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Quando verso le nove meno un quarto del mercoledì mattina salii
nella serra per riferire un’ambasciata a Wolfe, pensai che il genio
del mio principale fosse svanito e che al poveretto fosse dato di
volta il cervello per davvero. Era nel reparto riservato ai
trapianti, fermo accanto a un banco e teneva nelle mani due
tavolette di legno larghe circa dieci centimetri e lunghe una
trentina. Non mi prestò attenzione quando entrai. Di quando in
quando, allargava le mani a una distanza di una sessantina di
centimetri l’una dall’altra, poi le riuniva rapidamente sbattendo
insieme le due tavolette e producendo un rumore secco. Ripeté
l’esperimento parecchie volte di seguito.
Tentennò il capo, gettò una delle tavolette al suolo e cominciò a
colpire diverse cose con l’altra: la batte sul piano del banco, sul
proprio ginocchio, sullo schienale di una sedia, sul palmo della
mano, e su una pila di carta da imballaggio. A ogni colpo scuoteva
il capo. Finalmente, decidendosi ad accorgersi della mia presenza,
gettò l’altra tavoletta al suolo e posò su di me uno sguardo
ferocemente ostile: — Insomma, che c’è?
Risposi in tono rassegnato: — Cramer ha telefonato di nuovo. È la
terza volta. Dice che il procuratore distrettuale Skinner si è
ubriacato dopo essere andato via di qui e che ora è in ufficio col
mal di testa e distribuisce improperi e lavate di capo ai
subalterni. Quanto a questo, ho dormito quattro ore in due notti
consecutive e ho mal di testa anch’io. Dice che l’editore del
“Gazette” ha detto per telefono al ministro degli Interni di andare
al diavolo, o qualche cosa di simile. Cramer vuol sapere se abbiamo
visto i giornali della mattina. Dice che ci sono nello studio di
Hombert due persone inviate da Washington con le copie di alcuni
telegrammi da Londra. Hombert ha visto Clivers al suo albergo
mezz’ora fa e gli ha chiesto qualcosa della sua visita al nostro
studio ieri nel pomeriggio. Clivers gli ha risposto che si trattava
di una faccenda privata, dopo di che si è messo a parlare della
pioggia e del bel tempo. Dice che bisogna assolutamente che lei si
sbottoni, altrimenti lo farà sbottonare lui. Oltre a tutto ciò,
debbo dirle che la signorina Fox e la signorina Lindquist si stanno
accapigliando, perché hanno perso il controllo dei nervi. Fritz è
sul piede di guerra perché Saul e Johnny stanno troppo in cucina e
Johnny ha mangiato certe sfogliatine tabù che Fritz contava di
riempire di funghi per il pranzo. Aggiungerò che non sono ancora
riuscito a farmi dire da lei se devo andare all’albergo Portland
per dare un’occhiata ai documenti che Clivers deve aver ricevuto e
aggiungerò che… Mi fermai un momento per prender fiato. Wolfe
disse: — Mi sta seccando. Tutte queste cose hanno un’importanza
molto relativa. Guardi dunque… — Raccolse le sue assicelle, poi le
gettò al suolo di nuovo. — Sacrifico le mie ore di svago per
sciogliere l’ultimo groviglio che rimane in questa matassa e lei mi
perseguita con queste futilità. Dunque, il ministro degli Interni è
stato mandato al diavolo? C’è andato? In tal caso dica agli altri
di raggiungerlo.
— Benissimo. La avverto, però, che i nostri amici di questa notte
ritorneranno qui ben presto. Non posso tenerli lontani.
— Chiuda la porta. Li lasci fuori. Non tollero di essere
perseguitato!
Mi volse le spalle. Alzai le braccia rassegnato e filai.
Dopo aver preso una seconda aspirina e aver girato un poco per lo
studio, sedetti alla mia scrivania per spuntare alcune fatture e
dare un’occhiata alle circolari e ai bollettini dei negozianti di
orchidee, arrivati con la posta del mattino. Ricevetti una
telefonata di Foster del “Gazette” il quale, non so come, aveva
scoperto che noi dovevamo sapere qualcosa della faccenda di
Clivers; lo imbrogliai per bene e mi liberai di lui. Finalmente,
poco dopo le dieci, il telefono squillò di nuovo e quando presi il
ricevitore mi sentii apostrofare dalla voce inconfondibile del
marchese di Clivers. Non appena ebbi finito di parlare raccolsi i
cataloghi e le circolari, li raccolsi con una banda di caucciù e
salii nella serra.
