IL CUSTODE DEI SEGRETI
Devi fissava la base metallica della cuccetta sopra di lui. Madan e Ashgar avevano tappezzato le pareti e ogni spazio sopra le loro cuccette con foto porno, lui invece non aveva altro che le incisioni fantasma di vecchi graffiti, a distrarlo: svariate versioni di VAFFANCULO, MONICA LO PRENDE NEL CULO e il disegno graffiato sul metallo di quella che pareva una donna seminuda fusa con una Ferrari.
Aveva dormito tre ore prima di svegliarsi di soprassalto, convinto che qualcuno lo scuotesse per una spalla. Da quel momento in poi aveva continuato ad appisolarsi e risvegliarsi, cercando di rimettere in ordine i pensieri e di respirare, nonostante il sottofondo di fumo stantio emanato dalle coperte che Madan aveva lasciato cadere sul pavimento. La giornata era scorsa via; non aveva ancora trovato il tempo di visionare tutti i filmati di videosorveglianza della sera precedente. Il tempo gli era volato interrogando i membri del gruppo dei single e lo steward che avrebbe dovuto controllare le cabine, e pattugliando il ponte principale e quello Lido. Era sfinito a forza di ascoltare reclami sulla mancanza di cibo caldo, sulla scarsità d’informazioni e la lamentela che andava per la maggiore: la chiusura dei bar. In base all’esperienza di Devi, alla maggior parte dei passeggeri bastava un’ora senza mangiare e bere per cominciare a comportarsi nei modi peggiori.
Tramite Madan, Ram gli aveva mandato un messaggio qualche ora prima, ordinandogli di prendersi una pausa. Il suo superiore aveva trascorso buona parte della giornata in riunione col comandante, sul ponte, e Devi non aveva ancora avuto modo di riferirgli quello che aveva visto nel filmato. Ma non intendeva parlare né inserire nel suo rapporto l’altra cosa che aveva visto: il palmo di una mano, una manina, che copriva la lente dell’obiettivo. Non era possibile. Le videocamere erano piazzate in alto, sul soffitto. Doveva essere stato un gioco di luce, o forse l’interferenza di un’altra ripresa. C’era sempre una spiegazione razionale. E poi doveva ancora parlare con quella steward, Althea Trazona.
Chiuse gli occhi e si passò le mani sulla faccia. Doveva sistemare un po’ la cabina e procurarsi qualcosa da mangiare prima di tornare al lavoro. Aveva bisogno di energie e...
La porta della cabina si aprì e Devi si sforzò di nascondere il disappunto mentre Rogelio faceva il suo ingresso.
Fece ruotare le gambe giù dalla cuccetta e si alzò. «Rogelio, non puoi venire qui. Ashgar o Madan potrebbero tornare da un momento all’altro.»
«Non sono qui attorno, ho controllato.» Scavalcando la roba di Madan, Rogelio andò a premersi contro Devi. «Dovevo vederti.» Devi aveva bisogno di farsi una doccia, percepiva l’odore acre del proprio sudore, ma Rogelio non ne sembrò infastidito. Non lo era mai. «Perché non sei venuto da me ieri sera? Avevo bisogno di te.»
Devi si liberò. «Dovevo lavorare. Mi dispiace.»
«Ho paura, Devi. È una brutta situazione. Damien... Damien mi ha fatto promettere di non dire niente, ma dice che il comandante è molto preoccupato. Siamo ancora senza internet, Devi. Niente radio. Nessuna comunicazione dalle navi che dovrebbero essere in zona. Sarebbero già dovute arrivare da ore, dopo che era stato inviato il segnale radio di emergenza al radiofaro.»
«Forse c’è maltempo sulla costa e non possono mandare soccorsi.» Guardò ansiosamente la porta. Doveva far uscire Rogelio di lì. «Ti prego, devi andartene.»
Rogelio mise il broncio. «Perché mi mandi sempre via? Ti vergogni di me?»
«No, certo che no.» Se mai si vergognava di qualcuno, era di se stesso. Vigliacco. Sapeva cosa voleva Rogelio: e sapeva che non sarebbe mai riuscito a darglielo. «Conosci la mia situazione.»
«E perché non sei venuto a cercarmi per dirmi di Kelly Lewis, la notte scorsa? Ho dovuto saperlo da quell’orribile Ram, che quando parla con me sembra abbia davanti un criminale.»
