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Perry mi lanciò un’occhiata quando presi posto alla mia
scrivania e aprii il taccuino. Stava dicendo: — Nulla mi ha mai
irritato tanto. Forse invecchio. Non deve credere che le serbi
rancore; se preferiva occuparsi degli interessi della signorina
Fox, era suo diritto. Però deve ammettere che, senza volerlo, ho
fatto un po’ il suo gioco. Per quanto ne so io, non aveva alcuna
prova per mettere in atto la sua minaccia. — Sorrise. — Lei
riterrà, naturalmente, che la mia personale… ehm… simpatia per la
signorina Fox abbia influenzato il mio atteggiamento e mi abbia
spinto a far pressione su Muir. Confesso che la mia benevolenza
verso quella ragazza non è estranea all’andamento delle cose.
Wolfe fece un cenno d’assenso. — Naturalmente sono stato molto
lieto di sapere che la denuncia è stata ritirata.
— Dice di averlo saputo dalla polizia? Speravo di portarle io
stesso la buona notizia. — L’ho avuta dall’ispettore Cramer. —
Wolfe si era fatto portare della birra. Se ne versò un bicchiere e
riprese: — Cramer mi ha detto di essere stato avvertito della cosa
da un certo signor Frisbie assistente del procuratore distrettuale.
Sembra che il signor Frisbie sia amico del signor Muir.
— Già, conosco anch’io Frisbie. — Perry tossicchiò. — Dunque non
sono messaggero di buone notizie. Comunque, non era questo il solo
scopo della mia visita.
— Allora, signor Perry…
— Allora… credo che lei mi debba qualche cosa. Vede, minacciandomi
di una querela che avrebbe provocato una pubblicità tutt’altro che
desiderabile per la nostra Società, mi ha costretto a esercitare la
mia autorità e a obbligare Muir a ritirare la denuncia. Muir non è
un impiegato; è il più alto funzionario della Società, dopo di me,
ed è possessore di un cospicuo pacchetto di azioni. L’impresa non è
stata facile. — Perry si protese in avanti e soggiunse, scandendo
le parole: — Io mi sono arreso a lei, ora credo di aver diritto di
sapere per che cosa mi sono arreso. Posso interpretare in un modo
solo la sua minaccia e cioè devo credere che, secondo lei, la
signorina Fox sia stata vittima di una macchinazione per
comprometterla. Lei non avrebbe osato formulare una simile accusa,
se non fosse stato in possesso di qualche prova. Io voglio sapere
qual è questa prova.
— Ma, signor Perry, la signorina Fox è mia cliente, mentre lei non
lo è — fece Wolfe agitando l’indice verso il visitatore.
— Ah, vuole essere pagato per cantare? Se si tratta di una cifra
ragionevole, pagherò — rispose Perry sorridendo.
— Qualunque informazione io abbia raccolta nell’interesse della
signorina Fox, non è in vendita. — Sciocchezze. Si tratta, in ogni
modo, di informazioni che a lei non servono più. — Si protese di
nuovo in avanti. — Senta, Wolfe, non ho bisogno di spiegarle la
mentalità di Muir… lei stesso gli ha parlato. Se a lui ha dato di
volta il cervello al punto da tentare di compromettere una ragazza
accusandola di un furto che non è stato commesso, soltanto per
vendicarsi, non le sembra giusto che io lo sappia?
Wolfe sospirò. — Sissignore, ritengo che effettivamente dovrebbe
saperlo, ma non lo saprà da me. La mia risposta è tassativa: avevo
effettivamente delle prove atte a sostenere la mia minaccia, ma a
nessuna condizione otterrà da me degli elementi che possano
costituire per lei un’arma contro il signor Muir. Di questo,
dunque, è inutile che discutiamo ulteriormente. Se c’è qualche
altro argomento…
Perry insistette. Wolfe lasciò che si sbizzarrisse per un poco, poi
finalmente, dopo aver tratto un sospiro, si raddrizzò sulla sua
poltrona e assunse un tono positivo. — Niente da fare. Perry
sembrava deciso a restar calmo. — C’era un’altra cosa che volevo
domandarle. Ma non credo… però… Insomma, vorrei vedere la signorina
Fox.
