L’ANCELLA DEL DIAVOLO
La lavanderia, di solito un alveare di attività, odore di sapone e voci e ronzii di enormi macchine, era deserta e buia e puzzava di muffa. Althea sollevò i sacchi pieni di lenzuola e asciugamani sporchi e li lasciò cadere in un angolo. Adesso si arrangi qualcun altro. Per buona parte era roba dei Lineman. Mrs Lineman non aveva alzato un dito per aiutarla, e non aveva mostrato il benché minimo imbarazzo sebbene la sua cabina sembrasse un unico ammasso di lenzuola e asciugamani sudici e fluidi corporei. Ci aveva messo quasi un’ora a rifarla. Eppure il pensiero di quello stronzo bastardo obbligato a svuotarsi le budella in un sacchetto di plastica era quasi bastato a compensare tutto il lavoro extra. In netto contrasto, Helen aveva insistito per cambiarsi le lenzuola da sola e, con rispetto, aveva chiesto ad Althea se poteva portarle un secchio, della candeggina spray e stracci per pulire lei stessa lo sporco di Elise, se ce ne fosse stato bisogno. Più tardi sarebbe tornata da loro a vedere come stavano, a controllare che avessero tutto quello che serviva.
Era sorpresa che la nave non fosse ancora andata in allarme rosso; nel corso degli anni le erano già capitate delle epidemie di norovirus ed era la procedura standard. Althea non aveva nessuna intenzione di prenderselo anche lei. Era facile starne alla larga: lavarsi e disinfettarsi le mani; non toccare le superfici senza prima mettersi i guanti; usare in abbondanza lo spray a base di candeggina. C’erano altri due passeggeri malati sul lato di dritta – Electra non si era fatta vedere per rifare le sue cabine – e Althea si era assicurata che non avessero bisogno di qualcosa. Quando la nave fosse finalmente rientrata in porto, l’essere rimasti così a lungo alla deriva sarebbe diventata una notizia da prima pagina. E, una volta che tutto fosse finito, sarebbe stato di Althea che i passeggeri si sarebbero ricordati. Non aveva mai abbandonato il suo posto. Però stava cominciando a risentirne. La stanchezza era come un acido che le corrodeva le gambe. Non aveva dormito bene. Come poteva? Il bambino era tornato a trovarla anche quella notte nei suoi sogni (o almeno sperava che fosse solo in sogno). Si era raggomitolato ai piedi del letto e lei quasi non aveva osato respirare per non disturbarlo.
Poi Mirasol era uscita dal bagno sbattendo la porta e il bambino... il bambino era scomparso. Forse il bambino che vedeva era il suo. Il piccolo che portava in grembo. Il bambino che avrebbe avuto. Le stava dicendo di accettare il suo destino. Scosse la testa. Loco. Non c’erano casi di pazzia nella sua famiglia, anche se sua sorella era di temperamento nervoso e dopo il terzo figlio era diventata irascibile, irrazionale e introversa. Ma quello era normale. Althea l’aveva visto succedere spesso. No, era solo stanchezza. Quella situazione spaventosa. Erano irrequieti persino i membri del personale che lavoravano a bordo da anni. Internet continuava a non funzionare e, secondo Angelo, non ci sarebbe voluto molto prima che i generatori rimanessero senza combustibile. Paulo aveva una radio a onde corte nella sua cabina, ma non riusciva a captare il minimo segnale. Molti membri dell’equipaggio avevano deciso di dormire fuori, sul ponte di servizio o sui più ariosi ponti di carico, per evitare il puzzo di fogna e il terrore dell’ignoto che si sprigionavano dalle loro cabine. Sui ponti dell’equipaggio imperversavano le storie: la nave era infestata, la ragazza morta dell’obitorio aveva ripreso vita e stava in agguato per terrorizzare chiunque le capitasse a tiro. L’acqua scorreva ancora nelle tubature e quindi ci si poteva fare una doccia, ma nient’altro. Era sollevata che non toccasse a lei pulire i bagni di servizio comuni.
Si costrinse a muoversi e scese per andare nell’ufficio del supervisore. La porta era aperta e provenivano delle voci dall’interno. Esitò, pensando di restare ad ascoltare, però Maria la vide prima che potesse sgusciare fuori vista. «Entra, Althea.»
