13

 

 

 

Feci un cenno d’assenso. — Va bene. Entri. Cominciai subito a riflettere. Mentre liberavo il visitatore del cappello, del bastone, dei guanti, mi domandai se fosse opportuno o meno provocare un confronto tra Muir e il marchese; ma non volli prendermi questa responsabilità, perciò condussi il nuovo venuto in sala da pranzo e gli dissi che Wolfe era occupato. Ritornai poi nell’ingresso e scarabocchiai su un pezzetto di carta: “C’è il vecchio Clivers“; entrai nello studio e porsi il foglietto a Wolfe.
Questi lo lesse, mi guardò e mi strizzò un occhio. Muir stava parlando molto più calmo, ma sempre ostinato. I due discussero ancora per qualche minuto, senza risultato, finché Wolfe disse: — È inutile, signor Muir. Non sono disposto a cedere. Dica al signor Perry che metterò in esecuzione il programma che gli ho annunciato stamane. È la mia ultima parola. Sono disposto a trattare soltanto a condizione che la mia cliente venga scagionata completamente, incondizionatamente. Buon giorno, signor Muir… sono spiacente, ma ho un’altra visita. L’altro non tremava più ora e la mascella era ferma. Non disse nulla. Mi lanciò un’occhiata sprezzante e stette a guardare Wolfe per un mezzo minuto, senza battere le palpebre, quindi si chinò a raccogliere il cappello, si raddrizzò e s’incamminò verso la porta. Lo accompagnai fino alla porta che dava sulla strada. Infine ritornai nello studio e dissi a Wolfe: — L’amico se n’è andato barcollando.
Wolfe parve non udirmi e si limitò a rispondere laconicamente: — Faccia entrare lord Clivers. Aprii la porta di comunicazione e Clivers si voltò a guardarmi come se si meravigliasse di vedermi entrare da un’altra parte. Mi sembrava nervoso. Gli feci cenno di accomodarsi; lui avanzò, ma si fermò sulla soglia guardandosi ben bene attorno prima di varcarla. Finalmente si diresse verso la scrivania di Wolfe. Questi lo squadrò con gli occhi socchiusi.
— Lieto di conoscerla, signore. — Gli indicò la poltroncina su cui si era seduto Muir poco prima. — Si accomodi.
Ancora una volta, Clivers si guardò attorno. Finalmente sedette, mi guardò accigliato e mi additò.
— Chi è questo giovanotto? — domandò.
Wolfe disse: — È il mio segretario particolare, il signor Goodwin. Sarebbe inutile mandarlo via perché troverebbe ugualmente la maniera di ascoltare quello che diciamo e di prendere degli appunti.
— Ma guarda un po’! — fece Clivers; emise tre risatine secche successive e cessò di occuparsi di me. Si rivolse a Wolfe: — Ho ricevuto la sua lettera in merito a quel cavallo. È assurdo. Wolfe fece un cenno d’assenso.
— Sono d’accordo con lei. Tutti i debiti sono assurdi. Rappresentano l’invidioso passato che tenta di stringere alla gola con le sue dita fredde e morte il presente che vive. — Eh? — Clivers lo guardò a bocca aperta. — Che cosa sta dicendo? Che sciocchezze! Intendevo dire che è assurdo pretendere un compenso di duecentomila sterline per un cavallo. Lei ha in mano un credito non esigibile.
— Non credo. — Wolfe sospirò e si protese in avanti per premere il campanello. — Il migliore argomento contro di lei è la sua presenza qui. Se il credito non è esigibile, perché è venuto? Vuole un po’ di birra?
— Che genere di birra?
— Americana. E potabile.
— La proverò. Sono venuto perché mio nipote mi ha fatto capire che se volevo conoscerla bisognava che venissi di persona. Ho voluto vederla per sapere se siete un truffatore o un ingenuo.
