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Per il giorno seguente, lunedì sette Ottobre, sul mio taccuino
erano segnati due appuntamenti. Né l’uno né l’altro promettevano
bene, in fatto di lucro e di emozioni. Il primo era fissato per le
tre e mezzo del pomeriggio, con un tale che si chiamava Anthony D.
Perry. Era un plutocrate, consigliere della Banca Metropolitana, la
banca presso la quale facevamo le nostre operazioni, e presidente
della American Trade Company… una di quelle aziende non ben
definite, i cui uffici occupavano sei piani di un grande
grattacielo, e che vendeva annualmente un bilione di dollari di
merci che nessuno vedeva mai. Wolfe aveva svolto un paio di
indagini per lui negli anni precedenti… nulla di molto importante.
Non sapevamo che cosa volesse questa volta, aveva telefonato per
fissare un appuntamento. Il secondo appuntamento era per le sei del
pomeriggio. Era un appuntamento bizzarro. Il sabato mattina, cinque
Ottobre, aveva telefonato una donna dicendo che aveva bisogno di
vedere Nero Wolfe. Le avevo risposto che andava bene. Lei aveva
soggiunto che avrebbe dovuto condurre con sé qualcuno che sarebbe
arrivato a New York soltanto lunedì mattina e siccome aveva da fare
per tutta la giornata, aveva voluto sapere se poteva venire alle
cinque e mezzo. Alle cinque e mezzo impossibile, le avevo detto, ma
se voleva poteva venire alle sei. Avevo afferrato la matita per
prender nota del nome dell’interessato. Ma la donna non era
disposta a dirmelo sul momento; aveva detto che l’avrebbe “portato
con sé“, che sarebbe arrivata alle sei precise con gli altri e che
si trattava di una cosa molto importante.
Perry arrivò puntualmente alle tre e mezzo. Fritz gli aprì la porta
e lo condusse nell’ufficio. Wolfe era alla sua scrivania intento a
bere birra. Io stavo seduto nel mio angolo, imbronciato al pensiero
che probabilmente Perry sarebbe venuto a pregarci di seguire le
tracce di qualche concorrente in traffici illeciti, come già aveva
fatto altre volte, e la prospettiva non mi attirava per nulla.
Avvicinò la propria sedia alla scrivania di Wolfe e sorrise al mio
capo come un uomo d’affari può sorridere a un altro.
— Sono venuto a trovarla, signor Wolfe, anziché invitarla a venire
da me, per due motivi. Prima di tutto perché so che non è disposto
a uscire di casa per far visita a nessuno e, in secondo luogo,
perché l’incarico che vorrei affidarle è di carattere privato e
confidenziale. Wolfe fece un cenno d’assenso.
— L’una o l’altra di queste ragioni avrebbe potuto bastare, signor
Perry. In che cosa consisterebbe questo incarico?
— Come ho detto è di carattere confidenziale. — Perry si schiarì la
voce mentre io aprivo il mio taccuino.—Desidero assicurarmi i suoi
servigi per un’indagine delicata che richiederà molta prudenza e
attenzione. Si tratta di uno stato di cose deplorevole che è venuto
a formarsi nei nostri uffici direttivi. — Perry si schiarì la voce
di nuovo. — Temo che una ragazza, una delle nostre impiegate, stia
per essere vittima di un’ingiustizia… vittima delle circostanze… a
meno che non si corra ai ripari.
Tacque. Wolfe disse: — Non capisco, signor Perry… come capo supremo
della compagnia, non è lei ad amministrare la giustizia, negli
uffici? O mi sbaglio?
Perry sorrise. — Amministro la giustizia, ma non in senso assoluto.
Io sono tutt’al più un monarca costituzionale. Lasci che le
spieghi: i nostri uffici sono al trentaduesimo piano dell’edificio…
l’edificio dell’American Trade Company. Abbiamo una trentina di
studi privati su quel piano, gli studi degli alti funzionari della
società, dei capi-reparto e così via. Venerdì scorso, uno di questi
funzionari aveva nella propria scrivania una somma in banconote…
una somma considerevole, che è scomparsa in circostanze che lo
portano a sospettare che sia stata rubata da… dall’impiegata di cui
ho già parlato. La cosa non mi è stata riferita che sabato mattina.
