12
A mezzogiorno, Wolfe e io stavamo seduti nello studio. Fred era
in cucina intento a rifocillarsi. Era comparso circa venti minuti
prima, con una braciola di maiale in tasca, che aveva poi
consegnata a Fritz perché gliela cuocesse, e si era sfogato sui
torti subiti. Uno dei sostituti dell’avvocato Barber lo aveva
trovato in una cella della Centrale di polizia, dove l’avevano
messo perché riflettesse sui suoi peccati dopo che, per un’ora,
aveva tentato di convincere l’ispettore Cramer che lui non sapeva
niente di niente.
L’avvocato lo aveva liberato senza molta difficoltà e, Fred, era
corso subito in ufficio. Wolfe non aveva voluto vederlo.
Lassù, nel reparto delle piante tropicali, c’era l’insolito
spettacolo dei vestiti di Clara Fox e di altri indumenti
inconfondibilmente femminili appesi a una corda ad asciugare; la
ragazza era tornata nella sua camera e si stava pavoneggiando con
la veste da camera che Wolfe mi aveva regalato per Natale, quattro
anni prima. Io non l’avevo vista, ma avevo avuto informazioni da
Fritz che gliel’aveva portata.
Horrocks se n’era andato. Nello studio Wolfe stava bevendo birra e
parlava, saltando di palo in fiasca. Osservò che, dal momento che
l’ispettore Cramer era arrivato al punto di insultarlo facendo
perquisire la sua casa, era probabile che avesse anche creduto
opportuno di prendere altre misure, come, per esempio, far
controllare i suoi telefoni, perciò dovevamo prendere le nostre
precauzioni. Confessò poi che era stata una sciocchezza da parte
sua lasciare andate Walsh lunedì sera, senza rivolgergli certe
domande, poiché aveva già formulato un’ipotesi la quale, sempre che
gli riuscisse di verificarla, poteva risolvere il problema
completamente. Disse che gli dispiaceva che non ci fosse il
telefono alla fattoria dei Lindquist nel Nebraska, poiché quel
povero vecchio avrebbe dovuto affrontare i rigori dell’inverno e
percorrere nove miglia per recarsi al villaggio vicino e parlare
con lui, al telefono; aggiunse che sperava di ottenere la
comunicazione per l’ora in cui l’aveva prenotata, e cioè all’una.
Sperava anche che Johnny riuscisse a trovare Walsh e lo conducesse
nell’ufficio senza intralci, perché riteneva che quattro parole con
Walsh e una conversazione con Lindquist potessero metterlo sulla
buona strada per sciogliere tutto l’imbroglio – altra birra – e
così via.
Il campanello del telefono squillò. Presi il ricevitore e udii la
voce di Keems.
— Ho trovato la vecchia signora in buona salute e l’ho assistita
per un paio d’ore, poi è stata investita da un taxi marrone ed è
stata portata all’ospedale.
— È deplorevole. Aspetta un momento.
Coprii il ricevitore con la mano e mi rivolsi a Wolfe. — Johnny ha
trovato Mike Walsh e lo ha pedinato per due ore, dopo di che Walsh
è stato pescato da un agente e condotto alla Centrale di
polizia.
Wolfe si accigliò, strinse le labbra e trasse un sospiro. — Al
diavolo quei ficcanaso! Dite a Johnny di venire qui.
Dissi al telefono: — Rientra subito in ufficio — poi riappesi.
Il principale si appoggiò contro lo schienale della poltrona con
gli occhi chiusi e io non interruppi le sue riflessioni. Sentivo
aria di burrasca e non avevo voglia di subire una sfuriata. All’una
meno un quarto il campanello della porta suonò; andai ad aprire e
feci entrare Keems. Continuavo a fungere da portinaio, perché con
Cramer non si sapeva mai. Johnny, con la sua solita aria da
studentello che non mancava mai di irritarmi, mi seguì nello studio
e si lasciò cadere su una sedia senza aspettare che lo invitassero
ad accomodarsi. Domandai: — Dove hai trovato Walsh?
