3
Non mi presi nemmeno il disturbo di cercare un taxi e mi guardai
bene dal prendere la macchina di servizio che, come al solito, si
trovava accostata al marciapiede. Siccome ero già stato nel palazzo
della società prima d’allora, e persino, vi prego di credermi,
nello studio del presidente stesso, sapevo orientarmi. Mi ricordavo
anche che aspetto aveva l’impiegata degli uffici direttivi del
trentaduesimo piano, cosicché da quella parte non mi aspettavo
alcuna sorpresa spiacevole. Ora sapevo anche che si chiamava
signorina Vawter, e la chiamai così, notando che le sue orecchie
sporgevano allo stesso angolo di tre anni prima. Mi aspettava e
senza prendersi il disturbo di aprire le sue labbra sottilissime,
si limitò a indicarmi il fondo del corridoio.
Nello studio di Perry, che era una sala molto vasta, ammobiliata in
stile moderno, con quattro ampie finestre dalle quali si godeva una
splendida vista del fiume, mi attendevano alcune persone. Entrai,
chiusi la porta dietro di me e guardai i presenti. Perry stava
seduto alla sua scrivania, dando la schiena alle finestre e seguiva
con viso accigliato le volute del fumo del suo sigaro. Un uomo
ossuto, di media statura, coi capelli più grigi di quelli di Perry,
con gli occhi neri un po’ troppo vicini e le orecchie a punta,
stava seduto vicino al presidente. Una donna che doveva avere più
di trent’anni, dal naso camuso, la quale avrebbe potuto ottenere un
posto di maestra elementare, non foss’altro che per il suo aspetto,
stava in piedi presso l’angolo della scrivania di Perry. Sembrava
che avesse versato qualche lacrima. Su un’altra sedia, un po’ in
disparte, stava seduta un’altra donna che, quando entrai, mi dava
le spalle. Mentre avanzavo verso Perry, vidi la sua faccia
abbastanza bene per accorgermi che valeva la pena di guardarla
meglio.
Perry mi presentò: — Ecco qui il signor Goodwin, dell’ufficio di
Nero Wolfe. — Con cenni del capo mi indicò successivamente la donna
seduta, quella in piedi e l’uomo. — La signorina Fox; la signorina
Barish; il signor Muir.
Salutai tutti con un leggero inchino e mi rivolsi a Perry.
— Ha detto che la situazione ha preso una nuova piega?
— Sì. — Scosse la cenere del sigaro, guardò Muir, poi di nuovo me.
— Lei conosce già i fatti principali, Goodwin. Veniamo al punto.
Quando sono ritornato ho saputo che il signor Muir aveva chiamato
la signorina Fox nel suo studio, l’aveva accusata del furto del
denaro e la stava interrogando in presenza della signorina Barish.
Questo era contrario alle istruzioni che avevo impartite. Ora lui
insiste per chiamare la polizia.
Muir si rivolse a me parlando pacatamente.
— Arriva in piena disputa familiare, signor Goodwin. — Lanciò
un’occhiata a Perry. — Come ho detto, Perry, accetto le sue
istruzioni e tutte le questioni concernenti gli affari. Però questa
è una questione più personale. Il denaro è stato sottratto dalla
mia scrivania. Ero responsabile di quella somma. Io so chi l’ha
rubata, sono pronto a presentare una denuncia giurata, e intendo
farlo.
— Sciocchezze. Le ho già detto che la mia autorità si estende a
tutte le faccende di questo ufficio.— Il tono di Perry era gelido.
— Lei può benissimo essere pronto a presentare una denuncia giurata
esponendosi al rischio di una querela per diffamazione, ma io non
permetterò a un vicepresidente di questa società di correre un
rischio simile. Mi sono preso il disturbo di assicurarmi i servigi
del migliore investigatore di New York, Nero Wolfe, per appurare la
verità in proposito. Avevo anche fatto in modo che la signorina Fox
non sapesse che i sospetti gravavano su di lei, prima dell’inizio
delle indagini. Dirò decisamente che non credo che sia una ladra.
Queste sono le mie opinioni personali. Se poi le prove
dimostreranno che io ho torto, mi arrenderò all’evidenza.
— Evidenza? — fece Muir stringendo i denti in un moto d’ira. —
Evidenza? Un uomo abile come Nero Wolfe può scoprire la verità, ma
può anche mascherarla. No? Dipende dalla cifra che gli viene
pagata.
