L’ASSISTENTE DELLA STREGA

La sera precedente, sola nella suite di Celine, Maddie si era quasi convinta di essersi beccata il virus. Aveva cominciato a sudare freddo, la pancia brontolava e non riusciva a smettere di deglutire convulsamente. Un po’ alla volta aveva recuperato il controllo. Era stato solo il pensiero di dover usare il sacchetto rosso a scuoterla.

Celine non aveva ancora fatto ritorno alla suite. Era il caso di portarle un cambio di vestiti? No. Celine non era più il suo capo, che cavolo. Doveva smetterla di ragionare in quel modo. Ancora le bruciava che Celine l’avesse tagliata fuori. Ne avevano viste tante insieme: avevano un passato comune. Le conseguenze dello spettacolo a Kavanaugh, rese ancora peggiori dal fatto che Celine continuava a insistere con chiunque volesse ascoltarla che Bobby e Lori Small erano sopravvissuti a uno dei quattro disastri del Giovedì Nero. Il persecutore che per una settimana aveva presidiato ogni notte la casa di Celine, supplicandola di metterlo in contatto con lo spirito di Johnny Carson del Tonight Show. Il giornalista che aveva registrato una delle conferenze di Celine e poi l’aveva ridicolizzata riga per riga su YouTube. Tutti quegli orrendi filmetti romantici. Gli infiniti messaggi di Amici e disperati ai quali aveva dovuto rispondere su Facebook.

Per tre anni le era stata assolutamente leale, e per cosa? No, non era del tutto vero, in realtà Celine l’aveva tirata fuori da una brutta situazione. Una via di uscita da quell’orrendo bar di Long Island, l’unico posto che aveva accettato di assumerla dopo che Neil le aveva distrutto la vita. Celine e la sua assistente dell’epoca, una tizia emaciata che non parlava mai, venivano al bar più o meno una volta alla settimana, e Maddie aveva sentito dire dalle colleghe che Celine era una specie di sensitiva, sul genere di Sylvia Browne. A lei Celine sembrava divertente, coi suoi capelli gonfi, con le lunghe unghie rosse e le ciglia finte. La considerava la tipa strana in sedia a rotelle. In quel bar ci passava gente di tutti i tipi: impiegati alla ricerca di un’avventura, operai in tuta, musicisti a spasso. Ma Celine spiccava sugli altri.

Una sera, mentre puliva i tavoli, Celine l’aveva afferrata per un polso e le aveva detto: «Sappi questo: diventerà tutto più facile per te, mia cara».

Colta di sorpresa, Maddie aveva ritirato la mano di scatto e poi, senza che riuscisse a trattenerle, le lacrime avevano cominciato a sgorgarle. Si era messa a singhiozzare là in mezzo al bar, coi clienti che continuavano a mangiare alette di pollo e a ingollare Tequila Slammer. Celine aveva ordinato alla sua assistente di andare a prendere dei fazzolettini in bagno e poi le aveva detto: «Quella ragazza è un’idiota. Non sa fare un minimo di conversazione, non ha fascino. A me serve qualcuno che sappia parlare. E che abbia un po’ di chutzpah, di faccia tosta. Qualcuno di cui possa fidarmi». Celine le aveva cacciato in mano un biglietto da visita. «Telefonami domani.»

