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Per il giorno seguente, lunedì sette Ottobre, sul mio taccuino erano segnati due appuntamenti. Né l’uno né l’altro promettevano bene, in fatto di lucro e di emozioni. Il primo era fissato per le tre e mezzo del pomeriggio, con un tale che si chiamava Anthony D. Perry. Era un plutocrate, consigliere della Banca Metropolitana, la banca presso la quale facevamo le nostre operazioni, e presidente della American Trade Company… una di quelle aziende non ben definite, i cui uffici occupavano sei piani di un grande grattacielo, e che vendeva annualmente un bilione di dollari di merci che nessuno vedeva mai. Wolfe aveva svolto un paio di indagini per lui negli anni precedenti… nulla di molto importante. Non sapevamo che cosa volesse questa volta, aveva telefonato per fissare un appuntamento. Il secondo appuntamento era per le sei del pomeriggio. Era un appuntamento bizzarro. Il sabato mattina, cinque Ottobre, aveva telefonato una donna dicendo che aveva bisogno di vedere Nero Wolfe. Le avevo risposto che andava bene. Lei aveva soggiunto che avrebbe dovuto condurre con sé qualcuno che sarebbe arrivato a New York soltanto lunedì mattina e siccome aveva da fare per tutta la giornata, aveva voluto sapere se poteva venire alle cinque e mezzo. Alle cinque e mezzo impossibile, le avevo detto, ma se voleva poteva venire alle sei. Avevo afferrato la matita per prender nota del nome dell’interessato. Ma la donna non era disposta a dirmelo sul momento; aveva detto che l’avrebbe “portato con sé“, che sarebbe arrivata alle sei precise con gli altri e che si trattava di una cosa molto importante.
Perry arrivò puntualmente alle tre e mezzo. Fritz gli aprì la porta e lo condusse nell’ufficio. Wolfe era alla sua scrivania intento a bere birra. Io stavo seduto nel mio angolo, imbronciato al pensiero che probabilmente Perry sarebbe venuto a pregarci di seguire le tracce di qualche concorrente in traffici illeciti, come già aveva fatto altre volte, e la prospettiva non mi attirava per nulla. Avvicinò la propria sedia alla scrivania di Wolfe e sorrise al mio capo come un uomo d’affari può sorridere a un altro.
— Sono venuto a trovarla, signor Wolfe, anziché invitarla a venire da me, per due motivi. Prima di tutto perché so che non è disposto a uscire di casa per far visita a nessuno e, in secondo luogo, perché l’incarico che vorrei affidarle è di carattere privato e confidenziale. Wolfe fece un cenno d’assenso.
— L’una o l’altra di queste ragioni avrebbe potuto bastare, signor Perry. In che cosa consisterebbe questo incarico?
— Come ho detto è di carattere confidenziale. — Perry si schiarì la voce mentre io aprivo il mio taccuino.—Desidero assicurarmi i suoi servigi per un’indagine delicata che richiederà molta prudenza e attenzione. Si tratta di uno stato di cose deplorevole che è venuto a formarsi nei nostri uffici direttivi. — Perry si schiarì la voce di nuovo. — Temo che una ragazza, una delle nostre impiegate, stia per essere vittima di un’ingiustizia… vittima delle circostanze… a meno che non si corra ai ripari.
Tacque. Wolfe disse: — Non capisco, signor Perry… come capo supremo della compagnia, non è lei ad amministrare la giustizia, negli uffici? O mi sbaglio?
Perry sorrise. — Amministro la giustizia, ma non in senso assoluto. Io sono tutt’al più un monarca costituzionale. Lasci che le spieghi: i nostri uffici sono al trentaduesimo piano dell’edificio… l’edificio dell’American Trade Company. Abbiamo una trentina di studi privati su quel piano, gli studi degli alti funzionari della società, dei capi-reparto e così via. Venerdì scorso, uno di questi funzionari aveva nella propria scrivania una somma in banconote… una somma considerevole, che è scomparsa in circostanze che lo portano a sospettare che sia stata rubata da… dall’impiegata di cui ho già parlato. La cosa non mi è stata riferita che sabato mattina. Il funzionario in questione esigeva che si agisse immediatamente, ma io non potevo persuadermi che quell’impiegata fosse colpevole. È stata… cioè, mi è sempre sembrata meritevole della più completa fiducia. Nonostante le apparenze…
Si fermò. Wolfe domandò: — E lei vorrebbe che scoprissimo la verità in questa faccenda? — Sì. Naturalmente. È quello che desidero. — Per la terza volta Perry si schiarì la voce — Innanzi tutto, vorrei che tenesse in considerazione i suoi precedenti di onestà e di fedeli servizi. Tuttavia vorrei chiederle che, parlando della cosa con il signor Muir, gli facesse credere che è stato ingaggiato per svolgere un’indagine di comune amministrazione. Inoltre, vorrei che i suoi rapporti fossero presentati a me personalmente.
