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Jennifer s'allontanò dal campo da tennis piuttosto di cattivo umore, agitando la racchetta. I numerosi colpi sbagliati quella mattina l'avevano de-moralizzata. Naturalmente non era possibile fare un buon servizio con quella racchetta, ma, a parte questo, da un po' di tempo non le riusciva più di fare una mossa decente.

«Scusatemi...»

Jennifer trasalì e alzò lo sguardo. Una donna elegante con i capelli dorati e un lungo pacco piatto le apparve a pochi passi di distanza, sul sentiero.

Jennifer si domandò come mai non l'avesse vista arrivare. Non le passò nemmeno per la mente che la donna potesse essere stata nascosta dietro un albero o fra i cespugli di rododendri e ne fosse appena sbucata fuori. Perché avrebbe dovuto pensare una cosa simile?

Con un lieve accento americano la donna disse: «Sapete dirmi dove potrei trovare una ragazza che si chiama...» consultò un pezzetto di carta

«Jennifer Sutcliffe?»

«Sono io» esclamò Jennifer, sorpresa.

«Oh! Questa è buffa. Una vera coincidenza! Possibile che con tante ragazze che ci sono in questa scuola dovessi incontrare proprio quella che cercavo!»

«Cose che capitano» commentò Jennifer.

«Dovevo venire a pranzo qui oggi, con degli amici» cominciò a spiegare la donna, «e poiché ieri a un ricevimento mi è capitato di fare accenno a questo fatto, vostra zia... o era la vostra madrina?... ho una memoria talmente labile! Mi ha detto il suo nome e ho dimenticato anche quello. Comunque, dicevo, vostra zia mi ha chiesto se potevo arrivare fin qui a portarvi una racchetta nuova. Mi ha detto che gliel'avevate chiesta.»

Il viso di Jennifer s'illuminò. Quello era un miracolo. «Doveva essere la mia madrina, la signora Campbell. Io la chiamo zia Gina. Non era certamente la zia Rosamund. Lei non mi dà altro che i soliti miseri dieci scellini a Natale.»

«Sì, ora ricordo. Il nome era proprio Campbell.»

La donna porse il pacco a Jennifer. Lei lo prese con slancio e l'aprì in fretta, emettendo un'esclamazione di gioia alla vista della racchetta.

«Oh! È stupenda! Questa è veramente buona. L'ho desiderata tanto!

Grazie per esservi disturbata a portarmela» disse Jennifer con gratitudine.

«Nessun disturbo» replicò la donna. «Soltanto, confesso che mi sentivo un po' a disagio. Le scuole mi hanno sempre intimidita. Ci sono tante ragazze. Oh, dimenticavo, dovrei portare indietro la vostra racchetta vecchia.»

La donna raccolse la racchetta che Jennifer aveva buttata in terra. «Vostra zia... no, la vostra madrina, ha detto che avrebbe fatto cambiare le corde. Ne ha molto bisogno, vero?»

«Veramente, credo che non ne valga la pena» rispose Jennifer, tutta presa dal suo nuovo tesoro.

«Ma una racchetta di riserva è sempre utile» insistette la sua nuova amica. «Oh, cara» soggiunse la donna guardando l'orologio, «è molto più tardi di quanto credevo. Adesso devo proprio scappare.»

«Avete... volete che chiami un tassì? Potrei telefonare...»

«No, grazie, cara. Ho la macchina al cancello. Arrivederci. Felice d'avervi conosciuta. Spero che vi divertirete con quella racchetta.»

La donna si mise letteralmente a correre lungo il sentiero, verso il cancello.

Esultante, Jennifer andò in cerca di Julia.

«Guarda!» esclamò agitando la racchetta.

«Accipicchia! Dove l'hai presa?»

«Me l'ha mandata la mia madrina, la zia Gina. Non è mia zia, ma io la chiamo così. È spaventosamente ricca. Immagino che la mamma le abbia detto che io brontolavo per la mia racchetta. Questa è una cannonata, no?

Devo ricordarmi di scriverle per ringraziarla.»

«Lo spero bene!» osservò Julia.

Le due ragazze entrarono nel padiglione degli sport e Jennifer mise con molta cura la sua racchetta nuova nella pressa.

«Non è una racchetta veramente splendida?» chiese all'amica.

«Cosa ne hai fatto della vecchia?»

«Oh, l'ha presa lei.»

«Chi?»

«La signora che me l'ha portata. Aveva incontrato la zia Gina a un ricevimento e la zia le aveva chiesto se poteva portarmela, dato che oggi veniva qui per un pranzo. La zia Gina le ha poi detto anche di portarle quella vecchia per cambiarle tutte le corde.»

«Ah, capisco...» ma Julia aveva aggrottato la fronte.

«Cosa voleva da te la signorina Bulstrode?» domandò Jennifer.

«Oh, niente di speciale. Soltanto l'indirizzo della mamma. Ma non ho potuto darglielo perché lei è in viaggio, adesso. In giro per la Turchia. Jennifer, ascolta una cosa: la tua racchetta non aveva bisogno di corde nuove.»

«Oh, sì, Julia. Era come una spugna.»

«Lo so, ma in realtà era la mia racchetta. Voglio dire, avevamo fatto il cambio. La tua, quella che ora ho io, era già stata messa a nuovo. Mi hai detto tu stessa che tua madre le aveva fatto cambiare tutte le corde prima di partire.»

«Già, è vero.» Jennifer parve un poco allarmata. «Oh, be', suppongo che quella signora... avrei dovuto chiederle il nome, ma ero così emozionata...

abbia creduto di vedere che la racchetta aveva bisogno di corde nuove.»

Julia guardò, preoccupata, la sua amica, quindi, dopo un attimo di esitazione, disse: «Ma tu hai detto un'altra cosa, e cioè che era stata zia Gina a dire che la racchetta aveva bisogno di corde nuove. E tua zia non può aver pensato questo se non è vero».

«Oh, be'...» esclamò Jennifer con impazienza. «Immagino... immagino...»

«Che cosa?»

«Forse la zia Gina ha pensato semplicemente che se volevo una racchetta nuova, era perché quella vecchia aveva bisogno di corde nuove.

Comunque, che importanza ha?»

«Oh, certo, non ha nessuna importanza» disse Julia lentamente. «Però è strano, non ti pare, Jennifer?»

Catastrofe

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