— Suvvia! — Wolfe inarcò le sopracciglia. — Non vede proprio altre alternative… un’altra bottiglia e un bicchiere, Fritz. — Aprì la bottiglietta che aveva già davanti e si versò da bere. — Lei mi sembra un tipo molto franco. La nostra discussione sarà più semplice di quanto sperassi. Le confesso che sono contento. Dunque, quarant’anni fa, a Silver City, nel Nevada, era noto col nome di George Rowley?
— Sicuro. Grazie, me la verso da solo.
— Bene. — Wolfe bevve e si asciugò le labbra. — So benissimo che legalmente il credito del signor Lindquist verso di lei è passato in prescrizione. Altrettanto dicasi per il credito riguardante altre persone; d’altra parte, la carta che lei firmò e che in origine convalidava il credito, non è disponibile. Tuttavia sussiste per lei l’obbligo morale e io ho calcolato che, piuttosto che lasciar che la faccenda vada per il tramite dei tribunali, lei preferirebbe pagare. Si tratta di un caso insolito che desterebbe molta curiosità nel pubblico. Non solo lei è un Pari d’Inghilterra, ma si trova in questo paese per una missione diplomatica importante e delicata, perciò una simile pubblicità sarebbe tutt’altro che desiderabile. Non preferirebbe pagare quel che deve o almeno una parte di quel che deve, piuttosto che lasciare che si provochi tanta pubblicità sul suo conto? Ho calcolato che, con tutta probabilità, avrebbe considerato la cosa da questo punto di vista. Le pare decente quella birra?
Clivers depose il bicchiere e si passò la punta della lingua sulle labbra.
— Non c’è male. — Fece una smorfia e guardò Wolfe. — Perbacco, si direbbe che lei parli sul serio!
— Sicuro che parlo sul serio!
— Si direbbe davvero! Sa cosa avevo pensato… avevo pensato che le sue richieste sulla storia del cavallo che affermavano che il debito relativo al cavallo stesso mi spettasse a prescindere dall’altro obbligo che mi sono assunto quando ho firmato quella carta fossero eccessive. Il cavallo non era menzionato in quella carta. L’idea non è cattiva… si tratta di una forma elegante di ricatto. Questa storia sembra fantastica ora, ma non lo era a quel tempo. Se non avessi firmato quella carta e se non fosse stato per quel cavallo, mi avrebbero messo la corda al collo. Poco piacevole, non le pare? E ora, lei vorrebbe che io pagassi il cavallo. Ma è assurdo! Duecentomila sterline per un cavallo. Ne pagherò mille.
Wolfe scosse il capo.
— Non mi piace mercanteggiare. Non mi piacciono neppure i sofismi. Sa benissimo che la questione non è imperniata sul cavallo, bensì sulla totalità del debito che ha contratto a suo tempo. Io rappresento non solo il signor Lindquist e sua figlia, ma anche la figlia di Gilbert Fox e, indirettamente, il signor Walsh; avrei dovuto anche rappresentare il signor Scovil, ma questi è stato assassinato ieri sera. — Tentennò il capo di nuovo. — No, lord Clivers. Nella mia lettera ho basato la richiesta sul cavallo, soltanto perché la carta che lei ha firmato non è disponibile. Come ripeto, è la totalità del suo debito che è in discussione e volendo stare ai patti questo ammonterebbe a una metà del vostro patrimonio. Come ho detto, i miei clienti sono disposti ad accettare soltanto una parte della cifra.
L’espressione del volto di Clivers era mutata. Ora guardava Wolfe con la massima attenzione, ma senza ostilità. Disse: — Vedo. Dunque è una questione seria. Sarei disposto a pagare un migliaio di sterline per il cavallo… e magari un altro migliaio per il bicchiere di birra che mi avete offerto, ma lei punta a fare al colpo grosso, minacciando di rendere pubblica tutta la faccenda e di compromettere la mia posizione in America. Andate tutti al diavolo! Si alzò.
