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Perry mi lanciò un’occhiata quando presi posto alla mia scrivania e aprii il taccuino. Stava dicendo: — Nulla mi ha mai irritato tanto. Forse invecchio. Non deve credere che le serbi rancore; se preferiva occuparsi degli interessi della signorina Fox, era suo diritto. Però deve ammettere che, senza volerlo, ho fatto un po’ il suo gioco. Per quanto ne so io, non aveva alcuna prova per mettere in atto la sua minaccia. — Sorrise. — Lei riterrà, naturalmente, che la mia personale… ehm… simpatia per la signorina Fox abbia influenzato il mio atteggiamento e mi abbia spinto a far pressione su Muir. Confesso che la mia benevolenza verso quella ragazza non è estranea all’andamento delle cose.
Wolfe fece un cenno d’assenso. — Naturalmente sono stato molto lieto di sapere che la denuncia è stata ritirata.
— Dice di averlo saputo dalla polizia? Speravo di portarle io stesso la buona notizia. — L’ho avuta dall’ispettore Cramer. — Wolfe si era fatto portare della birra. Se ne versò un bicchiere e riprese: — Cramer mi ha detto di essere stato avvertito della cosa da un certo signor Frisbie assistente del procuratore distrettuale. Sembra che il signor Frisbie sia amico del signor Muir.
— Già, conosco anch’io Frisbie. — Perry tossicchiò. — Dunque non sono messaggero di buone notizie. Comunque, non era questo il solo scopo della mia visita.
— Allora, signor Perry…
— Allora… credo che lei mi debba qualche cosa. Vede, minacciandomi di una querela che avrebbe provocato una pubblicità tutt’altro che desiderabile per la nostra Società, mi ha costretto a esercitare la mia autorità e a obbligare Muir a ritirare la denuncia. Muir non è un impiegato; è il più alto funzionario della Società, dopo di me, ed è possessore di un cospicuo pacchetto di azioni. L’impresa non è stata facile. — Perry si protese in avanti e soggiunse, scandendo le parole: — Io mi sono arreso a lei, ora credo di aver diritto di sapere per che cosa mi sono arreso. Posso interpretare in un modo solo la sua minaccia e cioè devo credere che, secondo lei, la signorina Fox sia stata vittima di una macchinazione per comprometterla. Lei non avrebbe osato formulare una simile accusa, se non fosse stato in possesso di qualche prova. Io voglio sapere qual è questa prova.
— Ma, signor Perry, la signorina Fox è mia cliente, mentre lei non lo è — fece Wolfe agitando l’indice verso il visitatore.
— Ah, vuole essere pagato per cantare? Se si tratta di una cifra ragionevole, pagherò — rispose Perry sorridendo.
— Qualunque informazione io abbia raccolta nell’interesse della signorina Fox, non è in vendita. — Sciocchezze. Si tratta, in ogni modo, di informazioni che a lei non servono più. — Si protese di nuovo in avanti. — Senta, Wolfe, non ho bisogno di spiegarle la mentalità di Muir… lei stesso gli ha parlato. Se a lui ha dato di volta il cervello al punto da tentare di compromettere una ragazza accusandola di un furto che non è stato commesso, soltanto per vendicarsi, non le sembra giusto che io lo sappia?
Wolfe sospirò. — Sissignore, ritengo che effettivamente dovrebbe saperlo, ma non lo saprà da me. La mia risposta è tassativa: avevo effettivamente delle prove atte a sostenere la mia minaccia, ma a nessuna condizione otterrà da me degli elementi che possano costituire per lei un’arma contro il signor Muir. Di questo, dunque, è inutile che discutiamo ulteriormente. Se c’è qualche altro argomento…
Perry insistette. Wolfe lasciò che si sbizzarrisse per un poco, poi finalmente, dopo aver tratto un sospiro, si raddrizzò sulla sua poltrona e assunse un tono positivo. — Niente da fare. Perry sembrava deciso a restar calmo. — C’era un’altra cosa che volevo domandarle. Ma non credo… però… Insomma, vorrei vedere la signorina Fox.
— Davvero? — Wolfe piegò leggermente la testa da un lato e inarcò le sopracciglia. — Quella ragazza è veramente ricercata da tutti. Sapete che anche le autorità di polizia la cercano ancora? Vogliono interrogarla in merito a un assassinio.
— In merito a un assassinio? Quale assassinio?