Il funzionario in questione esigeva che si agisse immediatamente,
ma io non potevo persuadermi che quell’impiegata fosse colpevole. È
stata… cioè, mi è sempre sembrata meritevole della più completa
fiducia. Nonostante le apparenze…
Si fermò. Wolfe domandò: — E lei vorrebbe che scoprissimo la verità
in questa faccenda? — Sì. Naturalmente. È quello che desidero. —
Per la terza volta Perry si schiarì la voce — Innanzi tutto, vorrei
che tenesse in considerazione i suoi precedenti di onestà e di
fedeli servizi. Tuttavia vorrei chiederle che, parlando della cosa
con il signor Muir, gli facesse credere che è stato ingaggiato per
svolgere un’indagine di comune amministrazione. Inoltre, vorrei che
i suoi rapporti fossero presentati a me personalmente.
— Vedo. — Wolfe aveva gli occhi socchiusi. — Mi sembra una faccenda
un po’ complessa, vorrei evitare ogni probabilità di malinteso.
Vediamo di chiarire: lei non ci chiede di scoprire un insieme di
prove tali da dimostrare la colpa dell’impiegata; ne ci ingaggia
per fabbricare delle prove soddisfacenti della sua innocenza; lei
vuole soltanto che troviamo la verità. — Sì — rispose Perry
sorridendo. — Però credo che scoprendo la verità constaterà la sua
innocenza.
— Può darsi. E chi sarà il nostro cliente? Lei o l’American
Trade?
— Ecco… a questo non avevo pensato. Direi la compagnia. Sarebbe
meglio.
— Bene. — Wolfe mi guardò. — Prima di tutto veniamo al denaro
scomparso, signor Perry. Quanto è?
— Trentamila dollari. In banconote da cento dollari.
— Accidenti! Era il denaro degli stipendi.
— No. — Esitò. — Ebbene, sì, scriva pure che era il denaro degli
stipendi.
— Sarebbe meglio che lo sapessimo di preciso. — Ecco… dal momento
che siamo d’accordo che la cosa rimane tra noi… lei sa,
naturalmente, che in rapporto ai nostri affari abbiamo bisogno di
ottenere certi privilegi in alcuni paesi stranieri. Nei nostri
rapporti con i rappresentanti di questi paesi ci capita di aver
bisogno di forti somme in contanti. — Vedo. Questo signor Muir che
avete nominato, è forse l’ufficiale pagatore? — Il signor Ramsey
Muir è il vicepresidente anziano della società. È lui che si occupa
in generale di queste trattative. In un’occasione simile, giovedì
scorso, doveva pranzare con un signore proveniente da Washington.
Il signore in questione perse il treno e telefonò che sarebbe
arrivato più tardi e che sarebbe venuto addirittura nei nostri
uffici alle cinque e mezzo del pomeriggio. Così fece. Quando giunse
per il signor Muir il momento di aprire il cassetto della
scrivania, il denaro era scomparso. Naturalmente lui si trovò in
grande imbarazzo. Wolfe arrancò per raddrizzarsi sulla poltroncina,
poi si alzò in piedi. Guardò Perry dall’alto. — La prego di
scusarmi, signor Perry. Questa è l’ora stabilita per la mia
ginnastica, dopo di che devo andare a badare alle mie piante. Se le
interessa, quando avrà finito di parlare con il signor Goodwin, può
venire sul tetto a dare un’occhiata alle mie coltivazioni: sarei
molto lieto di mostrargliele. — Si avviò verso la porta, ma, a un
tratto, si volse. — Sarà opportuno, credo, che il signor Goodwin
faccia un’indagine preliminare prima che ci assumiamo in via
definitiva l’incarico che ci sta offrendo. Mi sembra che presenti
qualche complicazione. Buon giorno, signor Perry.
Uscì. Il bersaglio con le frecce era stato trasportato nella sua
camera quella mattina, poiché era una giornata da dedicare agli
affari e per giunta c’erano degli appuntamenti. — Ecco un uomo
prudente — fece Perry sorridendo. — D’altra parte un uomo con la
sua eccezionale abilità può permettersi questo lusso.
— Già. Quando ce lo aveva messo?
— Che cosa? Oh, capisco. Il denaro era stato prelevato alla banca e
posto nella scrivania del signor Muir quella mattina; lui però
aveva controllato rientrando dopo il pranzo… verso le tre del
pomeriggio, e aveva visto le banconote intatte. Alle cinque e mezzo
erano scomparse. — Il signor Muir è sempre rimasto nello
studio?
