Bolzano. Ore 16
Il pomeriggio sta declinando decisamente al buio. I furgoni col loro carico di abeti recisi sono scomparsi. Pochi passanti infreddoliti camminano in fretta al riparo dei portici, mentre un nevischio maligno si agita nel cono di luce dei lampioni.
Il commissario avverte un lieve senso di nausea, sintomo inequivocabile della cefalea che sta per assalirlo, segno a sua volta dell’influenza in agguato.
Si allunga sulla sedia con le dita intrecciate dietro la nuca, senza distogliere lo sguardo dalle ragazze. Non si sono mosse di un centimetro, due statue di sale, ma almeno lo guardano in faccia. Anzi, lo fissano proprio, come se avessero davanti lo Yeti.
Sa benissimo che è tempo perso, fosse per lui le farebbe riaccompagnare immediatamente a Nova Levante e si ficcherebbe sotto le coperte a smaltire la febbre e la nostalgia di Anna.
Invece cerca il tono più conciliante che gli riesce e ricomincia con le domande.
Questa volta si rivolge alla più giovane, quella che si soffia continuamente il naso: «Cerchiamo di ricostruire la giornata di ieri. Capisco che possa sembrarvi eccessivo, ma ogni dettaglio può esserci utile a comprendere come sono andate le cose. Dunque, il signor Bottai vi fa una sorpresa e vi raggiunge in montagna. Che ore erano quando è arrivato?».
Le ragazze si consultano con uno sguardo. «Le otto e trenta?» risponde quella a cui si era rivolto, chiedendo conferma alla sorella.
«Più o meno» precisa l’altra.
«Che avete fatto dopo il suo arrivo?»
«Ci siamo salutati, abbiamo fatto colazione…»
«A me risulta che siete andati in paese.»
«Sì, più tardi.»
«A che ora siete andati in paese?»
«Le undici, forse anche dopo.»
«Forse, più o meno, non potete essere più precise? E comunque, tre ore per fare colazione?»
«Abbiamo anche parlato» si intromette la maggiore, ostile.
Il commissario annuisce, la soppesa con lo sguardo mentre si liscia il mento: «E di che avete parlato per tutto questo tempo?».
«Saranno un po’ fatti nostri, se permette.»
Interviene tempestivamente l’altra, più conciliante: «Abbiamo parlato delle opportunità di lavoro, dell’università. Sto lavorando alla tesi».
«Certo. E dove pensava di sistemarsi il signor Bottai? Aveva prenotato un albergo?»
«No» rispondono le due all’unisono. «Avrebbe dormito a casa nostra.»
«Dove?»
«Gli ho ceduto la mia camera» risponde la mora, «io mi sono trasferita nella stanza di mia sorella.»
Il commissario annuisce di nuovo. È bendisposto nei loro confronti, dovrebbero capirlo invece di assumere quell’espressione da porcospini stanati. Si alza, estrae dall’armadio metallico dietro di lui una bottiglia di acqua minerale e qualche bicchiere di plastica e la offre alle sorelle. La mora rifiuta, l’altra fa cenno di sì e lo vuota in un solo, lungo sorso.
«Parliamo di questa casa,» riprende «non si trova proprio in paese, vero?»
«Un po’ fuori, davanti all’Hotel Diana.»
«Quanto tempo impiegate per arrivare a Nova Levante?»
«Circa venti minuti a piedi.»
«E per raggiungere le piste?»
«C’è la fermata dello skibus davanti all’albergo. In un quarto d’ora siamo agli impianti di risalita.»
«Mi risulta che sia una casa singola, un villino indipendente. Ci abitate solo voi…»
«No, è diviso in due appartamenti. I proprietari vivono in quello attiguo.»
«Allora si saranno accorti che avevate un ospite.»
«Forse… non credo, abbiamo un ingresso a parte.»
«Ma l’appartamento è sito al primo piano.»
«Al piano terreno c’è un ingresso a cui accediamo solo noi e dove lasciamo gli sci e gli scarponi. Da lì una rampa di scale porta all’appartamento vero e proprio.»
Quando vogliono le fanciulle sanno essere chiare e precise. La minore, poi, sembra più ragionevole.
Il commissario decide d’ora in poi di rivolgersi esclusivamente a lei: «Mi descriva l’appartamento».
«C’è un corridoio… la cucina…»
Nuovo scoppio di pianto.
Le versa altra acqua: «Coraggio, si calmi. Le garantisco che avrà tanto tempo per piangere, è così giovane. Ora però vediamo di arrivare in fondo a questo benedetto colloquio?».
«Scusi.»
«Mi diceva un corridoio, la cucina…»
«La camera in cui dormo io, quella di mia sorella e in fondo, il bagno.»
«Nessuna terrazza, nessuna scala esterna da cui accedere all’appartamento?»
«No.»
«Quindi si può entrare solo dall’ingresso del piano terra, quello in cui lasciate gli sci.»
«Sì.»
«Soltanto voi avete adito a quell’ingresso?»
«Credo di sì.»
«Niente cantine, porte comunicanti?»
«No. È il nostro deposito degli sci.»