— Oh, un assassinio qualunque, si tratta di un uomo che è stato ucciso nella via con cinque pallottole. Credevo che Frisbie gliene avesse parlato.
— No. Muir mi ha accennato che Frisbie gli aveva detto qualcosa… non ricordo che cosa… ma questa è una faccenda seria. Crede possibile che Clara Fox sia coinvolta in un delitto? Chi è l’ucciso?
— Un certo Harlan Scovil. Gli assassinii, in generale, sono sempre faccende serie. Però credo che non sia il caso di preoccuparsi per la signorina Fox: non ha proprio nulla a che fare col delitto. Vede, è ancora mia cliente. In questo momento non è disponibile, perciò se volesse dirmi per quale motivo vuole vederla…?
Vidi due macchie di rossore apparire sugli zigomi di Perry e mi venne fatto di pensare che lui era il quarto uomo nella giornata che avevo visto emozionami vedendo Clara o soltanto udendola nominare. Finalmente disse a Wolfe, in tono pacato: — È in questa casa, non è vero? — La polizia ha perquisito questa casa, oggi, e non l’ha trovata.
— Vuole dirmi quando e dove sarà possibile vederla?
— No. Sono dolente. Non adesso. Domani, forse…
Perry si alzò. Rimase un secondo a guardare Wolfe, poi, a un tratto, sorrise e disse: — Va bene. Non posso dire che la mia visita qui sia stata molto proficua, ma non mi lamento. Ognuno ha i suoi metodi e i suoi principi. Aspetterei dunque fino a domani: spero di trovarla di umore più accomodante.
Tese la mano. Wolfe la guardò, poi aprì gli occhi e li piantò in faccia a Perry, scuotendo il capo. — Nossignore. Lei sa benissimo che in vista di questo… di questo evento, io non sono amico suo.
Gli zigomi di Perry si imporporarono di nuovo, ma lui non fece commenti. Girò sui tacchi e si diresse verso la porta. A mia volta, mi alzai e lo seguii.
Mi fermai in cucina e seppi da Saul che aveva telefonato alla Centrale di polizia e che, siccome non era riuscito a persuadere il funzionario con cui aveva parlato che lui era il re d’Inghilterra, gli aveva appeso il ricevitore in faccia.
Nello studio trovai, come di consueto, Wolfe adagiato nella sua poltrona, con gli occhi chiusi e le labbra in moto. Dopo aver dato un’occhiata alle note che avevo preso sul mio taccuino e aver riposto il taccuino stesso nel cassetto, osservai a voce alta: — È un uomo accorto. Nessuna risposta, nessun commento. Soggiunsi: — E non so se si possa dire altrettanto di voi. — Faccia silenzio, Archie. — Wolfe aprì gli occhi.
— Non ho bisogno dei suoi vaniloqui, ora. — Guardò il bicchiere vuoto e fece una smorfia. — Sono molto agitato. È già abbastanza seccante lavorare in base a informazioni inadeguate, il che capita di frequente, ma starmene qui, senza poter far altro che passare in rivista delle ipotesi, meri fantasmi della realtà, è quasi insopportabile. Forse sarebbe stato meglio che lei fosse andato alla Cinquantacinquesima Strada. Comunque, possiamo tentar di telefonare al signor Cramer. Gli ho detto che avrei telefonato alle otto… mancano solo dieci minuti. Detesto di avere delle contrarietà a quest’ora. Senza dubbio saprà che questa sera abbiamo il pollo alla brasiliana. Chiami Cramer.
Dopo cinque o sei tentativi, riuscii ad avere la linea e qualcuno mi disse che Cramer non c’era. Era uscito poco dopo le sette e non si sapeva dove fosse andato. Non aveva lasciato detto niente nel caso telefonasse Wolfe. Questi ricevette l’informazione alzandosi, poiché Fritz era apparso per annunciare che la cena era servita. Riferii l’assenza di Cramer e aggiunsi: — Perché non mi lascia andare alla Cinquantacinquesima Strada ora, per vedere se mi riesce di scoprire che cosa è accaduto? Oppure potremmo mandare Saul.
Wolfe scosse il capo. — Alla Cinquantacinquesima Strada ci deve essere mezza Centrale di polizia ora, e se c’è qualcosa da apprendere lo sapremo più tardi mettendoci in comunicazione con Cramer, senza comprometterci minimamente. — Si incamminò verso la porta della sala da pranzo. — Non c’è bisogno di tenere qui Johnny per lasciarlo seduto in cucina, dal momento che ci costa un dollaro e mezzo all’ora. Lo mandi a casa. Saul può rimanere. Vada a chiamare la signorina Fox.