«Scusami. Non dipendeva da me.»
Rogelio emise un sospiro che coinvolgeva tutto il corpo. «Mi dispiace per Kelly. Dev’essere stato spaventoso morire sola in quel modo.»
«Ram ti ha detto com’è morta?»
«Solo che aveva bevuto troppo. Bevono sempre troppo nei gruppi di single.» Scrollò le spalle. «Che tristezza. Uno spreco.» Rogelio fece scivolare un dito lungo i bottoni della camicia di Devi. «Avresti dovuto dirmelo.»
«Lo so. Com’era Kelly Lewis?»
«Carina. Tranquilla. Non come certi altri. Avresti dovuto sentire come mi hanno chiamato oggi. Ti saresti infuriato.»
Devi soppesò l’idea di raccontare a Rogelio come pensava fosse morta in realtà Kelly. Come animatore di bordo, ogni giorno entrava in contatto con centinaia di passeggeri, e c’era la possibilità che potesse riconoscere l’uomo del filmato.
La radio di Devi crepitò, seguita dalla voce stanca di Ashgar, spezzata dalle scariche: «Rispondi... controllo... Rissa... bar dell’equipaggio... subito».
«Devo andare.» Devi riuscì a far uscire Rogelio dalla cabina. Di solito i corridoi erano affollati, i membri dell’equipaggio li utilizzavano spesso per incontrarsi, ma quella sera erano deserti.
«Ci vediamo dopo?»
«Ci proverò.»
Un altro broncio.
Devi lasciò che Rogelio lo precedesse, e il nodo di ansia gli si sciolse nel petto solo quando raggiunsero le scale che conducevano all’I-95. Rogelio gli soffiò un bacio e si diresse verso la mensa dell’equipaggio.
Devi doveva decidersi a mettere fine a quella storia. I pettegolezzi si sarebbero diffusi in fretta, specie attraverso la rete della mafia indiana, che aveva diramazioni nell’intero settore crocieristico. C’era la possibilità che le voci arrivassero addirittura alla sua famiglia, dato che un suo cugino lavorava nelle cucine della Beautiful Wonder. E poi c’era quello che gli aveva detto Ram la sera prima... Meglio essere paranoici. Ci avrebbe dato un taglio prima che li cogliessero sul fatto. Era stato così che l’avevano fregato, la volta precedente. Aveva abbassato la guardia, corso dei rischi. Lo avevano seguito fino alla Matungas Road Station e avevano aspettato che s’infilasse nei bagni. E quando ne era riemerso con quel ragazzo, un ventenne magro di cui non ricordava nemmeno più la faccia, avevano colpito. Gli avevano dato un ultimatum: interrompere le indagini sulla bambina violentata, o la famiglia di Devi sarebbe venuta a sapere delle sue tendenze. Il ragazzo se l’era data a gambe, sfuggendo per un soffio a un pestaggio, e Devi aveva lasciato la polizia e si era imbarcato, preferendo l’esilio alle possibili alternative. Dichiararsi apertamente non rientrava fra le opzioni praticabili. Non era per il timore di persecuzioni: a Mumbai c’era una rigogliosa comunità gay. Era il pensiero del disgusto dei suoi genitori che non poteva sopportare. Erano profondamente conservatori, non avrebbero capito. I suoi fratelli erano tutti doverosamente sposati e producevano nipotini a tutto spiano. I suoi genitori erano rimasti sbalorditi quando lui aveva annunciato che si sarebbe inbarcato sulla Foveros, così com’erano rimasti delusi in precedenza quando, anziché accasarsi e seguire l’esempio dei fratelli dedicandosi all’attività di famiglia, aveva deciso di arruolarsi in polizia. Ma quella delusione non era neppure da paragonare a come si sarebbero sentiti se fossero venuti a conoscenza di quella sua vita segreta.
Avvicinandosi all’oscurità cavernosa del bar dell’equipaggio venne accolto dalle grida. Ashgar stava spingendo via un bianco magrissimo, in cui Devi riconobbe il vicecapo del reparto informatico. Jaco, il musicista di bordo, era trattenuto da due baristi. Nelle rare occasioni in cui Devi aveva frequentato il bar, Jaco gli era sempre sembrato simpatico e amichevole. La tensione cominciava a farsi sentire per tutti. Una croupier del casinò stava singhiozzando in un angolo, i capelli fradici di birra.
