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Slim Foltz mi stava guardando.
Dissi: — Harlan Scovi!? Sicuro che lo conosco! È stato qui questo
pomeriggio. Foltz si frugò di nuovo in tasca e trasse un libriccino
nero e una matita.
— A che ora?
— È arrivato qui alle quattro e mezzo circa… forse un po’ prima, e
se n’è andato alle cinque e ventisei.
— Che cosa voleva?
— Voleva vedere Nero Wolfe.
— A proposito di che?
Scossi il capo con aria contrita: — Vorrei tanto saperlo anch’io!
Gli ho detto che avrebbe dovuto aspettare fino alle sei e lui ha
manifestato l’intenzione di aspettare.
— Deve pure aver detto qualcosa.
— Mi ha chiesto un pezzo di carta per sputarci dentro una “cicca”
grossa come un uovo, poi mi ha domandato se c’erano dei
galantuomini da questa parte delle montagne. Non ha specificato a
proposito di che voleva vedere il signor Wolfe. Non l’avevamo mai
visto e non sapevamo neppure che esistesse. Ora che ci penso, mi ha
detto di essere arrivato stamane a New York dal Wyoming. A
proposito, per il solo fatto che quella licenza era nelle sue
tasche non si può stabilire… Insomma, si tratta di un uomo alto
quasi due metri, sulla sessantina, con un vestito di flanella blu
dalle maniche troppo corte?
— Proprio lui — fece l’agente. — Perché diavolo è venuto a New
York?
— Per vedere Nero Wolfe, immagino — risposi sogghignando. — Vedi
che fama abbiamo? — Perché non ha aspettato?
— Perché ha ricevuto una telefonata.
— Una telefonata, qui?
— Proprio qui… in questa stanza… Io non c’ero. Ero uscito lasciando
qui quel bel tipo, in attesa che venissero le sei. Al telefono ha
risposto Fritz Brenner, cuoco del signor Wolfe e orgoglio della
magione. Vuoi vederlo?
— Sì, se non ti dispiace.
Wolfe suonò il campanello. Fritz apparve. Wolfe gli disse che
doveva rispondere alle domande del signore. E Fritz fece: —
Sissignore — e si mise sull’attenti.
Naturalmente Foltz non ricavò da Fritz più di quel che io
sapevo.
Fritz ritornò in cucina. L’agente rimase a guardare il foglietto di
carta con viso accigliato. — Non mi aspettavo di fare fiasco
completo qui. Sono venuto da voi per prima cosa. Vi sono altri nomi
su questo foglio… Clara Fox, Mike Walsh, Hilda Lindquist e un certo
marchese di Clivers. Non credo che voi…
Intervenni scuotendo il capo: — Come ti ho detto, quando questo
Harlan Scovil è arrivato qui, oggi alle quattro e mezzo, non
l’avevo mai visto. E non conosco neppure gli altri che hai
nominato. Mai sentito parlare di loro. Sono certo che neppure il
signor Wolfe ne ha mai sentito parlare. È vero, signor Wolfe?
— Sentito parlare? No, eccetto per uno di loro. Non era del
marchese di Clivers che stavamo parlando ieri?
— Parlando? Già, già. C’era un articolo in un giornale. — Guardai
Foltz e dissi premurosamente: — C’era un articolo sul “Times” di
ieri, nel supplemento illustrato… — So tutto a questo proposito. Me
l’ha detto il mio sergente. Questo marchese, a quanto sembra,
usufruisce della legge sull’immunità diplomatica. Il capitano
Devore prenderà le sue misure per parlare con lui e per avvertirlo
che si sta indagando su di lui.
— Magnifico — disse Wolfe facendo segni d’approvazione. — La
polizia merita la gratitudine di tutti noi.
Foltz si alzò. — La ringrazio del complimento, anche se è tutto ciò
che posso cavare da lei… Scovil è stato accoppato a quattro isolati
da qui, nella Trentunesima Strada, nove minuti dopo aver ricevuto
la chiamata telefonica e cioè alle cinque e trentacinque. Camminava
tranquillamente lungo il marciapiede, e qualcuno, sopraggiunto in
automobile, gli ha scaricato addosso un discreto numero di
pallottole. È morto subito. Era già quasi buio da quelle parti, ma
un uomo che si trovava vicino è riuscito a leggere la targa della
macchina, la quale è già stata ritrovata in un posteggio della Nona
Avenue. Nessuno ha visto la persona o le persone che sono
scese.
— Però avete trovato la macchina. È già qualcosa — dissi in tono
ottimistico. — Questo dovrebbe fornirvi una traccia.
— Non credo. La macchina probabilmente è stata rubata. In generale
è così, in questi casi. — L’agente aveva ripreso il cappello. —
Comunque vi sono molto grato.