— Davvero? — Wolfe piegò leggermente la testa da un lato e inarcò
le sopracciglia. — Quella ragazza è veramente ricercata da tutti.
Sapete che anche le autorità di polizia la cercano ancora? Vogliono
interrogarla in merito a un assassinio.
— In merito a un assassinio? Quale assassinio?
— Oh, un assassinio qualunque, si tratta di un uomo che è stato
ucciso nella via con cinque pallottole. Credevo che Frisbie gliene
avesse parlato.
— No. Muir mi ha accennato che Frisbie gli aveva detto qualcosa…
non ricordo che cosa… ma questa è una faccenda seria. Crede
possibile che Clara Fox sia coinvolta in un delitto? Chi è
l’ucciso?
— Un certo Harlan Scovil. Gli assassinii, in generale, sono sempre
faccende serie. Però credo che non sia il caso di preoccuparsi per
la signorina Fox: non ha proprio nulla a che fare col delitto.
Vede, è ancora mia cliente. In questo momento non è disponibile,
perciò se volesse dirmi per quale motivo vuole vederla…?
Vidi due macchie di rossore apparire sugli zigomi di Perry e mi
venne fatto di pensare che lui era il quarto uomo nella giornata
che avevo visto emozionami vedendo Clara o soltanto udendola
nominare. Finalmente disse a Wolfe, in tono pacato: — È in questa
casa, non è vero? — La polizia ha perquisito questa casa, oggi, e
non l’ha trovata.
— Vuole dirmi quando e dove sarà possibile vederla?
— No. Sono dolente. Non adesso. Domani, forse…
Perry si alzò. Rimase un secondo a guardare Wolfe, poi, a un
tratto, sorrise e disse: — Va bene. Non posso dire che la mia
visita qui sia stata molto proficua, ma non mi lamento. Ognuno ha i
suoi metodi e i suoi principi. Aspetterei dunque fino a domani:
spero di trovarla di umore più accomodante.
Tese la mano. Wolfe la guardò, poi aprì gli occhi e li piantò in
faccia a Perry, scuotendo il capo. — Nossignore. Lei sa benissimo
che in vista di questo… di questo evento, io non sono amico
suo.
Gli zigomi di Perry si imporporarono di nuovo, ma lui non fece
commenti. Girò sui tacchi e si diresse verso la porta. A mia volta,
mi alzai e lo seguii.
Mi fermai in cucina e seppi da Saul che aveva telefonato alla
Centrale di polizia e che, siccome non era riuscito a persuadere il
funzionario con cui aveva parlato che lui era il re d’Inghilterra,
gli aveva appeso il ricevitore in faccia.
Nello studio trovai, come di consueto, Wolfe adagiato nella sua
poltrona, con gli occhi chiusi e le labbra in moto. Dopo aver dato
un’occhiata alle note che avevo preso sul mio taccuino e aver
riposto il taccuino stesso nel cassetto, osservai a voce alta: — È
un uomo accorto. Nessuna risposta, nessun commento. Soggiunsi: — E
non so se si possa dire altrettanto di voi. — Faccia silenzio,
Archie. — Wolfe aprì gli occhi.
— Non ho bisogno dei suoi vaniloqui, ora. — Guardò il bicchiere
vuoto e fece una smorfia. — Sono molto agitato. È già abbastanza
seccante lavorare in base a informazioni inadeguate, il che capita
di frequente, ma starmene qui, senza poter far altro che passare in
rivista delle ipotesi, meri fantasmi della realtà, è quasi
insopportabile. Forse sarebbe stato meglio che lei fosse andato
alla Cinquantacinquesima Strada. Comunque, possiamo tentar di
telefonare al signor Cramer. Gli ho detto che avrei telefonato alle
otto… mancano solo dieci minuti. Detesto di avere delle contrarietà
a quest’ora. Senza dubbio saprà che questa sera abbiamo il pollo
alla brasiliana. Chiami Cramer.