Quella sera stessa aveva cercato Celine su Google. I suoi libri, le interviste. Un vecchio programma televisivo, Celine del Ray, Mindhunter, che non era andato oltre la prima stagione. E Maddie le aveva telefonato. Ovvio che l’avesse fatto. Celine l’aveva invitata a casa sua. Aspettandosi un rustico edificio coloniale oppure un villone sbrilluccicoso, Maddie era rimasta stupita ritrovandosi a parcheggiare accanto a una normalissima casa nel quartiere residenziale di East Meadow. Seduta al bancone dell’anodina cucina di Celine, Maddie si era confessata. Le aveva raccontato tutto del suo passato, di Neil. Di quando lo aveva conosciuto in un pub di Hackney (era convinta che si fosse trattato di amore a prima vista, e aveva continuato ad aggrapparsi al ricordo idealizzato del momento in cui le era apparso davanti per la prima volta, anche quando tutto era andato in malora). Di quando aveva buttato alle ortiche il suo lavoro per trasferirsi negli Stati Uniti, il matrimonio grandioso mai pagato del tutto. Gli infiniti e complicati piani per fare soldi che non arrivavano mai da nessuna parte. La società d’investimenti, che non era per niente una società. Il giorno in cui finalmente si era svegliata e lo aveva visto per quello che era. La decisione di non andarsene. Di come aveva scucito alla sorella tutti i suoi risparmi, si era fatta prestare denaro dagli amici, sempre con la promessa di una restituzione a breve termine che non arrivava mai. Raccontò a Celine di come Neil se l’era svignata appena prima che calasse la mannaia. I due anni di libertà vigilata che si era beccata solo per essere stata sua complice.

Celine l’aveva ascoltata e poi le aveva offerto il lavoro, a condizione che firmasse un accordo di riservatezza. Celine aveva visto qualcosa in lei. Una mancanza di moralità, forse. Una disperazione che sapeva di poter sfruttare. Il primo mese Maddie aveva rischiato di licenziarsi diverse volte. La donna comprensiva che l’aveva ascoltata quel giorno in cucina si era rapidamente trasformata in un’autocrate piena di pretese. Però aveva tenuto duro.

Che imbecille.

Si alzò e si stiracchiò. Xavier dormiva della grossa sul divano, la bocca aperta, il computer sul pavimento accanto a lui. Il livido sul naso gli stava diventando giallo. C’era mancato poco che lo lasciasse fuori la sera prima, però poi aveva avuto paura di restare sola. E le faceva piacere – era rassicurante – avere qualcuno lì con lei, anche se era uno che quasi non conosceva e di cui certo non si fidava. Prima aveva anche frugato tra le sue cose, senza trovare niente di più compromettente della patente con una sua vecchia foto coi capelli biondi e con un indirizzo di South Beach, Miami.

Un bip, e poi un altro di quei messaggi idioti di Damien: «Salve, gente. Sembra che un’ondata di maltempo a terra stia per ora ritardando ogni operazione di soccorso...» Smise di ascoltarlo. Percepiva chiaramente l’insincerità nella sua voce, un’abilità che le aveva insegnato Celine.

Aveva bisogno di una doccia. Dopo l’attacco di panico della sera prima si sentiva tutta appiccicaticcia, e avrebbe ucciso per un cambio di vestiti puliti. Poteva sempre chiedere a Xavier di portarle su una valigia dal ponte inferiore, anche se forse non era una grande idea. Probabilmente il lezzo aveva già infestato anche i suoi abiti. Lui era stato laggiù la sera prima e, quand’era tornato nella suite, aveva le scarpe che puzzavano di fogna. Gliele aveva fatte mettere fuori sul balcone.

Andò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.

All’inizio la sua mente non volle accettarlo.

In bagno c’era una donna.

Una donna distesa nella vasca da bagno, con addosso un vestito stile anni ’20, alla Gatsby, ricamato con minuscole perline bianche. La sua pelle era bianca quanto il vestito, i pori ostruiti da una sostanza scura, come minuscole punture di spillo.

«Com’è entrata qui?» Possibile che Celine avesse dato la chiave a qualcuno? Ma no... Dopo aver fatto entrare Xavier, Maddie aveva messo il chiavistello di sicurezza.

La donna spalancò gli occhi – oh, Dio, erano bianchi anche quelli – e scoprì i denti. Erano piccoli, appuntiti e piuttosto scuri. Li serrò di scatto con un udibile clic e poi si mise a mugolare, all’inizio pianissimo, poi sempre più forte, finché Maddie non fu in grado di sentire altro.

Una donna in abiti anni ’20, alla Lizzie Bean, la Lizzie Bean di Celine, il cliché di Celine dei ruggenti anni ’20, era distesa nel suo bagno.