— Oh, no. È andato e venuto per tutta la giornata. È stato con me
nel mio studio per una ventina di minuti circa. Una volta è andato
ai servizi. Per oltre mezz’ora, dalle quattro alle quattro e
quaranta circa, è stato nella sala del Consiglio, a colloquio con
altri funzionari della società e con l’avvocato Savage, nostro
consulente legale.
— Il cassetto era chiuso a chiave?
— No.
— Allora, chiunque avrebbe potuto prendere quel denaro.
Perry scosse il capo. — L’impiegata degli uffici direttivi
controlla dalla sua scrivania tutto il corridoio; il suo compito è
quello di sapere, in qualunque momento, dove si trovino le varie
persone dell’ufficio. Perciò sa benissimo chi è stato nell’ufficio
di Muir e quando. — E chi c’è stato?
— Cinque persone. Un fattorino che portava della posta, un altro
vicepresidente della società, la stenografa di Muir, Clara Fox e io
stesso.
— Andiamo per eliminazione. Suppongo che lei non abbia preso il
denaro…
— No di certo. Magari l’avessi preso io! Quando il fattorino è
entrato, c’era anche Muir nello studio. Il vicepresidente, signor
Arbuthnot, è fuori questione. Quanto alla stenografa del signor
Muir, era ancora negli uffici quando il furto è stato scoperto… gli
altri per la maggior parte se n’erano andati a casa… e ha insistito
perché Muir perquisisse i suoi effetti. Ha uno studiolo accanto a
quello di Muir e non ne era mai uscita se non per passare nella
stanza di lui. D’altra parte, è alle dipendenze del vicepresidente
da undici anni e lui ha molta fiducia in lei, cosicché, per
eliminazione, arriviamo a Clara Fox.
Si schiarì la voce. — Clara Fox è addetta ai movimenti dei
telegrammi… una mansione di responsabilità… traduce e decifra tutti
i telegrammi in codice. È andata nello studio di Muir alle quattro
e un quarto circa, con la traduzione di un telegramma, e siccome
Muir non c’era, lo ha aspettato mentre la stenografa andava nel suo
studio per dattilografarne una copia. — Da quanto tempo è vostra
impiegata?
— Da tre anni. Forse un po’ di più.
— Sapeva che il denaro era nel cassetto?
— Probabilmente sapeva che era nello studio di Muir. Due giorni
prima aveva avuto per le mani un telegramma con le istruzioni per
il pagamento.
— Però lei pensa che non l’abbia preso lei.
Perry aprì la bocca, poi la richiuse. Gli piantai gli occhi
addosso. Non aveva precisamente l’aria indecisa. Sembrava piuttosto
fosse alla ricerca delle parole più adatte per esprimere il suo
pensiero. Approfittai della pausa per osservano. Aveva gli occhi
grigio-azzurri, intelligenti e astuti, la mascella pronunciata,
anche troppo, i capelli grigi, ma non più del normale, considerando
che doveva avere oltre sessant’anni, la fronte spaziosa, con un neo
sulla tempia destra, e una carnagione sana e ben conservata.
Nell’insieme, non si poteva certo dire che avesse un aspetto
repulsivo, ma in quel momento non lo guardavo con occhio benevolo,
perché mi sembrava probabile che vi fosse qualche casa di poco
pulito nella torta in cui mi stava invitando a metter le dita.
Perry parlò finalmente. — Nonostante le apparenze, sono
dell’opinione che Clara Fox non abbia preso il denaro. Sarei molto
addolorato se venissi a sapere che è colpevole… e prima di
convincermi devo vedere delle prove inconfutabili.
— E la ragazza cosa ne dice?
— Non è ancora stata interpellata. Nessuno è al corrente
dell’accaduto, eccetto Arbuthnot, la signorina Vawter, impiegata
degli uffici direttivi… e la stenografa di Muir. Credo sia
opportuno dirle che Muir voleva mandare a chiamare la polizia
questa mattina, ma io l’ho trattenuto. — Potrebbe essere stata la
signorina Vawter a prendere il denaro?
— È alle nostre dipendenze da diciotto anni. Sospetterei piuttosto
di me stesso. — Quanti anni ha Clara Fox?
— Ventisei.
— Ah. È giovane, mi sembra, per un posto di responsabilità come
quello che occupa. È sposata?
— No. È molto abile nel suo lavoro.
— Sa qualcosa delle sue abitudini?
Perry corrugò la fronte. — No. Non la conosco molto intimamente e
non mi sono preso certo il disturbo di farla sorvegliare.