Wolfe stava da un lato del terzo reparto e fissava con aria
accigliata una fila di pianticelle di due anni. Aveva un aspetto
tutt’altro che avvicinabile e Theodore, che avevo incontrato nella
sala delle piante tropicali, aveva tutta l’aria di essere stato
passato sotto il rullo compressore. Affrontai la bufera. Feci
scattare la fascia di caucciù sul rotolo di carta che tenevo in
mano e dissi: — Ecco qui i bollettini dei suoi fornitori
d’orchidee. Ci sono anche due cataloghi che vengono
dall’Inghilterra. Li vuole vedere ora oppure devo metterli da
parte? Clivers ha telefonato. Dice che le carte sono arrivate e che
se vuole andarle a vedere, oppure mandare me, le tiene a nostra
disposizione. Non mi ha accennato nulla dell’imbroglio di ieri sera
e naturalmente io ho avuto la discrezione…
Mi fermai perché Wolfe non mi ascoltava. Aveva cacciato fuori le
labbra di un paio di centimetri buoni e fissava con gli occhi
sbuffati le carte che tenevo in mano. Rimase a lungo in
quell’atteggiamento e io, a mia volta, rimasi sconcertato.
Finalmente mormorò: — È proprio questo. Per tutti i diavoli,
Archie, lo sapeva? È per questo che mi ha portato quel pacco?
Domandai cortesemente: — Sta vaneggiando? Ignorò la mia domanda e
soggiunse: — Macché, non poteva saperlo. Si tratta di una semplice
coincidenza. — Chiuse gli occhi e trasse un profondo sospiro. —
Coleman detto “Caucciù”. La banda di Caucciù… è naturale! — Aprì
gli occhi e mi guardò. — Saul è giù? Me lo mandi subito.
— E per Clivers?…
— Mi aspetti nello studio. Mi mandi Saul.
Rendendomi conto che non serviva a nulla continuare a fargli
domande, scesi in cucina e chiamai Saul.
— Wolfe ti vuole nella serra. Per l’amor del cielo, stai attento,
perché, a quanto sembra, ha scoperto il tesoro nascosto e sai bene
che cosa c’è da aspettarsi in momenti del genere. Se i suoi ordini
ti sembrano troppo grotteschi consultami.
Ritornai alla mia scrivania, ma naturalmente ero incapace di
occuparmi di cose futili, accesi una sigaretta, trassi la mia
rivoltella dal cassetto, la esaminai per bene, la rimisi a posto.
Udii dei passi sulle scale, poi mi giunse dall’anticamera la voce
di Saul: — Fammi uscire, Archie. Ho da fare fuori.
— E non sei capace di uscire da solo?
Mi cacciai le mani nelle tasche dei pantaloni e stesi le gambe
sotto la scrivania. Dieci minuti dopo che Saul se n’era andato,
suonò il telefono. Era Saul.
— Archie? Mettimi in comunicazione col signor Wolfe.
Stabilii il collegamento con l’apparecchio della serra. Dal mio
ricevitore udii la voce di Wolfe: — Pronto.
— Signor Wolfe, sono Saul. Sono pronto.
— Bene. Archie, non c’è bisogno che lei ascolti. Riappesi il
ricevitore con violenza e mi lasciai sfuggire un ruggito di
rabbia.
Cinque minuti dopo la telefonata di Saul, cominciò il divertimento.
Fui chiamato da Wolfe che si trovava nella serra: — Archie, chiami
lord Clivers.
Mi misi in comunicazione con l’albergo Portland e un momento dopo
Wolfe stava parlando con il marchese: —Buon giorno, lord Clivers.
Ho ricevuto il suo messaggio… Sì, me l’hanno detto… No, non può
venire… Se volesse essere tanto gentile… Un momento… ci sono delle
novità importanti e non vorrei entrare in particolari per telefono.
Ricorderà che ieri nel pomeriggio, al telefono, il signor Walsh le
ha parlato di una certa persona che aveva visto… Sì, è un individuo
pericoloso, deciso a tutto; d’altra parte, si trova con le spalle
al muro e c’è un solo mezzo per evitare una più ampia e molesta
pubblicità su questa faccenda… Lo so, ed ecco perché desidero che
venga immediatamente nel mio ufficio… No, no, creda a me, non si
può: dovrei smascherarlo immediatamente e pubblicamente… Sì, lord
Clivers… va bene?… Sono lieto di constatare che è un uomo
ragionevole. Non dimentichi di portare quelle carte con lei. La
attendo fra un quarto d’ora…
Clivers interruppe la comunicazione, ma Wolfe rimase
all’apparecchio.
— Archie, mi chiami il signor Muir.
Ottenni la comunicazione con l’American Trade Company.
— Signor Muir? Buon giorno, signor Muir. Parla Wolfe… un momento,
la prego… Ho saputo, con mio grande dispiacere, che ho commesso una
ingiustizia ieri, e vorrei rimediare come posso. Sì, sì, proprio
così. Capisco… Sì, davvero. Preferirei non discutere della cosa per
telefono, ma sono certo che avrà la soddisfazione che merita
venendo nel mio ufficio alle undici e mezzo questa mattina. Porti
il signor Perry con lei… No, mi dispiace, ma questo non posso
farlo. Ci sarà la signorina Fox, sì, è qui anche ora… No, alle
undici e mezzo, non prima, ma badi che la presenza del signor Perry
è essenziale… Sì, non siamo molto lontani… Udii che Muir
riappendeva il ricevitore e dissi parlando nell’apparecchio: —
Perché non ha…? — Grazie, Archie. Ora chiami il signor Cramer.