Wolfe disse in tono paziente: — Permetta. Non capisco perché continua a battere sulle mille sterline che sareste disposto a pagare per il cavallo. Moralmente lei deve a costoro una metà del suo patrimonio. Se loro sono disposti…
— Via! Non debbo nulla! Sa benissimo che li ho già pagati!
Gli occhi di Wolfe erano quasi chiusi.
— Che cosa sta dicendo? Li ha già pagati?
— Naturalmente che li ho pagati! Non è possibile che non lo sappia. Sono anche in possesso della loro ricevuta, nonché della carta che ho firmato a suo tempo. — Clivers sedette di nuovo. — Mi ascolti; perché non parlarci in tutta franchezza? A me non importa nulla che lei sia un truffatore; ho avuto a che fare con dei truffatori prima d’ora e avevano delle pretese ancor più assurde delle sue. Ma mettiamo da parte le fantasie e parliamo d’affari. Ha in mano un’ottima arma per ricattarmi, lo ammetto. Però le consiglio di rinunciare all’idea di fare un colpo grosso, perché altrimenti preferisco affrontare la situazione qualunque essa sia. Pagherò tremila sterline, sempre che i Lindquist mi rilascino una ricevuta a saldo per quel cavallo. Wolfe tamburellava con le dita sul bracciolo della poltrona, il che significava che era molto perplesso. Aveva sempre gli occhi socchiusi. Dopo un momento disse: — L’affare si complica. Ecco che ci troviamo nell’impossibilità di discutere con reciproca fiducia. — Agitò l’indice verso il marchese. — Andiamo male, signor mio. Come posso sapere che ha pagato davvero? E se ha pagato davvero, come può sapere se io lo ignoro veramente e agisco in buona fede? Non ha una soluzione da suggerire? — Premette il campanello. — Sento il bisogno di bere della birra. Vuole farmi compagnia?
— Si, la sua birra è buona. Intende dire che non sa che io ho pagato?
— Sicuro, proprio così. Questa probabilità avrebbe dovuto passarmi perla testa. Ero troppo intento a osservare il sentiero che stavo percorrendo. — Si fermò per aprire le bottiglie, ne spinse una verso Clivers, poi riempì il proprio bicchiere. — Lei dice di averli pagati, ma a chi allude? Quando ha pagato? Quanto ha pagato? In che forma ha pagato? Asserisce che loro hanno firmato una ricevuta? Mi dia qualche particolare.
Clivers, con tutto il suo comodo, vuotò il bicchiere e lo ripose sulla scrivania. Si passò la lingua sulle labbra, fece una smorfia e guardò Wolfe con aria meditabonda. Finalmente scosse il capo. — Non la capisco. Lei è molto abile, mi sembra. Intende dire che se le dimostro di aver pagato e le faccio vedere la loro ricevuta lei rinuncerà alle sue assurde pretese riguardanti il cavallo, dietro pagamento di mille sterline?
— Se lei mi sottopone delle prove convincenti, rinuncio per niente — rispose Wolfe. — No, le mille sterline sono disposto a pagarle. Ho sentito dire che i Lindquist si trovano in difficoltà finanziarie. Le prove che ho da sottoporle sono convincenti senza dubbio e potrà vederle domani mattina.
— Preferirei vederle oggi.
— Impossibile. Non le ho con me. Arriveranno questa sera sul piroscafo Berengaria. La valigetta diplomatica arriverà questa sera, ma io non potrò aprirla subito. Venga al mio albergo, a qualunque ora, dopo le nove di domani mattina.
— Io non esco. Sono occupato dalle nove alle undici. Può portare lei stesso gli elementi probatori qui, a qualunque ora, dopo le undici.
— Ma guarda un po’! — Clivers rimase a guardarlo un momento a bocca aperta, poi, d’un tratto, emise quelle sue tre risatine secche, caratteristiche.