Maddie si rese conto di essere vittima di un crollo nervoso. Si era sempre chiesta come ci si sentisse, adesso lo sapeva. Allungò la mano dietro di sé, alla ricerca della maniglia della porta, e indietreggiò. Il mugolio s’interruppe di colpo. Maddie tremava come una foglia. Una parte remota della sua mente prese nota che il terrore era davvero gelido.

Corse al divano e scrollò Xavier per una spalla. Lui si svegliò di soprassalto, chiudendo la bocca di scatto.

«Xavier, c’è qualcuno in bagno.»

Lui si drizzò a sedere, la guardò in faccia e saltò in piedi. «Eh? C’è qualcuno qui dentro?»

«Nel bagno.»

«Chi?»

Gli diede uno spintone in quella direzione. Xavier la fissò, si avvicinò al bagno e spalancò la porta.

«È vuoto.»

«Cosa?»

«Non c’è nessuno qui dentro, Maddie. Vieni a vedere.»

Conficcandosi le unghie nel palmo delle mani, sbirciò oltre la spalla di Xavier. Il bagno era davvero vuoto. «Guarda dietro la tenda della doccia.»

Lui la fece scorrere. Niente.

«Era là. Distesa nella vasca. Una donna. Una donna... morta.» Nessuna donna viva avrebbe avuto la pelle di quel colore.

Xavier sbuffò. «Mi prendi per il culo?»

«Ti sembra che ti stia prendendo per il culo? Lo so cos’ho visto.»

«Una donna morta nella vasca? Come in Shining

«Era... Credo che fosse Lizzie Bean.»

«Eh?»

«Sai, uno degli spiriti guida di Celine.»

«Maddie... seriamente. Hai battuto la testa o cosa?»

L’isteria stava montando, ma riuscì a controllarla. «Forse si faranno vedere anche Archie e Papa Noakes.»

«Chi cazzo è Papa Noakes?»

Maddie esitò, lottando contro l’antica lealtà. ’Fanculo Celine. «Spirito guida numero tre. Era in circolazione negli anni ’70 e ’80.»

«Raccontami un po’... Com’è che si chiamava?»

«Papa Noakes. È un ex schiavo.»

Lui scoppiò a ridere. «Oh, Dio. Davvero?»

«Senti... Lo so che effetto fa, però l’ho vista, Xavier. Lo so cos’ho visto. E tu mi hai detto che la gente ha visto cose strane sui ponti inferiori.»

«Io ci sono stato, Maddie. C’è solo un branco di tizi che fa un gran casino. E l’unica cosa che ho trovato laggiù è un puzzo orrendo.»

«Ma...»

«Ascolta, Maddie, non hai dormito bene. Nessuno di noi dorme bene. Hai mai sentito parlare di sogni da svegli?»

«Non trattarmi da deficiente.»

«Non lo faccio. Ma quello che dici... Qual è la spiegazione più logica? Che lo spirito guida di Celine sia venuto a coricarsi nella vasca, o che tu abbia avuto un incubo che sembrava così vero da convincerti di aver visto davvero un fantasma?»

«Era così reale

«Maddie, ascoltami. È stata solo la tua immaginazione. Tu dovresti arrivarci meglio di chiunque altro.»

«Forse dovrei andare a parlare con Celine. Forse... forse era lei che mi mandava un messaggio.»

«Ehi? Pianeta Terra a Maddie. Lo sai che è un’imbrogliona. Come fai a dire una cosa del genere?»

Maddie camminò avanti e indietro, cercando di non guardare la porta del bagno. Non avevano sentito anche Helen ed Elise qualcuno che mugolava una canzone? Sì. Stava perdendo la testa. «Voglio solo andare da lei.»

«Dopo quello che mi ha fatto il suo buttafuori?» Xavier sembrava offeso come un bambino.

«Io voglio... Io credo che dovrei parlare con lei. Non sono l’unica che...»

«Pessima idea. Senti, lo so io cosa sta succedendo qui. Sei turbata per tutta questa situazione, e Celine se ne approfitta. Parlo d’isteria di massa. Un disturbo psicogeno di massa. L’unica spiegazione al fatto che la gente veda cose strane è che Celine alimenta un qualche tipo d’illusione condivisa.»

