10

 

 

 

Così quel mattino alle sei e mezzo scesi barcollando dal letto per andare a fermare la sveglia elettrica che stava sul tavolo. Compiuta quest’operazione, mi misi all’opera per farmi bello. Alle sette e mezzo ero in cucina, nel mio angolo, intento a fare colazione. La macchina cominciava già a funzionare. Clara Fox aveva detto a Fritz di aver dormito come un ghiro e ora stava facendo colazione con Wolfe. Keems era arrivato presto, lui e Saul erano in sala da pranzo e facevano man bassa di un piatto di frittelle. Per mezzo del telefono avevo tirato giù dal letto Morley dell’ufficio del procuratore distrettuale, e Wolfe gli aveva parlato. Morley era quel tale che avrebbe perso il posto, se non qualcos’altro, se Wolfe non lo avesse tirato fuori dai guai nella faccenda Banister-Schurman, circa tre anni prima.
Mentre mangiavo, scorrevo sui giornali della mattina il resoconto dell’assassinio di Scovil. La stampa non dava molto rilievo all’avvenimento, ma i resoconti erano abbastanza completi. La versione corrente era che Scovil fosse un “gangster” di Chicago, il che mi fece sorridere. I punti essenziali però erano esposti fedelmente: non era stata trovata alcuna arma. La vettura era stata rubata a un rappresentante di cosmetici che l’aveva lasciata in un posteggio della Ventinovesima Strada. Il più vicino testimone oculare era un tale che camminava una decina di metri dietro Scovil ed era stato lui che aveva preso nota della targa della macchina, prima di correre a mettersi al riparo quando erano incominciati a volare i proiettili. Nella semioscurità non aveva potuto veder bene l’uomo al volante, ma era sicuro che si trattava di un tale col cappello calato sugli occhi e con un soprabito scuro dal bavero rialzato; il testimone affermava che non c’era nessun altro nella macchina. Dopo il delitto, l’automobile aveva attraversato velocemente la Trentunesima Strada e aveva voltato l’angolo. Non si era trovato nessuno che l’avesse vista nel momento in cui era stata lasciata nella Nona Avenue, dove era stata trovata più tardi. Niente impronte digitali… eccetera, eccetera.
Quando Fred e Orrie arrivarono, li feci entrare e, dopo che ebbero prese le loro istruzioni da Wolfe, distribuii il denaro per le spese a tutti e quattro e li mandai fuori. L’assedio continuava. Davanti all’ingresso principale della casa c’erano due poliziotti ora, uno dei quali aveva circa la corporatura di Charles Laughton, prima che si desse al cinematografo. Tutti quelli che entravano o uscivano venivano squadrati ben bene dalla testa ai piedi. Ottenni la comunicazione con Londra e Wolfe parlò dalla sua camera con Albert Hitchcock che era il suo migliore informatore sull’altro continente. Telefonai a Murger per avere le copie di “Metropolitan Biographies”, che furono consegnate in un quarto d’ora. Le portai su nella serra, perché Wolfe aveva detto che le avrebbe esaminate dopo le nove. Ridiscesi e telefonai a Barber, l’avvocato sul quale potevamo contare per tutto, eccetto che per dividere degli utili, e gli raccomandai di tenersi disponibile per qualunque momento della giornata, aggiungendo che gli affidavamo gli interessi della signorina Clara Fox per due azioni legali: un’azione civile per esigere un credito dal marchese di Clivers e un’azione penale contro Ramsey Muir, per danni in conseguenza di una falsa accusa. Lo avvertii che nella prima azione era cointeressata anche la signorina Hilda Lindquist.
Finalmente avevo un momento di libertà; salii al secondo piano e andai a bussare alla porta della camera a mezzogiorno annunciando il mio nome. La ragazza disse “avanti” e io entrai. Stava seduta in una poltrona presso un tavolino ingombro di libri e di riviste, nessuno dei quali però era aperto. Poteva darsi benissimo che avesse dormito come un ghiro; ma aveva gli occhi stanchi. Mi guardò accigliata.
— Non dovrebbe star seduta così vicino alla finestra. Dato l’accanimento con cui la cercano, potrebbero anche prendersi il disturbo di guardar dentro dalle nostre finestre dal tetto di quella casa della Trentaquattresima Strada.