Eseguii gli ordini.
A tavola, naturalmente, non si parlava di lavoro. Non dicemmo nulla a Clara Fox, in merito alla strana chiamata di Walsh e alla visita di Perry. Benché avesse una rosa puntata al vestito, la ragazza sembrava depressa e non faceva neppure uno sforzo per nascondere il proprio stato d’animo, ma anche così, osservandola freddamente, mi rendevo conto che era pericolosa per qualunque uomo sensibile.
Quando fu servito il caffè, Wolfe le disse che la denuncia per il furto era stata ritirata. La ragazza spalancò a un tempo gli occhi e la bocca.
— No! Davvero? Allora me ne posso andare? — Si fermò e pose una mano sul braccio del mio principale, arrossendo. — Oh, non intendo dire… sono villana, vero? Ma lei sa che sensazione provo, a starmene nascosta…
— Perfettamente. — Wolfe annuì. — Temo, però, che mi dovrà chiedere di ospitarla ancora per un poco. Non può ancora andarsene.
— Perché no?
— Prima di tutto perché potrebbe essere uccisa. E le dirò che questo potrebbe accadere con tutta probabilità. In secondo luogo, dobbiamo ancora aspettare un ulteriore sviluppo della situazione. Bisogna che si fidi ancora di me. Archie le ha riferito come lord Clivers dichiari di aver pagato…
Non udii la fine del discorso, perché il campanello della porta suonò. Attraversai l’atrio di corsa. Era soltanto Johnny che avevo mandato a casa più di un’ora prima. Domandandomi perché fosse tornato lo feci entrare. Disse: — L’avete visto? — Trasse di tasca un giornale e me lo porse. Soggiunse: — Stavo andando al cinema, a Broadway, quando ho sentito gli strilloni che annunciavano un’edizione straordinaria. Ho visto di che si trattava e ho pensato che fosse meglio venire subito qui…
Avevo già dato un’occhiata ai titoli. Gli dissi: — Vai nello studio… no, meglio in cucina. Hai fatto bene a tornare, ragazzo mio.
Rientrai in sala da pranzo, spostai la tazzina del caffè di Wolfe e stesi il giornale davanti a lui, annunciando: — Ecco! Ecco lo sviluppo della situazione che aspettava!
Rimasi in piedi accanto al principale leggendo assieme a lui, mentre Clara Fox restava seduta un po’ in disparte e ci guardava perplessa.

ARRESTO DI UN NOBILE INGLESE INVIATO DIPLOMATICO,
RINVENUTO ACCANTO A UN UOMO ASSASSINATO.
UN GIORNALISTA TESTIMONE OCULARE DEL DRAMMA
SENZA PRECEDENTI.

Alle diciannove e cinque di questa sera, il marchese di Clivers, inviato speciale della Gran Bretagna negli Stati Uniti, è stato scoperto da un agente della polizia nel recinto di un edificio in costruzione nella Cinquantacinquesima Strada, accanto al cadavere di un uomo che era stato ucciso un momento mima con un colpo di rivoltella. Il colpo era stato sparato alle spalle della vittima che è stata colpita alla nuca dal proiettile. Il morto è un certo Mike Walsh, guardiano notturno. L’agente di polizia è Purley Stebbins della Sezione Omicidi. Alle diciannove, un collaboratore del “Gazette“ che percorreva la Madison Avenue, vedendo un assembramento all’imbocco della Cinquantacinquesima Strada, si era fermato per appurare l’accaduto. Constatando che si trattava soltanto di un piccolo incidente stradale, il giornalista si è incamminato per la Cinquantacinquesima Strada. Aveva fatto pochi passi quando vide un uomo attraversare la strada e riconobbe in lui Purley Stebbins, noto funzionario di polizia. Colpito dall’aria frettolosa di Stebbins, il giornalista si è fermato e ha visto che il funzionario apriva la porta di una staccionata eretta davanti a un edificio in costruzione.