Perry sorrise con l’aria di chi si frena.
— Adagio, Muir, adagio! — fece Perry continuando a sorridere. — Lei
sta facendo delle insinuazioni di una cena gravità. Quando un uomo
d’affari fa delle dichiarazioni, dovrebbe sempre pensare alle
conseguenze che le sue parole possono avere. Non credo che lei
desideri scatenare un putiferio per una faccenda meschina come
questa.
— Meschina? — esclamò Muir tremando di rabbia. Vidi che le sue mani
si contraevano febbrilmente sullo schienale della sedia a cui stava
appoggiato. Guardò alternativamente Perry e Clara, che stava seduta
a qualche metro di distanza da lui, e i suoi occhi avevano
un’espressione molto significativa.
Poi si rivolse a me e dovette moderare il suo tono.
— Non le chiederò di riferire la conversazione che ha udito, signor
Goodwin; però, naturalmente, dal momento che ha avuto istruzioni e
informazioni dal signor Perry, può accettarne qualcuna anche da me.
— Si alzò, girò attorno alla scrivania e venne a poggiarmisi
davanti. — Presumo che una parte importante delle vostre indagini
consisterà nel seguire la signorina Fox e nello scoprire, se
possibile, che cosa ne ha fatto del denaro. Quando la vedrà entrare
in un teatro o in un ristorante di lusso con il signor Perry, non
si faccia però l’idea che lei sperperi il denaro in quel modo. Sarà
sempre il signor Perry che paga.
Girò sui tacchi e uscì dallo studio senza affrettarsi. Chiuse la
porta dietro di sé dolcemente. Non lo vidi uscire, ma lo udii;
stavo guardando gli altri. La signorina Barish fissò per un attimo
Clara Fox e impallidì. In Perry l’unica reazione visibile fu di
gettare il mozzicone spento del sigaro nel portacenere allontanando
poi il portacenere stesso. La prima mossa venne dalla signorina
Fox, la quale si alzò.
Mi passò perla mente che, a causa delle emozioni subite, la ragazza
sembrasse probabilmente più bella in quel momento di quanto non
fosse di solito; ma, anche facendo le debite riserve, era
decisamente una gran bella figliola. Lei si alzò e guardò Perry.
Aveva dei bellissimi capelli neri, non lunghi e neppure alla
maschietta; anche i suoi occhi erano neri e mi parvero
imperscrutabili.
— Posso andare, ora, signor Perry? Sono le cinque passate e ho un
appuntamento. Perry la guardò senza parere stupito. Evidentemente
la conosceva bene. — Il signor Goodwin avrà bisogno di parlare con
lei.
— Lo so benissimo. Non si potrebbe rimandare a domani mattina? A
proposito, devo venire in ufficio domani mattina?
— Naturalmente. Comunque, d’ora in poi bisognerà che parli col
signor Goodwin. Ormai la cosa è nelle sue mani e la responsabilità
grava su di lui.
Guardai la ragazza. — Alle nove, va bene?
Lei assentì. — Non creda però che io abbia qualcosa da dichiarare
in merito a quel denaro; posso soltanto dirle che non l’ho preso e
che non l’ho mai visto. L’ho già detto al signor Perry e al signor
Muir. Allora posso andate? Buona sera.
Era perfettamente calma e tranquilla. Dal suo contegno nessuno
avrebbe supposto che si trovasse in una situazione imbarazzante.
Fece un lieve inchino di saluto collettivo, girò sui tacchi e
uscì.
Quando l’uscio fu richiuso, Perry si rivolse a me con tono vivace:
— Da che parte vuole cominciare, Goodwin? Le interessano le
impronte digitali attorno al cassetto della scrivania di Muir?
Ringraziai e scossi il capo. — Potrebbero interessarmi per
cominciare a far pratica, e di questo non ho bisogno. Desidererei
piuttosto far due chiacchiere con Muir. Deve pur sapere che non è
il caso di far arrestare la signorina Fox soltanto perché è entrata
nel suo studio. Forse è convinto di sapere dove si trova il
denaro.
— C’è qui la signorina Barish, che è la segretaria del signor
Muir.