— Vedo. — Wolfe aveva gli occhi socchiusi. — Mi sembra una faccenda un po’ complessa, vorrei evitare ogni probabilità di malinteso. Vediamo di chiarire: lei non ci chiede di scoprire un insieme di prove tali da dimostrare la colpa dell’impiegata; ne ci ingaggia per fabbricare delle prove soddisfacenti della sua innocenza; lei vuole soltanto che troviamo la verità. — Sì — rispose Perry sorridendo. — Però credo che scoprendo la verità constaterà la sua innocenza.
— Può darsi. E chi sarà il nostro cliente? Lei o l’American Trade?
— Ecco… a questo non avevo pensato. Direi la compagnia. Sarebbe meglio.
— Bene. — Wolfe mi guardò. — Prima di tutto veniamo al denaro scomparso, signor Perry. Quanto è?
— Trentamila dollari. In banconote da cento dollari.
— Accidenti! Era il denaro degli stipendi.
— No. — Esitò. — Ebbene, sì, scriva pure che era il denaro degli stipendi.
— Sarebbe meglio che lo sapessimo di preciso. — Ecco… dal momento che siamo d’accordo che la cosa rimane tra noi… lei sa, naturalmente, che in rapporto ai nostri affari abbiamo bisogno di ottenere certi privilegi in alcuni paesi stranieri. Nei nostri rapporti con i rappresentanti di questi paesi ci capita di aver bisogno di forti somme in contanti. — Vedo. Questo signor Muir che avete nominato, è forse l’ufficiale pagatore? — Il signor Ramsey Muir è il vicepresidente anziano della società. È lui che si occupa in generale di queste trattative. In un’occasione simile, giovedì scorso, doveva pranzare con un signore proveniente da Washington. Il signore in questione perse il treno e telefonò che sarebbe arrivato più tardi e che sarebbe venuto addirittura nei nostri uffici alle cinque e mezzo del pomeriggio. Così fece. Quando giunse per il signor Muir il momento di aprire il cassetto della scrivania, il denaro era scomparso. Naturalmente lui si trovò in grande imbarazzo. Wolfe arrancò per raddrizzarsi sulla poltroncina, poi si alzò in piedi. Guardò Perry dall’alto. — La prego di scusarmi, signor Perry. Questa è l’ora stabilita per la mia ginnastica, dopo di che devo andare a badare alle mie piante. Se le interessa, quando avrà finito di parlare con il signor Goodwin, può venire sul tetto a dare un’occhiata alle mie coltivazioni: sarei molto lieto di mostrargliele. — Si avviò verso la porta, ma, a un tratto, si volse. — Sarà opportuno, credo, che il signor Goodwin faccia un’indagine preliminare prima che ci assumiamo in via definitiva l’incarico che ci sta offrendo. Mi sembra che presenti qualche complicazione. Buon giorno, signor Perry.
Uscì. Il bersaglio con le frecce era stato trasportato nella sua camera quella mattina, poiché era una giornata da dedicare agli affari e per giunta c’erano degli appuntamenti. — Ecco un uomo prudente — fece Perry sorridendo. — D’altra parte un uomo con la sua eccezionale abilità può permettersi questo lusso.
— Già. Quando ce lo aveva messo?
— Che cosa? Oh, capisco. Il denaro era stato prelevato alla banca e posto nella scrivania del signor Muir quella mattina; lui però aveva controllato rientrando dopo il pranzo… verso le tre del pomeriggio, e aveva visto le banconote intatte. Alle cinque e mezzo erano scomparse. — Il signor Muir è sempre rimasto nello studio?