Il collaboratore del ”Gazette“, preso da curiosità, ha attraversato la strada ed è entrato a sua volta seguendo il poliziotto tra il materiale da costruzione. Poco dopo, ha visto che Stebbins afferrava per il braccio un uomo elegantemente vestito da sera, il quale tentava di divincolarsi. Il nostro collega non tardava poi a vedere un’altra cosa: il cadavere di un uomo disteso al suolo.
Avvicinatosi per vedere la faccia dell’uomo in abito da sera e riconosciutolo subito, il giornalista ha avuto la prontezza di spirito di esclamare: ”Lord Clivers!“. L’arrestato ha subito risposto: ”Chi diavolo è lei?“.
Il funzionario che era intento a perquisire il diplomatico per vedere che non fosse armato, ha chiesto al giornalista di telefonare alla Centrale di polizia e di pregare l’ispettore Cramer di raggiungerlo. Il cadavere era posto in una posizione tale che il nostro collega ha dovuto scavalcarlo per raggiungere l’apparecchio telefonico fissato a una parete, nella baracca del guardiano. Frattanto Stebbins aveva preso il fischietto e aveva lanciato il suo richiamo, cosicché in breve era stato raggiunto da un agente in divisa. Questi, chinatosi sul cadavere, ha subito esclamato: “È il guardiano notturno, il vecchio Walsh!”.
Dopo aver telefonato alla Centrale di polizia, il giornalista si è avvicinato a lord Clivers domandandogli di fare qualche dichiarazione per la stampa. Stebbins gli ha ordinato allora di allontanarsi e siccome il giornalista insisteva, il funzionario ha dato l’ordine all’agente sopraggiunto di buttarlo fuori, cosicché il nostro collega è stato cacciato dal cantiere a viva forza.
Il sovrintendente dei lavori ha confermato per telefono che il nome del guardiano notturno era Mike Walsh. Lui non sa assolutamente in qual modo Walsh potesse essere in rapporti con un membro della nobiltà britannica. Nessuna informazione si è potuta ottenere in merito, all’albergo Portland, dove lord Clivers abita.
Alle diciannove e trenta l’ispettore Cramer e vari membri del corpo di polizia sono arrivati sul posto, ma è stato vietato l’accesso al cantiere a tutti gli estranei, e i funzionari non hanno fatto alcuna dichiarazione alla stampa.

C’era una fotografia di Clivers, presa la settimana prima nei giardini della Casa Bianca. Ero furibondo. Almeno fossi andato sul luogo! Lanciai un’occhiata fulminante a Wolfe. Mi sentii toccare un braccio e volgendomi vidi che Clara mi si era avvicinata. — Che cosa c’è?
Rivolsi la mia collera contro di lei e le dissi: — Oh, niente di grave. Si tratta soltanto di un altro dei suoi compagni che è andato all’altro mondo. La vostra squadra si assottiglia. Walsh è stato ucciso con un colpo di rivoltella e Clivers stato trovato accanto al cadavere… — Mike Walsh! No! — la ragazza si era fatta pallidissima. — Non è possibile! Mi faccia vedere… Wolfe si era di nuovo adagiato contro lo schienale della sedia, aveva chiuso gli occhi e le sue labbra erano in movimento. Afferrai il giornale e lo porsi a Clara.
— Legga, legga e si diverta! — La ragazza prese il giornale e si lasciò sfuggire un’esclamazione soffocata. Soggiunsi: — È semplicemente mostruoso…
Wolfe aprì gli occhi e disse pacatamente: — Conduca la signorina Fox in camera, poi venga nel mio studio.
Si alzò e Clara Fox ne imitò l’esempio, poi ci guardò alternativamente. Annunciò: — Io non salgo. Non posso… non posso restare qui. Me ne vado… me ne vado… me ne vado… — Dove? — domandai inarcando le sopracciglia.
La ragazza esplose: — Che ne so io? Non capite… che devo… che devo fare qualcosa? — A un tratto si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, e cominciò a torcersi le mani e a tremare. — Povero vecchio Walsh… perché, in nome del cielo… perché mi è venuto in mente…
Wolfe le si avvicinò e le pose una mano sulla spalla. Lei alzò il capo e fu scossa da un brivido. — È stato lei a lasciare andare Walsh, quando sapeva…
— Sapevo ben poco. Ora so ancor meno. Archie, chiami Saul.
Andai in cucina a chiamare il collega. Wolfe gli domandò: — Quanto tempo ci vorrà per far venire qui la signorina Lindquist?