Mirasol, che aveva evidentemente pianto, le sorrise di sollievo. Dell’aggressione del giorno prima rimaneva solo un lievissimo livido sotto l’occhio sinistro.
Maria intrecciò le mani sulla scrivania. «Se non vuoi fare il tuo lavoro, non ho altra scelta che mandarti via.»
«Ma te l’ho detto, non ci posso andare là sotto!»
«Mirasol, capisco che ieri ti sei spaventata, e ti ho chiesto se te la sentivi di lavorare. Mi hai detto di sì. Adesso invece mi dici di no. Allora?»
«Non c’è più nessun passeggero là sotto. La moquette è bagnata. Dai gabinetti viene fuori l’acqua. E... ci sono gli spiriti, laggiù.»
Maria sospirò.
«Lo farò io. Ci vado io là sotto», intervenne Althea. Ne avrebbe fatto volentieri a meno, di quel lavoro in più, ma aveva bisogno di tranquillizzarsi sul bambino. Era lì che l’aveva visto per la prima volta.
«Althea, non puoi farlo. Là sotto c’è la Signora, te l’ho detto», piagnucolò Mirasol.
«Non ho paura.»
«Mirasol, vattene, per favore», sbottò Maria.
Lanciando uno sguardo angosciato ad Althea, Mirasol uscì dall’ufficio.
«Sei sicura di volerlo fare, Althea?»
«Sicurissima.»
«Bene. Grazie.» Un lieve sorriso di gratitudine. «Ho bisogno che togli tutta la biancheria. Mirasol ha ragione, si sono intasati i bagni, laggiù.» Sospirò di nuovo. «Anche la manutenzione si rifiuta di andarci. Un vero casino.» Niente sopracciglia, quel giorno. Per un istante la sua maschera s’incrinò rivelando la preoccupazione che c’era sotto, un’espressione che solo pochi giorni prima Althea avrebbe pagato per vedere. Maria stava perdendo la presa. Bene. Era ora che quella puta battesse una culata in terra. Invece Althea non avrebbe ceduto.
«C’è altro che posso fare, Maria?»
La donna le lanciò un’occhiata penetrante. Forse aveva un po’ esagerato. «Va bene così, Althea, puoi andare.»
Mirasol la stava aspettando fuori. «Credi che perderò il lavoro, Althea?»
«No, certo che no. Maria è stanca e allora si sfoga con te. Ignorala e basta.»
«Ma basterebbe una sua parola e mi butterebbero fuori. Non posso permettermi di perdere questo lavoro, Althea. Devo un sacco di soldi all’agenzia.»
Althea sospirò. Quella ragazza stava diventando una lagna. «Fidati. Tutto si sistemerà. Non perderai il lavoro. Sei stata aggredita da un passeggero. È normale che tu non voglia tornare laggiù.»
Mirasol aprì la bocca per dire qualcosa, sicuramente per insistere sulla Signora o roba del genere, ma Althea glielo impedì: «Durante l’addestramento ti hanno detto come comportarti in caso di virus a bordo, vero?»
«Sì.»
«Assicurati di seguire bene le istruzioni.»
«Sì, Althea. Grazie. Come posso ripagarti?»
Althea sorrise. Le sarebbe venuto in mente qualcosa.
Si affrettò lungo l’I-95. Regnava un po’ di lassismo, là sotto. Un gruppetto di indonesiani della manutenzione e dello smaltimento rifiuti si era fermato a chiacchierare fitto fitto, sottovoce. Uno degli ufficiali, la camicia bianca macchiata da quello che sembrava caffè, rischiò quasi di travolgerla. Non c’era traccia del lavoro organizzato che sarebbe stato normale a quell’ora della giornata. Doveva andare a recuperare un’altra scatola di guanti chirurgici nella sua cabina. Se laggiù era davvero brutto come dicevano, aveva bisogno di tutta la protezione possibile. Mentre raggiungeva la sua cabina si accorse che la porta di quella di Trining era aperta, senza dubbio per far circolare quella poca aria che c’era. Althea non l’aveva più vista da quando le aveva chiesto di sostituirla il giorno in cui si era verificato il guasto, le sembrava fosse successo un sacco di tempo prima. Maria le aveva già detto che era licenziata? Curiosa, Althea si fermò a sbirciare dentro. Dal minuscolo bagno veniva un forte odore di candeggina. Ottimo. Qualcuno aveva avuto il buon senso di pulire bene.
