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«Davvero! Non capisco perché debba sempre piovere tutte le volte che si torna in Inghilterra» osservò la signora Sutcliffe in tono annoiato mentre guardava dalla finestra. «Fa sembrare tutto così deprimente!»

«Io sono contenta di essere tornata» disse Jennifer. «Sentire tutti parlare inglese per le strade! E fra poco potremo finalmente berci un tè come si deve, con pane, burro, marmellata e dei veri dolci.»

«Ora togliti da qui, cara, e lasciami controllare se hanno portato tutti i bagagli. Ho la sensazione... ho cominciato a provarla fin dal tempo di guerra... che la gente sia diventata disonesta. Sono sicura che se non avessi tenuto d'occhio la nostra roba, quell'uomo se la sarebbe svignata con la mia borsa verde, a Tilbury. E ce n'era un altro che gironzolava intorno ai bagagli. L'ho rivisto poi in treno. Credo che questi ladruncoli vadano ad aspettare gli arrivi delle navi e se qualcuno è distratto o sofferente per il mal di mare, se la svignino con qualche valigia. Ora vediamo se c'è tutto: quella è la valigia verde grande, qui c'è quella nera, le due piccole marrone, la borsa, le mazze da golf, le racchette, quella di tela... dov'è la mia borsa verde?

Ah, eccola qui. E il bauletto di metallo che abbiamo comprato laggiù per metterci gli acquisti... sì, uno, due, tre, quattro, cinque, sei... sì c'è tutto.

Quattordici pezzi.»

«Possiamo prendere il tè, adesso?» chiese Jennifer.

«Il tè? Ma sono soltanto le tre.»

«Ma io ho una fame da lupi.»

«Va bene, va bene. Puoi scendere da sola a ordinartelo? Io ho bisogno di riposare un po' e poi dovrò tirare fuori la roba per questa sera. Peccato che tuo padre non sia potuto venirci incontro. Perché dovesse avere proprio oggi un'importante riunione a Newcastle-on-Tyne, non riesco davvero a capirlo. Penseresti che sua moglie e sua figlia dovrebbero avere la prece-denza, tanto più che non le vede da tre mesi. Sei sicura di poter fare da so-la?»

«Ma mamma!» protestò Jennifer. «Quanti anni credi che abbia? Puoi darmi un po' di soldi? Non ho nemmeno uno scellino.»

Jennifer prese i dieci scellini che la madre le porse e uscì seccata.

Il telefono vicino al letto squillò. La signora Sutcliffe si avvicinò e alzò il ricevitore.

«Pronto... sì, sì... qui parla la signora Sutcliffe...»

Qualcuno bussò alla porta. La signora Sutcliffe, dopo aver detto nel mi-crofono: «Scusate un momento» andò ad aprire.

Un giovanotto in tuta blu stava aspettando con una piccola borsa di arne-si.

«Elettricista» spiegò brevemente. «Le luci di questo appartamento non funzionano bene. Mi hanno mandato a ripararle.»

«Oh... va bene.» La signora Sutcliffe si trasse indietro.

L'elettricista entrò. «Il bagno?» chiese.

«Da quella parte, oltre l'altra camera da letto.» Lei tornò al telefono.

«Scusatemi... stavate dicendo?»

«Mi chiamo Derek O'Connor. Potrei salire un momento nel vostro appartamento, signora Sutcliffe? Dovrei parlarvi di vostro fratello.»

«Di Bob? Ci sono notizie?»

«Purtroppo... sì.»

«Oh... oh, capisco... sì, salite pure. È al terzo piano, numero 310.»

La signora Sutcliffe sedette sul letto. Aveva già capito quali dovevano essere le notizie.

Qualche attimo dopo bussarono alla porta, e lei aprì a un giovane che le strinse la mano con la dovuta deferenza.

«Siete del Ministero degli Affari Esteri?»

«Mi chiamo Derek O'Connor: il mio superiore mi ha mandato da voi perché pare che non ci sia nessun altro che vi possa dare la notizia.»

«Parlate, vi prego» disse la signora Sutcliffe. «È morto, vero?»

«Sì, signora Sutcliffe. Pilotava l'aereo con a bordo il principe Alì Yusuf.

Erano fuggiti da Ramat e si sono schiantati contro le montagne.»

«Ma come mai non mi hanno informato... perché non hanno telegrafato sulla nave?»

«Fino a qualche giorno fa non avevamo notizie definitive. L'aeroplano era dato per disperso, nient'altro. Ma, date le circostanze, rimaneva la speranza che non fosse accaduto l'irreparabile... invece adesso hanno trovato il relitto dell'aereo... Credo vi consolerà sapere che la morte è stata istantanea.»

«È morto anche il principe?»

«Sì.»

«È naturale» disse la signora Sutcliffe. Le tremava un po' la voce, ma si controllava benissimo. «Ho sempre saputo che Bob sarebbe morto giovane. Era così spericolato, se sapeste... provava un aereo dopo l'altro, e si lanciava in sempre nuovi voli acrobatici. Negli ultimi quattro anni l'avevo visto raramente. D'altra parte non si può cambiare il carattere di una persona, vi pare?»

«No certo» disse l'uomo. «Purtroppo.»

«Henry l'ha sempre detto, che un giorno o l'altro si sarebbe sfracellato»

disse la signora Sutcliffe, quasi trovasse una triste consolazione nella veri-dicità profetica del marito. Una lacrima le rotolò sulla guancia e lei cercò il fazzoletto. «È un colpo tremendo» disse.

«Lo so... e ne sono terribilmente addolorato».

«D'altro canto, Bob non poteva evitarlo» disse la signora Sutcliffe. «Intendo dire che ormai aveva accettato l'incarico di pilota personale del principe: vorrei tanto che non gli avesse fatto quel favore. Ed era un aviatore di prim'ordine: se è finito contro una montagna non è stata colpa sua, ne sono sicura.»