Dopo cinque o sei tentativi, riuscii ad avere la linea e qualcuno
mi disse che Cramer non c’era. Era uscito poco dopo le sette e non
si sapeva dove fosse andato. Non aveva lasciato detto niente nel
caso telefonasse Wolfe. Questi ricevette l’informazione alzandosi,
poiché Fritz era apparso per annunciare che la cena era servita.
Riferii l’assenza di Cramer e aggiunsi: — Perché non mi lascia
andare alla Cinquantacinquesima Strada ora, per vedere se mi riesce
di scoprire che cosa è accaduto? Oppure potremmo mandare Saul.
Wolfe scosse il capo. — Alla Cinquantacinquesima Strada ci deve
essere mezza Centrale di polizia ora, e se c’è qualcosa da
apprendere lo sapremo più tardi mettendoci in comunicazione con
Cramer, senza comprometterci minimamente. — Si incamminò verso la
porta della sala da pranzo. — Non c’è bisogno di tenere qui Johnny
per lasciarlo seduto in cucina, dal momento che ci costa un dollaro
e mezzo all’ora. Lo mandi a casa. Saul può rimanere. Vada a
chiamare la signorina Fox.
Eseguii gli ordini.
A tavola, naturalmente, non si parlava di lavoro. Non dicemmo nulla
a Clara Fox, in merito alla strana chiamata di Walsh e alla visita
di Perry. Benché avesse una rosa puntata al vestito, la ragazza
sembrava depressa e non faceva neppure uno sforzo per nascondere il
proprio stato d’animo, ma anche così, osservandola freddamente, mi
rendevo conto che era pericolosa per qualunque uomo sensibile.
Quando fu servito il caffè, Wolfe le disse che la denuncia per il
furto era stata ritirata. La ragazza spalancò a un tempo gli occhi
e la bocca.
— No! Davvero? Allora me ne posso andare? — Si fermò e pose una
mano sul braccio del mio principale, arrossendo. — Oh, non intendo
dire… sono villana, vero? Ma lei sa che sensazione provo, a
starmene nascosta…
— Perfettamente. — Wolfe annuì. — Temo, però, che mi dovrà chiedere
di ospitarla ancora per un poco. Non può ancora andarsene.
— Perché no?
— Prima di tutto perché potrebbe essere uccisa. E le dirò che
questo potrebbe accadere con tutta probabilità. In secondo luogo,
dobbiamo ancora aspettare un ulteriore sviluppo della situazione.
Bisogna che si fidi ancora di me. Archie le ha riferito come lord
Clivers dichiari di aver pagato…
Non udii la fine del discorso, perché il campanello della porta
suonò. Attraversai l’atrio di corsa. Era soltanto Johnny che avevo
mandato a casa più di un’ora prima. Domandandomi perché fosse
tornato lo feci entrare. Disse: — L’avete visto? — Trasse di tasca
un giornale e me lo porse. Soggiunse: — Stavo andando al cinema, a
Broadway, quando ho sentito gli strilloni che annunciavano
un’edizione straordinaria. Ho visto di che si trattava e ho pensato
che fosse meglio venire subito qui…
Avevo già dato un’occhiata ai titoli. Gli dissi: — Vai nello
studio… no, meglio in cucina. Hai fatto bene a tornare, ragazzo
mio.
Rientrai in sala da pranzo, spostai la tazzina del caffè di Wolfe e
stesi il giornale davanti a lui, annunciando: — Ecco! Ecco lo
sviluppo della situazione che aspettava!