Wolfe rispose pazientemente: — Se lei non porta qui i documenti o per lo meno non li manda, io non li vedrò e sarò costretto a continuare l’azione per il credito relativo al cavallo. A proposito, come mai questi documenti le arriveranno col Berengaria?
— Li ho richiesti io. Lunedì della settimana scorsa, cioè otto giorni fa, è venuta da me una donna. È stata introdotta alla mia presenza da mio nipote… si erano conosciuti non so come. Si è presentata come figlia di Gilbert Fox e ha avanzato delle pretese. Non ho neppure voluto discutere con lei. Ho pensato che si trattasse di un puro e semplice tentativo di ricatto e l’ho fatta mettere alla porta. Però ho ritenuto opportuno telegrafare a Londra, perché mi mandassero questi miei documenti personali, in caso di ulteriori complicazioni. Arriveranno senza dubbio questa sera.
— E questo pagamento… quando è stato effettuato…
— Nel 1906 o nel 1907. Non ricordo bene. Sono trent’anni che non guardo quelle carte. — E a chi ha pagato?
— Ho la ricevuta firmata da tutti…
— L’ha già detto e ha detto anche di avere la carta firmata da lei stesso a Silver City. Questa carta era in possesso di Coleman, detto Caucciù. E stato lui a incassare il denaro? Clivers aprì la bocca e la richiuse. Poi disse: — Credo di aver già risposto a troppe domande. Domani vedrà l’assegno, firmato da me, girato dalla persona che lo ha incassato e annullato dalla banca. — Guardò il bicchiere vuoto. — Non avevo ancora assaggiato la birra americana. È proprio buona.
Wolfe premette il campanello.
— Allora perché non mi fa guadagnare qualche ora? Non tento di sottoporla a un interrogatorio, lord Clivers, desidero soltanto qualche informazione. È stato Coleman a incassare il denaro?
— Sì.
— A quanto ammontava la cifra?
— A qualcosa di più di duecentomila sterline. Un milione di dollari. Venne da me… credo fossimo in luglio… circa un anno dopo la mia successione al titolo. Dev’essere proprio stato nel 1906. Mi fece una richiesta esorbitante. Una buona parte dei miei possedimenti erano gravati da ipoteche. Coleman si mostrò irragionevole. Alla fine ci accordammo per un milione di dollari. Naturalmente mi occorreva qualche tempo per realizzare una cifra simile. Lui partì per gli Stati Uniti e ritornò un paio di mesi dopo, con una ricevuta firmata da tutti i membri della banda. D’altra parte, nel documento originale firmato da me, lui figurava come procuratore di tutti. Il mio avvocato voleva che mandassi qualcuno negli Stati Uniti per far verificare le firme, ma Coleman disse che aveva trovato non poche difficoltà a persuadere i compagni ad accettare la cifra pattuita e io avevo paura di riaprire la questione. Pagai.
— Dov’è ora Coleman?