Saul rifletté un istante, poi: — Cinquanta minuti se le telefono di venire… un’ora e mezzo se vado a prenderla.
— Bene, telefoni. Sarà bene che le dica per telefono che Walsh è stato ucciso, perché se strada facendo vede qualche edizione straordinaria, perde la testa anche lei. C’è qualcuno che possa accompagnarla?
— Sissignore!
— Usi pure il telefono dello studio. Le dica di venire subito, ma senza affannarsi. — Sissignore — rispose Saul e se ne andò.
Clara Fox disse in tono molto più calmo: — Io non ho perso la testa. — Si ravvivò i capelli, ma la mano le tremava. — Non pensavo, quando ho detto che ha lasciato andare Mike Walsh… — Naturale che non pensava. — Il tono di Wolfe non si raddolcì per niente. — Non era in condizioni di pensare a nulla. Neppure adesso è in grado di pensare. Archie e io abbiamo alcune cose da fare. Non può lasciare questa casa, almeno per ora. Vuol salire nella sua camera e aspettare l’arrivo della signorina Lindquist?
— Sì. — Si alzò. — Però vorrei… se qualcuno telefonasse per me… vorrei parlare. Wolfe assenti. — Non ho nulla in contrario. Credo però che il signor Horrocks sarà troppo occupato per i guai del suo illustre parente, per fare delle telefonate frivole.
Ma era il giorno delle cantonate, per Wolfe. Meno di un quarto d’ora dopo, Horrocks telefonò domandando di Clara Fox. Nel frattempo Wolfe e io eravamo passati nello studio e avevamo saputo da Saul che era riuscito a parlare con Hilda Lindquist, la quale sarebbe venuta subito. Wolfe era andato a incastrarsi nella sua poltrona, aveva fatto giustizia sommaria di una bottiglia di birra e respingeva ostinatamente i miei tentativi di entrare in discussione. Horrocks non fece menzione dell’imbroglio in cui si trovava suo zio; si limitò a domandare di Clara e io mandai Saul ad avvertirla che le avrei passato la comunicazione nella camera di Wolfe, dal momento che non c’era più telefono in quella di lei.
Finalmente il principale sospirò e usci dal letargo.
— Provi a chiamare Cramer.
Obbedii. Nessun risultato. Wolfe sospirò di nuovo.
— Archie, si è mai trovato di fronte a un simile garbuglio di cose insensate?
— Nossignore. Se soltanto fossi andato…
— Se ripete un’altra volta questo ritornello, la mando su con la signorina Fox. È proprio convinto che la sua presenza alla Cinquantacinquesima Strada avrebbe risolto tutte le nostre difficoltà? Questa faccenda è davvero assurda e ci costringe a prendere delle misure non meno assurde. Dovremo indagare sui movimenti del signor Muir dalle sei di questa sera in poi, dovremo confidare all’ispettore Cramer almeno una parte dei fatti che sono a nostra conoscenza, dovremo esaminare di nuovo la situazione e i movimenti di lord Clivers, dovremo scoprire come un uomo può trovarsi in due luoghi diversi nello stesso momento e infine mi toccherà fare un’altra telefonata nel Nebraska. Chiami quella fattoria del Nebraska, Archie… il nome è Donvaag.
Presi il ricevitore. A quell’ora di sera le linee erano abbastanza sgombre e ottenni la comunicazione con Plainview nel Nebraska, in meno di un quarto d’ora. Comunicazione perfetta. Wolfe prese il ricevitore.
— Signor Donvaag? Sono Wolfe… proprio così. Si ricorda che le ho parlato nel pomeriggio di oggi e che è stato tanto gentile da andare a chiamare il signor Lindquist?… Sì, signor Donvaag. Devo chiederle un altro favore. Mi sente bene?… Bisognerà che vada ancora dal signor Lindquist, questa sera, oppure domani mattina al più presto. Gli dica che ho motivo di sospettare che qualcuno voglia fargli del male… Sì. Non so come. Gli dica di essere prudente… Molto prudente. Mangia canditi? Potrebbe ricevere una scatola di canditi avvelenati per posta. Forse anche una bomba. Qualunque cosa. Potrebbe ricevere un telegramma che gli annuncia la morte di sua figlia, e si può facilmente immaginare quale sarebbe la conseguenza… No davvero. Sua figlia sta benissimo e non c’è niente da temere per lei… Insomma, si tratta di una situazione molto particolare; potrò sapere tutto più tardi. Gli dica di essere molto prudente e di non fidarsi di nulla e di nessuno… Può andare subito? Bene. Lei è molto gentile, signor Donvaag. Buona sera.
