al terapeuta (lui/lei) è demandato il recupero persino di chi si è “perduto” nelle maglie della Rete, dimentico della sua vera identità, la mente abbandonata al flusso incessante dei dati. Ma questo è un caso estremo. Saranno invece di routine, purtroppo, le crisi da burnout, cioè da collasso del sistema nervoso. L’uomo contemporaneo si trova a doversi “interfacciare” con computer che operano sull’unità di tempo del nanosecondo (in uno schioccare di dita trascorrono più di cinquecento milioni di nanosecondi). Di fronte alla velocità di reazione delle macchine e ai loro ritmi operativi, l’uomo – per rimanere nella metafora informatica – subisce un “sovraccarico” mentale, un eccessivo accumulo di dati/informazioni, e va in tilt. Siamo alla frenesia da prestazione, allo stress causato dall’iperefficienza in versione high-tech.
 
 
21.6. L’investigatore olistico.
 
È la moderna versione dello sciamano tribale, del veggente, del sensitivo. È l’uomo/donna allenato a entrare in stati alterati di coscienza (sogni lucidi, trance, viaggi astrali, autoipnosi, stati allucinogeni) capaci di trasportarlo in dimensioni parallele rispetto a quella normalmente percepita dagli umani. Lui/lei esplora altri mondi, investiga altre realtà, riporta le sue esperienze alla comunità scientifica: è il ponte tra questo e altri livelli energetici, altre consapevolezze. Vive una vita al confine tra reale e possibile; insegna ai non iniziati (volenterosi) a provocare in se stessi fenomeni estatici con i quali superare l’“illusione” del mondo come lo conosciamo per scoprire altre, insospettate, forme di percezione. Pochi in realtà hanno la forza interiore e l’equilibrio psicologico necessari per avventurarsi in questi regni misteriosi e superare le difficoltà e le crisi d’identità che spesso ne conseguono. I fili di una nuova spiritualità e di una consapevolezza passano anche attraverso questo spaesamento psico-esistenziale. Agli specialisti il compito di spianare la strada.
 