— Oh! — dissi volgendomi a guardare la donna dal naso camuso, che
se ne stava ancora là in silenzio. Le dissi: — Allora è lei che ha
trascritto il telegramma mentre la signorina Fox aspettava nello
studio del signor Muir? Ha forse notato…?
Perry intervenne: — Può parlare più tardi con la signorina Barish.
— Guardò l’orologio appeso al muro, che indicava le cinque e venti.
— Però, se preferisce, può interrogarla qui, ora. — Spinse indietro
la propria sedia e si alzò. — Se avrà bisogno di me, mi troverà
nella sala del consiglio, in fondo al corridoio. Sono già in
ritardo, poiché c’è una riunione. Non si protrarrà molto a lungo.
Pregherò Muir di rimanere e anche la signorina Vawter, nel caso che
lei voglia interrogarla. — Aveva fatto il giro della scrivania e
ora mi trovavo a faccia a faccia con lui. — Devo dirle una cosa.
Goodwin, a proposito di Muir. Le consiglio di dimenticare quel suo
ridicolo scatto. È nervoso e agitato; vede, ormai è troppo anziano
per sopportare la tensione di nervi che gli affari impongono a un
uomo, oggigiorno.
— Certo — risposi, facendo un gesto vago con la mano. — Lasciamo
perdere. Con un cenno di saluto, Perry lasciò lo studio.
La signorina Barish se ne stava sempre in piedi, con le spalle un
po’ incurvate e sgualciva nervosamente il fazzoletto; mi fissava.
Dissi bonariamente: — Vada a sedere… là, dove stava prima il signor
Muir. Dunque, lei è la segretaria del signor Muir?
— Sissignore.
Sedette sull’orlo della poltroncina.
— È la sua segretaria da undici anni, è vero?
— Sissignore.
— Lasci stare il “signore”, diavolo, non ho ancora i capelli
bianchi! Allora, Muir l’ha perquisita, venerdì scorso, e non ha
trovato il denaro?
I suoi occhi si rabbuiarono. — Certo che non l’ha trovato!
— Bene. Ha frugato a fondo il suo ufficio?
— Non lo so. Non me ne importa niente.
— Suvvia, non si arrabbi. Anche a me non importa niente. Dopo aver
copiato quel telegramma ha portato l’originale alla signorina Fox,
nello studio di Muir; che cosa aveva in mano, lei, quando è
uscita?
— Il telegramma.
— Ma dove crede che potesse aver nascosto i trenta bigliettoni?
Sotto la gonna? Non si vedevano?
— Non ho visto la signorina Fox portare altro che il telegramma. Ho
già detto al signor Muir e al signor Perry che la signorina Fox non
aveva nient’altro in mano.
Sogghignai. — Sta bene. Ora, mi dica, è amica della signorina
Fox?
— No. Non sono proprio sua amica. Non mi è affatto simpatica.
— Perdiana! Perché non vi è simpatica?
— Perché è molto carina e io sono brutta. Perché si trova qui
soltanto da tre anni e potrebbe essere la segretaria privata del
signor Perry, domani, se volesse… e quella è proprio la posizione
che io ho desiderata da quando sono qui… E poi, lei è più
intelligente e più abile di me.
Guardai la signorina Barish, molto interessato e incuriosito per
quello slancio di franchezza. Deciso a vedere fino a che punto
arrivava la sua sincerità, incalzai: — C’è del tenero fra la
signorina Fox e Perry?
Lei arrossì fino alla radice dei capelli, abbassò gli occhi e
scosse il capo; mi parve che quel moto fosse più un rifiuto a
rispondere che una negazione. Insistetti ancora: — Da quanto tempo
Muir tenta di portarla via a Perry?
Gli occhi della signorina Barish si rabbuiarono di nuovo e le sue
guance rimasero color pomodoro maturo. Mi fissò per un minuto in
silenzio, poi si alzò d’un tratto e riprese a sgualcire fra le dita
il fazzoletto. Le tremava un poco la voce, ma non sembrava
preoccuparsi per questo.
— Non vedo in che cosa questo la riguardi, signor Goodwin, comunque
non riguarda me. Dissi: — Rompete le righe… può andare a casa.
Forse avrò bisogno di lei nella mattinata, ma ne dubito.
Lei riprese il suo pallore abituale quasi di colpo, come era
arrossita. Era senza dubbio un essere instabile. Mi alzai dalla
poltroncina di Perry, attraversai tutta la stanza per andare ad
aprire la porta e tenerla aperta mentre lei usciva. Mi passò
accanto continuando a spiegazzare il fazzoletto e brontolando un
“buona sera”. Richiusi la porta.