Rimasi in piedi accanto al principale leggendo assieme a lui,
mentre Clara Fox restava seduta un po’ in disparte e ci guardava
perplessa.
ARRESTO DI UN NOBILE INGLESE INVIATO DIPLOMATICO,
RINVENUTO ACCANTO A UN UOMO ASSASSINATO.
UN GIORNALISTA TESTIMONE OCULARE DEL DRAMMA
SENZA PRECEDENTI.
Alle diciannove e cinque di questa sera, il marchese di Clivers,
inviato speciale della Gran Bretagna negli Stati Uniti, è stato
scoperto da un agente della polizia nel recinto di un edificio in
costruzione nella Cinquantacinquesima Strada, accanto al cadavere
di un uomo che era stato ucciso un momento mima con un colpo di
rivoltella. Il colpo era stato sparato alle spalle della vittima
che è stata colpita alla nuca dal proiettile. Il morto è un certo
Mike Walsh, guardiano notturno. L’agente di polizia è Purley
Stebbins della Sezione Omicidi. Alle diciannove, un collaboratore
del “Gazette“ che percorreva la Madison Avenue, vedendo un
assembramento all’imbocco della Cinquantacinquesima Strada, si era
fermato per appurare l’accaduto. Constatando che si trattava
soltanto di un piccolo incidente stradale, il giornalista si è
incamminato per la Cinquantacinquesima Strada. Aveva fatto pochi
passi quando vide un uomo attraversare la strada e riconobbe in lui
Purley Stebbins, noto funzionario di polizia. Colpito dall’aria
frettolosa di Stebbins, il giornalista si è fermato e ha visto che
il funzionario apriva la porta di una staccionata eretta davanti a
un edificio in costruzione.
Il collaboratore del ”Gazette“, preso da curiosità, ha attraversato
la strada ed è entrato a sua volta seguendo il poliziotto tra il
materiale da costruzione. Poco dopo, ha visto che Stebbins
afferrava per il braccio un uomo elegantemente vestito da sera, il
quale tentava di divincolarsi. Il nostro collega non tardava poi a
vedere un’altra cosa: il cadavere di un uomo disteso al suolo.
Avvicinatosi per vedere la faccia dell’uomo in abito da sera e
riconosciutolo subito, il giornalista ha avuto la prontezza di
spirito di esclamare: ”Lord Clivers!“. L’arrestato ha subito
risposto: ”Chi diavolo è lei?“.
Il funzionario che era intento a perquisire il diplomatico per
vedere che non fosse armato, ha chiesto al giornalista di
telefonare alla Centrale di polizia e di pregare l’ispettore Cramer
di raggiungerlo. Il cadavere era posto in una posizione tale che il
nostro collega ha dovuto scavalcarlo per raggiungere l’apparecchio
telefonico fissato a una parete, nella baracca del guardiano.
Frattanto Stebbins aveva preso il fischietto e aveva lanciato il
suo richiamo, cosicché in breve era stato raggiunto da un agente in
divisa. Questi, chinatosi sul cadavere, ha subito esclamato: “È il
guardiano notturno, il vecchio Walsh!”.
Dopo aver telefonato alla Centrale di polizia, il giornalista si è
avvicinato a lord Clivers domandandogli di fare qualche
dichiarazione per la stampa. Stebbins gli ha ordinato allora di
allontanarsi e siccome il giornalista insisteva, il funzionario ha
dato l’ordine all’agente sopraggiunto di buttarlo fuori, cosicché
il nostro collega è stato cacciato dal cantiere a viva forza.
Il sovrintendente dei lavori ha confermato per telefono che il nome
del guardiano notturno era Mike Walsh. Lui non sa assolutamente in
qual modo Walsh potesse essere in rapporti con un membro della
nobiltà britannica. Nessuna informazione si è potuta ottenere in
merito, all’albergo Portland, dove lord Clivers abita.
