L’ASSISTENTE DELLA STREGA
Il bagno della suite di Celine aveva smesso di funzionare verso le quattro del mattino, segnalando la sua fine con un gemito che suonava quasi umano. Maddie si era trattenuta il più a lungo possibile, ma alla fine non le era rimasta altra scelta che farla nella doccia. Per fortuna l’acqua corrente c’era ancora, così si era spogliata e si era lavata col bagnoschiuma di Celine, anche se l’acqua fredda non aveva contribuito a schiarirle le idee.
Non era riuscita a dormire per più di pochi minuti per volta, sebbene avesse preso uno dei sonniferi di Celine. Continuava a chiedersi cosa diavolo stesse combinando il suo capo.
Incapace di reggere oltre la falsa allegria pseudoreligiosa dalla Starlight Dreamer Lounge, il giorno prima era rientrata nella cabina di Celine verso le sei (non ci pensava nemmeno, ad affrontare la sua cabina nelle profondità puzzolenti dei ponti più bassi: aveva fatto un tentativo per andare a recuperare un po’ della sua roba, ma a metà corridoio il tanfo l’aveva fatta scappare a gambe levate verso i livelli superiori). Durante la giornata Maddie aveva cercato diverse volte di parlare col suo capo, ma Celine la evitava, concentrando invece le proprie energie per incoraggiare gli Amici ad andare a cercare «chiunque potrebbe aver bisogno del nostro particolare sostegno». Altri come Helen, che con tutta evidenza era rimasta profondamente turbata dalle pericolose stronzate di Celine. Perché ecco qual era il punto: Maddie non aveva idea da dove Celine pescasse le sue informazioni. Certo, era possibile che avesse convinto Jacob e Juanita e chissà chi altro a procurargliele, però Maddie dubitava che il suo capo avrebbe corso un rischio del genere. Non potevano venire da Facebook o Zoop: non c’era ancora collegamento. Ma in qualche modo Celine era in grado di snocciolare tutta una serie di fatti accurati in maniera inquietante sui perfetti estranei che gli Amici rastrellavano durante le loro uscite. E il suo gruppo stava crescendo: da quando Maddie se n’era andata era quasi raddoppiato. Tra i nuovi arrivi c’era una coppia del Kansas in luna di miele («Sappi che tua nonna ti ha perdonata per non essere andata al suo funerale»); una donna oscenamente obesa, la cui petulante espressione iniziale da Forza, vediamo se ci azzecchi era lentamente passata dallo shock alla meraviglia («Sappi che tuo marito vuole che tu faccia l’operazione»); e un uomo in sedia a rotelle accompagnato da una donna con una perpetua espressione da martire («Sappi che tua sorella non biasima te per l’incidente»). Alcuni di loro, come Helen, non si erano trattenuti a lungo, ma la maggioranza era lì per restare. In parte per l’atmosfera. Gli Amici si davano un gran daffare a farli sentire bene accolti, distribuivano acqua e spuntini, e persino un paio di camerieri si erano trattenuti nel salone ben oltre il loro orario di servizio. Celine – la vecchia Celine – aveva sempre saputo come lavorarsi la folla, ma adesso operava a ben altro livello. Sembrava che le interessasse davvero fare quello che aveva sempre simulato: aiutare il prossimo.
Non si diede la pena di asciugarsi, s’infilò uno degli accappatoi di Celine e uscì sul balcone. Il sole avanzava con difficoltà nel cielo, la luce offuscata rivelava un mare ingombro di sacchetti rossi usati. Uno sciame di meduse di merda. Che spettacolo. Si lasciò cadere sulla sedia di plastica del balcone e appoggiò i piedi sulla ringhiera. Aveva bisogno di correre – diventava sempre irritabile se non poteva allenarsi tutti i giorni – ma non c’era modo di farlo, con la pista ridotta a un campeggio. La nave era silenziosa: gli urli e i fischi provenienti dal ponte Lido si erano spenti verso le tre di notte.
I suoi pensieri tornarono a Celine. Il suo capo non faceva mai nulla senza motivo o senza una prospettiva di guadagno. E Maddie era abbastanza sincera con se stessa da ammettere di sentirsi ferita. Perché non le aveva detto cos’aveva in mente? Lei era stata la sua confidente per tre anni, e adesso per qualche ragione Celine l’aveva tagliata fuori.