Lei si alzò e io spinsi la poltrona e il tavolino verso il letto. — Di solito, non sono pauroso, ma questa volta mi pare che stiamo giocando una carta pericolosa.
— Voi non approvate, è vero, signor Goodwin? L’ho capito fin da ieri sera. Nemmeno io approvo.
Le sorrisi. — Ahimè, il fatto che lei o io non approviamo, non cambia nulla. Nero Wolfe ha già fatto i suoi piani e le nostre parti nella commedia sono già stabilite. Cerchi solo di seguire fedelmente le sue istruzioni.
— A me non sembra una commedia — fece la ragazza accigliandosi di nuovo. — Un uomo è stato assassinato ed è colpa mia. Non mi piace nascondermi… non voglio nascondermi… preferisco…
Feci un gesto di protesta con ambo le mani.
— Dimentichi le sue preferenze. È venuta per ottenere l’aiuto di Wolfe, non è vero? Ebbene, ora deve lasciare che la aiuti come vuoi lui. Per esempio è meglio non lasciare qui quel telefono nell’angolo. — Staccai la spina, arrotolai il cordone e mi misi l’apparecchio sotto il braccio. — Fin da quando andavo a scuola ho imparato che esiste una certa cosa che si chiama impulsività femminile. Ma ecco che suona il telefono dello studio. Non apra questa porta e non vada accanto alla finestra.
Scesi le scale a due gradini per volta. Era Morley che aveva qualcosa da raccontare. Aveva incontrato qualche difficoltà ad assolvere l’incarico che Wolfe gli aveva affidato. La faccenda di Clara Fox era nelle mani del vice procuratore distrettuale, un certo Frisbie, che Morley conosceva poco; Frisbie non si era mostrato molto propenso a sbottonarsi, tuttavia Morley era riuscito a sapere qualche particolare. Nel pomeriggio di lunedì erano stati spiccati due mandati: uno di cattura per Clara Fox e uno di perquisizione per il suo appartamento. L’appartamento non era stato perquisito, perché gli agenti, dietro l’ordine di Frisbie, erano andati dapprima alla rimessa dove la ragazza teneva la sua utilitaria e avevano trovato, nella macchina, avvolti in un giornale, sotto il sedile posteriore, i trentamila dollari rubati alla compagnia Mercantile. Le autorità consideravano che ormai non vi fosse più alcun dubbio sulla colpevolezza della ragazza. Gli uomini di Frisbie non erano più in possesso del mandato di cattura, perché questo era stato passato all’ispettore Cramer dietro richiesta del Capo della polizia.
Ringraziai Morley e riappesi il ricevitore, poi salii nella serra e riferii la triste storia a Wolfe. Quando ebbi finito disse: —Avevamo torto, Archie. Non sono iene. Le iene aspettano che la loro vittima sia morta. Chiami il signor Perry al telefono, mi passi la comunicazione quassù, ma ascolti anche lei e prenda nota.
Perry disse che era molto occupato, e che sperava che Wolfe potesse sbrigarsi in fretta. Wolfe disse che lo sperava anche lui e che innanzi tutto desiderava sapere se, per caso, non avesse frainteso quel che Perry gli aveva detto durante il colloquio di lunedì. Aveva creduto di capire che Perry credeva all’innocenza della signorina Fox, che era contrario a ogni passo affrettato e che desiderava un’indagine completa e accurata. Perry disse che era proprio così. Il tono di Wolfe si fece aspro.
— Ma lei ha saputo soltanto dopo le sette di ieri sera che io non intendevo intraprendere le indagini per lei, mentre il mandato di cattura a carico della signorina Fox è stato spiccato un’ora prima. Non le sembra di aver precipitato un po’ le cose?
A giudicare dal tono, Perry sembrava imbarazzato.
— Ecco… precipitato… sì, forse, certo, l’azione è stata alquanto accelerata. Vede… mi ha chiesto ieri se non sono io la fonte di giustizia di questa organizzazione. Fino a un certo punto lo sono, sì. Ma bisogna sempre tener conto… ehm!… dell’elemento umano. Io non sono un imperatore né di fatto né per temperamento. Quando mi ha telefonato ieri sera, mi ha forse giudicato un po’ troppo brusco… a dire il vero, ero tentato di richiamarla per farle le mie scuse. In realtà ero afflitto e contrariato. Sapevo che il mandato era stato spiccato dietro richiesta del signor Muir. Senza dubbio, lei si rende conto della mia situazione. Il signor Muir è un alto funzionario della nostra Società. Quando ho saputo più tardi, in serata, che il denaro era stato rinvenuto nella vetturetta della signorina Fox, sono rimasto sbalordito… non potevo crederci… ma che cosa mi restava da fare? Sono rimasto così sorpreso.