— Oh, no. È andato e venuto per tutta la giornata. È stato con me nel mio studio per una ventina di minuti circa. Una volta è andato ai servizi. Per oltre mezz’ora, dalle quattro alle quattro e quaranta circa, è stato nella sala del Consiglio, a colloquio con altri funzionari della società e con l’avvocato Savage, nostro consulente legale.
— Il cassetto era chiuso a chiave?
— No.
— Allora, chiunque avrebbe potuto prendere quel denaro.
Perry scosse il capo. — L’impiegata degli uffici direttivi controlla dalla sua scrivania tutto il corridoio; il suo compito è quello di sapere, in qualunque momento, dove si trovino le varie persone dell’ufficio. Perciò sa benissimo chi è stato nell’ufficio di Muir e quando. — E chi c’è stato?
— Cinque persone. Un fattorino che portava della posta, un altro vicepresidente della società, la stenografa di Muir, Clara Fox e io stesso.
— Andiamo per eliminazione. Suppongo che lei non abbia preso il denaro…
— No di certo. Magari l’avessi preso io! Quando il fattorino è entrato, c’era anche Muir nello studio. Il vicepresidente, signor Arbuthnot, è fuori questione. Quanto alla stenografa del signor Muir, era ancora negli uffici quando il furto è stato scoperto… gli altri per la maggior parte se n’erano andati a casa… e ha insistito perché Muir perquisisse i suoi effetti. Ha uno studiolo accanto a quello di Muir e non ne era mai uscita se non per passare nella stanza di lui. D’altra parte, è alle dipendenze del vicepresidente da undici anni e lui ha molta fiducia in lei, cosicché, per eliminazione, arriviamo a Clara Fox.
Si schiarì la voce. — Clara Fox è addetta ai movimenti dei telegrammi… una mansione di responsabilità… traduce e decifra tutti i telegrammi in codice. È andata nello studio di Muir alle quattro e un quarto circa, con la traduzione di un telegramma, e siccome Muir non c’era, lo ha aspettato mentre la stenografa andava nel suo studio per dattilografarne una copia. — Da quanto tempo è vostra impiegata?
— Da tre anni. Forse un po’ di più.
— Sapeva che il denaro era nel cassetto?
— Probabilmente sapeva che era nello studio di Muir. Due giorni prima aveva avuto per le mani un telegramma con le istruzioni per il pagamento.
— Però lei pensa che non l’abbia preso lei.
Perry aprì la bocca, poi la richiuse. Gli piantai gli occhi addosso. Non aveva precisamente l’aria indecisa. Sembrava piuttosto fosse alla ricerca delle parole più adatte per esprimere il suo pensiero. Approfittai della pausa per osservano. Aveva gli occhi grigio-azzurri, intelligenti e astuti, la mascella pronunciata, anche troppo, i capelli grigi, ma non più del normale, considerando che doveva avere oltre sessant’anni, la fronte spaziosa, con un neo sulla tempia destra, e una carnagione sana e ben conservata. Nell’insieme, non si poteva certo dire che avesse un aspetto repulsivo, ma in quel momento non lo guardavo con occhio benevolo, perché mi sembrava probabile che vi fosse qualche casa di poco pulito nella torta in cui mi stava invitando a metter le dita.
Perry parlò finalmente. — Nonostante le apparenze, sono dell’opinione che Clara Fox non abbia preso il denaro. Sarei molto addolorato se venissi a sapere che è colpevole… e prima di convincermi devo vedere delle prove inconfutabili.
— E la ragazza cosa ne dice?
— Non è ancora stata interpellata. Nessuno è al corrente dell’accaduto, eccetto Arbuthnot, la signorina Vawter, impiegata degli uffici direttivi… e la stenografa di Muir. Credo sia opportuno dirle che Muir voleva mandare a chiamare la polizia questa mattina, ma io l’ho trattenuto. — Potrebbe essere stata la signorina Vawter a prendere il denaro?
— È alle nostre dipendenze da diciotto anni. Sospetterei piuttosto di me stesso. — Quanti anni ha Clara Fox?
— Ventisei.
— Ah. È giovane, mi sembra, per un posto di responsabilità come quello che occupa. È sposata?
— No. È molto abile nel suo lavoro.
— Sa qualcosa delle sue abitudini?
Perry corrugò la fronte. — No. Non la conosco molto intimamente e non mi sono preso certo il disturbo di farla sorvegliare.