Maddie riprese a camminare su e giù. «Conosco Celine. So come riesce a fare quello che fa. Sono tutte stronzate. Ma alcune delle cose che ha detto il giorno dopo che la nave si è fermata... quelle non poteva saperle.»

«E quell’altro tizio, Ray. Non potrebbe avergliele dette lui? È tutta lettura a freddo, Maddie. La gente crede a quello che vuole credere. Hanno paura. L’intera situazione è strana, e tutti accorrono da chi sembra sapere quello che fa.» Prese fiato. «Lei si sta approfittando della situazione, Maddie. Quando sarà tutto finito vuole uscirne come la grande eroina.»

«Voglio parlare con lei.»

«Pensaci, Maddie... Credi davvero che quel gorilla di Ray ti permetterà di avvicinarla?»

«Posso convincerlo.»

«E poi?»

Già, e poi? «Non lo so ancora, Xavier. Okay?» Azzardò un’occhiata alla porta del bagno. «Ma, qualsiasi cosa succeda, devo uscire da questa cabina.»

«Maddie, non c’è nessun altro posto dove andare. È orribile, là fuori.»

«Ci dev’essere qualche posto. Magari la palestra, o il centro benessere.»

«No, ci sono già stato. Un macello.»

«Non importa! Devo uscire di qui!»

Xavier la scrutò per un paio di secondi. «Va bene, va bene. Se vuoi vedere Celine, dobbiamo giocarcela bene.»

«Dobbiamo?»

«Sì, siamo in due.»

Un’ondata di sollievo. Non si fidava di lui, ma almeno non era sola. «Cosa suggerisci?»

«Non è che possiamo presentarci là dentro con le pistole spianate.» Si sfiorò con cautela la punta del naso. «Vorrei evitare di prendermi un altro cazzotto in faccia, non mi fa diventare più bello. Pensavo... e se cercassimo di tagliare dai corridoi del personale passando per una di quelle porte di servizio?»

«Credi che possiamo farcela?»

«Possiamo provarci.»

Mentre Xavier s’infilava le scarpe, Maddie si legò il fazzoletto al collo e si mise i guanti. Probabilmente aveva ragione lui, era la sua mente che le giocava brutti scherzi. Doveva avere ragione lui per forza. La paura fa strani effetti al cervello.

Però le era sembrato così reale.

Uscirono in corridoio. Non aveva più messo il naso fuori dalla suite da ore. Il minimo che poteva fare era passare a vedere come stavano Helen ed Elise. Si ripromise di farlo dopo. Forse.

Xavier cercò di aprire la porta di servizio di Althea, ma era bloccata. «Niente da fare. Ehi... forse possiamo provare da sotto, dal mio ponte.»

«Non hai detto che puzza?»

«Sì. Parecchio. Ma questo vuol dire che non ci sarà nessuno dell’equipaggio a fermarci. Quando ci sono stato ieri sera era deserto. Be’, ho incrociato uno della sicurezza, ma non ci è rimasto per molto.»

«D’accordo.»

Un uomo e una donna sonnecchiavano su un materasso steso fuori dall’ascensore, con piatti incrostati e bicchieri vuoti sparpagliati attorno a loro. Dio. Se non altro a loro non era ancora toccato. Seguì Xavier giù per le scale e sul ponte Promenade Dreamz, trattenendo a fatica i conati per l’odore di vomito.

Parla. Chiacchiera. Non pensarci. «Perché sei così ossessionato da Celine, Xavier? C’è qualcosa di personale, o che altro?»

Le fece un sorrisetto. «No. È solo che non mi piace quello che fa. Non mi è piaciuto quello che ha fatto a Lillian Small.»

«Già. Quello era... non è stato da Celine. Di solito si tiene alla larga da qualsiasi cosa si possa dimostrare.»

«Allora cosa l’ha spinta a farlo, secondo te?»

Maddie si strinse nelle spalle. «Pubblicità, forse. Fama. Magari voleva solo far parte del circo del Giovedì Nero...»

«Va’ a saperlo. E comunque non è solo Celine. Non mi piacciono quelli come lei in generale. Avvoltoi. Predatori. Raccontano ai genitori dei bambini scomparsi che i loro figli sono ancora vivi. Non lo sopporto.»