— Davvero?— fece Wolfe sempre in tono secco. — Ora ha riavuto il suo denaro. Intende procedere ugualmente nei confronti della signorina?
— Non c’è bisogno che assuma quel tono, Wolfe. — Anche Perry diventò un po’ brusco. — Le ho detto che non sono un imperatore. Muir insiste perché si vada fino in fondo. Sarò franco con lei. Non mi riesce di fargli cambiare idea…
— Insomma, lei e d’accordo con lui, ora, è vero? Una pausa.
— No… no, no, non ho detto questo. Io… io ho la massima… comprensione per Clara… per la signorina Fox. Sarei ben lieto se si potesse evitarle il trattamento che la giustizia le può riservare. Per esempio, se ci fosse qualche difficoltà… se mancasse la cifra necessaria per il deposito di garanzia, per ottenere la libertà provvisoria, sarei lieto di sborsare… — La ringrazio. Per la libertà provvisoria penseremo noi. Mi ha pregato di esser breve, signor Perry. Innanzi tutto, le propongo di fare in modo che la denuncia contro la signorina Fox venga ritirata immediatamente. Secondo, desidero informarla di quali sono le nostre intenzioni, nel caso che questo non venga fatto subito. Alle dieci di domani mattina indurrò la signorina Fox a costituirsi e la farò liberare immediatamente versando la necessaria cauzione. Lei inizierà allora, senza indugio, un’azione contro Ramsey Muir e contro la compagnia Mercantile chiedendo un milione di dollari di indennizzo per falsa denuncia. Vede, qui non ci muoviamo più che per milioni. Credo di poterle assicurare che non ci mancheranno gli elementi per intraprendere quest’azione. Se la signorina Fox verrà processata prima, tanto meglio. La assolveranno.
— Ma come può… è assurdo… se ha delle prove…
— Basta così, signor Perry. Tengo molto alla brevità. Buon giorno.
Udii lo scatto del ricevitore che Wolfe appendeva. Perry stava balbettando ancora qualcosa, ma riappesi anch’io. Gettai il taccuino sulla scrivania, mi alzai, mi cacciai le mani nelle tasche dei calzoni e mi misi a passeggiare per la stanza. Forse borbottavo. Pensavo: “Se Wolfe vince la partita con le carte che ha in mano è certamente più bravo di quanto lui stesso non creda, ed è tutto dire”.
Il telefono squillò di nuovo. Mi sedetti alla scrivania e presi il ricevitore sperando che fosse Perry che richiamava per offrire una tregua. Invece il mio orecchio fu colpito dalla voce di basso di Fred Durkin che, fra l’altro, sembrava molto irritato.
— Sei tu, Archie?
— Sì. Cos’hai trovato?
— Niente… peggio ancora… ascolta: ti sto chiamando dal posto di polizia della Quarantasettesima Strada.
— Dal… che cosa? Dal posto di polizia? E perché?
— Perché diavolo credi che possa essere al posto di polizia? Sono stato “un po’” arrestato. Feci una smorfia e trassi un profondo sospiro.
— Bella trovata! — dissi digrignando i denti. — Bell’aiuto ci dai! Continua.
La voce di Fred si fece piagnucolosa.
— E che ci potevo fare io? Mi hanno beccato alla rimessa quando sono andato là per fare delle domande al custode. Dicono che ho commesso qualcosa, quando ho preso la macchina ieri sera. Mi pare che si stiano preparando a mandarmi da qualche parte… alla Centrale, suppongo. Che cosa volevi che facessi? Dovevo forse darmela a gambe? Mi avrebbero preso lo stesso. Adesso non avrei potuto nemmeno telefonarti se, per un caso fortunato, il sergente di guardia non fosse un mio amico.
— Pazienza. Se ti portano nell’ufficio del procuratore distrettuale tieni le orecchie aperte e la bocca chiusa il più possibile. Ora vedremo di toglierti dai guai.
— Sta bene. Senti… ti dispiace telefonare a mia moglie?