 
21.7. Il precettore a domicilio.
 
In un mondo in cui l’apprendimento diventa permanente la figura dell’educatore assume un ruolo chiave. Rispolverato dal passato e rivisitato in chiave high-tech, torna alla ribalta il precettore. Nell’organizzazione destrutturata delle enclave, le istituzioni scolastiche, così come sono state finora concepite, non hanno più alcuna ragione di esistere. Non foss’altro per la funzione coercitiva che hanno sempre svolto: «Lo si vede al primo sguardo che, come i manicomi e gli istituti di rieducazione, gli edifici delle scuole pubbliche sono stati costruiti per custodire uomini e imporre loro una disciplina. Quei locali da tecnocrati, fusi in cemento armato, sono assolutamente inadatti per lo studio» (Hans Magnus Enzensberger). L’apprendimento deve essere vissuto come un piacere, un gioco, un’avventura entusiasmante. Non certo come una rigida imposizione, capace di soffocare sul nascere qualsiasi inclinazione allo studio, qualsiasi innata abilità creativa (per la musica, il disegno, le arti applicate, l’elaborazione matematica). Studiare invece fra confortevoli mura domestiche e non in un territorio alieno e inospitale accresce già di per sé la voglia di applicarsi. Per permettere all’allievo di socializzare con altri coetanei, si prevede la formazione di gruppi di studio da cinque a sette elementi: l’ideale, secondo gli esperti, per creare un “gruppo suscettibile di interazioni”. A questo punto entra in gioco il precettore (uomo/donna) a domicilio, che riunirà di volta in volta il suo gruppo di studio in casa di questo o di quell’allievo (ogni abitazione deve quindi prevedere un angolo o una stanza per lo studio collettivo, per quanto informale). Nella fase iniziale dell’apprendimento, diciamo nella fascia di età dai 6 ai 10 anni, potranno esserci uno o due precettori di riferimento. A loro è destinato il compito di iniziare l’allievo alle varie discipline scientifiche e umanistiche ma anche di insegnargli a interagire con la complessa realtà del XXI secolo. Rientrano in un programma di studio ipotetico e assolutamente personalizzato lezioni su come utilizzare un computer, come imparare ad apprezzare la natura (vivendola), come orientarsi in un centro cittadino o in una simulazione in realtà virtuale. Non mancano nemmeno gli stimoli, le briciole di saggezza che potrebbe elargire un maestro spirituale; è importante che gli allievi arricchiscano la propria attività interiore, che imparino a percepire la continua osmosi tra interno ed esterno, a coltivare il proprio io senza dimenticare l’“altro”. «Non si apprende per accumulare tesori di sapienza ma per mettere ciò che si è imparato al servizio del mondo» (Rudolf Steiner). Per quanto riguarda l’abilità e la professionalità dell’insegnante, il controllo è demandato soprattutto alle famiglie piuttosto che a un’anonima istituzione burocratica. «In un piccolo gruppo di scolari e di genitori si fa presto a passare parola che un insegnante è svogliato, incapace o terroristico più di quanto si possa sopportare. Un pedagogo del genere perderà ben presto i suoi clienti» (H.M. Enzensberger).
Nell’istruzione superiore i precettori saranno molteplici (a seconda delle discipline) e a quel punto potranno presentarsi diverse soluzioni: i gruppi di studio possono ritrovarsi in casa di un allievo, nell’abitazione-studio di un precettore oppure in un gabinetto di chimica, in biblioteca, in un laboratorio di fisica, in palestra. Naturalmente in tutte le fasi di apprendimento, dalla più tenera età fino all’istruzione universitaria, gli studenti abbinerano le lezioni semi-individuali coi precettori a quelle in realtà virtuale sul computer. Con questo sistema educativo anche di fronte a un improvviso spostamento i figli dei nomadi globali riescono a mantenere inalterato il ritmo di studio: le lezioni via Internet possono essere seguite da qualsiasi angolo del pianeta, mentre l’inserimento in un nuovo gruppo di studio è facilitato dal numero limitato degli allievi. Uno dei requisiti di un tale sistema educativo è che le lezioni, reali e virtuali, si possano svolgere in una lingua franca (inizialmente sarà l’inglese), comprensibile da tutti e in qualsiasi parte del mondo; a questo impianto di base possono comunque venir accostate lezioni nella lingua locale o in quella di riferimento del gruppo di studio.
In sintesi, se nella società industriale andavamo a scuola, nella società dell’informazione è la scuola che viene da noi: fisicamente e virtualmente. La teledidattica, l’insegnamento a distanza via Internet o su linee dirette di collegamento audio-video è già una realtà in molti Paesi occidentali (3). Eil Noam, direttore dell’Istituto per le teleinformazioni della Columbia University, sostiene che nel giro di pochi anni «una fetta considerevole dell’istruzione di massa convenzionale verrà offerta a livello elettronico. Ciò significa anche che gli atenei abbattono le loro torri d’avorio per aprirsi all’istruzione su grande scala; la laurea universitaria non sarà più appannaggio di pochi. L’istruzione permanente e la riqualificazione professionale non sono solo belle parole».
 
 
21.8. L’agronomo galattico.
 
La crescita demografica è un dato di fatto, a cui non consegue però un corrispondente aumento delle risorse del pianeta. Se nel 2025 dovremo sfamare il doppio della popolazione attuale saremo in grado di farlo solo sfruttando in maniera intelligente (e senza inutili sprechi) quello che abbiamo. L’agronomo, il nutrizionista, il fitobiologo, il chimico diventano quindi figure chiave del XXI secolo. Per creare degli ecosistemi (vedi enclave) autosufficienti anche dal punto di vista nutritivo non c’è niente di meglio che sfruttare, in versione terrestre, gli studi sui sistemi di autosostentamento che gli agronomi stanno realizzando per i viaggi nello spazio. I sistemi biologici creati per le navicelle spaziali, per ora su base sperimentale, sono in grado di produrre cibo e ossigeno in un ciclo chiuso di produzione, consumo e riciclo delle risorse a disposizione. Per ora si sta lavorando sulle colture alimentari che sono alla base della nostra dieta: pomodori, patate, soia, frumento, cipolle, fragole. Nel frattempo però si cercano anche nuove sostanze ad alto contenuto calorico. È il caso di un’alga commestibile verde-blu chiamata spirulina, che cresce facilmente in serbatoi d’acqua e non occupa molto spazio; logicamente deve essere trattata per risultare gradevole al palato. Il nutrizionista T.C. Lee fa parte del gruppo di studio dei sistemi nutritivi biogenerativi che la Nasa finanzia presso la Rutgers University del New Jersey e ha in mente un progetto ambizioso. Vuole cioè mettere a punto macchianari che dalla materia prima sfornino direttamente un prodotto alimentare finito. Attualmente, per esempio, sta studiando una macchina in cui introdurre germogli di soia per vedere uscire olio, farina e formaggio di soia, e persino proteine strutturate che potrebbero essere utilizzate come sostituto della carne.
L’agronomo galattico si troverà a operare in stretta collaborazione con un’altra figura di spicco del nostro futuro paesaggio alimentare, il biotecnologo. Già in questa fine di secolo si sono potuti rilevare – non senza un qualche atavico timore nei confronti di tutto ciò che sfiora la sfera dell’artificiale – i risultati ottenuti dall’ingegneria genetica applicata alla produzione agroalimentare. Manipolando i codici genetici gli esperti sono per esempio riusciti a ottenere piante in grado di sopportare condizioni climatiche estreme di caldo, freddo o secco. Diverse aziende di biotecnologia statunitensi sono riuscite a produrre con colture cellulari di laboratorio vaniglia, thaumatina (la sostanza a più elevato potere dolcificante scoperta in natura; è 100.000 volte più dolce dello zucchero) cotone e rari aromi naturali.
 