— Quanto a questo non ho fatto fatica. L’ho trovato alla
Sessantaquattresima Strada Est, dove abita. Secondo le istruzioni,
non dovevo avvicinarlo che in caso di necessità assoluta, perciò,
con una giudiziosa indagine, ho scoperto il suo indirizzo e sono
andato ad appostarmi nella Sessantaquattresima Strada. È uscito
alle dieci meno un quarto, ha imboccato la Seconda Avenue e si è
diretto verso sud. Ha poi preso la strada del Parco…
Wolfe intervenne: — Salti l’itinerario.
— Va bene. Alla Cinquantaseiesima Strada è entrato all’albergo
Portland.
— Davvero?
— Sì. Ci è rimasto più di un’ora. Si è servito del telefono, poi ha
preso un ascensore, ma io sono rimasto nella hall perché gli agenti
di guardia all’albergo mi conoscono; d’altra parte, anche Walsh mi
aveva visto e non mi pare proprio il tipo da tollerare di essere
pedinato. Quando ho visto che tardava, ho cominciato a temere che
fosse uscito da un’altra parte, ma non potevo far altro che
aspettare; finalmente, alle undici e un quarto, è sceso ed è
ritornato in strada. Si è diretto verso Sud, poi verso Ovest per la
Cinquantacinquesima Strada e infine ha attraversato Madison ed è
entrato in uno stabile in costruzione. È appunto il luogo dove mi
aveva detto di fare delle ricerche, se non avessi combinato niente
di buono alla Sessantaquattresima Strada… è lo stabile dove lavora
come guardiano notturno. Ho aspettato fuori temendo che qualcuno mi
fermasse se tentavo di entrare e sempre sperando che Walsh non si
servisse di un’altra uscita. Dieci minuti dopo è ricomparso, ma
questa volta non era più solo. Era con un agente che lo teneva per
un braccio. Sono andati a piedi sino al Parco e hanno preso un
taxi; io ne ho preso un altro e li ho seguiti fino alla Centrale di
polizia. Non appena li ho visti entrare, sono andato in cerca di un
telefono.
Wolfe, che se ne stava sempre appoggiato allo schienale della sua
poltroncina, chiuse gli occhi. Squillò il telefono. Presi il
ricevitore. Una voce mi informò che l’ispettore Cramer desiderava
parlare col signor Goodwin; dissi alla voce di passarmi la
comunicazione e feci un cenno a Wolfe, perché prendesse il suo
ricevitore.
— Goodwin? Sono l’ispettore Cramer. Sarebbe disposto a farmi un
favore?
— Ne sarei ben lieto… sono lusingato della sua richiesta.
— Davvero? Si tratta di una cosa facile. Prenda la sua carretta e
faccia una scappata qui al mio ufficio.
Lanciai un’occhiata a Wolfe che teneva il ricevitore all’orecchio,
ma lui non mi fece alcun cenno. Dissi: — Va bene, vengo.
Riappesi e mi voltai verso Wolfe: — Perché no? È sempre meglio che
star qui a girarmi i pollici. Fred e Johnny sono qui, e tutti e due
insieme mi sostituiscono per una quinta parte. Forse vuole che lo
aiuti a mettere allo spiedo Walsh.
Wolfe fece un cenno d’assenso. — C’è qualcosa in questo passo di
Cramer che mi piace. Può darsi che mi sbagli. Vada pure.
Riordinai un poco la mia scrivania e partii. Johnny venne a
chiudere la porta dietro di me. Non uscivo da quasi venti ore e
l’aria mi parve profumata. Me ne riempii ben bene i polmoni e
m’incamminai verso l’autorimessa. La macchina nitrì quando mi
avvicinai.
Trovai un posto libero nel posteggio più vicino, quindi entrai al
Quartier generale di polizia, presi l’ascensore e salii. Mi fecero
entrare direttamente nell’ufficio di Cramer dove trovai soltanto un
poliziotto in uniforme, e mi sedetti ad aspettare.