— Quanto guadagna e come crede che spenda il suo denaro?
— Ha uno stipendio di tremilaseicento dollari all’anno. Per quel che ne so, conduce una vita rispettabile e molto tranquilla. Ha un appartamentino e una utilitaria… l’ho vista qualche volta al volante. Lei… Mi dicono che le piace il teatro.
— Vedo, vedo. — Feci scorrere lo sguardo sulla pagina di taccuino che avevo già scritta. — E questo signor Muir che lascia il suo cassetto aperto quando ci sono trenta bigliettoni dentro… non potrebbe darsi che sia stato lui stesso a servirsi di quel denaro perché magari si era trovato al verde?
Perry sorrise e scosse il capo. — Muir è proprietario di ventottomila azioni della nostra compagnia, per un valore che supera i due milioni di dollari alla quotazione attuale; inoltre ha altre entrate. Non c’è niente di strano che lui abbia lasciato il cassetto aperto, date le circostanze.
Diedi un’altra occhiata al mio taccuino. Dopo quello che Wolfe aveva detto, naturalmente, come primo passo, dovevo andare a dare un’occhiata al trentaduesimo piano dell’edificio della compagnia Mercantile e iniziare qualche interrogatorio. Ma la pendola appesa al muro segnava le quattro e venti. Alle sei sarebbe dovuta arrivare la proprietaria di quella tal voce che avevo udita al telefono, con la persona che veniva di fuori.
— Sta bene. Sarà in ufficio domani mattina? Verrò alle nove in punto per dare un’occhiata. Avrò bisogno di vedere le persone…
— Domani mattina? — fece Perry accigliandosi. — Perché non adesso?
— Ho un altro appuntamento.
— Lo rimandi! — Era arrossito leggermente sugli zigomi. —Questa faccenda è urgente. Io sono uno dei più vecchi clienti di Wolfe. Mi sono preso il disturbo di venire qui di persona… — Dolente, signor Perry. Non le basta che venga domani? Non posso rimandare questo mio appuntamento.
— Mandi qualcun altro.
— Non ho a portata di mano nessuno che possa sostituirmi.
— È mostruoso! — fece Perry dando un balzo sulla sua sedia. — Insisto per vedere Wolfe! Scossi il capo.
— Sa bene che non può vederlo ora. Conosce abbastanza bene le sue abitudini. Però intanto pensavo che, dopo tutto, Perry era un cliente e che ce n’erano di peggiori di lui, perciò mi alzai e soggiunsi: — Salgo un momento a esporre la situazione a Wolfe. Lui è il capo. Se mi dice che…
La porta dello studio si aprì. Mi volsi. Fritz entrò camminando con fare compassato, come sempre quando veniva ad annunciare un visitatore. Ma questa volta non fece a tempo ad annunciarlo. Il visitatore entrò a sua volta, due passi dietro.
Fritz si volse, si accorse di essere stato seguito, batté le palpebre e se la svignò. Rivolsi tutta la mia attenzione al nuovo venuto, perché era un esemplare degno di nota. Era alto un paio di metri e portava un vecchio vestito di flanella blu, senza panciotto e con le maniche troppo corte di una spanna; teneva in mano un cappello color crema della capacità di dieci galloni e a guardare la sua faccia si sarebbe detto che fosse stata messa a stagionare al sole per un buon mezzo secolo; quanto all’andamento, avrei detto che stava tra il cowboy e la pantera. Annunciò con voce pacata e profonda: — Mi chiamo Harlan Scovil. — Si avvicinò a Perry e lo fissò con gli occhi socchiusi. Perry si agitò stilla sedia e parve contrariato. Il visitatore disse: — È lei il signor Nero Wolfe?
Intervenni soavemente: — Il signor Wolfe non è qui. Sono il suo assistente. Sono occupato con questo signore. Se vuole scusarci…
Il visitatore fece un cenno d’assenso e si volse di nuovo a fissare Perry…
— Allora chi diavolo… lei non è Mike Walsh? Diavolo, no. Mike era un uomo a scartamento ridotto. Smise d’interessarsi di Perry, si guardò attorno, poi guardò me. — Che cosa dovrei fare ora? Sedermi col cappello sugli occhi?
Sorrisi. — Perché no? Provi quella poltrona di cuoio laggiù.