Trining era distesa su un fianco, le spalle verso la porta. «Ehi, Trining.»
«Va’ via, Althea.»
«Perché mi dici così?»
Trining si girò. Non sembrava poi tanto malata. Non fosse stato per il secchio e i fazzolettini appallottolati lì vicino, Althea avrebbe concluso che stava simulando.
«So che hai mentito.»
Cazzo. «Io non ho mentito.»
«A sentire Maria, le hai detto che non ti avevo chiesto di fare le mie cabine.»
Althea spalancò gli occhi. «Ha detto così? Non capisco perché. Ti ho forse mai tradita, Trining?»
«No.»
«Dev’essere un malinteso. Nient’altro. Parlerò io con Maria.»
Trining non era stupida. Non ricambiò il sorriso di Althea.
«Sto andando adesso a fare le tue cabine, Trining.»
«Non ho intenzione di pagarti un extra.»
«Certo che no.» Althea mantenne il sorriso. «Trining... Nella tua zona... hai mai visto qualcosa di strano?»
Un guizzo d’interesse. «Tipo?»
«Hai mai avuto la sensazione che qualcuno ti osservasse?»
«No. Ti sei messa anche tu a dar retta alle storie di fantasmi? Angelo mi ha raccontato cosa dicono quegli stupidi campagnoli sulla passeggera morta.»
Aspetta di sentire dei bambini fantasma.
«Sono stata io a trovare la ragazza, Trining.»
«Davvero?»
«Sì. È stato un brutto colpo. Per fortuna eri malata e non hai dovuto vedere quello che ho visto io.»
Althea notò con un certo divertimento che la curiosità morbosa di Trining aveva avuto la meglio sul suo risentimento. «Cos’hai visto?»
Althea finse di rabbrividire. «Non posso parlarne.»
Un lampo di delusione. «Capisco. Mi piaceva. La passeggera morta. Era una delle più gentili della mia zona.»
Althea scrollò le spalle. Buoni o cattivi, tutti dovevano morire, prima o poi. A tormentarla era il bambino. «Sono preoccupata per te, Trining. Vieni a cercarmi se hai bisogno di qualcosa. E non mi aspetto che mi paghi, per questo.» Un accidente.
«Grazie, Althea. Mi spiace di essere stata scortese con te.»
Althea uscì, spegnendo il sorriso nel momento esatto in cui voltava le spalle a Trining. Era stato quasi troppo facile.
Entrò nella sua cabina, s’infilò nella tasca del grembiule un’altra manciata di guanti viola e tornò nell’I-95. Si fermò in fondo al corridoio. L’addetto alla sicurezza che era con lei quando aveva scoperto il cadavere della ragazza era adesso in un rientro vicino all’ufficio di Maria, e scuoteva la testa come se stesse conversando seriamente con qualcuno. Non era ancora venuto a cercarla, ma non si stupiva. Sicurezza e servizio cabine erano i reparti che risentivano di più della situazione. Aspettò che lui si allontanasse, poi si avviò nella direzione opposta, andando quasi a sbattere contro Rogelio, appena emerso proprio da quel rientro. Lo salutò, ma lui quasi non le rispose. Teneva gli occhi bassi e sembrava sul punto di piangere. Si precipitò nella mensa del personale. Perché uno della sicurezza doveva parlare con Rogelio?
E poi capì. Non se n’era accorta perché non voleva accorgersene. In fondo Angelo aveva avuto ragione su Rogelio. Solo che non era con Damien che era coinvolto. Accantonò l’informazione. Poteva tornare utile, un giorno o l’altro. Rogelio continuava a piacerle, ovvio, ma il mondo era un posto difficile e nella sua situazione doveva sfruttare tutte le munizioni di cui poteva disporre.
Il puzzo che l’accolse quando emerse dal corridoio di servizio nella zona di Trining era peggio di quanto si fosse aspettata, e la mancanza di aria condizionata certo non aiutava. Anche le luci erano più fioche di quanto ricordasse. Il pavimento adesso era ingombro degli oggetti personali dei passeggeri. Una ciabatta di gomma rosa, un cuscino, un paio di ali da angelo di plastica. Mirasol aveva ragione: non c’erano più ospiti, là sotto. Si avvicinò lentamente alla cabina della defunta, sigillata col nastro adesivo. Se il bambino era da qualche parte, sospettava che sarebbe stato proprio lì, ma non aveva il coraggio di rompere i sigilli. C’erano le videocamere, su quel ponte, e sarebbe stata un’infrazione da licenziamento.