«E sono al sicuro? Gli sci, intendo. Non temete che ve li rubino?»
«E come fanno! Le abbiamo solo noi le chiavi del portone.»
Al poliziotto sfugge un sorrisetto soddisfatto: «Com’è quest’ingresso?».
«È un ingresso» si intromette l’altra. «Che importanza ha?»
«È piccolo, grande, cosa c’è dentro?» continua l’uomo senza guardarla.
«È piccolo, quadrato. C’è un attaccapanni dove lasciamo le giacche a vento e per il resto è completamente vuoto. Davanti alla porta d’ingresso ci sono le scale, sulla parete di sinistra appoggiamo gli sci e le racchette, su quella di destra c’è la finestra e sul davanzale un vaso di fiori secchi. In questo momento mi sfugge se le pareti sono bianche o color avorio.»
Grandissima stronza, pensa il commissario, cerca di provocarmi.
L’altra nel frattempo ha ripreso a frignare. Fra le lacrime alza un dito: «Dovrei andare in bagno».
Emette un lungo sospiro e fa cenno all’agente di accompagnarla.
Restano solo loro due, il commissario e la mora. La ragazza ostenta indifferenza. Labbra serrate, si concentra sullo scorrimento in su e in giù della cerniera lampo del giubbotto.
Il commissario ne approfitta per osservarla. Capelli lunghi, luminosi, occhi grandi, bocca disegnata in modo perfetto. Una bella ragazza, niente da dire. Bella e di sicuro consapevole di esserlo.
Sbircia nella cartella i dati anagrafici. Ventisei anni tra poco, credeva meno. Ventisei anni, una famiglia per bene alle spalle e si è infilata nei guai. Di questo è sicuro anche se non ne ha le prove.
Il mal di testa continua a tormentarlo. Vorrebbe concludere al più presto, ma sa per esperienza che i tipi come quella sono ossi duri. Troppo sicura di sé, troppo viziata. La sorella, forse, ma non fa che piangere e soffiarsi il naso. Poi ora anche questo bisogno di andare in bagno, per fargli perdere altro tempo!
Si alza, si affaccia alla porta, torna a sedersi.
Finalmente l’agente e la ragazza tornano. Si è lavata il viso, si è perfino sistemata i capelli.
«Va meglio?» chiede il commissario.
«Un po’, grazie.»
«Allora ripartiamo. Alle otto circa il signor Bottai arriva a casa vostra, fate colazione, vi dilungate a chiacchierare fino alle… dieci circa.»
«Le undici.» Precisano in coro.
«Le undici. Poi cosa fate?»
«Siamo andati in paese» risponde la più giovane.
«Perché?»
«Per noleggiare gli sci e fare la spesa.»
«Bene, siete andati in paese. Una ventina di minuti a piedi. Giusto?… Siete arrivati alle 11.20. E…?
«Abbiamo fatto la spesa.»
«Macelleria, fruttivendolo…»
«No, abbiamo comprato tutto al minimarket.»
«Quello davanti al noleggio sci?»
«Sì, quello.»
Il commissario scartabella la documentazione che ha davanti: «Mi risulta che abbiate noleggiato gli sci alle 15.30, forse anche più tardi, sostiene il proprietario. Non mi direte che avete impiegato quattro ore a fare la spesa!».
La mora probabilmente ha le idee più chiare ma continua a tormentare la cerniera lampo, come se la faccenda non la riguardasse.
L’altra si agita sulla sedia, si imbroglia. È tutto così confuso! I ricordi si accavallano, appaiono e scompaiono come lucciole nella tenebra dello smarrimento, precipitano, inesorabili, nella catastrofe finale.
«Prima siamo andati al Caffè Il Daino a mangiare qualcosa» interviene in suo aiuto la sorella.
«E ci siete rimasti tre ore.»
«Il tempo vola quando ci sono argomenti» ribatte per niente intimidita. «E poi nevicava, speravamo che smettesse prima di tornare a casa.»
«C’è qualcuno che possa testimoniare?»
Le ragazze non indicano nessuno in particolare. Erano così impegnati nella conversazione da non aver fatto caso a nessuno. No, non ricordano chi li ha serviti al tavolo, qualcuno che li ha notati dovrà pur esserci.
«Controlleremo» taglia corto il commissario. «Del resto non ha molta importanza. Mi interessa invece sapere cosa avete fatto una volta usciti dal caffè.»
«Siamo andati al noleggio sci, gliel’abbiamo già detto.»
«Aveva smesso di nevicare?»
«No, ma non potevamo più aspettare. Di lì a poco avrebbe chiuso.»
«E avete scelto gli sci.»
«Li ha scelti lui.»
«Lei conosce la marca di sci noleggiata dal signor Bottai?» chiede improvvisamente il commissario fulminando la più giovane.
Quella arrossisce, farfuglia: «S… sì».
«È la stessa dei vostri sci, non è vero?»
«Sì» ammette abbassando la testa.
«Che c’entra questo?» si intromette la sorella. «È la marca più diffusa.»
«Certo, certo, facevo per sapere. Non sono pratico di queste cose. Mettiamo a verbale, allora.»