Wolfe riappese il ricevitore e premette il campanello per chiedere della birra. Sospirò. — Archie, fornisca a Saul i dati necessari riguardo al signor Muir e lo mandi fuori. Abbiamo bisogno di sapere dove si trovava dalle sei alle otto di questa sera.
Andai in cucina e impartii a Saul le necessarie istruzioni. Johnny stava aiutando Fritz a riordinare la cucina e Saul era seduto a tavola, nell’angolo che occupavo in generale per la mia colazione del mattino, intento a spazzar via alcune olive rimaste. Puntò verso di me il suo naso lunghissimo e mi ascoltò con la massima attenzione, poi annuì più volte, intascò un vetone per le spese e se ne andò.
Di ritorno nello studio, domandai a Wolfe se voleva che tentassi di nuovo di chiamare Cramer. Scosse il capo. Era appoggiato all’indietro contro lo schienale della poltrona con gli occhi chiusi e dal moto continuo delle sue labbra compresi che era a colloquio con sé stesso. Sedetti e misi i piedi sulla scrivania. Due minuti dopo mi alzai di nuovo, andai in cucina, feci qualche domanda a Johnny sulla topografia della Cinquantacinquesima Strada, e sulle zone limitrofe, poi bevvi un bicchiere di latte.
Erano le dieci quando Hilda Lindquist arrivò. C’era un uomo con lei, che quando seppe che Saul non c’era, non fece neppure l’atto di entrare. Gli dissi che Saul avrebbe pensato a regolare tutto con lui e lui se ne andò. La faccia quadrata e il vestito marrone di Hilda non sembravano essersi affatto deteriorati durante le ventiquattr’ore in cui era stata lontana da noi, però i suoi occhi avevano un’espressione grave e determinata. Compresi che da un momento all’altro quella poteva darci del filo da torcere, perciò la feci passare nella sala da pranzo e la pregai di aspettare un minuto.
Corsi su nella camera a mezzogiorno e dissi a Clara: — Hilda Lindquist è giù e vorrei mandarla qui da lei. Lei crede che l’impresa sia fallita irrimediabilmente ed è convinta di doversene ritornare a casa a tasche vuote, dal suo povero vecchio padre. Basta guardarla in faccia per capire che ci vorrà qualcosa di più che la diplomazia britannica per persuaderla a non andarsene col primo treno.
L’avevo trovata sprofondata in una poltrona, con le labbra strette e le mani intrecciate. Alzò il capo e mi guardò.
— Va bene. Siamo d’accordo. La mandi qui.
— Potrà dormire con lei, oppure nella stanza di fronte alla sua, su questo piano. Se avete bisogno di qualcosa suonate per Fritz.
Discesi e dissi alla donna delle praterie che Clara Fox le voleva parlare. Un momento dopo, dal basso udii che le due ragazze si salutavano sul pianerottolo del secondo piano. Nello studio regnava un silenzio opprimente; Wolfe era ancora a colloquio con sé stesso. Cercai qualcosa da fare. Riguardai i disegni di Johnny, verificai una nota presentata da Theodore, rilessi l’articolo della “Gazette” sull’affare della Cinquantacinquesima Strada e infine fui preso da un senso così acuto di sconforto che alle undici in punto esplosi: — Se questo stato di cose continua per altri dieci minuti, divento matto!
Wolfe aprì gli occhi, mi guardò con aria di compatimento e li richiuse. Alzai le braccia in un gesto scoraggiato.
Il campanello della porta trillò. Continuò a suonare insistentemente, perciò, con tutta calma, scostai la tendina della vetrata per guardar fuori; vidi che c’erano quattro persone. Li riconobbi tutti. Girai sui tacchi e rientrai nello studio.
— Chi diavolo suona il campanello in questo modo? — domandò Wolfe. — Perché non ha… Lo interruppi sogghignando: — Quello che suona è il Capo della polizia, Hombert; sono con lui l’ispettore Cramer, il procuratore distrettuale Skinner e il mio vecchio amico Stebbins della Sezione Omicidi. È forse troppo tardi per ricevere visite?
— Niente affatto! — Wolfe si raddrizzò sulla poltrona e si strofinò il naso. — Li faccia entrare.