Io mi diressi verso la porta; volsi il capo per dire a Perry: — Torno subito.
Nella serra trovai il capo nella stanza centrale, intento a manipolare certe piante speciali di orchidee che stavano per sbocciare, mentre Horstmann si dava da fare con un recipiente di carbone vegetale e con un fascio di felci. Wolfe, naturalmente, non mi guardò neppure e non accennò a interrompere le i sue operazioni.
A voce alta, in modo che non potesse fingere di non avermi udito, dissi: — Quel milionario laggiù pretende che io vada al suo ufficio seduta stante e cominci a guardare sotto i tappeti per cercare i suoi trenta bigliettoni, ma abbiamo un appuntamento per le sei. Gli ho detto che preferirei andare domani mattina, ma lui ha insistito, dicendo che la cosa è urgente, che io sono mostruoso o meglio che il mio atteggiamento è mostruoso e che lui è un vecchio cliente… — Nel complesso mi pare che abbia quasi ragione. Mi piace soprattutto la seconda delle sue affermazioni. Mi lasci in pace.
— Benissimo. È venuto adesso un altro visitatore. Un ceno Harlan Scovil. È un vecchio cowboy con la faccia cotta dal sole e dal vento; ha piantato gli occhi in faccia a Perry e poi ha detto che non era Mike Walsh.
Wolfe mi guardò. — Immagino che lei ci tenga a riscuotere lo stipendio alla fine del mese… — Filo.
Quando ritornai in ufficio, Perry stava sulla porta dello studio, col cappello in testa e il bastone in mano.
Gli dissi: — Mi dispiace di averla fatta attendere.
— Ebbene?
— Bisognerà proprio che aspetti domani mattina, signor Perry. Quell’appuntamento non può essere rimandato. Del resto, oggi è già tardi e non potrei fare gran che. Il signor Wolfe deplora sinceramente…
— Va bene, va bene — scattò Perry. — Ha detto alle nove? Venga direttamente nel mio studio. — Benissimo.
Lo accompagnai alla porta di uscita.
Nello studio, Harlan Scovil se ne stava seduto nella poltrona, accanto allo scaffale dei libri. Mi piantò addosso i suoi occhietti penetranti e luminosi. Andai a sedere accanto a lui. — Vuole parlare con Nero Wolfe?
— Per questo sono venuto. Sissignore.
— Il signor Wolfe sarà occupato fino alle sei e per quell’ora ha un altro appuntamento. Io mi chiamo Archie Goodwin. Sono l’assistente di fiducia del signor Wolfe. Forse posso esserle utile. — L’assistente di fiducia, eh? — Aveva davvero una bella voce profonda e sonora per la sua età, per la sua mole e per quella sua faccia “stagionata”. Mi fissava. con gli occhi socchiusi. — Senta, ragazzo mio. Che tipo d’uomo è questo Nero Wolfe?
Sorrisi maliziosamente. — È grasso.
Il visitatore scosse il capo come spazientito.
— Che gusto ci prova a prendere in giro un bue? Vede bene che sorta d’uomo sono. Son qui sperduto, lontano dal mio paese — ammiccò leggermente. — Diavolo, io vengo da lontano, dalle terre di là della montagna. Chi era quell’uomo che stava qui quando sono entrato? — Un uomo qualunque, un cliente del signor Wolfe.
— Che genere di cliente? Avrà un nome, immagino.
— Direi di sì. La prossima volta che lo vede glielo può chiedere direttamente. E adesso in che cosa posso servirla?
Ignorò la mia domanda.
— Non si deve meravigliare per la mia curiosità. Naturalmente mi erano venuti dei sospetti, vedendo un uomo qui… Ma lei mi ha sentito quando ho detto che non era Mike Walsh; e Dio sa che non può essere neppure la figlia di Victor Lindquist. Mi potrebbe dare un pezzo di carta? Gli porsi un foglio di carta da macchina che presi sulla mia scrivania. Lo tenne steso sui palmi di ambo le mani, chinò il capo, e aprì la bocca dalla quale, come per incanto, uscì un malloppo di tabacco delle dimensioni di un uovo di gallina. Io sono un buon osservatore, ma non ne avevo proprio sospettato l’esistenza. Avvolto il malloppo nella carta con molta diligenza, si alzò e andò a gettare il tutto nel cestino della carta straccia, poi ritornò a sedere nella poltrona. — Mi stava chiedendo in che cosa mi può servire. Magari lo sapessi!