Lo rassicurai e riappesi il ricevitore. Sedetti, mi grattai il naso per benino, poi salii le scale. Wolfe era ancora nel settore delle piante tropicali. Continuò a tagliare i ramoscelli secchi e ascoltò il mio racconto senza neppure voltare il capo. Riferii l’accaduto. Disse: — Telefoni all’avvocato Barber. Può trovare Keems? No, non può. Se per caso telefona, si ricordi che voglio parlargli.
Ridiscesi, telefonai all’ufficio di Barber e pregai l’avvocato di mandare qualcuno alla Centrale di polizia per fare in modo che Fred potesse dormire con sua moglie quella sera. Continuai le mie funzioni di telefonista. Poco prima delle dieci, Saul telefonò e, dall’apparecchio della serra, Wolfe ascoltò il suo resoconto, mentre io prendevo nota dei particolari che Saul aveva raccolti da Hilda Lindquist riguardo a suo padre che si trovava nel Nebraska. La ragazza riteneva che se fosse salito su un aeroplano, suo padre sarebbe morto di paura. A quanto sembrava, Saul aveva altre istruzioni, perché Wolfe gli disse semplicemente di procedere. Poco più tardi, Orde telefonò a sua volta e quel che riferì a Wolfe mi consenti di intravedere un nuovo aspetto della situazione, aspetto che ancora non mi era passato per la mente. Presentandosi all’acida signorina Vawter come elettricista, lui era stato introdotto nella sala delle riunioni della American Trade Company e aveva appurato che, oltre alla doppia porta che avevo visto in fondo al corridoio, c’era un’altra porta che dava su un corridoio esterno. Orrie l’aveva potuta aprire dall’interno della sala e aveva constatato che da quella parte si poteva arrivare direttamente agli ascensori e uscire dallo stabile. Wolfe aveva detto a Orrie di aspettare e si era rivolto a me: — Non ricopi a macchina questa parte del resoconto di Orrie, Archie. Le note relative al resto le metta subito in cassaforte. Mi lasci in comunicazione con Orrie e vada ad accertarsi che l’altra linea sia libera. Aspetto una telefonata. Quando Keems telefonerà, gli parlerò io; affiderò a Orrie le commissioni che doveva fare Fred. Compresi a volo che il principale non voleva confondermi le idee con le istruzioni che doveva impartire a Orrie e appesi il ricevitore. Andai a mettere gli appunti nella cassaforte, poi riempii la penna stilografica di Wolfe e la provai… distrattamente, poiché il mio pensiero era lontano… seguiva una nuova pista.
Non sapevo che cosa avesse orientato le ricerche di Wolfe in quella direzione. Quella pista non era priva di interesse, ma c’era una probabilità su cento di arrivare a risultati concreti… anzi, riflettendo bene, dovetti concludere che c’era una probabilità su un milione. Avrei forse continuato ad aumentare il numero delle probabilità contrarie, se non fossi stato interrotto dal campanello della porta. Andai nell’atrio, scostai la tendina della finestra per vedere chi c’era ed ebbi una sorpresa. Era la prima volta che la casa di Wolfe veniva scambiata per una chiesa, ma non ci poteva essere altra spiegazione, poiché l’esemplare che stava davanti all’ingresso era decisamente vestito come si conviene a un testimone di una cerimonia nuziale. I due agenti se ne stavano tuttora sul marciapiede e fissavano il testimone, come se rappresentasse per loro un fenomeno inesplicabile. Tolsi il catenaccio e tirai il battente, aprendo una fessura di cinque o sei centimetri e lasciando la catena, poi in tono cerimonioso dissi: — Buon giorno.
Il visitatore cercò di guardarmi attraverso la fessura, poi parlò, con una voce da persona educata, quantunque fosse un poco stridula.
— È questa l’abitazione del signor Nero Wolfe?
— Sissignore.
Lui esitò, si volse a dare un’occhiata ai poliziotti fermi sul marciapiede, che continuavano a squadrarlo senza riguardi, poi si avvicinò alquanto e, cacciando il naso nella fessura della porta, a voce bassissima disse: — Mi manda lord Clivers. Desidero parlare col signor Wolfe. Riflettei un secondo, poi tolsi il catenaccio e aprii la porta. Lo sconosciuto entrò e io richiusi il battente tirando il catenaccio. Quando mi voltai, se ne stava col bastone appeso al braccio e si toglieva i guanti. Era alto circa un metro e novanta, snello, ma non allampanato; poteva avere la mia età, aveva la carnagione chiara e due occhi azzurri freddissimi. Era indiscutibilmente vestito con troppa ricercatezza. Con un cenno lo invitai a entrare nello studio e lo seguii. Frattanto gli avevo comunicato che il signor Wolfe era occupato e che sarebbe stato occupato fino alle undici, aggiungendo che ero il suo assistente di fiducia e che mi tenevo a sua disposizione. Quando si fu accomodato, mi guardò come se volesse accertarsi del mio diritto di esistere, prima di entrare in conversazione con me.