Forse era quello di cui aveva bisogno. L’ultima spinta: il calcio nel sedere che le serviva per mollare quel lavoro del cazzo. Sì. Avrebbe dato le dimissioni appena fossero rientrati in porto. Sarebbe tornata in Inghilterra; non c’era bisogno che tornasse a Nottingham, poteva andare a vivere in qualsiasi altra città, aveva risparmi sufficienti per un paio di mesi. E, con un po’ di fortuna, il suo prossimo datore di lavoro non avrebbe indagato troppo sui suoi precedenti scoprendo i due anni di libertà vigilata che si era beccata per essere stata, fondamentalmente, una deficiente: un’altra donna che si era incasinata la vita per essersi innamorata dell’uomo sbagliato.
Sì. Doveva smetterla di fare il lacchè di Celine.
Appoggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.
Fu svegliata di soprassalto da uno strano gorgoglio. Aprì gli occhi giusto in tempo per vedere uno zampillo di liquido che si arcuava sopra il balcone. Qualche stronzo stava pisciando sopra di lei, dal ponte Lido.
«Ehi!» urlò. «Piantala!»
Una risata beffarda.
Nauseata, tornò in cabina, sbattendo la portafinestra del balcone. Disgustoso. Quanto poteva durare? A terra dovevano essersi accorti che qualcosa non andava, non c’era verso che la Foveros potesse mettere tutto a tacere all’infinito. Controllò l’ora sul cellulare – quasi le nove, più tardi di quanto pensasse – e bevve un sorso di acqua tiepida dalla bottiglia vicino al letto.
Un colpo alla porta, seguito da un «Pulizia in camera», e Althea entrò in cabina. Maddie non si stupì di fronte alla sua espressione mogia. Una situazione del genere doveva essere un vero inferno per il personale. Non poteva neppure immaginare in che condizioni dovevano essere gli alloggi dell’equipaggio. Lì, se non altro, si respirava; laggiù dovevano soffocare. Intollerabile, probabilmente.
Maddie cercò di sorriderle. «Buongiorno.»
«Mi spiace, non posso darle asciugamani puliti perché la lavanderia è fuori servizio.» Althea posò una bottiglia di acqua vicino al tavolo, insieme con un mucchietto di sacchetti rossi. Santo cielo. Maddie si augurava di non doverli usare. Già era stato abbastanza rivoltante dover fare pipì nella doccia. «Dov’è Mrs del Ray?»
«Nella Starlight Dreamer Lounge. Ci è rimasta tutta la notte.»
«Si sente meglio?»
Non ho la più pallida idea di come cazzo si senta. «Sì, grazie.»
«Ha dormito là?»
«Proprio non lo so.»
Maddie non sapeva se Celine avesse dormito o no. E, adesso che ci pensava, non l’aveva vista bere altro che acqua. Già solo quello sarebbe bastato a farle squillare un campanello d’allarme, solo che stavano già suonando tutti a pieno volume nella sua testa. Le brontolava lo stomaco. Dal giorno prima non aveva mangiato niente, a parte un pacchetto di biscotti trovato in fondo alla valigia di Celine. «Si sa ancora niente di quando riprenderemo a muoverci?»
«Mi spiace, nessuna notizia.»
Maddie non fece altre domande ad Althea. Sembrava più che esausta. Pallida e distratta.
Althea cominciò a sistemare il letto. «Lo lasci pure stare, Althea.»
«Sicura?»
«Sì. Avrà tonnellate di cose da fare, con tutto quello che sta succedendo.»
«Sì.» Un sospiro che pareva risalire dalle profondità della sua anima. «Ci sono anche due persone malate, su questo ponte.»
Maddie inghiottì a vuoto. Oh, Dio. «C’è qualche virus in giro?» Xavier era stato malato per diversi giorni. Possibilissimo. E dalle sue letture Maddie sapeva con quanta velocità poteva diffondersi.
«Credo di sì. L’anziana signora della V25 sta molto male.»
«Quale delle due? Helen o Elise?»
«Quella grassa. L’americana.»
Elise. «Il dottore l’ha visitata?»
«Credo che ieri sia andata l’infermiera.»
Helen ed Elise l’avevano aiutata quando ne aveva avuto più bisogno. Il minimo che potesse fare era andare a vedere se poteva dare una mano in qualche modo. Non voleva esporsi al virus, ma avrebbe preso qualche precauzione. Se non entrava proprio nella cabina, forse non avrebbe corso troppi rischi.
«Si stanno ammalando in molti», continuò Althea. «Ma se sta attenta a cosa tocca starà bene. Le consiglierei di mettere da parte delle posate che usi solo lei. E anche un piatto. Giusto per sicurezza.»
«Grazie, Althea. Lo apprezzo molto.»
«Nessun problema.» La donna cominciò a spruzzare e pulire il piano del minibar.
«Non si preoccupi di pulire qui dentro.» Non era solo altruismo: chissà quanti germi c’erano in quegli stracci.
«Ne è certa?»
