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Un indizio materiale lasciato dall’assassino lo avevo: il bocchino d’ambra trovato accanto al cadavere di Bardi Stracca. La prima cosa da fare era scoprire il negozio che l’aveva venduto. Speravo, in caso di successo, di risalire alla persona che lo aveva acquistato. Mi rendevo conto che si trattava di un tentativo non semplice, che si poteva risolvere in un buco nell’acqua. Poteva darsi, infatti, che il bocchino fosse stato comprato in un’altra città, o addirittura all’estero. A ogni modo, di buona mattina mi misi a setacciare le tabaccherie dei vari sestieri specializzate in articoli per fumatori. Non ebbi molta fortuna dalle parti di piazzale Roma e del sestiere Cannaregio dove le tabaccherie, in conseguenza del razionamento delle sigarette e tabacchi vari, avevano rinunciato agli articoli per fumatori. Vivacchiavano vendendo marche da bollo, francobolli, e cambiali. Mi spostai attraverso ponticelli e umidi canali nel sestiere Dorsoduro, e capitai quasi per caso in una piccola bottega bar di calle Bembo dove si vendeva di tutto, dai liquori ai souvenir, dai tabacchi da fiuto alle orrende cartoline fotografiche con innamorati in atteggiamenti romantici e pose sdolcinate. Fui fortunato: una procace matrona dalla folta capigliatura rosso Tiziano mi rivolse uno sguardo languido come fossi il sosia di Ramón Novarro.
«El sior desidera?» chiese sbattendo le ciglia lucide di rimmel.
«Un Fernet, grazie, e una bustina di Minerva» dissi sfoderando un sorriso non indegno del famoso divo del cinema muto che aveva interpretato Ben Hur.
Mentre mi serviva il Fernet, le mostrai il bocchino.
«È stato venduto qui da voi?» chiesi.
Sorrise allusiva. «No, qui niente bocchini… E neppure pipe!»
Il doppio senso era di gusto infimo, ma io feci finta di niente. Pagai e feci l’atto di andarmene.
«Spetta ’nattimo, bel toso!» mi richiamò vivace la matrona. «Con la fretta non si prendono le quaglie.» Rise provocante. «E neppure le colombe!»
La guardai senza raccogliere l’invito.
«Se fa un salto alla Scuola Grande di San Rocco, ghe xé la tabaccheria Della Vedova, dove si vendono bocchini come il suo… Intendiamoci, la tabaccheria non è di una vedova… Della Vedova è il cognome del proprietario, che ha la moglie viva e sempre disponibile con i giovani clienti. La chiamano la nave scuola… Chiaro?»
«Come il sole!» dissi mandandole un bacio sulla punta delle dita. In pochi minuti arrivai alla tabaccheria Della Vedova, un negozio elegante che esponeva in vetrina una lunga serie di pipe dei modelli più vari, dalla radica alla schiuma. C’era un solo cliente, all’interno, un tizio allampanato con i capelli tagliati a spazzola che ne stava esaminando alcune sul banco. Mi rivolsi al proprietario, un anziano dalla faccia raggrinzita e l’espressione del malato di cirrosi epatica.
«Desidera?»
Di nuovo mostrai il bocchino e gli domandai se era stato comprato nel suo esercizio.
Lo rigirò tra le mani, studiò con attenzione il cerchietto d’oro zigrinato, poi me lo restituì con un cenno di assenso. «Sì, è stato acquistato qui.»
«Quando?» chiesi speranzoso.
Si strinse nelle spalle. «Come minimo due anni fa, perché ormai l’articolo è fuori commercio da un sacco di tempo. Non se ne vendono più.»
Ero deluso. «Non ricorda chi fu ad acquistarlo?»
Scosse il capo e abbozzò un sorriso lugubre.
«Caro signore, come posso ricordare? Passa tanta gente qui! Può essere stato, che so, un turista svizzero, un militare della darsena, o anche una donna. È di moda tra le signore fumare le sigarette con il bocchino… Vero, Rosetta?»
Dalla porta di un disimpegno uscì impettita una sventola con dei seni da fare invidia a Clara Calamai: era la nave scuola, a quanto si malignava.
«Proprio così, tesoro, al giorno d’oggi, dalle cameriere alle duchesse, tutte fumano con il bocchino.»
«Capisco». Non mi restava che ringraziare e porre fine al colloquio. Ma prima di uscire, porsi al Della Vedova il mio biglietto da visita. «Se per caso le venisse in mente il nome dell’acquirente, mi chiami all’hotel Luna.»
