Prologo

È disteso lungo il ciglio della strada, ma non dorme.

Il corpo possente, quasi in bilico sul terrapieno innevato, ha già assunto la rigidità della morte, con le zampe anteriori stecchite a formare un angolo retto con le spalle. La testa, piegata in avanti, è un po’ sollevata da terra per la corona ramificata che si allarga sulla fronte. Ha un mantello folto che cangia come il velluto dal marrone chiaro al beige per condensarsi in tenere macchie bianche in prossimità della coda.

«Un maschio. Un gran bell’esemplare» dice la guardia forestale, abbassandosi e appoggiando le mani al finestrino aperto. «Scendono a valle in cerca di cibo.»

Poco più in là un’automobile con la fiancata distrutta e gli sportelli spalancati. Il proprietario siede al posto di guida, rivolto verso l’esterno e si tiene la testa tra le mani.

Una piccola folla si è riunita intorno all’animale. Chi si inginocchia per esaminarlo meglio, chi allunga una mano a sfiorargli le corna, chi preme la punta dello scarpone contro la schiena.

Lui giace immobile in una pozza di sangue, gli occhi sbarrati, increduli, le ciglia bionde spruzzate di nevischio. Il suo corpo finirà in quarti su un bancone di macelleria, la sua testa appesa a un muro, ma la sua anima balza, zigzagando, sui crinali del Catinaccio.

Al tramonto il Rosengarten, questo il nome tedesco del Catinaccio, sfonda il paravento delle nuvole e si staglia contro il cielo con le sue rocce tinte di rosso e di viola.

iTalia

La leggenda narra che il re dei nani, adirato col suo giardino di rose, lo abbia condannato a restare invisibile di giorno e di notte. E così è stato.

Ma al calare del sole la montagna si imporpora e come una rosa splende di un’intensa quanto fugace magnificenza. È in quel momento evanescente forse che i morti si riuniscono sulle sue balze e nelle sue foreste per rinnovare, pieni di nostalgia, il rito di commiato alla vita.

È questo che preferisce pensare mentre gira la testa dall’altra parte. L’agente tira su in fretta il vetro del finestrino e riparte. Nell’abitacolo surriscaldato i piumini evaporano umidità e aleggia un odore chiuso di neve e benzina. La strada sfreccia lungo colline imbiancate e villaggi deserti.

Meglio concentrarsi sulla nuca rasata del guidatore, unico punto palpitante di vita, sulla sfumatura alta che gli prolunga il collo fino a metà testa, sulla pelle giovane, arrossata dal freddo e ombreggiata dalla ricrescita dei capelli.

Ciò che sgomenta è il silenzio. Il silenzio delle stalattiti di ghiaccio che colano dalle grondaie, della neve che fiocca in falde larghe e si posa come un sudario sulla natura intirizzita. Il paesaggio raggelato nella rivelazione della catastrofe, cristallizzato nello sbigottimento di un disastro che si è consumato troppo in fretta per essere compreso.

Forse il tempo aggiusterà le tessere degli accadimenti fino a formare un quadro intelligibile, ma nel presente tutto è frammentario, inesplicabile.