Disse: — Dunque, lei è il signor Goodwin? Vedo. Forse sono andato un po’ troppo in fretta… quando mi ha aperto la porta. Cioè… avrei proprio bisogno di veder subito il signor Wolfe. Se vuole essere tanto gentile… Mi chiamo Horrocks… Frank Horrocks.
Lo guardai. Dunque quello era il ganimede che comprava delle rose con uno stelo lungo un metro. Feci descrivere un mezzo giro al mio trespolo e premetti il bottone della serra. Un istante dopo udii la voce di Wolfe e dissi: — C’è qui un tale che vuol vederla… il signor Frank Horrocks. È mandato dal marchese di Clivers… Sì, nello studio… Non gliel’ho domandato… Gliel’ho detto, certo… Va bene.
Riappesi il ricevitore e feci girare il trespolo in senso inverso.
— Il signor Wolfe dice che potrà vederla alle undici, e che, nel frattempo, può provare se le basto io.
— Avrei avuto piacere di vedere il signor Wolfe — disse il giovanotto ricominciando a scrutarmi. — Tuttavia non sono che il latore di un messaggio. Prima di tutto, però, desidererei… ehm… desidererei spiegarle che sono qui in una duplice veste. La cosa può sembrare complicata, ma in realtà non lo è. Sono qui, per così dire, per scopi personali… e anche per scopi semi-ufficiali. Sarà forse opportuno che dapprima faccia la commissione di lord Clivers.
— Sta bene. Spari.
— Come ha detto? Ah, capisco. Lord Clivers desidererebbe sapere se il signor Wolfe è disposto a recarsi da lui, al suo albergo. Si potrebbe fissare un’ora…
— Su questo punto posso risparmiarle il fiato. Il signor Wolfe non ha mai fatto visita a nessuno e non farà mai visita a nessuno.
— Che dice mai! Ebbene, lord Clivers desidera ardentemente vederlo.
— Forse il signor Wolfe sarebbe lieto di parlare col marchese per telefono…
— Ma il marchese preferisce non discutere questa faccenda per telefono.
— Capisco. — Però stavo per aggiungere: “Oppure il marchese può venir qui”. — S’intende che la parte legale della vertenza è nelle mani del nostro avvocato.
Il giovane diplomatico se ne stava ritto sulla sua sedia, a braccia conserte e mi guardava. Domandò: — Vi siete assicurati i servigi di un avvocato?
— Certamente. Se si dovesse arrivare a un’azione legale, cosa che spero si eviterà, non vogliamo perdere del tempo. Abbiamo saputo che il marchese resterà a New York per un’altra settimana, cosicché dobbiamo essere pronti per citarlo prima della sua partenza. — Vedo. Questa si chiama franchezza. — Si mordicchiò le labbra e reclinò leggermente la testa da un lato. — Mi pare che, per il momento, non ci sia altro da dire. La vostra situazione è chiara. Riferirò… è l’unica cosa che io possa fare. — Cambiò posizione sulla sedia, come se fosse a disagio, e si schiarì la voce. — Ora, se non le dispiace, abbandono la mia veste d’ambasciatore per parlare di una questione di carattere privato. Mi chiamo Frank Horrocks… — Sì, ho capito.
— Vorrei parlare con la signorina Fox… con la signorina Clara Fox.
— Capisco benissimo il suo desiderio. Ho avuto il piacere di conoscere la signorina. Parlatele pure. Lui corrugò la fronte.
— Se volesse essere tanto gentile da dirle che sono qui… Non deve temere nulla. So benissimo che deve stare nascosta, ma io voglio vederla soltanto per un momento. Vede, quando questa mattina mi ha telefonato ho insistito per sapere l’indirizzo del suo rifugio. Ho insistito molto. Confesso che lei mi aveva implorato di non venir qui a cercarla, ma io non mi sono impegnato. Del resto, non si può nemmeno dire che io sia venuto qui apposta per cercarla. Sono venuto per una missione semi-ufficiale, che ne dice? Dal momento poi che ero già qui, ho chiesto di vederla. Mi pare che non ci sia niente di male.