Gironzolai un poco nello studio, esplorando e meditando, poi uscii
nel corridoio. Era deserto, naturalmente, poiché era già passata
l’ora della chiusura. Su un lato del corridoio si aprivano diversi
uffici, e, in fondo, ben chiusa, c’era la doppia porta della sala
per le riunioni. Udii un colpo di tosse e mi voltai. Vidi la
signorina Vawter, l’usciera, seduta in un angolo sotto una lampada,
con una rivista in mano.
Disse con voce aspra: — Sono rimasta oltre l’orario di chiusura,
perché il signor Perry ha detto che forse mi voleva parlare.
Capii che era indignata e risposi: — Rimanga ancora qualche minuto,
per favore. Qual è l’ufficio del signor Muir?
Mi additò una delle porte e io mi diressi nella direzione indicata.
Avevo già la mano sulla maniglia quando mi strillò dietro: — Non
può entrare in quel modo! Il signor Muir è fuori. — Che me ne
importa? Lo dica pure a chi vuole. Se crede opportuno interrompere
il signor Perry in piena riunione, vada pure a dare nella sala in
fondo l’allarme. Io sono qui per indagare.
Entrai nello studio e chiusi la porta dietro di me; trovai subito
l’interruttore della luce e accesi. In quel momento, si apri una
porta dalla parte opposta e apparve la signorina Barish. Si fermò
sulla soglia e mi guardò in silenzio.
Osservai: — Credevo che fosse andata a casa.
— Non posso. — Questa volta il colorito delle sue guance rimase
normale. — Quando il signor Muir è qui, io non devo andarmene,
finché non mi congeda. E in questo momento è in riunione. — Vedo.
Quello è il suo ufficio? Posso entrare?
Era una stanza piccola e spoglia, con una finestra, qualche
schedario e il solito armamentario della stenodattilografa.
Mi guardai attorno ben bene, poi le domandai: — Le dispiacerebbe
lasciarmi qui un minuto, con la porta chiusa, andare alla scrivania
del signor Muir e aprire e chiudere un paio di cassetti? Vorrei
verificare se si sente molto rumore.
Lei disse: — Ma io stavo lavorando.
— Lasci andare. Lavorerà un’altra volta. Venga a mostrarmi in che
cassetto era il denaro. Si diresse verso la scrivania precedendomi
e apri uno dei cassetti, il secondo a destra partendo dall’alto.
Non c’era dentro niente, a parte un pacchetto di buste. Allungai la
mano e chiusi il cassetto, poi lo riaprii e lo richiusi di nuovo,
sogghignando al pensiero di ciò che mi aveva detto Perry in merito
alle impronte digitali. Smisi poi di interessarmi alla scrivania e
girai un poco per la stanza. Era il prototipo dello studio di un
vicepresidente, un po’ più piccola e un po’ più modesta di quella
di Perry, però era comoda e ben arredata.
La segretaria mi lanciò un’occhiata che non avrei saputo
analizzare. Quasi quasi avrei detto che mi compativa. Guardai
l’orologio. Mancava un quarto alle sei. Potevo ancora disporre di
cinque minuti e pensai di utilizzarli conversando ancora un poco
con la signorina Barish. Cominciai a parlare con fare bonario e
cordiale, ma per quanto lei sembrasse disposta a chiacchierare con
me ancora un poco, non appurai nessun fatto interessante. Quando i
cinque minuti furono trascorsi, mi voltai per andarmene.
Fuori, nel corridoio, dalla parte della sala del consiglio, c’era
un gruppo di quattro o cinque uomini, in conversazione. Vidi Perry
tra loro e mi avvicinai. Mi vide a sua volta e mi venne
incontro.
Dissi: — Ho finito per questa sera, signor Perry. Sarà bene
lasciare in pace il signor Muir, per vedere se si calma un poco.
Intanto riferirò ogni casa al mio principale.
— Mi può telefonare a casa, a qualunque ora, questa sera.
— Grazie, riferirò.
Nell’uscire passai accanto alla signorina Vawter che stava ancora
seduta nel suo angolo, con la rivista, e le feci un bell’inchino al
quale lei rispose con un’occhiata fulminante.