Alle diciannove e trenta l’ispettore Cramer e vari membri del corpo
di polizia sono arrivati sul posto, ma è stato vietato l’accesso al
cantiere a tutti gli estranei, e i funzionari non hanno fatto
alcuna dichiarazione alla stampa.
C’era una fotografia di Clivers, presa la settimana prima nei
giardini della Casa Bianca. Ero furibondo. Almeno fossi andato sul
luogo! Lanciai un’occhiata fulminante a Wolfe. Mi sentii toccare un
braccio e volgendomi vidi che Clara mi si era avvicinata. — Che
cosa c’è?
Rivolsi la mia collera contro di lei e le dissi: — Oh, niente di
grave. Si tratta soltanto di un altro dei suoi compagni che è
andato all’altro mondo. La vostra squadra si assottiglia. Walsh è
stato ucciso con un colpo di rivoltella e Clivers stato trovato
accanto al cadavere… — Mike Walsh! No! — la ragazza si era fatta
pallidissima. — Non è possibile! Mi faccia vedere… Wolfe si era di
nuovo adagiato contro lo schienale della sedia, aveva chiuso gli
occhi e le sue labbra erano in movimento. Afferrai il giornale e lo
porsi a Clara.
— Legga, legga e si diverta! — La ragazza prese il giornale e si
lasciò sfuggire un’esclamazione soffocata. Soggiunsi: — È
semplicemente mostruoso…
Wolfe aprì gli occhi e disse pacatamente: — Conduca la signorina
Fox in camera, poi venga nel mio studio.
Si alzò e Clara Fox ne imitò l’esempio, poi ci guardò
alternativamente. Annunciò: — Io non salgo. Non posso… non posso
restare qui. Me ne vado… me ne vado… me ne vado… — Dove? — domandai
inarcando le sopracciglia.
La ragazza esplose: — Che ne so io? Non capite… che devo… che devo
fare qualcosa? — A un tratto si lasciò cadere di nuovo sulla sedia,
e cominciò a torcersi le mani e a tremare. — Povero vecchio Walsh…
perché, in nome del cielo… perché mi è venuto in mente…
Wolfe le si avvicinò e le pose una mano sulla spalla. Lei alzò il
capo e fu scossa da un brivido. — È stato lei a lasciare andare
Walsh, quando sapeva…
— Sapevo ben poco. Ora so ancor meno. Archie, chiami Saul.
Andai in cucina a chiamare il collega. Wolfe gli domandò: — Quanto
tempo ci vorrà per far venire qui la signorina Lindquist?
Saul rifletté un istante, poi: — Cinquanta minuti se le telefono di
venire… un’ora e mezzo se vado a prenderla.
— Bene, telefoni. Sarà bene che le dica per telefono che Walsh è
stato ucciso, perché se strada facendo vede qualche edizione
straordinaria, perde la testa anche lei. C’è qualcuno che possa
accompagnarla?
— Sissignore!
— Usi pure il telefono dello studio. Le dica di venire subito, ma
senza affannarsi. — Sissignore — rispose Saul e se ne andò.
Clara Fox disse in tono molto più calmo: — Io non ho perso la
testa. — Si ravvivò i capelli, ma la mano le tremava. — Non
pensavo, quando ho detto che ha lasciato andare Mike Walsh… —
Naturale che non pensava. — Il tono di Wolfe non si raddolcì per
niente. — Non era in condizioni di pensare a nulla. Neppure adesso
è in grado di pensare. Archie e io abbiamo alcune cose da fare. Non
può lasciare questa casa, almeno per ora. Vuol salire nella sua
camera e aspettare l’arrivo della signorina Lindquist?
— Sì. — Si alzò. — Però vorrei… se qualcuno telefonasse per me…
vorrei parlare. Wolfe assenti. — Non ho nulla in contrario. Credo
però che il signor Horrocks sarà troppo occupato per i guai del suo
illustre parente, per fare delle telefonate frivole.