— Non c’è di che, Slim.
Passai nell’atrio con lui; lo accompagnai alla porta. Prima di
ritornare nello studio passai in cucina e dissi a Fritz che per il
resto della serata avrei aperto io, se avessero suonato alla
porta.
Ritornai da Wolfe il quale guardò l’orologio; erano le sette e
dieci. Allungò una mano e premette il bottone del campanello.
Quando Fritz apparve, si appoggiò all’indietro nella poltroncina e
sospirò. — Fritz, una calamità. Non potremo assolutamente cenare
alle otto come il solito… voglio dire, la nostra non sarà una vera
e propria cena. Potremo mangiare qualcosetta… ci adatteremo.
Bisognerà che tu serva per cinque persone.
— La salsa è riuscita molto bene, signore. Potrei dare agli altri
del pollo in scatola e dei funghi…
— Accidenti, no! Se ci sono delle privazioni da fare devo
condividerle anch’io. Basta così. Portami della birra.
Fritz se ne andò e Wolfe si volse a me. — Riporti qui Clara
Fox.
Riaprii la porla della stanza attigua.
— Il signor Wolfe vorrebbe parlare con la signorina Fox.
Mike Walsh fece: — Ho fame.
Clara Fox disse: — Se ha qualcosa da dire deve dirlo a tutti
noi.
— Prima di tutto vuol parlare con lei. Lo accontenti, la prego. Fra
poco ci sarà qualcosa da mangiare, signor Walsh.
Clara Fox esitò ancora un momento, poi si alzò e mi precedette
nello studio. Chiusi la porta e lei ritornò sulla sua sedia, di
fronte a Wolfe. Wolfe aveva vuotato un bicchiere e lo stava
riempiendo di nuovo.
— Signor Wolfe, non desidero parlare di affari sola con lei. Gli
altri hanno diritto quanto me… — Ceno, certo. Ma aspetti un
momento. — Agitò l’indice verso di lei. — Tra poco chiameremo anche
gli altri. Il fatto è che per il momento vorrei parlare di cose che
riguardano lei personalmente. È stata lei a prendere il denaro
dalla scrivania del signor Muir? La ragazza lo guardò fisso: —
No.
— Sa chi l’ha preso?
— No.
— Sa nulla in proposito?
— No. Ho certi sospetti, ma nulla di specifico riguardo al
denaro.
— Intende dire che ha dei sospetti a causa dell’atteggiamento del
signor Perry e del signor Muir nei suoi riguardi?
— Sì. Specialmente del signor Muir.
— Bene. Ora mi dica un’altra cosa: ha ucciso qualcuno questa sera
tra le cinque e le sei? Lei lo guardò a bocca aperta. — Non faccia
lo stupido.
Wolfe bevve un po’ di birra.
— Signorina Fox, la prima e costante preoccupazione di ogni uomo
intelligente dovrebbe essere quella di evitare di fare lo stupido.
È certamente la mia massima preoccupazione. Qualche volta ci
riesco. Prenda, per esempio, la sua dichiarazione in merito al
denaro. Dice di non averlo preso. Come investigatore ci credo
abbastanza per passare oltre, però sono sempre pronto a dare
un’occhiatina alle mie spalle. Mi capisce? Come uomo le credo al
cento per cento. Le assicuro che il motivo per cui le rivolgo
queste domande non è affatto idiota. Innanzi tutto mentre mi
risponde io osservo la sua espressione. Mi ascolti e credo che
questo nostro colloquio non sarà inutile. Ha ucciso qualcuno questa
sera fra le cinque e le sei? — No.
— Crede che il signor Walsh o la signorina Lindquist abbiano potuto
farlo?
Lei sorrise. — Non lo so. Non sono un’investigatrice. Come donna,
posso dichiarare che non hanno fatto niente di simile.
— Se l’hanno fatto, lei non ne è al corrente. È così?
— Proprio così.
— Bene. Ha un biglietto da un dollaro? Me lo dia.
Lei scosse il capo, non in cenno di rifiuto, ma con l’aria
rassegnata di perplessità di chi si trova di fronte a un’assurda
bizzarria. Frugò nella propria borsetta, trasse un biglietto da un
dollaro e lo porse a Wolfe. Lui lo prese, lo distese e me lo
porse.
— Segni nel registro. Archie. Anticipo della signorina Clara Fox. E
ora chiami Perry al telefono. — Si volse verso la ragazza. — Ora è
mia cliente.
Lei non sorrise. — Con l’intesa, suppongo, che posso…
— Che può piantarmi in asso? — Wolfe sorrise. — Naturalmente, e
senza preavviso. Chiamai il numero di Perry e passai la
comunicazione al principale.