«Lei non ha il diritto di tormentarci in questo modo» sbotta la ragazza alzandosi in piedi. «Voglio andare via di qui!» La voce incrinata tradisce che sta perdendo il controllo.
Il commissario non fa una piega. Resta seduto compostamente, assume quasi un’espressione dolente, ma in cuor suo gioisce di quel primo cedimento.
«È routine, signorina, è la prassi in casi come questo. Nessun accanimento. Il fatto è che voi siete gli unici testimoni. Non volete collaborare?»
Quella si calma e torna a sedersi.
«Dunque, avete noleggiato gli sci e siete tornati verso casa. Sempre a piedi?»
«Abbiamo perso l’ultimo autobus.»
«E una volta giunti a destinazione che ne è stato di questi sci?»
La mora allarga le braccia, un sorrisetto ironico le increspa le labbra: «Sono stati messi nell’ingresso del piano terreno, appoggiati al muro, accanto ai nostri». Poi aggiunge: «Con le punte verso l’alto».
Al commissario prudono le mani ma riesce a controllarsi: «E nessuno li ha più visti o toccati fino alla mattina successiva?».
«No.»
«Siete proprio sicure? Nessuno di voi è sceso al piano di sotto durante la serata? Che so, per prendere qualcosa, per aprire il portone.»
«No.»
«Sicure?»
«Sì.»
«Perciò nessuno di voi è più uscito di casa.»
«No.»
«E cosa avete fatto?»
«Abbiamo cucinato.»
Il commissario si alza, si sposta alle spalle dell’agente ed esamina il verbale: «Avete detto di aver noleggiato gli sci alle 15.30. Mettiamo mezz’ora per scegliere quello che vi occorreva e venti minuti per tornare all’abitazione. Alle 16.30 al massimo eravate a casa. A che ora avete cenato?».
«Alle 20, più o meno.»
«Perciò avete impiegato quasi quattro ore a cucinare. Vi sembra plausibile?»
Le sorelle si scambiano un’occhiata. La maggiore emette un sospiro.
«Forse… forse non abbiamo cucinato subito» risponde quella che ha smesso di piangere. «Forse prima ci siamo un po’ riposati.»
«E in tutto questo tempo siete rimasti sempre insieme?»
«Sì.»
«Sicure? Nessuno di voi si è assentato anche per pochi minuti?»
La mora alza la mano: «Io! Io sono andata in bagno. Ho fatto la pipì. Desidera conoscere i particolari?».
«Quanto ci è rimasta?» chiede il commissario alla sorella senza degnarla di uno sguardo. Ma quella è più veloce: «Cinque minuti! Il tempo di abbassarmi le mutande e ritirarle su. È un reato portare le mutande?».
L’agente si asciuga la fronte col fazzoletto. Il commissario esegue un largo giro intorno alla scrivania e torna a sedersi. Per esperienza sa che è controproducente esercitare una pressione troppo forte. Si passa le mani tra i capelli, poggia gli avambracci sul tavolo, giocherella con la penna. Quando riprende a parlare il suo tono è più conciliante, quasi morbido.
«Signorina, le ricordo che si trova in un ufficio di polizia. Lascio correre solo in considerazione del fatto che deve essere sconvolta.»
Torna a rivolgersi alla più ragionevole: «Alle 18.30 avete iniziato a cucinare. Tutti insieme?».
«Sì.»
«Nessuno si è assentato in quel lasso di tempo?» La più giovane lancia uno sguardo preoccupato all’altra. «Siete rimasti tutti in cucina?»
«Sì, credo.»
«Cerchi di essere precisa, per favore, è importante. Conferma che per un’ora e mezzo siete rimasti tutti e tre in cucina?» conclude con una punta di scetticismo.
Suona strano, è vero, che abbiano passato tutto quel tempo a cucinare. Cucinare che, poi? Canederli bolliti che si impastavano al palato come chewing gum.
La neve che continuava a scendere in fiocchi fitti, il fronte degli abeti bianchi al di là della finestra, il silenzio fuori, quasi innaturale, e loro tre nella stanza surriscaldata a discutere su come si cucinano i canederli. Qualsiasi cosa, anche i canederli, era motivo di gioco, di chiacchiere infinite, di risate. Chi diceva che andavano bolliti, chi li voleva in forno, chi addirittura sosteneva di mangiarli crudi.
Certo che era passata un’ora e mezzo, anche di più se è per questo. Ne sapeva qualcosa il commissario, con quei modi affettati e quei movimenti legnosi, dell’allegria che si impadronisce di te senza ragione? Del non combinare nulla e sentirsi realizzati, contenti per il solo motivo di essere al posto giusto, con le persone giuste?
Avevano stappato una bottiglia di vino bianco e avevano brindato, più volte. A ogni brindisi cresceva l’allegria. Avevano acceso la radio a tutto volume e avevano ballato, a turno, con i bicchieri in mano, lasciando i canederli al loro destino.
Sa qualcosa per caso il commissario, con la sua faccia livida di chi trova la casa deserta, il frigorifero vuoto e apparecchia per uno, dell’euforia, la più bella, che ti allaga per il solo motivo che sei giovane e ti senti padrone del mondo?