Dopo il primo colpo, avevo ripreso il pieno controllo dei miei muscoli facciali. Dissi: — Non c’è niente da ridire… per quanto riguarda la sua richiesta… quanto poi a vedere la signorina è un’altra faccenda. Deve aver sentito male l’indirizzo o forse si è sognato questa telefonata. — Ma no, no davvero! — Si mise di nuovo a braccia conserte. — Mi ascolti, signor Goodwin, veniamo al dunque. Devo vedere la signorina Fox. Devo vederla come amico, capisce?… per ragioni puramente personali. Su questo punto sono assolutamente deciso.
— Bene, bene. La trovi. Qui non ha lasciato alcun indirizzo.
Il giovanotto scosse il capo, senza perdere la pazienza.
— Così non va, glielo assicuro. Non va. La signorina mi ha telefonato. Si trova in difficoltà? Io non so nulla di preciso. Bisogna che la veda. Se vuole dirle… Mi alzai.
— Dolente, signor Horrocks. Deve proprio andarsene? Spero che troverà la signorina Fox. Dica al marchese di Clivers…
Quello rimase inchiodato sulla sedia, tornò a scuotere il capo e corrugò la fronte. — Accidenti! Questa storia non mi piace! Mi ascolti, suppongo che comprenda la mia situazione… io ho bisogno di sapere come stanno le cose in realtà… se mi mette alla porta, non potrò fare a meno di andare da quei poliziotti che stanno fuori e dir loro che la signorina Fox mi ha telefonato da questo indirizzo alle nove di stamane. Dovrei inoltre andare alla ricerca di un telefono e ripetere immediatamente l’informazione alla Centrale di polizia. Che ne dice? Lo guardai sconcertato e dovetti ammettere che per il momento ero battuto. Non avrei saputo dire se mi trovavo di fronte a uno sciocco irriflessivo e impulsivo o a un uomo astuto e deciso. Dissi: — Mi aspetti qui. Salgo un momento dal signor Wolfe. Resti in questa stanza. Lo lasciai, feci una corsa in cucina e dissi a Fritz di vigilare e di gettare uno strillo se mai avesse visto comparire un inglese sulla soglia dello studio. Poi misi le ali ai piedi e salii al secondo piano; bussai alla porta della camera a mezzogiorno e annunciai il mio nome con voce moderata. Quando udii la chiave che girava nella serratura, aprii la porta ed entrai. La signorina Fox stava davanti allo specchio intenta a spazzolarsi i capelli; mi guardò con una espressione mezza allarmata e mezza speranzosa. Dissi: — A che ora di stamane ha telefonato a Frank Horrocks?
La ragazza mi guardò a bocca aperta. Avevo fatto centro.
— Ma io… lui… mi aveva promesso…
— Davvero? — Alzai ambo le mani con un gesto scoraggiato. — Lasciamo andare. Mi dica piuttosto perché diavolo gli ha telefonato. Spero che non si tratti di un segreto. — No, no. — Lei misi avvicinò. — C’è proprio bisogno che faccia del sarcasmo? Non c’era niente… era semplicemente una questione personale… Anzitutto mi aveva mandato delle rose e poi… poi mi ero impegnata a cenare con lui, lunedì sera. Quando ho preso l’appuntamento col signor Wolfe ho dovuto ritirare la promessa fatta al signor Horrocks e quando lui ha insistito per vedermi in serata, ho pensato che tre ore sarebbero state più che sufficienti per il mio colloquio con il signor Wolfe e gli ho detto che sarei andata con lui a ballare alle dieci. Sapevo che probabilmente sarebbe andato a casa mia e avrebbe aspettato chissà quanto tempo, poi questa mattina avrebbe tentato di telefonarmi senza, naturalmente, ottenere risposta, né mi avrebbe trovato all’ufficio. D’altra parte, non l’avevo ringraziato per le rose… Alzai una mano. — Tiri il fiato. Vedo che in questa faccenda c’è qualcosa di romantico. Sarebbe ancor più romantico se il signor Horrocks venisse a farle visita in galera. Con la dose di irriflessione di cui sta dando prova, avrebbe davvero potuto fare l’avventuriera. Non so se le consti che, secondo ciò che dice un articolo comparso nel “New York Times” di ieri, questo Horrocks è nipote del marchese di Clivers e presunto erede del titolo.