«’Fanculo!» urlò l’informatico cercando di slanciarsi contro Jaco.
«Pensa piuttosto a fare il tuo lavoro e aggiustare quella merda di internet!» ruggì di rimando Jaco.
«Te l’ho detto. Non c’è nessun guasto del cazzo da aggiustare!»
Ashgar faticava a tenere a freno l’uomo, e Devi stava per intervenire quando si materializzò Ram, intromettendosi tra i due litiganti furibondi. Non dovette fare altro. Nessuna violenza. Gli bastò un’occhiata.
«Vi siete calmati?» chiese Ram senza alzare la voce.
«È stato lui a cominciare», si lagnò l’informatico.
«Volete smetterla o devo far chiudere il bar?»
Un dirigente del reparto cibi e bevande, ubriaco perso e seduto in disparte con un gruppo di cameriere, ululò. Non c’erano celle sulla nave, così Ram ordinò ad Ashgar di accompagnare l’informatico nella sua cabina. Poi si dedicò a Jaco. «Si è calmato, adesso?»
«Sì. Mi dispiace, va bene?»
«Bene. Che non succeda più.» Senza quasi degnare di uno sguardo Devi, Ram andò verso la porta. Lo seguì.
«Signore!»
«Cosa c’è, Devi?»
«Posso parlarle?»
«Ha riposato?»
«Sissignore.»
«Bene. E ha mangiato qualcosa? Avrà bisogno di tutte le sue forze, stanotte.»
«Signore, per quanto riguarda ieri sera, ho riguardato i filmati. Un uomo ha sicuramente seguito Kelly Lewis nella sua cabina.»
«Ho bisogno di lei sul ponte principale, Devi. Ci sono solo Madan e Pran.»
«Ma, signore, il filmato...»
«Adesso non possiamo preoccuparci di quello, Devi. Abbiamo seguito le procedure. Ha visto l’uomo aggredire la ragazza?»
«No, ma è evidente che si è introdotto nella sua cabina con l’inganno.»
«Allora se ne occuperà l’FBI appena arriveremo in porto. Non possiamo rischiare che a bordo si diffonda una voce del genere. I passeggeri sono già abbastanza irritati.» Ram gli voltò le spalle.
Devi non riuscì a trattenersi. «Signore! C’è un assassino a bordo!»
Ram si fermò e, lentamente, si fece scorrere le dita sui baffi. «Per questa volta perdonerò la sua insubordinazione, Devi, ma non se ne approfitti. Vada sul ponte principale. Poi andrà a dare il cambio nella sala di controllo.»
«Signore...»
«È tutto, Devi.»
«Sissignore.»
Infiammato dall’adrenalina, Devi guardò il suo superiore allontanarsi. Com’era possibile che Ram fosse così testardo? Temeva solo che si potesse diffondere il panico tra gli ospiti già spaventati, o era forse un primo passo nel tentativo di mettere tutto a tacere? Ancora sottosopra, si avviò verso l’area passeggeri e attraversò l’atrio. Il banco del servizio clienti aveva la saracinesca abbassata, come pure i cocktail bar lì attorno. Una passeggera lo fermò mentre stava per imboccare le scale. «Quando apriranno i bar?»
«Ci sarà un annuncio quanto prima.»
«È quello che ripetono tutti!»
Devi borbottò che lo aspettavano altrove e proseguì.
Sul ponte Promenade Dreamz sentì un applauso proveniente dal Dare to Dream Theatre. Un tizio corpulento in piedi sulla porta gli fece un cenno di saluto mentre passava. Una coppia si era portata i materassi nel corridoio vicino agli ascensori per il ponte VIP. Non bloccavano le scale, quindi li lasciò stare.
Se possibile, il ponte principale era ancora più affollato rispetto a quanto lo era stato al suo turno di servizio precedente. Passò accanto alla piscina e raggiunse Madan e Pran, che cercavano di spiegare a un passeggero che non poteva bloccare l’accesso al punto di raccolta con una barricata di cuscini e sedie a sdraio.
Madan lo salutò con uno stanco sorrisetto ironico e Pran sollevò una mano, come se stesse per fargli un saluto militare ma si fosse fermato in tempo. Devi sapeva ben poco di lui. Era uno dei più giovani, al suo primo contratto e ufficialmente ancora in addestramento. Col suo naso a becco, con un paio di baffetti appena accennati e grandi occhi espressivi da ragazza, Devi dubitava che Pran avesse abbastanza spina dorsale per quel lavoro.
