18
Con Baglioni Garlaschi m’incontrai al bar la mattina seguente di buon’ora. Stava facendo colazione in compagnia di Milena De Magistri, che si era offerta di accompagnarlo dall’avvocato Zonin. Trovai il commendatore preoccupato e nervoso: mi riferì che l’istruttoria su Paola stava per concludersi e temeva seriamente il peggio, nonostante l’ottimismo del difensore. Dal momento che le avevano negato la libertà provvisoria, era chiaro che l’avrebbero rinviata a giudizio.
«Ci sono novità? Ha scoperto qualcosa?» chiese ansioso.
Scossi la testa. Spiegai di essere andato a parlare con la contessa Barbarigo, poiché a mio giudizio i due delitti, quello di Plisman e quello di Bardi Stracca, erano in qualche modo collegati al gruppo di amici del poker di cui faceva parte anche il marito morto suicida in carcere, Alberto Grenier.
«Che cosa le ha detto?»
«Niente di utile… Ha asserito di non essere al corrente di altri rapporti tra il marito, Plisman e Bardi Stracca che non fossero quelli saltuari del poker.»
«E le ha creduto?»
La buttai in scherzo. «Io diffido sempre delle belle donne.»
A quel punto Milena ebbe un trasalimento.
«Aspetti un momento… Se ben ricordo, Fosca Barbarigo era presente quella sera al concerto di Tito Schipa alla Fenice… Era seduta due file avanti a noi. Potrebbe…»
«… essere stata lei a sottrarre la pistola dalla tasca della pelliccia di Paola» conclusi. «Per uccidere Plisman e far ricadere la colpa sulla moglie.»
Riflettei rapidamente. «L’avete rivista all’uscita dal teatro?»
Milena scosse il capo. «No, ora che ci penso, quando tornammo in sala dal rifugio antiaereo e il concerto riprese non la vidi più.»
«In linea di ipotesi, potrebbe aver commesso lei entrambi i delitti. Forse riteneva Plisman e Stracca responsabili di qualche grave torto nei confronti del marito. Magari avevano truccato una o più partite di poker, sottraendo a Grenier ingenti somme di denaro in modo fraudolento.»
«Che altro sa di lei?» chiesi alla ragazza.
Milena ci pensò un istante, prima di rispondere. «Si dice che la contessa avesse avuto una lunga relazione intima con Leonardo Denza, l’ex socio del marito. E che s’incontrassero nel suo appartamento in calle dei Fuseri, alla Frezzaria. Pare che lo abbia piantato per il maggiore tedesco Screiber. Che sia vero o no, lui attualmente passa per essere il suo amante-protettore.»
Baglioni Garlaschi intervenne infastidito. «Sono semplici illazioni… Piuttosto cosa dice, Bruno, del cameriere che secondo la polizia sarebbe l’assassino di Bardi Stracca?»
Tagliai corto. «Dico che il dottor Cammarata è completamente fuori strada. I due delitti sono opera di un unico assassino. E questo esclude sua figlia!»
Irruppi come una furia nell’ufficio dell’ex seminarista, che seduto alla scrivania in compagnia del suo vice D’Avanzo era intento a strafogarsi di anguilla marinata e sottaceti. Sollevò il bicchiere pieno di bianco e mi chiese, cordiale ma non troppo: «Gradisci un sorso di prosecco di Valdobbiadene?».
«Non bevo le vostre schifezze» risposi malevolo. «Ma se hai del buon Chianti lo gradisco.»
«Eh! Chiedi la luna, tu. Il Chianti lo trovi solo alla mensa del ministro Pavolini e di quella signora livornese con cui divide il talamo.»
Sedetti a cavalcioni su una sedia e passai all’attacco.
«C’è una cosa che non mi hai chiarito, Cammarata. Quale fu l’evento che causò l’arresto di Alberto Grenier da parte dei tedeschi?»
Si pulì la bocca con un tovagliolo. «Fu una denuncia anonima a incastrarlo. Aveva avuto dei diverbi con Leonardo Denza, l’ex socio, e in un primo tempo si ritenne che fosse lui l’autore della lettera anonima ricevuta dalla Gestapo.»
Vuotò d’un sorso il resto del vino dal bicchiere e fece schioccare la lingua alla maniera di Patanè.
«Ma io stesso appurai che non c’erano prove… La lettera era stata spedita da Venezia e il Denza in quel periodo pare si trovasse ricoverato in ospedale a Padova. Vi rimase ben oltre l’arresto e il suicidio del Grenier.»
«Avrebbe potuto farla impostare da qualcuno» osservai.
Si strinse nelle spalle.
«Nessun altro fu sospettato come autore di quella denuncia anonima?»
«Sì» ammise Cammarata, «la contessa Barbarigo, sua moglie.»
«Che motivo avrebbe avuto?» chiesi.
Sorrise perfido. «Quello di liberarsi del consorte… Aveva perso la testa per il bel maggiore Screiber.»
Si concentrò di nuovo sulle anguille e i sottaceti, ignorandomi.
Mi avviai alla porta. Mentre stavo per uscire, mi fece una domanda senza neppure alzare la testa dal piatto.
«Che programmi hai per domani? Ti va di vedere bella gente?»
«Genere maschile o femminile?»
«Genere vario» bofonchiò sornione.
«La Barbarigo è compresa nel genere vario?»
Mi fissò ironico trangugiando un pezzo di anguilla.
«Guarda che domani è domenica 19 e come ogni anno ha luogo la Grande Regata della Serenissima. Non te la perdere. Ci sarà tutta Venezia.»
Scrollai le spalle. «Sai che m’importa della regata!»
«Ma t’importa della madrina, che quest’anno è appunto la contessa Fosca Barbarigo, fiduciaria della Federazione Femminile del Partito Fascista Repubblicano» aggiunse sollevando il calice di prosecco in segno di augurio.