 
21.9. L’analista simbolico.
 
Il termine è ormai entrato nell’uso comune. Rientrano nella categoria degli analisti simbolici tutti quei professionisti che risolvono i problemi riducendo la realtà a delle immagini astratte, dei simboli per l’appunto. Stiamo parlando di ricercatori, consulenti aziendali, ingegneri, informatici, avvocati, esperti della comunicazione o dell’alta finanza. Personaggi che manipolano la realtà riarrangiandola sotto forma di algoritmi matematici, argomenti legali, astuzie finanziarie, teorie scientifiche, rappresentazioni orali o virtuali.
 
 
21.10. Il potenziatore dei sensi.
 
Il corpo è irriducibile: questo è un dato di fatto. Non lo si può nascondere ma si può ridurne l’utilizzo. E questo sarebbe male. È dal corpo che arrivano alla mente gli stimoli più fertili, gli input capaci di nutrire l’immaginazione e i processi creativi. La vita non potrà mai ridursi a relazioni interpersonali scambiate in un algido mondo virtuale. E se mai ciò dovesse accadere, si potrà sempre chiedere aiuto al potenziatore dei sensi. Entrare nel suo parco ludico è riscoprire piaceri antichi e sofisticatissimi, elevati in questo caso all’ennesima potenza. Chiunque voglia risvegliare o educare la vista, l’udito, il tatto, l’olfatto e il gusto sa che deve rivolgersi a questo mago della natura e della chimica. Un esempio? Prendiamo l’olfatto. Per entrare nel giardino degli odori bisogna farsi bendare e lasciarsi guidare semplicemente dal fiuto, come segugi delle proprie sensazioni. Lentamente, dall’oscurità emergeranno impalpabili realtà: l’odore del sottobosco dopo la pioggia, la fragranza del pane appena sfornato, l’afrore di due corpi in una notte d’amore; essenze di patchouli, legno di sandalo e giacinto si mescoleranno ai profumi di un roseto, di un lenzuolo lasciato a contatto con un mazzetto di lavanda, dell’incenso bruciato in un tempio millenario; si respirerà il fieno tagliato di fresco, la brezza salmastra di un oceano ma anche il puzzo di cane bagnato, le emanazioni pestilenziali di un corpo malato, della carne in via di decomposizione. È la realtà a 360 gradi: piacere e dolore, ricordi e sensazioni si mescolano e costruiscono un cocktail sensoriale di grande effetto. Non c’è artista (dal compositore di suoni sintetici al creatore di ologrammi) che, prima o poi, non si affidi al potenziatore dei sensi. Fino a non molto tempo fa in alcune regioni del Medio Oriente (Yemen in testa) si stringevano matrimoni fra giovani che a malapena erano riusciti a incrociare i loro sguardi. Negli incontri durante il periodo di fidanzamento la futura sposa si presentava quasi sempre col volto velato. Unica nota distintiva: il suo profumo, un mix di essenze creato da lei stessa. La prima notte di nozze era usanza che lo sposo, bendato, scoprisse a poco a poco il corpo dell’amata seguendo le tracce di quel particolarissimo profumo, abilmente applicato in alcuni punti segreti. È con lo stesso misto di curiosità e aspettativa che ci si avvicina al giardino dei sensi del potenziatore, ricavandone un’eccitazione poetico-emozionale non minore di quella che avrebbe potuto sperimentare un giovane marito dello Yemen.
 