Un minuto dopo Cramer entrò. Credevo che avesse il pudore di
mostrarsi un po’ imbarazzato, ma mi illudevo; stava masticando un
sigaro e mi salutò cordialmente. Pensai che non fosse male ribadire
il chiodo della sconfitta subita e gli domandai: — Avete trovato
Clara Fox? — No. Clara Fox non l’ho trovata, ma la troverò. Intanto
ho trovato Mike Walsh. — Dice davvero? Congratulazioni. Dove l’ha
trovato?
Mi guardò e si accigliò parecchio. — Non voglio fare il furbo con
lei, Goodwin; perderei il mio tempo. L’ho pregata di venire qui
proprio a causa di questo Mike Walsh. Lei e Wolfe vi siete
comportati assai male in questa faccenda, ma se mi aiutate ora,
sono disposto a dimenticarmene. Ho bisogno che mi indichiate il
vero Walsh. Non avrete bisogno di comparire, basterà che guardiate
attraverso una grata.
— Non capisco. Mi sembrava che mi avesse detto di averlo
trovato.
— L’ho trovato anche troppo — fece Cramer addentando il sigaro. —
Ne ho trovati otto. — Oh! — Gli rivolsi un sorriso pieno di
comprensione. — Pensi un po’! Ha trovato otto Walsh! E per fortuna
che Walsh non è un nome comune come Smith.
— È disposto a indicarmi qual è il vero Walsh?
Scossi il capo. — Sono dolente. Sarebbe un’azione incompatibile con
la nostra etica professionale. Lo farei con piacere, ma non
posso.
Cramer si tolse il sigaro di bocca e lo agitò verso di me con gesto
ammonitore. — È troppo, Goodwin… questa volta è troppo! Dovrò agire
contro di lei e contro Wolfe accusandovi di aver intralciato
l’opera della giustizia. Gli elementi per l’accusa non mi mancano.
Anche se per conto mio mi dispiace compiere questo passo, devo pur
render conto del mio operato alle autorità superiori. — Premette un
bottone sulla scrivania. — Faccia pure. Poi se ne pentirà. per un
anno, se non più.
La porta si apri ed entrò un agente. Cramer gli disse: — Bisognerà
lasciarli andare, Nick. Falli pedinare tutti. Metti loro alle
calcagna dei buoni elementi. Abbiamo l’indirizzo di tutti e se, per
caso, se ne perdesse uno, lo ritroveremo. Se ne portassero degli
altri, li interrogherò io. — Signorsi. Quello di Brooklyn sta
facendo un putiferio…
— Va bene, va bene, lasciatelo andare subito.
L’agente si ritirò. Cramer tentò di riaccendere il sigaro. Dissi: —
Per quanto riguarda le autorità superiori possono andare a quel
paese quando vogliono. Come può affermare che Wolfe intralcia
l’opera della giustizia? Forse che in passato non si è sempre
mostrato disposto a darle una mano? Francamente parlando, le dirò
che ha avuto una bella faccia tosta a chiedermi di venire qui. Non
può affermare che noi abbiamo tentato di impedirvi di cercare le
persone nominate sul foglietto trovato sul morto. Diamine, siete
perfino venuti a cercarne una sotto il letto di Wolfe e sotto il
mio! D’altra parte, Wolfe e io non siamo certo ai suoi ordini.
Cramer fumò in silenzio per qualche secondo, poi ripeté: — Dovrei
accusarvi tutti e due. Guardai l’orologio e vidi che erano quasi le
due. — Ho appetito. Dove mangerò? Dentro o fuori? — Per quel che me
ne importa può fare anche a meno di mangiare. Se ne vada! Uscii,
percorsi il corridoio, scesi con l’ascensore e, un momento dopo,
ero di nuovo al volante della macchina di Wolfe.
Quando ritornai a casa, Wolfe e Clara erano nella sala da pranzo e
prendevano il caffè. Erano così assorti a conversare che mi
degnarono appena di un saluto; sedetti al mio posto a tavola e
Fritz mi portò qualcosa da mangiare. La ragazza aveva indosso la
mia veste da camera, con le maniche rimboccate, e portava un paio
di pantofole di Fritz, senza calze. Wolfe le stava recitando delle
poesie ungheresi.