«Sei qui?» sussurrò. «Fatti vedere.»
Si sentì un tonfo, proveniente da qualche parte nel cuore della nave. Avanzò con cautela. Verso la metà del corridoio c’era una porta socchiusa. Non avrebbe dovuto esserlo. Le porte erano progettate per chiudersi da sole, a meno che non venissero bloccate con le calamite per tenerle spalancate. Trattenendo il fiato, entrò nella cabina, aspettando che gli occhi si abituassero alla penombra. Quando lo vide le si strinse lo stomaco per la paura. Era seduto in un angolo, le ginocchia contro il petto. Aveva la faccia bagnata di lacrime e non riusciva a vedergli gli occhi. L’unica luce era quella verdognola delle luci di emergenza, che non bastava a mostrarle i dettagli.
«Ciao.»
La paura scomparve, sostituita dal sollievo. Non stava diventando loca. C’era davvero. Era reale. Si avvicinò piano a lui. «Come sei entrato qui? Dov’è tua madre?»
Senza preavviso il ragazzo scattò, sciolse gambe e braccia e si gettò contro di lei a quattro zampe, come un ragno. Troppo veloce: nessuno poteva muoversi così in fretta. Lei strillò, schizzò verso la porta, e si precipitò nel corridoio agitando le braccia. Sentì una risatina alle sue spalle. Si voltò di scatto. Era a pochi metri da lei, quasi davanti alla cabina della ragazza morta.
Impossibile.
Il bambino tirò su col naso. Adesso che era in piena luce riuscì a vedere cos’aveva addosso. Una camicia logora e calzoni che gli arrivavano a stento alle caviglie. I piedi nudi e le braccia erano incrostati di sudiciume.
Gli si avvicinò, una mano tesa come se fosse una bestia pericolosa. Si aspettava che fuggisse, ma non lo fece. Lei si allungò a sfiorargli un braccio, quasi convinta che avrebbe trovato solo l’aria. Invece no. Carne e ossa.
Lui ridacchiò di nuovo, si scostò e corse verso la porta di servizio.
«Aspetta!»
Esitò, poi scomparve oltre la porta.
«Aspetta!» provò di nuovo Althea, poi lo seguì.
Sentiva lo scalpiccio dei suoi piedi sulle scale più in basso, ma l’aveva perso di vista. La stava aspettando all’incrocio col corridoio I-95. Le sorrise, si coprì la bocca con una mano e corse via nel corridoio. Un paio di operai della manutenzione la guardarono incuriositi quando sfrecciò accanto a loro. Seguì il rumore dei piedi nudi, senza quasi badare a dove andava, finché non raggiunse uno dei corridoi inferiori, bordato di tubature bianche. Non aveva idea di dove fosse. In realtà Althea conosceva bene solo le zone riservate al personale e il ponte Verandah: non era autorizzata ad accedere alle aree riservate ai passeggeri e non aveva motivo di avventurarsi in quella parte della nave.
Una risatina, e lo rivide. Era vicino a lei. Avvertì una pressione sulla mano e, abbassando gli occhi, vide che gliel’aveva afferrata. La condusse oltre un’altra porta e lungo un corridoio sul quale si aprivano le cabine dell’equipaggio. Una delle porte era aperta e Althea entrò in quella cabina come se stesse sognando, senza quasi badare alla coppia che si agitava sul letto. Il bambino la condusse a un’altra porta che si apriva su uno spazio ampio e vuoto. Davanti a lei ondeggiavano delle tende, scatoloni neri dai bordi metallici erano impilati contro le pareti, e allora capì. Erano nel retropalco.
Ritrovò la voce. «Che ci facciamo qui?»
Il bambino si asciugò il naso. Lasciò andare la sua mano e scomparve giù da una breve rampa di scale. Althea lo seguì incespicando e si ritrovò in una stanza dal soffitto basso, il bagliore delle luci di emergenza catturava lustrini e borchie dei costumi di scena appesi a una rastrelliera addossata alla parete opposta. In certe rare occasioni gli animatori mettevano in scena qualche spettacolo per il personale, ma lei non ne aveva mai visti. Era una parte della nave che le risultava completamente sconosciuta. Aveva troppo da lavorare.