«Servo suo, sior» sorrise untuoso.
Fuori, alla fermata del vaporetto, mi raggiunse il cliente allampanato coi capelli a spazzola. Guardandolo, mi parve una faccia nota, ma non riuscivo a ravvisare chi fosse.
«È così importante per lei quel bocchino?» chiese mentre riempiva di tabacco una pipa.
«Molto… Ne può dipendere la vita di una giovane donna» risposi secco.
«Ah, roba da cronaca nera, anzi nerissima!» esclamò interessato. «Permette che mi presenti? Dino Buzzati.»
«Già, mi pareva, lei è il famoso giornalista del “Corriere”!».
«Sì, sono qui a Venezia per un servizio sui piccioni di piazza San Marco, che sono tutti spariti.»
S’interrupe un attimo per accendere la pipa. «Non lo trova strano?»
Scossi il capo. «Mica tanto. Con la fame che c’è in giro presto spariranno anche i gatti.»
Mi presentai a mia volta, e captando l’interesse che il giornalista mostrava nei confronti della storia legata a quel bocchino d’ambra, gli offersi un aperitivo e insieme ci infilammo in un bar. Intanto che ci servivano due bitter Campari, mi accesi una Macedonia Extra e aspirai nervosamente due boccate.
«Lei ha l’accento toscano» osservò Buzzati.
«Sì, sono di Prato e non mi chieda se conosco Malaparte, perché me lo ha già chiesto tempo fa un certo Indro.»
«Buono, quello!» si lasciò scappare il mio interlocutore. «Predica male e razzola peggio. Prima o poi i tedeschi se lo bevono e lo mandano in villeggiatura a San Vittore!» Non raccolsi la fosca previsione. E Buzzati cambiò argomento. «Suppongo che lei sia una specie di commissario Maigret senza incarichi ufficiali nelle forze di polizia.»
I paragoni con i personaggi della letteratura oltre a starmi stretti li trovavo molto fastidiosi. Comunque mi ritenni obbligato a puntualizzare.
«Sono stato espulso dai ruoli della Pubblica Sicurezza nel ’38, perché non iscritto al partito fascista.»
Non fece commenti, ma la sua espressione sembrò ingentilirsi.
«Ci sono dei cadaveri nella sua indagine?» chiese a bruciapelo.
«Sì, finora tre. Un suicida e due morti ammazzati.»
Gli accennai in poche frasi quanto era successo dopo il mio arrivo a Venezia, e la grave situazione in cui si trovava la mia giovane e incauta cliente.
Buzzati ascoltò con estremo interesse e ci pensò su aspirando un paio di boccate di pipa.
«Una cosa mi pare ovvia,» disse con espressione indecifrabile «il suo caso è complicato, ma anche se non direttamente giurerei che c’è lo zampino di una signora. E non escluderei a priori la sua cliente, se non come responsabile degli omicidi, almeno come punto di riferimento. In ogni caso, al suo posto applicherei la famosa teoria del grande poliziotto francese Dupin, “Cerchez ou se trouvent les amis!”. O come puntualizzava il comico torinese Macario nel film Imputato alzatevi!: “Cercate tra i falsi amici e troverete i veri nemici!”.»
Era più astruso dell’oracolo di Delfi e preferii non approfondire. Bevemmo un altro Campari a testa, e ci salutammo con l’impegno di cenare assieme a La Colomba, se la mia inchiesta fosse andata a buon fine. Nel salire sul vaporetto, m’indirizzò ad alta voce un ultimo suggerimento.
«E non si lasci fuorviare, eh? Il verosimile quasi mai coincide con il reale!»
Rimasi per qualche minuto pensieroso a riflettere, mentre il vaporetto si allontanava e spariva oltre il ponte di Rialto.
Che cosa intendeva suggerirmi con quell’ultima frase il giornalista del «Corriere della Sera»?
Che Plisman potesse essere stato ucciso da Paola era verosimile, date le gravi incomprensioni tra i due, ma in tal caso non era reale la connessione tra l’omicidio di Plisman e quello di Bardi Stracca, che Paola non poteva aver commesso in quanto si trovava già in stato di detenzione alla Giudecca. Per quanto astruso, il ragionamento di Dino Buzzati filava e mi suggeriva una traccia: “Cercate tra i falsi amici e troverete i veri nemici!”.