Quando Fritz mi portò una fetta di torta, dissi, col tono di chi
parla da solo: — Se ha finito di prendere il caffè e ha tempo
disponibile, potrebbe forse ascoltare il mio rapporto. Wolfe
sospirò: — Sono disposto ad ascoltare, ma non qui. — Si alzò. —
Fritz potrebbe servire il caffè nello studio. E lei, signorina Fox…
risalga.
— Oh, santo cielo, devo nascondermi di nuovo?
— Naturalmente. Fino all’ora di cena. — E se ne andò.
Clara si alzò e venne verso di me.
— Vuole che le versi il caffè?
— Grazie… due zollette.
Lei corrugò la fronte.
— Non vuole un po’ di latte? No? Va bene. Sa, signor Goodwin…
Sorrisi e mi alzai. — Grazie del caffè. Forse riuscirò a persuadere
Wolfe a lasciarla scendere per la cena.
Tenni in bilico la tazza e il piattino con una mano, mentre con
l’altra aprivo la porta per lasciar passare la ragazza, poi andai
nello studio, sedetti alla mia scrivania e cominciai a gustare il
caffè. Wolfe aveva aperto il cassetto di mezzo e stava contando i
tappi delle bottiglie per vedere quanta birra aveva bevuto da
domenica mattina. Finalmente richiuse il cassetto e brontolò: — Non
riesco proprio a capacitarmene… è impossibile. Ma già, si sa che
sulle statistiche non si può fare affidamento. Ho avuto una
conversazione soddisfacente con il signor Lindquist per telefono e
sono più che mai ansioso di avere uno scambio di vedute col signor
Walsh. L’ha visto?
— No. Ho declinato l’invito. — Riferii il mio colloquio con Cramer
in tutti i particolari; Wolfe ascoltò. con aria assorta.
— Ho capito. Dunque il signor Walsh è di nuovo in libertà.
— Già. È in libertà, ma non vedo in che modo possiamo avvicinarlo,
dal momento che è pedinato. Se mai uno di noi si arrischiasse ad
abbordarlo, i nostri cari amici capirebbero che è il nostro uomo e
ce lo porterebbero via.
— Credo che abbia ragione — Fece Wolfe sospirando. — D’altra parte,
ho proprio necessità di parlare con Walsh… Basterebbe anche che gli
parlasse lei. Chiami Keems.
Condussi Keems nello studio. Wolfe agitò l’indice verso di lui.
— Johnny, devo parlarle di una missione importante. Non mando
Archie, perché ho bisogno di lui qui e Saul non è disponibile.
— Signorsi… sparate.
— Quel Mike Walsh che lei ha seguito stamane, è stato liberato
dalla polizia, che non è riuscita ad appurare se sia proprio l’uomo
che cerca oppure un omonimo. Però è pedinato, quindi sarebbe
pericoloso abbordarlo apertamente. È necessario che Archie possa
mettersi in comunicazione con lui. Siccome lo stesso Walsh finge
con le autorità di non essere l’uomo che loro cercano, è probabile
che continui nelle sue occupazioni giornaliere, come se niente
fosse stato; vale a dire, andrà al suo lavoro questa sera. Comunque
sia, sarà sempre seguito e con molta probabilità ci sarà un agente
di guardia nei pressi del cantiere, per tutta la notte: è ovvio che
Archie non potrebbe andarlo a cercare apertamente. Vi espongo tutti
i particolari, in modo che vi rendiate conto con esattezza di ciò
che vogliamo. Dove c’è uno stabile in costruzione si erige una
palizzata tra il terreno da costruire e il marciapiede, ma non
dagli altri lati dove ci sono degli edifici, non è vero? In
generale è così. Ebbene, desidero sapere da quale parte Archie
potrebbe entrare nel cantiere, diciamo alle sette di questa sera.