 
21.11. Il biourbanista.
 
Un esperto della costruzione che dovrà imparare a lavorare sul nulla. Dal punto di vista urbanistico una fase si è conclusa, un’altra completamente inedita se ne deve aprire. Ora non si tratta più di ristrutturare piccoli centri medievali o regalare una nuova facciata a metropoli sulla china della decadenza; c’è bisogno di costruire ex novo città-modello (di ridotte dimensioni) che riescano a funzionare come ecosistemi autosostenibili a emissione zero: il che significa in grado di produrre energia pulita (solare, eolica, oppure ricavata dal moto ondoso) e di riciclare scorie e rifiuti organici. Forse, rinunciando alle opere ciclopiche (dalle dighe ai grattacieli) per controllare le energie sottili delle natura l’oasi-Terra potrebbe tornare a risplendere.
Il rispetto per l’ambiente circostante si rispecchierà anche nei moduli architettonici. Unità abitative e luoghi pubblici assumeranno qualità metamorfiche; saranno talmente in sintonia con il paesaggio (grazie al loro carattere non invasivo e all’utilizzo sapiente di materiali locali) da divenire tutt’uno con il paesaggio. Al massimo di naturalezza costruttiva corrisponderà, paradossalmente, il massimo di sofisticazione tecnologica. E qui il biourbanista potrà mettere a frutto tutta la sua sapiente creatività. Muraglie di verde cangiante potranno celare schermi a cristalli liquidi per spettacoli di piazza; aiuole di orchidee e di esotiche infiorescenze saranno munite di segreti accessi alla Rete. I punti di collegamento al sistema nervoso globale dovranno essere disponibili ovunque, come lo sono oggi le cabine telefoniche, i Bancomat e le panetterie. Lo sforzo culturale richiesto a questa figura di professionista è quello di conciliare l’essenza naturale dell’uomo con il livello di manipolazione tecnica del XXI secolo.
 
 
21.12. Il creatore di tempo libero.
 
Non ha nulla a che vedere col prototipo dell’animatore di villaggio turistico; non opera in una scuola per pittori dilettanti nè tantomeno in una palestra di body building. Il creatore di tempo libero è, professionalmente, qualcosa di molto più sofisticato: uno psicologo/educatore in versione ludica. È colui che fa del gioco e dei momenti di relax un mezzo di apprendimento alternativo. Se il trend prevede una diminuzione del tempo lavorato a favore del cosidetto tempo libero ciò comporta la nascita di esperti che inventino nuovi modi di vivere quest’ultimo, creando un cocktail di proposte stimolanti tanto per il corpo quanto per l’intelletto. Può sembrare strano ma c’è un sacco di gente che non sa come trascorrere le ore teoricamente dedicate allo svago: non c’è niente di male nell’annoiarsi ma deve essere una scelta consapevole.
Giocando e divertendosi si può per esempio apprendere a suonare uno strumento musicale così come imparare a relazionarsi con gli altri in situazioni estreme (nel chiuso di una navicella spaziale o di una capsula per la ricerca scientifica negli abissi oceanici); gli scacchi possono servire per sviluppare un pensiero matematico; il bricolage può coinvolgere un gruppo di falegnami “fai da te” nella costruzione di una sauna d’uso comune. Le vie del gioco sono infinite: chi un tempo fu bambino dovrebbe saperlo. E riscoprirlo. L’abilità del creatore di tempo libero consiste nel coinvolgere le persone nelle attività a loro più congeniali inventando al contempo “giochi per adulti” sempre più innovativi, dove i processi di apprendimento psico/fisico e la componente ludica siano perfettamente equilibrati.
 
 
21.13. Il peace-keeper.
 
È l’uomo con una vocazione: mantenere la pace fra gli uomini. Non è un mediatore, un diplomatico di stampo classico e nemmeno un missionario a caccia di proseliti; la sua figura professionale non è diretta emanazione delle gerarchie ecclesiastiche e delle burocrazie statali. Il peace-keeper è un battitore libero, un uomo che nella vita ha deciso di coltivare al massimo grado l’arte delle relazioni umane. Lo si potrebbe definire la versione pacifista del soldato mercenario. Lo si ritrova al lavoro ovunque insorga un conflitto, locale o internazionale, tra le gang metropolitane in lotta per il controllo di un territorio, nel bel mezzo dei grandi sommovimenti sociali, così come tra le opposte fazioni in una guerra di religione. Il suo metodo di lavoro parte dall’assunto che per risolvere un conflitto bisogna ricercare fra le due parti in causa il terreno dei bisogni comuni smorzando le cause di attrito. Lui stesso si propone come un “facilitatore”, un professionista del dialogo che, in un sottile gioco di domande e di coinvolgimenti incrociati, permette alle controparti di scoprire le loro rispettive umanità, il rapporto simbiotico che loro malgrado li unisce. È colui/colei che aiuta gli altri uomini a superare la rigidità dei processi di identificazione legati al sesso, alla razza, alla classe, all’etnia, alla religione, all’ideologia: il primo passo verso qualsiasi progetto di vita comune su grande scala.