— Quanto guadagna e come crede che spenda il suo denaro?
— Ha uno stipendio di tremilaseicento dollari all’anno. Per quel
che ne so, conduce una vita rispettabile e molto tranquilla. Ha un
appartamentino e una utilitaria… l’ho vista qualche volta al
volante. Lei… Mi dicono che le piace il teatro.
— Vedo, vedo. — Feci scorrere lo sguardo sulla pagina di taccuino
che avevo già scritta. — E questo signor Muir che lascia il suo
cassetto aperto quando ci sono trenta bigliettoni dentro… non
potrebbe darsi che sia stato lui stesso a servirsi di quel denaro
perché magari si era trovato al verde?
Perry sorrise e scosse il capo. — Muir è proprietario di
ventottomila azioni della nostra compagnia, per un valore che
supera i due milioni di dollari alla quotazione attuale; inoltre ha
altre entrate. Non c’è niente di strano che lui abbia lasciato il
cassetto aperto, date le circostanze.
Diedi un’altra occhiata al mio taccuino. Dopo quello che Wolfe
aveva detto, naturalmente, come primo passo, dovevo andare a dare
un’occhiata al trentaduesimo piano dell’edificio della compagnia
Mercantile e iniziare qualche interrogatorio. Ma la pendola appesa
al muro segnava le quattro e venti. Alle sei sarebbe dovuta
arrivare la proprietaria di quella tal voce che avevo udita al
telefono, con la persona che veniva di fuori.
— Sta bene. Sarà in ufficio domani mattina? Verrò alle nove in
punto per dare un’occhiata. Avrò bisogno di vedere le persone…
— Domani mattina? — fece Perry accigliandosi. — Perché non
adesso?
— Ho un altro appuntamento.
— Lo rimandi! — Era arrossito leggermente sugli zigomi. —Questa
faccenda è urgente. Io sono uno dei più vecchi clienti di Wolfe. Mi
sono preso il disturbo di venire qui di persona… — Dolente, signor
Perry. Non le basta che venga domani? Non posso rimandare questo
mio appuntamento.
— Mandi qualcun altro.
— Non ho a portata di mano nessuno che possa sostituirmi.
— È mostruoso! — fece Perry dando un balzo sulla sua sedia. —
Insisto per vedere Wolfe! Scossi il capo.
— Sa bene che non può vederlo ora. Conosce abbastanza bene le sue
abitudini. Però intanto pensavo che, dopo tutto, Perry era un
cliente e che ce n’erano di peggiori di lui, perciò mi alzai e
soggiunsi: — Salgo un momento a esporre la situazione a Wolfe. Lui
è il capo. Se mi dice che…
La porta dello studio si aprì. Mi volsi. Fritz entrò camminando con
fare compassato, come sempre quando veniva ad annunciare un
visitatore. Ma questa volta non fece a tempo ad annunciarlo. Il
visitatore entrò a sua volta, due passi dietro.
Fritz si volse, si accorse di essere stato seguito, batté le
palpebre e se la svignò. Rivolsi tutta la mia attenzione al nuovo
venuto, perché era un esemplare degno di nota. Era alto un paio di
metri e portava un vecchio vestito di flanella blu, senza panciotto
e con le maniche troppo corte di una spanna; teneva in mano un
cappello color crema della capacità di dieci galloni e a guardare
la sua faccia si sarebbe detto che fosse stata messa a stagionare
al sole per un buon mezzo secolo; quanto all’andamento, avrei detto
che stava tra il cowboy e la pantera. Annunciò con voce pacata e
profonda: — Mi chiamo Harlan Scovil. — Si avvicinò a Perry e lo
fissò con gli occhi socchiusi. Perry si agitò stilla sedia e parve
contrariato. Il visitatore disse: — È lei il signor Nero Wolfe?
Intervenni soavemente: — Il signor Wolfe non è qui. Sono il suo
assistente. Sono occupato con questo signore. Se vuole
scusarci…
Il visitatore fece un cenno d’assenso e si volse di nuovo a fissare
Perry…
— Allora chi diavolo… lei non è Mike Walsh? Diavolo, no. Mike era
un uomo a scartamento ridotto. Smise d’interessarsi di Perry, si
guardò attorno, poi guardò me. — Che cosa dovrei fare ora? Sedermi
col cappello sugli occhi?
Sorrisi. — Perché no? Provi quella poltrona di cuoio laggiù.