— Non lo so. Dopo d’allora non l’ho più visto e non ho più avuto notizie di lui. Non m’interessava; per me quello era un capitolo chiuso. Le dirò che anche ora me ne infischio. Se lui ha truffato i compagni e si è tenuto il denaro, peggio per loro che si sono fidati ad apporre la loro firma sulla ricevuta. — Clivers esitò, poi riprese: — È un fatto che quando la figlia di Fox è venuta da me una settimana fa, ho ritenuto senz’altro che si trattasse di un ricatto, però quando ieri nel pomeriggio Harlan Scovil è venuto a cercarmi, sono stato assalito da un dubbio. Scovil era un galantuomo… un galantuomo nato e non riesco a capacitarmi, anche dopo quarant’anni, come sia potuto diventare un ricattatore. Quando ho saputo dalla polizia, ieri sera, che era stato assassinato, sono rimasto molto impressionato, ma non potevo dire ai funzionari quel che non sapevo… e quanto a quel che sapevo, era affar mio. — Dunque si è incontrato con Scovil, ieri? — domandò Wolfe strofinandosi il naso. — Questa è una cosa interessante…
— No, non ci siamo incontrati. Ero fuori. Quando sono ritornato nel tardo pomeriggio, mi hanno detto che era venuto a cercarmi. — Clivers bevve un bicchiere di birra. — Poi, questa mattina, mi è arrivata la sua lettera e ho ricominciato a pensare che si trattasse di ricatto. Dal momento che c’era in ballo anche la storia di un assassinio mi sembrava che se avessi consultato la polizia la pubblicità sarebbe stata inevitabile. L’unica cosa che mi restava da fare era entrare in trattative con lei. Ho pensato che, in fin dei conti, tutto quel che chiedeva era del denaro. Ne ho ancora, nonostante le tasse del mio paese. Le dirò che non credo affatto che lei sia disposto a lasciar cadere la cosa, anche se le mostro le prove che ho pagato. Lei vuole del denaro. Basta guardarsi attorno, qui, per capire che lei non è il tipo che si scomoda per poco. — Fece con la mano un gesto circolare. — Le darò tremila sterline in cambio di una ricevuta a saldo di Lindquist per quel cavallo.
— Ecco che torna a parlare delle tremila sterline — fece Wolfe sospirando. — Sono dolente, lord Clivers, che persista a scambiarmi per un mercante di cavalli. È vero che voglio del denaro. — Lui si raddrizzò d’un tratto sulla poltrona. — A proposito, è stato forse il signor Walsh a dirle che i Lindquist sono in difficoltà finanziarie?
Clivers spalancò gli occhi. — Come diavolo fa a saperlo? —Si guardò attorno. — Walsh è forse qui?
— No, non è qui. Non sapevo che glielo avesse detto, le ho fatto soltanto una domanda, manifestando nello stesso tempo una mia ipotesi. Sapevo che il signor Walsh era stato all’albergo Portland, stamane, e ho intuito che doveva avergli parlato. Non è stato del tutto sincero, lord Clivers. Quando è venuto qui sapeva che il signor Walsh non ha mai avuto un soldo del denaro che aveva sborsato e forse sapeva anche che lui non ha mai firmato una ricevuta.
— So che lui dice di non aver mai firmato.
— Non gli crede?
— Non credo a nessuno. So benissimo di essere un po’ subdolo. Sono un diplomatico, tanto basta. — Emise di nuovo quelle sue tre risatine che assomigliavano a tre detonazioni. — Mi ascolti: per quanto riguarda Walsh può anche dimenticarsi di lui; lo sistemerò io. Devo a ogni costo soffocare la faccenda, almeno finché sono in questo paese. Dunque sistemerò io Walsh. Scovil è morto, pace all’anima sua. La polizia penserà a cercare il colpevole. Quanto ai Lindquist, darò loro duemila sterline per il cavallo e lei avrà il suo tornaconto. La Fox s’arrangi; una ragazza, giovane e bella come lei, non ha bisogno del mio denaro. Per quanto mi riguarda, la partita rimane chiusa in questo momento. Se riesce a trovare Coleman e a costringerlo a versare il resto, faccia pure, ma non sarà un’impresa facile. Era un tipo astuto e infido, quando era giovane, e scommetto che non è affatto cambiato con gli anni. Potrà vedere i documenti domani mattina, ma io non li porterò qui, né li manderò. Se non potrà venire lei, mandi il suo segretario a esaminarli. Lo riceverò senz’altro e potremo prendere gli accordi definitivi per il pagamento ai Lindquist e perla ricevuta. Che ne dice?
— Si sarebbero evitato un sacco di complicazioni se l’avessero impiccato nel 1895 — mormorò Wolfe. — Non è vero? Data la situazione, lord Clivers, mi limiterò ad assicurarle di nuovo la mia completa buona fede in questa faccenda e mi propongo di rimandare ogni ulteriore trattativa a domani, a quando i suoi documenti saranno stati esaminati.