«Com’è cominciato? Il tuo interesse per queste storie, intendo.»

Lui esitò. «Da piccolo volevo fare il mago.»

«Davvero?»

«Davvero.» Sorrise, imbarazzato. «Non ho avuto abbastanza pazienza. Però avevo cominciato con le tavolette ouija, ho bazzicato l’arcano, sai, tutte quelle cose lì. Per un periodo. E ho visto quanto fosse facile fregare la gente.»

Avevano intanto raggiunto il ponte Sei. Il puzzo di moquette fradicia le invase le narici. «E cosa fai per vivere?»

«Ho il mio blog.»

«Sì, vabbe’, senza offesa, ma immagino che non ti permetta di campare a caviale e champagne.»

«Mio nonno mi ha lasciato un po’ di soldi.»

«Sei un figlio di papà?» Non c’era da stupirsi che avesse tanto tempo da dedicare alla caccia di Celine.

«Odio quel modo di dire.»

«Sei ricco?»

«Non sono ricco. Ho quanto mi basta per vivere.»

Sul pianerottolo del ponte Cinque il puzzo era orrendo quanto si aspettava, e gli ingressi ai corridoi che ospitavano le cabine dei passeggeri erano immersi nell’oscurità. Esitò sull’ultimo scalino. Non si era ancora resa conto di quanto potesse essere buio l’interno della nave. Un’oscurità vellutata... No, era una stronzata. Non c’era proprio niente di vellutato.

«Aspetta qui. Vado a vedere se c’è qualche porta che si apre.»

«Come fai a vederci laggiù?»

Lui sorrise e le mostrò una minuscola torcia elettrica appesa a un portachiavi. «Ho pensato a tutto.»

Aggrappandosi al corrimano con una mano guantata, Maddie rimase a osservare Xavier che veniva inghiottito dall’oscurità. Il terrore si stava dissipando; impossibile mantenerlo a lungo.

Uno spirito guida che si materializzava... Assurdo! Adesso che era fuori dalla suite, che aveva preso le distanze da quel luogo, se ne rendeva conto anche lei. Si stava persino abituando all’odore di fogna che c’era laggiù. La luce tornò verso di lei guizzando. «A posto. Ce n’è una aperta.»

Lo seguì lungo il corridoio, gli occhi fissi sul fascio di luce della torcia, e una mano sulla bocca. Dio, la moquette era fradicia e faceva cic ciac. I piedi sembravano sprofondarci dentro, come se la nave stessa cercasse d’inghiottirla. Xavier le tenne la porta aperta e lei s’infilò, attraversando un piccolo pianerottolo per scendere poi lungo una stretta scaletta. Si fece da parte per lasciar passare Xavier. Sudicie pareti bianche si chiusero su di loro; le luci fluorescenti di emergenza ammiccavano dal soffitto. Era un mondo completamente diverso da quello riservato ai passeggeri: funzionale, ridotto all’osso, e l’aria sembrava pesare il doppio.

Xavier si fermò di colpo e lei andò quasi a sbattere contro la sua schiena. Un rumore di passi si stava avvicinando. Un filippino di bassa statura saliva le scale di corsa e si arrestò appena li vide. «Non dovreste essere qui. Niente passeggeri qui sotto.»

«Abbiamo bisogno d’aiuto», disse Xavier.

«Serve un dottore? Deve tornare indietro.»

Maddie si sporse da dietro la schiena di Xavier per leggere il cartellino col nome: ANGELO.

«Non un dottore. Dobbiamo arrivare al palco del Dare to Dream Theatre.»

L’uomo si accigliò. «Perché non entrate dall’ingresso?»

«Abbiamo... dei motivi.»

«È quella donna? Mrs del Rio?»

«Del Ray. Sì.»

«La conosce?» chiese Maddie.

«No. Ma ho sentito parlare di lei. Come fa a fare quello che fa? Un trucco?»

«Sì», rispose Xavier.

«Allora perché volete vederla?»