Esplori dovunque. Ho saputo dalla signorina Fox, la quale è stata
là venerdì scorso per parlare col signor Walsh, che hanno appena
cominciato a montare lo scheletro d’acciaio del fabbricato. La
signorina Fox dice anche che il signor Walsh va al lavoro alle sei
di sera. Desidero sapere se ci andrà puntualmente anche oggi. Può
vigilare l’ingresso a quell’ora oppure trovare un osservatorio che
le consenta di tener d’occhio l’interno del cantiere. Faccio conto
sul suo discernimento. Se telefona qui usi il linguaggio
convenzionale, per quanto possibile. Faccia in modo da trovarsi
nello studio alle sei e mezzo, col suo rapporto.
— Sissignore — rispose Johnny alzandosi. — Se mai dovessi
raddolcire qualcuno… qualche portiere delle case attorno, per
esempio, per passare liberamente, mi occorrerà un po’ di
contante.
Wolfe fece un cenno d’assenso, senza entusiasmo. Trassi quattro
biglietti da cinque dollari dalla cassaforte e li feci passare a
Johnny, che se li mise nel taschino del panciotto. Poi lo
accompagnai nell’ingresso e aspettai che uscisse.
Ritornai alla mia scrivania e sbrigai alcuni lavoretti di
secondaria importanza… preparai un paio di assegni di pagamento e
verificai alcune fatture di fornitori d’orchidee. Wolfe stava
bevendo birra e io lo osservavo con la coda dell’occhio. Era
sovreccitato e sapevo perché. Il suo comportamento mi faceva
presagire che qualcosa bolliva in pentola. Mi sentivo a disagio per
l’inazione a cui ero costretto e, dopo aver atteso a lungo, finii
per dire: — E io me ne sto qui a non far niente! Perché?
Wolfe scosse il capo. — La metterò al corrente, Archie… a suo
tempo. — Allungò una mano, premette il campanello, poi sospirò e
spinse via il vassoio. — Quanto al fatto che io ho mandato via
Johnny e la tengo qui a non far niente, basterà che le dica che ho
bisogno di lei. Mentre era fuori, il signor Muir ha telefonato per
domandarmi se può venir qui alle due e mezzo. Ora sono appunto…
— Che cosa sta dicendo? Muir?
— Sì, il signor Ramsey Muir. Lei protesta perché la tengo
all’oscuro dei vari fatti che raccolgo, ma lei intralcia già con
tanta persistenza il lavoro della mia mente, che non ho nessuna
voglia di incoraggiare ulteriormente i suoi vaniloqui. Nel caso
attuale, conosce la situazione quanto me, ma non ha la pazienza di
sopportare le mie riflessioni. Pensa, per esempio, che sapendo chi
ha ucciso Harlan Scovil (e dopo aver parlato per telefono col
signor Lindquist credo proprio di saperlo), dovrei agire subito. E
perché non lo faccio? Prima di tutto perché ho bisogno di alcune
conferme e, in secondo luogo, perché la cosa che più ci sta a cuore
in questo caso, non è l’indagine sul delitto, ma l’esazione di un
credito. Se io sono convinto di poter ottenere la conferma di cui
ho bisogno dal signor Walsh, perché non mi metto senza indugio in
contatto con lui, non ottengo la mia conferma e non lascio poi che
la polizia lo catturi? Perché la polizia, non appena avesse nelle
mani il Walsh che cerca, gli caverebbe di bocca tutta la storia,
con le buone o con le cattive, dopo di che prenderebbe delle misure
le quali complicherebbero grandemente le nostre operazioni tendenti
a far pagare lord Clivers e a far prosciogliere la signorina Fox
dall’accusa di furto. Abbiamo tre diverse mete da raggiungere e,
dato che dobbiamo raggiungerle simultaneamente… ma ecco il
campanello della porta. Il signor Muir è in ritardo di tre
minuti.