Sempre tenendomi gli occhi addosso, alzò la mano destra e ne strofinò il dorso lentamente sulle proprie narici da sinistra a destra, poi, dopo una sosta, da destra a sinistra. — Ho viaggiato per tremila chilometri dalla Contea di Hilter, nel Wyoming, e sono venuto qui per un affare campato in aria; ho venduto trenta vitelli per raccogliere il denaro per il viaggio e per me, al giorno d’oggi, non sono pochi. Fino a questa mattina non sapevo di dover vedere un uomo di nome Nero Wolfe. Questo per me non era che un nome e un indirizzo su un pezzo di carta, che ho in tasca. Io sapevo soltanto che avrei dovuto vedere Mike Walsh, la figlia di Victore, la figlia di Berto… e sembrava anche che dovessi vedere George Rowley e, perdinci, se lo vedo e se quello che dicono è vero, potrò mettere un bel recinto intorno al mio terreno quest’inverno e tenerci dentro qualcosa di meglio che non le lucertole e i lupi delle praterie. C’è una cosa però che può dirmi: ha mai sentito parlare di un tale chiamato marchese di Clivers? Assentii. — Ho letto qualcosa sul suo conto, nei giornali.
— Bravo! Io leggo assai poco, soprattutto perché sono così diffidente che non credo nemmeno a una parola di quello che dicono i giornali. Per esempio, ora sono qui, perché sono proprio diffidente. Avrei voluto venire alle sei con gli altri, ma siccome avevo del tempo da perdere, ho pensato di fare una scappata prima, per dare un’occhiata all’ambiente. Vorrei vedere questo Nero Wolfe. Sono quelle due figlie che non mi ispirano fiducia. C’è già poco da fidarsi di un uomo, quando non lo si conosce, e non credo che possa mai arrivare a conoscere una donna abbastanza bene per trattare con lei questioni di affari. Io non ci ho mai provato, perché non mi sembrava che valesse la pena. — Si fermò e si strofinò di nuovo naso col dorso della mano avanti e indietro, lentamente. Mi guardò di sottecchi. — Naturalmente starà pensando che io parlo molto. È vero. Del resto, non fa nessun male ascoltarmi, anzi può farle bene. Giù, nel Wyoming, ho parlato con me stesso, in questo modo, per trent’anni… perdiana, se sono riuscito a sopportarlo io, può sopportare un po’ anche lei.
Sembrava proprio che non mi rimanesse altra scelta che starlo ad ascoltare, volente o nolente, ma qualcosa lo interruppe. Il campanello del telefono trillò.
— Goodwin? Sono Perry. Sono rientrato ora in ufficio… È necessario che lei venga subito. Qualunque appuntamento abbia, lo rimandi… se subirete dei danni, pagherò io. Qui la situazione ha preso una nuova piega. Con un taxi può arrivare qui in cinque minuti. Mi piacciono questi tipi che credono che l’orologio si fermi ogni volta che starnutiscono. Però, dal tono con cui Perry parlava, mi trovavo nell’alternativa di aderire alla sua richiesta, oppure di mandarlo al diavolo una volta per tutte, e, per natura, io sono cortese. Perciò mi decisi a dirgli di sì.
Riappesi il ricevitore e mi rivolsi al visitatore.
— Devo lasciarla, signor Scovil. Si tratta di un affare urgente. Però, se ho capito bene, lei è stato invitato qui per la riunione delle sei, perciò ci rivedremo. Va bene?
Lui fece un cenno d’assenso.
Andai in cucina, dove Fritz aveva nove qualità di erbe sparse tutte insieme sul tagliere, e gli dissi: — Io esco. Torno alle sei. Lascia aperta la porta in modo da poter tenere d’occhio l’anticamera. C’è un arnese nello studio che aspetta per una riunione che si deve tenere alle sei; se ti senti in vena di fare una buona azione, come per esempio offrire a un pover’uomo qualcosa da bere e qualche ciambella, ti assicuro che quello se lo merita. Se Wolfe viene già prima che io ritorni, digli che costui è ancora nel suo studio.
Fritz, rosicchiando distrattamente una carota, annui. Ritornai nell’atrio, afferrai il cappello e filai.