Ma era il giorno delle cantonate, per Wolfe. Meno di un quarto
d’ora dopo, Horrocks telefonò domandando di Clara Fox. Nel
frattempo Wolfe e io eravamo passati nello studio e avevamo saputo
da Saul che era riuscito a parlare con Hilda Lindquist, la quale
sarebbe venuta subito. Wolfe era andato a incastrarsi nella sua
poltrona, aveva fatto giustizia sommaria di una bottiglia di birra
e respingeva ostinatamente i miei tentativi di entrare in
discussione. Horrocks non fece menzione dell’imbroglio in cui si
trovava suo zio; si limitò a domandare di Clara e io mandai Saul ad
avvertirla che le avrei passato la comunicazione nella camera di
Wolfe, dal momento che non c’era più telefono in quella di lei.
Finalmente il principale sospirò e usci dal letargo.
— Provi a chiamare Cramer.
Obbedii. Nessun risultato. Wolfe sospirò di nuovo.
— Archie, si è mai trovato di fronte a un simile garbuglio di cose
insensate?
— Nossignore. Se soltanto fossi andato…
— Se ripete un’altra volta questo ritornello, la mando su con la
signorina Fox. È proprio convinto che la sua presenza alla
Cinquantacinquesima Strada avrebbe risolto tutte le nostre
difficoltà? Questa faccenda è davvero assurda e ci costringe a
prendere delle misure non meno assurde. Dovremo indagare sui
movimenti del signor Muir dalle sei di questa sera in poi, dovremo
confidare all’ispettore Cramer almeno una parte dei fatti che sono
a nostra conoscenza, dovremo esaminare di nuovo la situazione e i
movimenti di lord Clivers, dovremo scoprire come un uomo può
trovarsi in due luoghi diversi nello stesso momento e infine mi
toccherà fare un’altra telefonata nel Nebraska. Chiami quella
fattoria del Nebraska, Archie… il nome è Donvaag.
Presi il ricevitore. A quell’ora di sera le linee erano abbastanza
sgombre e ottenni la comunicazione con Plainview nel Nebraska, in
meno di un quarto d’ora. Comunicazione perfetta. Wolfe prese il
ricevitore.
— Signor Donvaag? Sono Wolfe… proprio così. Si ricorda che le ho
parlato nel pomeriggio di oggi e che è stato tanto gentile da
andare a chiamare il signor Lindquist?… Sì, signor Donvaag. Devo
chiederle un altro favore. Mi sente bene?… Bisognerà che vada
ancora dal signor Lindquist, questa sera, oppure domani mattina al
più presto. Gli dica che ho motivo di sospettare che qualcuno
voglia fargli del male… Sì. Non so come. Gli dica di essere
prudente… Molto prudente. Mangia canditi? Potrebbe ricevere una
scatola di canditi avvelenati per posta. Forse anche una bomba.
Qualunque cosa. Potrebbe ricevere un telegramma che gli annuncia la
morte di sua figlia, e si può facilmente immaginare quale sarebbe
la conseguenza… No davvero. Sua figlia sta benissimo e non c’è
niente da temere per lei… Insomma, si tratta di una situazione
molto particolare; potrò sapere tutto più tardi. Gli dica di essere
molto prudente e di non fidarsi di nulla e di nessuno… Può andare
subito? Bene. Lei è molto gentile, signor Donvaag. Buona sera.
Wolfe riappese il ricevitore e premette il campanello per chiedere
della birra. Sospirò. — Archie, fornisca a Saul i dati necessari
riguardo al signor Muir e lo mandi fuori. Abbiamo bisogno di sapere
dove si trovava dalle sei alle otto di questa sera.
