Bolzano. Ore 9

«Agente Capuozzo. Comandi!» aveva detto sbattendo i tacchi e toccandosi il berretto con due dita. Ma quando gli avevano comandato di recarsi in località Nova Levante con quel tempo da lupi, gli si era riempita la bocca di saliva e gli era preso lo sconforto.

«Devi fare un sopralluogo nel comprensorio sciistico di Carezza Costalunga e raccogliere informazioni.» Gli aveva dato una lista di nomi lunga come la processione dei Battenti. «Queste sono le persone che devi interrogare.»

«Proprio in cima al Latemar, dottore? Con questo tempo?»

Il commissario l’aveva guardato gelido: «In cima al Latemar e con questo tempo!».

«’Gnorsì, signore!»

«Quando hai terminato vai a prelevare le testi e le porti qui.»

«Agli ordini, dottore».

Aveva sbattuto di nuovo i tacchi ed era uscito.

«Chitestramuort, chillu strunz e’ patet, chella granda zompapereta e’ mammeta!» Ogni passo nel corridoio che lo portava all’uscita era un’imprecazione. Aveva sbattuto lo sportello dell’auto di ordinanza e aveva guidato, unico imbecille, lungo la strada in salita.

Le imprecazioni si erano moltiplicate sulla seggiovia, rannicchiato come un porcospino, battendo i denti, con la divisa che pareva cartone per il gelo, e in cima, sul sentiero che conduceva al rifugio, mentre gli scarponi affondavano nella neve.

Sulla strada per il paese, bagnato fradicio nella volante che pattinava sul ghiaccio, era passato dagli insulti all’autocommiserazione.

Ma quando le aveva viste, davanti al Pronto Soccorso accanto al maresciallo, le parole gli si erano seccate in bocca. Mai e poi mai avrebbe immaginato che le testi da prelevare fossero quei due gran pezzi di fica.

Perché l’aveva fiutato subito, prima ancora di scendere, che quelle guaglione erano della razza che fa girare la testa. È vero, la neve gli turbinava intorno come uno sciame di vespe, è vero, erano infagottate nelle giacche a vento, ma quelle gambe lunghe, quei visi bianchi e rosa come nettarine da mordere non lasciavano dubbi.

Un’ora, poco più, di guida prudente fino allo sfinimento, solo i sospiri delle ragazze provenienti dal sedile posteriore e l’alito caldo sulla nuca. E gli occhi, come spinti da una volontà superiore, che dalla carreggiata si spostavano continuamente allo specchietto retrovisore.

Una si era abbassata il cappuccio. Una massa di capelli scuri le era esplosa intorno al viso. Mamma mia, com’era bella! Gli occhi ancora lucidi di lacrime, le labbra screpolate dal freddo.

L’altra era rimasta tutto il tempo rivolta al finestrino, il mento appoggiato alla mano, il nasino deliziosamente arrossato.

Chi gli ricordavano? Ci aveva pensato a lungo, tra una sbirciata e l’altra, mentre la neve sulla strada si scioglieva in fango e la divisa si asciugava e di nuovo si bagnava di sudore.

Avrebbe voluto confortarle ma le parole gli si spegnevano in gola. Cosa avrebbe potuto dire? «Tranquille, il commissario è una brava persona»? No, questo proprio no. Oppure «Va tutto bene», come nei film americani? Capta da dietro un gemito soffocato. Nemmeno.

Se almeno gli concedessero un’occhiata fugace, un cenno che giustificasse la sua presenza, che lo affrancasse dal ruolo di pilota automatico. Ma niente, se ne stavano rannicchiate nei loro piumini, sprangate nelle loro tribolazioni come se lui non esistesse, come se non si facesse in quattro per rendere quel viaggio meno penoso e per scansare una ad una le buche e affrontare i tornanti senza scosse e frenate brusche.

«Avete freddo? Devo alzare il riscaldamento?» L’unica cosa che era riuscito a dire nell’illusione di stabilire un contatto. Ma quelle avevano appena scosso la testa.

Ma che gli era preso a quel ricchione del commissario? Convocarle il giorno stesso, nell’infuriare della tormenta. Va be’, erano le uniche testimoni, ma si poteva usare un minimo di delicatezza, dar loro almeno il tempo di riprendersi. E perché proprio a lui questo compito ingrato? Già le immagina le occhiate lascive dei piantoni, le battute scurrili. Ogni chilometro che lo avvicina alla città è un tormento. Delle tante ingiustizie patite quel giorno questa gli sembra la peggiore.

Ecco, il mobilificio, le villette a schiera, la via stretta e scura, i portici della piazza e in fondo l’edificio sinistro della Questura. Abbassandosi un poco e roteando gli occhi in su riesce perfino a distinguere la finestra dietro la quale, appostato come un coccodrillo, li attende il commissario.

L’agente Capuozzo scivola lentamente nel cortile, parcheggia, fa il giro dell’automobile e apre lo sportello posteriore per far scendere le ragazze.

Ecco chi gli ricordano! L’illuminazione è arrivata vedendole poggiare un piede per terra e tirarsi su con la gravità e la stanchezza di chi ha molto sofferto. Gli ricordano la Virgo fidelis, col libro dell’Apocalisse in mano e l’espressione affranta e dolcissima, come l’aveva vista nella celebrazione della ricorrenza.

«Prego, signorine, seguitemi.»

Le scorta lungo il corridoio pitturato di celeste, appena rischiarato dai finestroni alti e poi per due rampe di scale.