Io mi diressi verso la porta; volsi il capo per dire a Perry: —
Torno subito.
Nella serra trovai il capo nella stanza centrale, intento a
manipolare certe piante speciali di orchidee che stavano per
sbocciare, mentre Horstmann si dava da fare con un recipiente di
carbone vegetale e con un fascio di felci. Wolfe, naturalmente, non
mi guardò neppure e non accennò a interrompere le i sue
operazioni.
A voce alta, in modo che non potesse fingere di non avermi udito,
dissi: — Quel milionario laggiù pretende che io vada al suo ufficio
seduta stante e cominci a guardare sotto i tappeti per cercare i
suoi trenta bigliettoni, ma abbiamo un appuntamento per le sei. Gli
ho detto che preferirei andare domani mattina, ma lui ha insistito,
dicendo che la cosa è urgente, che io sono mostruoso o meglio che
il mio atteggiamento è mostruoso e che lui è un vecchio cliente… —
Nel complesso mi pare che abbia quasi ragione. Mi piace soprattutto
la seconda delle sue affermazioni. Mi lasci in pace.
— Benissimo. È venuto adesso un altro visitatore. Un ceno Harlan
Scovil. È un vecchio cowboy con la faccia cotta dal sole e dal
vento; ha piantato gli occhi in faccia a Perry e poi ha detto che
non era Mike Walsh.
Wolfe mi guardò. — Immagino che lei ci tenga a riscuotere lo
stipendio alla fine del mese… — Filo.
Quando ritornai in ufficio, Perry stava sulla porta dello studio,
col cappello in testa e il bastone in mano.
Gli dissi: — Mi dispiace di averla fatta attendere.
— Ebbene?
— Bisognerà proprio che aspetti domani mattina, signor Perry.
Quell’appuntamento non può essere rimandato. Del resto, oggi è già
tardi e non potrei fare gran che. Il signor Wolfe deplora
sinceramente…
— Va bene, va bene — scattò Perry. — Ha detto alle nove? Venga
direttamente nel mio studio. — Benissimo.
Lo accompagnai alla porta di uscita.
Nello studio, Harlan Scovil se ne stava seduto nella poltrona,
accanto allo scaffale dei libri. Mi piantò addosso i suoi occhietti
penetranti e luminosi. Andai a sedere accanto a lui. — Vuole
parlare con Nero Wolfe?
— Per questo sono venuto. Sissignore.
— Il signor Wolfe sarà occupato fino alle sei e per quell’ora ha un
altro appuntamento. Io mi chiamo Archie Goodwin. Sono l’assistente
di fiducia del signor Wolfe. Forse posso esserle utile. —
L’assistente di fiducia, eh? — Aveva davvero una bella voce
profonda e sonora per la sua età, per la sua mole e per quella sua
faccia “stagionata”. Mi fissava. con gli occhi socchiusi. — Senta,
ragazzo mio. Che tipo d’uomo è questo Nero Wolfe?
Sorrisi maliziosamente. — È grasso.
Il visitatore scosse il capo come spazientito.
— Che gusto ci prova a prendere in giro un bue? Vede bene che sorta
d’uomo sono. Son qui sperduto, lontano dal mio paese — ammiccò
leggermente. — Diavolo, io vengo da lontano, dalle terre di là
della montagna. Chi era quell’uomo che stava qui quando sono
entrato? — Un uomo qualunque, un cliente del signor Wolfe.
— Che genere di cliente? Avrà un nome, immagino.
— Direi di sì. La prossima volta che lo vede glielo può chiedere
direttamente. E adesso in che cosa posso servirla?
Ignorò la mia domanda.
— Non si deve meravigliare per la mia curiosità. Naturalmente mi
erano venuti dei sospetti, vedendo un uomo qui… Ma lei mi ha
sentito quando ho detto che non era Mike Walsh; e Dio sa che non
può essere neppure la figlia di Victor Lindquist. Mi potrebbe dare
un pezzo di carta? Gli porsi un foglio di carta da macchina che
presi sulla mia scrivania. Lo tenne steso sui palmi di ambo le
mani, chinò il capo, e aprì la bocca dalla quale, come per incanto,
uscì un malloppo di tabacco delle dimensioni di un uovo di gallina.
Io sono un buon osservatore, ma non ne avevo proprio sospettato
l’esistenza. Avvolto il malloppo nella carta con molta diligenza,
si alzò e andò a gettare il tutto nel cestino della carta straccia,
poi ritornò a sedere nella poltrona. — Mi stava chiedendo in che
cosa mi può servire. Magari lo sapessi!