«Gandu», borbottò sottovoce Madan alla schiena dell’accumulatore di sedie a sdraio. «Terribile, Devi. Questi sono matti.»
«Ero già qui stamattina.»
«Io e Pran abbiamo affrontato una brutta situazione nel pomeriggio. Abbiamo dovuto bloccare un pazzo.»
«Cosa?»
«Un passeggero ha aggredito una delle steward. Pran se l’è quasi fatta addosso. Non è vero, ragazzino?»
Pran abbassò lo sguardo, imbarazzato.
«Che aspetto aveva?» chiese Devi.
«Chi?»
«Quello che ha aggredito la steward. Com’era?»
«Perché me lo chiedi?»
Dopo appena un attimo di esitazione, Devi gli raccontò cos’aveva visto nel filmato. Madan fischiò tra i denti. «Non sarebbe la prima volta che qualche delinquente droga una ragazza, giusto? Ma non credo che il mio pazzo sia il tuo sospetto. Questo era proprio fuori di testa. Il tuo aggressore sembra un tipo organizzato.»
Devi dovette ammettere che Madan non aveva tutti i torti. «Ram non vuole che si sappia.»
«Non mi sorprende.» Madan indicò un gruppetto che infastidiva uno dei camerieri che distribuiva le bottiglie di acqua vicino alla postazione degli asciugamani. «Pran, va’ a parlare con loro.»
Il ragazzo annuì e si avviò a eseguire l’ordine.
«Presto ci saranno problemi», aggiunse poi rivolto a Devi.
Madan aveva ragione. Su tutta la nave c’erano solo cinque addetti alla sicurezza, e Devi sapeva che Madan e Ram erano gli unici due in grado di affrontare una crisi. Madan non aveva addestramento da poliziotto, ma in caso di problemi sapeva mantenere il sangue freddo. Disponevano di MRAD, il generatore sonico per controllare la folla, dubitava però che persino Ram l’avesse mai usato. Devi si era fatto una certa esperienza di disordini nella sua vita precedente: una sommossa in seguito all’omicidio di un uomo di affari musulmano a Dharabi; una dimostrazione contro lo stupro degenerata in violenze. Alla folla non occorreva molto per infiammarsi e trasformarsi in una massa turbolenta, e su una nave non c’era modo di disperderla.
Un altro passeggero si avvicinò. «Quando apriranno i bar?»
Madan rispose imperturbabile: «Ci sarà presto un annuncio, signore».
«E mia moglie deve ricaricare il suo iPhone.»
«Ci sarà presto un annuncio, signore.»
«Quando?»
«Si allontani, signore», lo invitò Devi.
Il tizio sbuffò, ma obbedì.
Madan fece segno a Devi di seguirlo sul ponte laterale che ospitava i punti di raccolta. Tirò fuori una sigaretta elettronica e aspirò il vapore nei polmoni. Un’infrazione da licenziamento, se Ram lo avesse sorpreso, ma Devi sapeva che Madan era abituato a piegare le regole a suo favore e a correre qualche rischio. «Senti... questa storia. C’è qualcosa che non va. L’incendio era roba da poco. Niente di simile a quelli che abbiamo affrontato durante l’addestramento. Pensano che sia cominciato per una perdita di carburante, ma ho le mie fonti, Devi, e non è andata così.» Accennò all’oceano dietro di lui. «Il golfo è pieno di traffico, Devi. Ci sono sempre navi che navigano su queste acque.»
Madan aveva di nuovo ragione. Non c’erano luci da nessuna parte, nemmeno a grande distanza. «Che stai cercando di dire?»
«Credo che la nave sia finita fuori rotta. È l’unica spiegazione possibile per la mancanza di soccorsi.»
Una coppia emerse battibeccando dal ponte laterale, le braccia cariche di cuscini e coperte. Il cielo esplose all’improvviso in una vampata di luci. Dal ponte principale si levarono acclamazioni e applausi.
«Perché si mettono a fare i fuochi d’artificio?» gridò una donna.
Ma Devi lo sapeva. Non erano fuochi d’artificio. Erano razzi di segnalazione.