Dov’era finito il bambino? Si avvicinò ai costumi per controllare se si fosse nascosto lì in mezzo, quando una risatina bassa risuonò dietro di lei. Non era sola. Si girò, e qualcosa si mosse in un angolo buio vicino alla porta. Mrs del Ray. Sulla sua sedia a rotelle. Che la guardava. Si spinse avanti. «Althea, che gentile a essere venuta.»
Il bambino riapparve, prese per mano Althea e le appoggiò la testa contro il fianco. Lei si sentì invadere da un’ondata di calore. Avrebbe dovuto provare ribrezzo, invece no. «Gli piaci, Althea. Ed è un buon giudice di caratteri. Dovresti vedere cosa fa a quelli che non gli piacciono.»
Althea aveva la gola secca, ma si costrinse a parlare: «L’ha portato a bordo lei?»
«È stata Celine. Per così dire.»
«Non capisco.»
Mrs del Ray si diede un colpetto sulla testa e sorrise. Aveva troppi denti in bocca. Ciocche di capelli biondi sfuggivano al caschetto che ad Althea era sempre apparso compatto come un blocco di legno. «Ho una proposta da farti, Althea. Tu aiuti me, e io aiuto te.»
«Aiutarmi come?»
«Aiutarti a ottenere quello che vuoi. A volte lo facciamo, diamo alle persone quello che vogliono. A volte diamo loro quello che si meritano.»
«Non capisco quello che dice.» Quella donna parlava per enigmi.
«So che hai un segreto. Un segreto che non vuoi rivelare a nessuno. Però tra sette mesi si saprà.»
Lo stomaco di Althea sprofondò come un mattone. Bambini fantasma, e adesso anche quello. «Come fa a sapere che sono incinta? Non ne sono ancora sicura nemmeno io.» Era fiera che le parole le fossero uscite con calma.
Una strizzatina d’occhio. «Mica ce ne sono tante, di cose che una vecchietta come me non sa. La situazione deve ancora peggiorare parecchio, prima di migliorare. Solo io posso condurti dove vuoi arrivare.»
«E dove sarebbe?»
«Via da tutto questo. Via da Joshua.»
«Come fa a sapere di Joshua?» Che Angelo avesse spettegolato di lei con Celine? No, quella donna era una sensitiva. Forse poteva davvero leggerle nella mente. Althea si fece il segno della croce. Una bruja, una strega. Come quelle di cui le raccontava la sua lola, capaci di mandare insetti che s’infilavano sotto la pelle e mangiavano vivi i bambini ancora nel grembo materno.
«No, non ti leggo nella mente, mia cara. Ma quasi. Allora, t’interessa l’affare?»
Il bambino si cacciò un pollice in bocca e alzò gli occhi su di lei. La donna era il diavolo. Althea lo sentiva. Lo percepiva. Ma non il diavolo con cui era cresciuta, quello era di un altro genere. Alieno. Mrs del Ray non era il male, non proprio – Althea aveva già conosciuto il male, e quella donna non lo era –, ma c’era qualcosa che non andava in lei. Le venne quasi da ridere: Qualcosa che non andava! Stava tenendo per mano un bambino fantasma e l’unica cosa che le veniva in mente era che ci fosse «qualcosa che non andava».
«Dobbiamo cambiare modo di ragionare, mia cara. È un po’ dura accettare tutto questo. Tutti noi ci siamo dovuti passare, prima o poi. Persino io», disse Celine.
«E cosa vuole che faccia?»
«Oh, questo e quello. Niente che si spinga troppo oltre le tue competenze. Hai tre cose che mi fanno comodo, mia cara. Sei intelligente e hai i contatti giusti.»
«Queste sono due.»
«La terza verrà fuori a tempo debito.» Mrs del Ray si passò la lingua sulle labbra. «E posso pagarti. O forse dovevo dirlo fin dal principio?»
Il bambino si accostò di più ad Althea.
«Glielo chiedo di nuovo: cosa dovrei fare?»
«Vieni più vicino e te lo dico.»
Muovendosi goffamente, il ragazzino le si appiccicò al fianco come una sanguisuga. Althea fece come le era stato detto.
«Adesso ascolta.»
E Althea ascoltò.