«Sta’ a sentire, se ci mostri come arrivarci, farò in modo che per te ne sia valsa la pena.»

«Quanto?»

Xavier tirò fuori una banconota da cento dollari, che l’altro fece sparire rapidamente. «Ve lo mostro. Ma, se troviamo la sicurezza, dovete dire che non ho cercato di aiutarvi.»

«D’accordo, grazie. Non vogliamo metterti nei guai, lo giuro.»

L’uomo tornò sui propri passi e fece segno di seguirlo giù per altre due rampe di scale. Li condusse oltre una pesante porta metallica ed emersero in un corridoio dal soffitto basso che puzzava di vernice, fumo di sigaretta e peggio. Il pavimento era graffiato, la vernice rossa consumata.

Maddie sussultò sentendo delle voci. Angelo camminava in testa, e lei e Xavier dovevano trotterellare per tenergli dietro. L’aria diventava sempre più calda, Maddie era madida di sudore. Clangore di metallo contro metallo, una porta che sbatteva. Superarono diverse stanzette piastrellate. In una di esse due tizi dall’aria torva, in guanti di gomma, affettavano peperoni verdi e scartavano le parti ormai guaste. Le lanciarono uno sguardo privo d’interesse.

«Quanto cibo ci resta?» chiese Xavier ad Angelo.

Una scrollata di spalle. «Qualcuna delle celle è ancora fredda. Ci sono i cereali. La roba che era congelata. Per cucinare servirebbe l’elettricità, ma ci sono degli scaldavivande...»

Percorsero un altro corridoio e adesso Maddie si sentiva completamente disorientata. I suoi polmoni faticavano a immagazzinare aria a sufficienza.

Oh, Dio.

Non riusciva a respirare.

Angelo aprì un’altra porta di metallo bianco e li introdusse in un condotto più ampio e anonimo, che sembrava allungarsi all’infinito.

La loro guida indicò a sinistra. «Quello che dovete fare è...» Poi s’immobilizzò. E corse via.

Una figura robusta stava venendo verso di loro, berciando in una radio. «Fermi!»

«Oh, cazzo», borbottò Xavier mentre l’addetto alla sicurezza, una mano sul manganello alla cintura, si avvicinava in fretta.

«Non potete stare quaggiù. Come ci siete arrivati?»

«Ci scusi», tentò Maddie. «Ci siamo persi.»

L’uomo – RAM, diceva la sua targhetta – aveva gli occhi più duri e più neri che avesse mai visto. «Come siete arrivati fin qui?»

«Si calmi», disse Xavier. «Stavamo solo...»

«Non potete stare qui.»

«Senta. Voi della nave non ci raccontate niente. Abbiamo il diritto di sapere...»

«Se non abbassa la voce sarò costretto a intervenire con la forza.»

Xavier tacque immediatamente. Era evidente che Ram non scherzava.

«Vi accompagnerò fuori. Se vi ritroverò di nuovo qui sotto vi farò rinchiudere nelle vostre cabine sotto chiave.» Con un gesto brusco, li invitò a precederlo.

«Cazzo», imprecò Xavier.

Percorsero un’altra serie di corridoi, salirono un’altra scaletta di metallo, e poi Ram spalancò una porta e li fece passare. Maddie ritrovò l’orientamento. Erano sul ponte Promenade Dreamz. L’aria pareva quella di un prato fiorito, dopo le viscere della nave. Ram chiuse la porta dietro di loro, di schianto.

«E adesso?» Maddie si sfilò i guanti e si asciugò le mani sui jeans.

«Potremmo salire sul ponte di atletica, conosco della gente che sta lì.»

Ci rifletté un attimo, ripensò alla donna in coda al buffet Lido, alla folla che spintonava e sgomitava, a quelli che pisciavano fuori bordo. No. Non ce la poteva fare. Superarono il casinò, dove un gruppetto di persone aveva allestito un recinto di materassi vicino alle slot machine. Una donna dall’aria affranta, che stringeva a sé un secchio, si dirigeva verso le porte buie della sala da pranzo. Girarono attorno all’atrio e Maddie riuscì a individuare l’ingresso al teatro. Ray era al suo solito posto, e si stava facendo da parte per lasciar entrare un ometto con un gran ciuffo di capelli neri e una donna in divisa da steward. Con un sussulto, Maddie riconobbe Althea. E si rese conto che il tizio accanto a lei era uno dei vicedirettori di crociera. Aveva avuto a che fare con lui qualche volta, in merito ai dettagli tecnici delle esibizioni di Celine. Era rimasta affascinata dal suo atteggiamento perennemente gioviale.