Andai nell’atrio e diedi un’occhiata attraverso i vetri. Era
proprio Muir. Aprii e lo feci entrare. Dal modo in cui varcò la
soglia e mi disse che voleva vedere Wolfe compresi che era
furibondo. Lo feci passare nello studio e sogghignai per conto mio,
quando vidi che non accennava neppure a porgere la mano a Wolfe.
Avvicinai una poltroncina alla scrivania e lui sedette col cappello
sulle ginocchia.
Wolfe disse: — Al telefono mi è parso che la sua segretaria non
sapesse a proposito di che cosa voleva vedermi. Ho intuito che deve
trattarsi della sua accusa contro la signorina Clara Fox. Senza
dubbio saprà che io rappresento per l’appunto la signorina Fox.
— Sì, lo so.
Mi parve che i muscoli facciali di Muir si contraessero. Mi
ricordai il modo in cui aveva guardato Clara il giorno prima e mi
venne fatto di domandarmi come poteva funzionare la sua digestione,
con tutta la rabbia che mangiava.
Disse: — Sono venuto qui per l’insistenza del signor Perry. — Gli
tremava la voce e quando si fermò notai che la sua mascella
continuava a muoversi con un moto convulso. — Tengo a dirle che so
che è stata lei a prendere il denaro. È l’unica persona che abbia
potuto prenderlo. La somma è stata rinvenuta nella sua auto. — Si
fermò un momento e strinse i denti come per fermare il tremito
della mascella. — Il signor Perry mi ha detto che minacciate di
citarci per danni. L’insinuazione implicita in questa sua minaccia,
non merita neppure un commento da parte mia.
Ancora una volta si fermò e strinse le labbra. — Sono venuto
soltanto per un motivo… per il bene dell’American Trade Company e
non perché mi abbiano impressionato le sue minacce. Non è certo per
questa faccenda del furto che c’è qualcosa di losco da nascondere
alla compagnia. — La sua voce ricominciò a tremare. — C’è piuttosto
il fatto che il Presidente della Società ritiene opportuno
soddisfare le proprie personali simpatie cercando di salvare una
volgare ladra da ciò che merita. Ecco perché quella ragazza può
permettersi di ridermi in faccia! Ecco perché può barricarsi dietro
le sue losche minacce! Perché sa che cosa desidera Perry e sa
come…
— Signor Muir! — scattò Wolfe. — Se fossi in lei, non parlerei in
questo modo. È inutile. Suppongo che non sia venuto qui per
persuadermi che il signor Perry è innamorato della signorina
Fox…
Muir fece un movimento e il cappello gli cadde a terra, ma lui non
mostrò neppure d’accorgersene. Si era mosso per cacciare la mano
nella tasca interna della giacca e trarne una busta quadrata. La
guardò, se la rigirò fra le dita, poi ne tolse una piccola
fotografia che porse a Wolfe.
— Ecco, guardi qui!
Wolfe obbedì, poi, a sua volta, passò a me la fotografia. Era
un’istantanea di Clara e di Perry, a bordo di una convertibile con
la capote abbassata. Posi la fotografia sull’angolo dello
scrittoio, e Muir la riprese per rimetterla nella busta. Disse: —
Non ho soltanto questa… ne ho una trentina. Le ho fatte fare da un
investigatore privato. Perry non sa che le ho. Voglio che comprenda
che la ragazza merita… che può menare per il naso Perry…
Wolfe lo fermò con un gesto. — Ho già capito abbastanza. Forse sarà
meglio che le rivolga io stesso un paio di domande. È vero che ha
recuperato tutto il denaro che era scomparso? Muir gli lanciò
un’occhiata bieca. — Lo sa benissimo. È stato trovato sotto il
sedile posteriore della macchina di Clara Fox.
— Ma se la macchina che ho visto in quella fotografia è quella
della signorina, non ha sedile posteriore.
— Ne ha comprata una nuova in agosto. La fotografia è stata
scattata a luglio. Scommetterei che gliel’ha regalata Perry. Anche
se lo stipendio della ragazza è più alto di quello di tutte le
altre impiegate della nostra organizzazione.
— Ho capito. Ma ritorniamo al denaro scomparso. Dal momento che lo
ha riavuto, perché è tanto deciso a mantenere la denuncia?