Wolfe parlò in tono soave: — Signor Perry? Sono Nero Wolfe. Ho
avuto il rapporto del signor Goodwin sulla sua indagine
preliminare. Il signor Goodwin era propenso ad accettare la sua
ipotesi riguardo la probabile innocenza di Clara Fox e riteneva che
avremmo potuto forse renderle qualche buon servigio. Però, per una
strana combinazione, la signorina Fox è venuta nei nostri uffici
questa sera… è qui ora, anzi… ci ha chiesto di rappresentare i suoi
interessi nella questione… No, permetta… Ebbene, ho creduto
opportuno accettare un anticipo da lei… Davvero, signor Perry, non
vedo niente di immorale…
Wolfe detestava parlare al telefono. Tagliò corto il più possibile
e appese il ricevitore. Si volse di nuovo a Clara Fox.
— Ora mi parli delle sue relazioni personali col signor Perry e col
signor Muir. Lei non rispose subito. Stava seduta là, ferma, e lo
guardava con la fronte corrugata. Finalmente disse: — Credevo che
lei avesse già assunto l’incarico del signor Perry per questa
faccenda. Mi ero data molto da fare per accertare se effettivamente
lei fosse l’uomo che faceva al caso nostro – cioè al caso mio,
della signorina Lindquist, del signor Walsh e del signor Scovil
- e avevo già telefonato sabato per fissare l’appuntamento con lei,
prima di sapere del denaro rubato. Fino a due ore fa non sapevo che
il signor Perry avesse cercato di assicurarsi i vostri servigi e,
dal momento che avevamo fissato l’appuntamento, ho ritenuto
opportuno venire ugualmente. Ora lei ha detto al signor Perry che
intende agire per conto mio, non per conto della American Trade e
ha pure aggiunto che le ho dato un anticipo per questo. Se vuole
considerare quel dollaro come un anticipo, lo faccia per la
faccenda per la quale sono venuta a consultarla, non per quella
stupidaggine dei trentamila dollari. Quella è soltanto una
stupidaggine, lo ripeto.
Wolfe domandò: — Cosa le fa pensare che sia una stupidaggine?
— Niente… lo è! Non so quale sia la verità, ma per quanto mi
riguarda la cosa è una pura e semplice stupidaggine.
— Sono d’accordo con lei… ecco perché può essere pericolosa. La
prego, mi dica qualcosa sul signor Perry e sul signor Muir. Il
signor Muir ha insinuato, oggi pomeriggio, che il signor Perry è
molto galante con lei. E non invano. È vero?
— Nemmeno per sogno! — La ragazza si accigliò, poi sorrise. —
Espressa sotto questa forma, la cosa non sembra neppure troppo
urtante, non è vero? Comunque, non c’è niente tra me e Perry. Un
tempo mi capitava di uscire a cena e a teatro con lui, abbastanza
spesso, poco dopo aver cominciato a lavorare per la compagnia.
Questo accadeva nel periodo in cui avevo deciso di diventare
un’avventuriera.
— Ha trovato qualche ostacolo?
— Nessuno. A meno che le delusioni si possano chiamare ostacoli.
Dall’età della ragione c’è stata in me la determinazione di “fare
qualcosa”. Non sapevo di preciso cosa, ma qualcosa dovevo fare. Mio
padre morì quando avevo nove anni e mia madre quando ne avevo
diciassette. Lei diceva sempre che ero come mio padre. Riuscì a
farmi studiare, col suo guadagno come sarta. Amavo molto mia madre
e detestavo la vita meschina e monotona nella quale ero confinata
senza una possibilità di evasione.
— Sua madre non aveva potuto trovare Rowley, vero?
— Non fece nemmeno gran che per trovarlo. Riteneva che fosse una
cosa fantastica. Scrisse una volta ad Harlan Scovil, ma la lettera
fu respinta. Dopo la morte di mia madre tentai varie cose… un po’
di tutto. Finalmente, con un colpo di fortuna, ho trovato un buon
posto alla American Trade Company; questo tre anni fa. Per la prima
volta mi sono trovata un po’ di denaro disponibile e ho potuto
spendere qualcosa per le mie ricerche relative a George Rowley e
alle altre persone menzionate nella lettera di mio padre. Sapevo
che avrei dovuto trovare qualcuno degli altri, perché vi fosse
almeno una persona in grado di riconoscere George Rowley. La mia
idea, allora, era di ottenere il denaro di Rowley il più presto
possibile per pagare il vecchio debito di mio padre, in California,
e poi andarmene in Arabia. Il motivo per cui volevo andare in
Arabia… — Si fermò di colpo, si guardò attorno come smarrita e
domandò: — Ma che sto dicendo? Come mai sono finita a parlare di
quest’argomento? — Non lo so — fece Wolfe con aria rassegnata. —
Sta di nuovo perdendo del tempo. Ritorniamo a Perry e a Muir?