«Non andarci, Maddie», disse Xavier.

«Devo sapere, Xavier.»

«Sapere cosa?»

«Perché Celine mi sta tagliando fuori. Perché...»

«Andiamocene di qui, Maddie. Torniamo nella suite di Celine.»

Non poteva farlo. Non poteva rientrare là dentro. Le tornò in mente il motivetto che stava canticchiando Lizzie Bean. Rabbrividì. «Aspettami qui.»

Ray le fece un sorrisone vedendola arrivare. «Ehi, Maddie, secondo round? O vuoi provare a corrompermi in qualche altro modo?» Poi la sua espressione si fece seria e si sporse verso di lei, cogliendola di sorpresa. «Ascolta, è meglio che te ne vai, dammi retta. Non vuoi far parte di questa recita. La stanno trattando come una specie di Gesù Cristo, che cazzo!» I suoi occhi fissarono qualcosa dietro di lei e la sua espressione si fece impenetrabile.

Maddie si voltò e vide avvicinarsi Jacob, una bottiglia di detergente spray sotto il braccio. I guanti chirurgici viola che portava erano coordinati alla cravatta a farfalla.

Le scoccò un sorriso apparentemente sincero. «Maddie! Non la vedevo da secoli. Spero che abbia finalmente deciso di unirsi a noi.»

Lo sguardo di Jacob guizzò verso Xavier, appoggiato a una colonna a distanza di sicurezza da Ray. Maddie non aveva idea se avesse riconosciuto l’intruso allo spettacolo dell’ultimo dell’anno. Probabile. Con la sua aria da hipster della vecchia scuola, Xavier non aveva certo vita facile a confondersi con la massa dei passeggeri.

«Jacob. Senta... Celine le ha detto niente di me?»

«No, perché avrebbe dovuto?»

«Sa perché non vuole vedermi?»

«Accogliamo tutti a braccia aperte, Maddie. Dobbiamo restare uniti.» Si sporse verso di lei con aria da cospiratore. «Celine dice che non ci vorrà molto. Presto saremo fuori da questo casino. E sarebbe anche ora.» Si sfilò i guanti. «Detto tra noi, non ne posso davvero più di panini alla mortadella e pomodoro.»

«Come stanno gli altri? Gli altri Amici, intendo.»

«Stiamo tutti benissimo. È stato un vero tonico poter condividere il dono di Celine con tante altre persone. Adesso si stanno unendo a noi anche diversi membri dell’equipaggio, Maddie. Hanno lavorato davvero sodo sulla nave, e da parte nostra stiamo facendo tutto il possibile per tranquillizzarli. Lo spirito si prenderà cura di noi.»

Oh, Dio. Lanciò un’occhiata a Ray, ma lui aveva lo sguardo perso in lontananza. «Senta... Jacob, devo scusarmi con lei.»

«Scusarsi per cosa?»

«Ho detto io a Celine di sua sorella.» Maddie si sforzò di ricordarne il nome, senza risultato. «Si ricorda? Mi aveva raccontato tutto di lei durante il nostro primo incontro. Celine si serve di quel genere d’informazioni, le rigira per farvi credere che comunica coi morti. È un’imbrogliona.»

Jacob le fece un sorrisetto triste. «Si convincerà, Maddie.» Scuotendo la testa, l’uomo si allontanò entrando in teatro.

Maddie cercò di nuovo d’intercettare lo sguardo di Ray, ma era evidente che faceva di tutto per evitarlo.

«Allora?» chiese Xavier quando tornò da lui.

Lei scosse la testa.

«Si torna in cabina?»

«Sì.» Aveva ragione Xavier. Non c’era altro posto dove andare.