«Infatti» disse O'Connor, «sicuramente non è stata colpa sua. L'unica speranza di salvare la vita del principe era balzare sull'aereo e partire: un volo pieno di imprevisti che si è risolto in tragedia.»

La signora Sutcliffe fece un cenno d'assenso.

«Capisco benissimo» disse. «Grazie per essere venuto a informarmi.»

«Ancora una cosa, signora» disse O'Connor. «Ho una domanda da farvi.

Vostro fratello vi aveva dato qualcosa da portare in Inghilterra?»

«A me? Spiegatevi meglio.»

«Vi ha dato un pacco... anche piccolo... da consegnare a qualcuno qui in Inghilterra?»

Lei scosse la testa sorpresa. «No. Come mai questa domanda?»

«C'era un pacco piuttosto importante, che, a nostro avviso, vostro fratello potrebbe aver fatto entrare in patria attraverso qualcuno. È venuto nel vostro albergo quel giorno... il giorno in cui è scoppiata la rivolta, intendo.»

«Lo so. Mi ha lasciato un biglietto. Ma non diceva nulla... mi proponeva di giocare a tennis o a golf con lui il giorno dopo, niente di particolare.

Immagino che, mentre mi lasciava quel messaggio, non sapesse che sarebbe dovuto partire col principe quello stesso pomeriggio.»

«Nient'altro?»

«Nel biglietto? No, niente altro.»

«L'avete ancora, signora Sutcliffe?»

«Il biglietto? No, naturalmente. Era un banalissimo messaggio, l'ho strappato e gettato via. Perché mai avrei dovuto conservarlo?»

«Per nessun motivo preciso» disse O'Connor. «Era solo una speranza.»

«Una speranza... di che?» fece la signora Sutcliffe.

«Che ci potesse essere, in quel biglietto, un altro messaggio. In fin dei conti» sorrise, «esistono sistemi particolari come l'inchiostro invisibile...»

«Inchiostro invisibile!» sbottò con estremo disgusto la signora Sutcliffe.

«A che cosa vi riferite, a quella roba che usano nei romanzi di spionaggio?»

«Be', direi proprio di sì» disse quasi in tono di scusa O'Connor.

«Che idiozia! Bob non avrebbe mai usato dell'inchiostro invisibile, ne sono certissima. E perché, poi? Era un uomo realistico, assennato.» Di nuovo una lacrima le colò lentamente lungo una guancia. «Oh, povera me!

Dov'è la mia borsa? Ho bisogno di un fazzoletto. Devo averla lasciata nell'altra stanza.»

«Vado a prendervela» disse O'Connor.

Passò dalla porta comunicante e si fermò vedendo l'uomo in tuta chino su una valigia alzarsi di scatto, piuttosto sorpreso.

«Sono l'elettricista» si affrettò a informarlo l'uomo. «C'è un guasto all'impianto elettrico.»

O'Connor girò un interruttore.

«A me pare funzioni benissimo» disse in tono gentile.

«Devono aver sbagliato a darmi il numero della camera» disse l'elettricista.

Raccolse la sua borsa e se la svignò rapido dalla porta che dava sul corridoio.

O'Connor, accigliato, prese la borsetta della signora Sutcliffe e gliela portò.

«Scusatemi» disse alzando la cornetta del telefono. «Qui è la camera 310. Avete mandato un elettricista per controllare l'impianto? Sì... sì, resto in linea.»

Attese. «No? Lo immaginavo. No, nessun problema, grazie. Non c'era nessun guasto e non hanno mandato un elettricista» disse.

«E allora che cosa voleva qui quell'uomo? Era un ladro?»

«Può darsi.»

La signora Sutcliffe si precipitò a frugare nella sua borsa. «Da qui non ha preso niente. Il denaro c'è tutto.»

«Siete sicura, signora, assolutamente sicura che vostro fratello non vi abbia dato nulla da portare in patria?»

«Ne sono sicurissima» disse la signora Sutcliffe.

«E a vostra figlia... avete una figlia, vero?»

«Sì. È scesa a prendere il tè.»

«Vostro fratello potrebbe avere dato a lei qualcosa?»

«No, sono certa di no.»

«C'è un'altra possibilità» continuò O'Connor «e cioè che abbia nascosto qualcosa nei bagagli mentre vi aspettava in camera vostra quel giorno.»

«Ma perché Bob avrebbe dovuto fare una cosa del genere? È completamente assurdo!»

«Non tanto quanto sembra. Potrebbe darsi che il principe Alì Yusuf avesse affidato qualcosa a vostro fratello e che vostro fratello abbia ritenuto più sicuro infilarlo tra i vostri effetti personali che tenerlo con sé.»

«A me pare estremamente improbabile.»

«Ora una domanda: vi dispiacerebbe se dessi un'occhiata?»

«Un'occhiata ai miei bagagli, intendete dire? Volete disfare le valigie?»

E sulla parola "valigie" gemette.

«Mi rendo conto che vi chiedo un grosso sacrificio» disse O'Connor.

«Ma potrebbe essere molto importante. Potrei aiutarvi se me lo permette-te» proseguì con fare suadente. «Facevo spesso le valigie a mia madre, e lei diceva che ero bravissimo.»

Usò tutto il fascino che possedeva, qualità estremamente meritoria agli occhi del colonnello Pikeaway.

«Be'» disse la signora Sutcliffe remissiva. «Immagino che... se lo dite voi... se, insomma, è così importante...»

«Potrebbe essere molto importante» disse Derek O'Connor. «Bene, vogliamo cominciare?»

Macabro quiz
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