— E perché non la dovremmo mantenere? Quella ragazza è colpevole!
Ha preso il denaro dalla mia scrivania sapendo che Perry l’avrebbe
protetta!
— No, signor Muir. — Wolfe aveva di nuovo alzato una mano in segno
di protesta. — La prego. Forse ho formulato male la mia domanda…
non avrei dovuto domandarle perché. Avrei dovuto piuttosto
domandarle se effettivamente è deciso ad andare fino in fondo.
Muir strinse le labbra, poi le dischiuse e le strinse di nuovo.
Finalmente rispose: — Io… no. — Davvero? — Wolfe socchiuse gli
occhi. — Allora è pronto a ritirare la denuncia? — Sì… a una
condizione.
— Quale condizione?
— Voglio vedere la ragazza. — Si fermò, perché non riusciva più a
controllare il tremito della sua voce. — Ho promesso a Perry che
ritirerò la denuncia, purché possa vederla, a quattr’occhi, e
dirglielo io stesso. — Si raddrizzò sulla sedia. — Queste… queste
sono le mie condizioni.
Wolfe lo guardò un momento, poi si adagiò contro lo schienale della
poltroncina. Sospirò. — Non escludo di poter combinare un incontro,
ma deve prima firmare una dichiarazione che escluda la signorina
Fox da ogni responsabilità.
— Nossignore, devo prima vederla. — I muscoli facciali di Muir
erano di nuovo tutti in movimento. — Devo vederla e dirle di
persona quali sono le mie intenzioni. Se sapesse che ho già firmato
una dichiarazione, si rifiuterebbe… insomma, no, non voglio.
— Ma non può vederla prima — insistette Wolfe in tono paziente. —
C’è ancora in vigore un mandato di cattura contro di lei, spiccato
in base a una sua denuncia. Io non la sospetto di tradimento, ma
devo proteggere la mia cliente. Dice di aver promesso al signor
Perry di ritirare la denuncia. Lo faccia. Il signor Goodwin
scriverà a macchina la dichiarazione, lei la firmerà e io farò in
modo che lei abbia un colloquio con la signorina Fox, oggi
stesso.
Muir stava già scuotendo il capo. Brontolò: — No, no… non voglio.
—Tutt’a un tratto si scatenò, peggio ancora di quanto non avesse
fatto nello studio di Perry il giorno prima. Balzò in piedi, batté
un pugno sulla scrivania e si protese in avanti verso Wolfe. — Le
dico che devo vederla! Lei, furfante, la nasconde qui, in casa sua!
Perché? Che cosa mai state complottando con Perry…
Avevo una gran voglia di infliggergli una lezione, ma naturalmente
era troppo vecchio e troppo esile. Mi alzai e gli dissi di sedere,
allora cominciò a urlare verso di me, facendo dei commenti sul modo
in cui avevo guardato la ragazza il giorno prima, nello studio di
Perry. Cominciai a temere che continuando di quel passo gli venisse
un colpo apoplettico. Perciò mi avvicinai a lui, lo afferrai per
una spalla con una certa energia e lo “persuasi” a sedere: allora
tacque a un tratto come aveva cominciato, trasse il fazzoletto di
tasca e cominciò ad asciugarsi il viso con mano tremante.
In quel momento suonò il campanello della porta e mi affrettai ad
andare ad aprire. Guardai attraverso la vetrata e vidi un individuo
anziano, con un abito di flanella che sembrava cascagli di dosso;
aveva una faccia un po’ rugosa, dal colorito rosso, un paio di
sopracciglia grigie e folte che gli ombreggiavano gli occhi azzurri
dall’espressione stanca, e gli mancava il lobo dell’orecchio
destro. Anche senza quella particolarità l’avrei riconosciuto
subito dalle fotografie del “New York Times”. Aprii la porta e gli
domandai che cosa desiderasse; lui mi rispose in tono offeso: —
Desidero vedere il signor Nero Wolfe. Sono lord Clivers.