Sempre tenendomi gli occhi addosso, alzò la mano destra e ne
strofinò il dorso lentamente sulle proprie narici da sinistra a
destra, poi, dopo una sosta, da destra a sinistra. — Ho viaggiato
per tremila chilometri dalla Contea di Hilter, nel Wyoming, e sono
venuto qui per un affare campato in aria; ho venduto trenta vitelli
per raccogliere il denaro per il viaggio e per me, al giorno
d’oggi, non sono pochi. Fino a questa mattina non sapevo di dover
vedere un uomo di nome Nero Wolfe. Questo per me non era che un
nome e un indirizzo su un pezzo di carta, che ho in tasca. Io
sapevo soltanto che avrei dovuto vedere Mike Walsh, la figlia di
Victore, la figlia di Berto… e sembrava anche che dovessi vedere
George Rowley e, perdinci, se lo vedo e se quello che dicono è
vero, potrò mettere un bel recinto intorno al mio terreno
quest’inverno e tenerci dentro qualcosa di meglio che non le
lucertole e i lupi delle praterie. C’è una cosa però che può dirmi:
ha mai sentito parlare di un tale chiamato marchese di Clivers?
Assentii. — Ho letto qualcosa sul suo conto, nei giornali.
— Bravo! Io leggo assai poco, soprattutto perché sono così
diffidente che non credo nemmeno a una parola di quello che dicono
i giornali. Per esempio, ora sono qui, perché sono proprio
diffidente. Avrei voluto venire alle sei con gli altri, ma siccome
avevo del tempo da perdere, ho pensato di fare una scappata prima,
per dare un’occhiata all’ambiente. Vorrei vedere questo Nero Wolfe.
Sono quelle due figlie che non mi ispirano fiducia. C’è già poco da
fidarsi di un uomo, quando non lo si conosce, e non credo che possa
mai arrivare a conoscere una donna abbastanza bene per trattare con
lei questioni di affari. Io non ci ho mai provato, perché non mi
sembrava che valesse la pena. — Si fermò e si strofinò di nuovo
naso col dorso della mano avanti e indietro, lentamente. Mi guardò
di sottecchi. — Naturalmente starà pensando che io parlo molto. È
vero. Del resto, non fa nessun male ascoltarmi, anzi può farle
bene. Giù, nel Wyoming, ho parlato con me stesso, in questo modo,
per trent’anni… perdiana, se sono riuscito a sopportarlo io, può
sopportare un po’ anche lei.
Sembrava proprio che non mi rimanesse altra scelta che starlo ad
ascoltare, volente o nolente, ma qualcosa lo interruppe. Il
campanello del telefono trillò.
— Goodwin? Sono Perry. Sono rientrato ora in ufficio… È necessario
che lei venga subito. Qualunque appuntamento abbia, lo rimandi… se
subirete dei danni, pagherò io. Qui la situazione ha preso una
nuova piega. Con un taxi può arrivare qui in cinque minuti. Mi
piacciono questi tipi che credono che l’orologio si fermi ogni
volta che starnutiscono. Però, dal tono con cui Perry parlava, mi
trovavo nell’alternativa di aderire alla sua richiesta, oppure di
mandarlo al diavolo una volta per tutte, e, per natura, io sono
cortese. Perciò mi decisi a dirgli di sì.
Riappesi il ricevitore e mi rivolsi al visitatore.
— Devo lasciarla, signor Scovil. Si tratta di un affare urgente.
Però, se ho capito bene, lei è stato invitato qui per la riunione
delle sei, perciò ci rivedremo. Va bene?
Lui fece un cenno d’assenso.
Andai in cucina, dove Fritz aveva nove qualità di erbe sparse tutte
insieme sul tagliere, e gli dissi: — Io esco. Torno alle sei.
Lascia aperta la porta in modo da poter tenere d’occhio
l’anticamera. C’è un arnese nello studio che aspetta per una
riunione che si deve tenere alle sei; se ti senti in vena di fare
una buona azione, come per esempio offrire a un pover’uomo qualcosa
da bere e qualche ciambella, ti assicuro che quello se lo merita.
Se Wolfe viene già prima che io ritorni, digli che costui è ancora
nel suo studio.
Fritz, rosicchiando distrattamente una carota, annui. Ritornai
nell’atrio, afferrai il cappello e filai.