Andai in cucina e impartii a Saul le necessarie istruzioni. Johnny
stava aiutando Fritz a riordinare la cucina e Saul era seduto a
tavola, nell’angolo che occupavo in generale per la mia colazione
del mattino, intento a spazzar via alcune olive rimaste. Puntò
verso di me il suo naso lunghissimo e mi ascoltò con la massima
attenzione, poi annuì più volte, intascò un vetone per le spese e
se ne andò.
Di ritorno nello studio, domandai a Wolfe se voleva che tentassi di
nuovo di chiamare Cramer. Scosse il capo. Era appoggiato
all’indietro contro lo schienale della poltrona con gli occhi
chiusi e dal moto continuo delle sue labbra compresi che era a
colloquio con sé stesso. Sedetti e misi i piedi sulla scrivania.
Due minuti dopo mi alzai di nuovo, andai in cucina, feci qualche
domanda a Johnny sulla topografia della Cinquantacinquesima Strada,
e sulle zone limitrofe, poi bevvi un bicchiere di latte.
Erano le dieci quando Hilda Lindquist arrivò. C’era un uomo con
lei, che quando seppe che Saul non c’era, non fece neppure l’atto
di entrare. Gli dissi che Saul avrebbe pensato a regolare tutto con
lui e lui se ne andò. La faccia quadrata e il vestito marrone di
Hilda non sembravano essersi affatto deteriorati durante le
ventiquattr’ore in cui era stata lontana da noi, però i suoi occhi
avevano un’espressione grave e determinata. Compresi che da un
momento all’altro quella poteva darci del filo da torcere, perciò
la feci passare nella sala da pranzo e la pregai di aspettare un
minuto.
Corsi su nella camera a mezzogiorno e dissi a Clara: — Hilda
Lindquist è giù e vorrei mandarla qui da lei. Lei crede che
l’impresa sia fallita irrimediabilmente ed è convinta di doversene
ritornare a casa a tasche vuote, dal suo povero vecchio padre.
Basta guardarla in faccia per capire che ci vorrà qualcosa di più
che la diplomazia britannica per persuaderla a non andarsene col
primo treno.
L’avevo trovata sprofondata in una poltrona, con le labbra strette
e le mani intrecciate. Alzò il capo e mi guardò.
— Va bene. Siamo d’accordo. La mandi qui.
— Potrà dormire con lei, oppure nella stanza di fronte alla sua, su
questo piano. Se avete bisogno di qualcosa suonate per Fritz.
Discesi e dissi alla donna delle praterie che Clara Fox le voleva
parlare. Un momento dopo, dal basso udii che le due ragazze si
salutavano sul pianerottolo del secondo piano. Nello studio regnava
un silenzio opprimente; Wolfe era ancora a colloquio con sé stesso.
Cercai qualcosa da fare. Riguardai i disegni di Johnny, verificai
una nota presentata da Theodore, rilessi l’articolo della “Gazette”
sull’affare della Cinquantacinquesima Strada e infine fui preso da
un senso così acuto di sconforto che alle undici in punto esplosi:
— Se questo stato di cose continua per altri dieci minuti, divento
matto!
Wolfe aprì gli occhi, mi guardò con aria di compatimento e li
richiuse. Alzai le braccia in un gesto scoraggiato.
Il campanello della porta trillò. Continuò a suonare
insistentemente, perciò, con tutta calma, scostai la tendina della
vetrata per guardar fuori; vidi che c’erano quattro persone. Li
riconobbi tutti. Girai sui tacchi e rientrai nello studio.
— Chi diavolo suona il campanello in questo modo? — domandò Wolfe.
— Perché non ha… Lo interruppi sogghignando: — Quello che suona è
il Capo della polizia, Hombert; sono con lui l’ispettore Cramer, il
procuratore distrettuale Skinner e il mio vecchio amico Stebbins
della Sezione Omicidi. È forse troppo tardi per ricevere
visite?
— Niente affatto! — Wolfe si raddrizzò sulla poltrona e si strofinò
il naso. — Li faccia entrare.