— Oh, sì, lo so. Lui mi ha spiegato tutto…
— Ora c’è una cosa che non sa. Horrocks è giù al pianterreno, nello studio, e dice che deve vederla, altrimenti si rivolgerà alla polizia.
— Che cosa? Non è possibile.
— Possibilissimo.
— Ma non dovrebbe… mi aveva promesso… lo mandi via!
— Non vuole andarsene. Se lo butto fuori, quello mi chiama il primo poliziotto che gli capita a tiro. Comunque non c’è via di scampo. Lo porterò quassù e, per l’amor del cielo, cerchi di tagliar corto e di lasciarlo ritornare subito da suo zio.
— Ma io… misericordia… — si diede un’altra spazzolata ai capelli. — Non voglio vederlo. Non ora. Lei dice… però potrei… sì… scenderò io e gli dirò…
— Niente affatto. Ancora un poco e lei vorrà andare a fare il giro dell’isolato con lui. Rimanga qui.
Sul pianerottolo esitai un attimo domandandomi se non avrei fatto bene a salire per mettere al corrente Wolfe della situazione, ma decisi che non serviva a nulla contrariarlo. Ritornai da basso e, passando per l’atrio, feci un cenno a Fritz di tornare in cucina.
Trovai il giovane diplomatico nello studio, come l’avevo lasciato, seduto, con le braccia conserte. Quando entrai, mi fissò accigliato. Gli dissi di venire con me e lasciai che mi precedesse. Aprii la porta della camera, mi scostai per lasciarlo passare e quando fu entrato lo seguii.
Clara Fox gli corse incontro. Lui la guardò con un sorriso stomachevole tanto era mellifluo, e tese la mano. La ragazza scosse il capo.
— No, non voglio stringerle la mano. Non si vergogna? Mi aveva promesso di non venire. Ha dato tutto questo disturbo al signor Goodwin.
— Suvvia, non si adiri… senta… — La sua voce era cambiata, aveva assunto un tono melato. — Dopo tutto deve capire che io sono stato in ansia… Il suo aspetto mi preoccupa, ha gli occhi stanchi.
— La ringrazio — disse Clara e, tutt’a un tratto, cominciò a ridere.
Era la prima volta che la sentivo ridere. Continuò per un poco a sghignazzargli in faccia, tanto che se fossi stato al posto di Horrocks avrei avuto qualcosa a ridire. Finalmente gli tese la mano.
— Va bene, facciamo la pace. Il signor Goodwin dice che è venuto per trarmi in salvo. L’avevo avvertita di lasciar perdere le ragazze americane…
Lui le aveva afferrato la mano con la sua grossa zampa e se la teneva stretta, come se l’avesse presa a nolo.
— Ha davvero gli occhi stanchi — ripeté. — Non si sente bene?
In quel momento dovetti intervenire. Avevo lasciato l’uscio aperto e il trillo del campanello della porta era pervenuto al mio orecchio. Mi rivolsi a Clara in tono brusco: — Senta, suonano al portone. Ora chiudo questa porta e scendo ad aprire. Sarà bene che voi due non facciate alcun rumore fino al mio ritorno. — Il campanello suonò di nuovo. — Avete capito? I due annuirono.
Scesi di corsa. Fritz stava nell’atrio, con fare bellicoso; detestava la gente che suonava con impazienza. Mi avvicinai alla porta, scostai la tendina e guardai fuori; allora ebbi la netta sensazione che mi corresse del mercurio lungo la spina dorsale. C’era un quartetto e in prima fila riconobbi il tenente Rowcliff. Era un pezzo che non mi trovavo in una situazione tanto imbarazzante. Tolsi il catenaccio e socchiusi la porta lasciando la catena.
Rowcliff attraverso la fessura disse: — E allora? Non siamo mica formiche. Avanti, apra. — Adagio. Io sono soltanto il fattorino.
— Ah, sì? Dia un’occhiata qui, se sa leggere.
Spiegò un foglio che teneva in mano e siccome avevo già visto un mandato di perquisizione, non ebbi bisogno della lente d’ingrandimento. Rowcliff disse: — Che cosa aspetta? Vuole che conti fino a dieci?