— Va bene. — La ragazza si ravviò i capelli con la mano. — Ero
entrata da poco negli uffici della compagnia quando il signor Perry
cominciò a invitarmi a teatro con lui. Mi disse che sua moglie era
costretta a letto da otto anni e che lui aveva soltanto il
desiderio di un po’ di compagnia. Sapevo che era multimilionario e
dopo matura riflessione decisi di diventare un’avventuriera. Non ho
mai previsto di cavare gran che dal signor Perry, ma pensavo di
poter fare un po’ di esercizio con lui e nello stesso tempo
conservare il mio impiego. Pensai di poter fare un po’ di pratica
anche col signor Muir, ma non tardai a pentirmi di aver destato il
suo interesse.
“È stato proprio il signor Muir che mi ha fatto passare l’idea di
fare l’avventuriera. Naturalmente, sapevo che per riuscire avrei
dovuto conoscere molti uomini ricchi e vedendo com’era il signor
Muir fui indotta a guardarmi un po’ attorno e mi resi conto che
sarebbe stato quasi impossibile trovare un milionario col quale
potessi ”fare l’avventuriera“ senza annoiarci mortalmente. Dopo
aver cenato con me un paio di volte, il signor Muir sembrò
diventato decisamente matto. Una volta venne a casa mia ed entrò
nel mio appartamento quasi con la forza. Aveva in tasca una
splendida collana di perle!”.
Wolfe intervenne: — Secondo lei, il signor Muir è uno sciocco?
— Eh? Sì, credo di sì.
— Voglio dire, come uomo d’affari.
— No. In quel senso no. Tutt’altro, è molto accorto.
— Allora il signor Muir non è uno sciocco — mormorò Wolfe come
parlando a se stesso. — Ma lei sì, signorina Fox. È sciocca a tal
punto che mi sbalordisce. Sa che il signor Muir, il quale è un uomo
accorto, è pronto a sporgere una denuncia con giuramento contro di
lei per furto? Crede che farebbe una cosa simile se non avesse un
piano preciso? Perché insiste su un’azione immediata? Semplicemente
perché vuole evitare che, per caso o di proposito, qualcuno butti
per aria quel che è stato fatto per comprometterla. Non appena sarà
spiccato il mandato di cattura contro di lei, la polizia potrà
frugare tra i vostri effetti, dovunque… anche nel luogo in cui si
troveranno i trentamila dollari. Non crede possibile che il signor
Muir abbia preso lui stesso dalla scrivania quella somma e l’abbia
messa in un luogo adatto, con la dovuta circospezione?
— In un luogo adatto? — La ragazza lo guardò a bocca aperta. — Tra
la mia roba, per compromettermi? No, no, sarebbe un’azione troppo
meschina.
— E con questo? Nessuno meglio di lei, che è un’ex avventuriera, sa
che la razza dei furfanti della peggior specie non è ancora stata
sterminata.
— Ma, signor Wolfe, non mi potrà mai far credere che…
— Non perderei il mio tempo a tentarlo. Dove abita?
— Ho un appartamento nella Sessantunesima Strada Est.
— E in quali altri luoghi si possono trovare, diciamo, i suoi
effetti? Lasciamo andare la sua scrivania all’ufficio, perché se
anche la refurtiva fosse trovata là, non sarebbe mai una prova
abbastanza conclusiva. Ha una casetta in campagna? Un baule
depositato da qualche parte? Un’automobile?
— Ho un’utilitaria. Niente altro.
— È venuta qui con la sua auto?
— No. L’ho lasciata nella rimessa, nella Sessantesima Strada.
Wolfe si rivolse a me.
— Archie, ha sottomano due dei nostri, da far venire qui
subito?
Guardai l’orologio. — Potrei far venir qui Saul Panzer, nello
spazio di dieci minuti e, sempre che non sia al cinematografo, Fred
Durkin in venti minuti. Se Fred è al cinematografo ci sarà Orville
Cather che può esser qui in una mezz’oretta.
— Li faccia venire. La signorina Fox le darà la chiave del suo
appartamento e un biglietto di autorizzazione; le darà anche un
biglietto per la rimessa. Saul Panzer andrà a perquisire a fondo
l’appartamento. Gli spieghi che cosa deve cercare e gli dica che se
lo trova deve portarlo qui. Fred prenderà la macchina e la porterà
alla nostra autorimessa, dopo di che la perquisirà da cima a fondo
e la lascerà là. Questo soltanto ci costerà una ventina di dollari…
venti volte l’anticipo della signorina Fox.
Andai al telefono. Gli occhi di Wolfe si posarono su Clara.
— Vuole andare a chiedere alla signorina Lindquist e al signor
Walsh se vogliono lavarsi prima di cena? Andremo a tavola tra
cinque minuti.