«Sì. E mi assicurerò che venga debitamente ricompensata per tutto il suo duro lavoro.» Dio, quanta condiscendenza!
«Grazie.» Dopo averle scoccato un rapido sorriso, Althea se ne andò.
Maddie andò a sedersi sul letto. E adesso? Andare a vedere come stavano Helen ed Elise era la prima cosa da fare, poi immaginava di doversi procurare qualcosa da mettere sotto i denti, anche se le parole di Althea su un possibile virus le avevano fatto passare ancora di più la fame. Non poteva rimettersi i vestiti del giorno prima, e proprio non se la sentiva di tornare nella sua cabina per recuperare un cambio. E ciò le fece venire in mente che non aveva più visto Ray dal loro battibecco del giorno prima: di certo non era nell’inquietante gruppo accampato nella Starlight Dreamer Lounge. Doveva aver abbandonato la sua cabina, prima o poi. Senza aria condizionata era impossibile resisterci.
Dopo un rapido esame di coscienza, si mise a frugare nell’armadio di Celine. Trovò una camicetta lilla con un’applicazione di strass a forma di gatto – di sei taglie troppo grande, ma che importava? – e se la infilò dalla testa. I jeans potevano reggere ancora per un giorno: pantaloni e gonne di Celine le sarebbero cascati di dosso. Nel cassetto trovò un paio di guanti neri di pelle, pronti per quando sarebbero tornate a casa, al freddo. Si mise al collo uno dei foulard di seta di Celine: poteva usarlo per coprirsi la bocca. I germi forse ci sarebbero passati, ma se non altro avrebbe attenuato il puzzo della nave. Probabilmente era ridicola, la sorella dell’uomo invisibile. Comunque meglio apparire ridicola che passare i giorni successivi a vomitare.
Uscì dalla cabina prima di perdere il coraggio, e andò a bussare alla porta di Helen ed Elise.
Helen ci mise un po’ a rispondere e, quando andò ad aprire, Maddie dovette fare un passo indietro e mettersi una mano davanti alla bocca. Si sentiva chiaramente il puzzo di vomito che veniva dall’interno. «Mi spiace. Non me la cavo bene con l’odore... sa... di malattia.» Pessima uscita. «Mi scusi.»
«Capisco.» La bocca di Helen ebbe un fremito vedendo com’era conciata Maddie.
«Althea mi ha detto che Elise è malata.»
«Sì, un qualche virus.»
Maddie era colpita dal suo aspetto: era come se tutto il colore le fosse scomparso dal viso. «Come sta?»
«Non bene.»
«Posso fare qualcosa? Forse portarvi qualcosa da mangiare?»
Helen si sfiorò la gola. «Non ho molta fame.»
«Deve cercare di mantenersi in forze.»
«Magari solo un sandwich. Se non è troppo disturbo.»
«Nessun disturbo.»
Maddie esitò, incerta se accennare all’incontro di Helen con Celine del giorno prima. Decise di non farlo. Ne avrebbe parlato Helen, se ne avesse avuto voglia. Non le sembrava certo il tipo che non diceva quello che pensava.
Annodandosi meglio il foulard davanti alla bocca, Maddie salì le scale fino al ponte principale, ormai trasformato in un ammasso di materassi e tende di fortuna, che si propagava fino alla pista da jogging e al percorso da minigolf. La coda per il magro buffet – sembrava che di nuovo ci fossero solo un paio di banchi aperti – si snodava fuori dalla porta, nella zona dei tavoli al coperto e arrivava quasi fino alla piscina. Si mise in fila anche lei, cercando di non pensare a tutti i germi in circolazione. Aveva le mani sudate sotto i guanti.
La coda procedeva a passo strascicato da zombi. L’uomo davanti a lei, un inglese col faccione insignificante e col naso spellato dal sole, si voltò e le sorrise. «Bei guanti. Bella idea. Per il virus, giusto?»
«Già.»
«La mia ragazza se l’è beccato. È terribile. Il dottore dice che l’unica cosa da fare è starsene in cabina. Per fortuna abbiamo una delle suite sul ponte superiore. È per quei disgraziati dei ponti più in basso che mi dispiace.»
Maddie annuì in segno di comprensione e ascoltò solo a metà le sue teorie sull’avaria della nave mentre la coda avanzava lentamente. Maddie prese due piatti dalla misera pila, e trasalì quando qualcuno le sfiorò una spalla.
«Non può farlo», disse una donna alle sue spalle.
«Fare cosa?»
«Ammassare cibo. Può prendere solo un piatto.» Incrociò le mani sul petto e fissò Maddie, malevola.
Maddie tentò un sorriso conciliante. «Non lo sto ammassando per me. Devo portarne un po’ a un’amica che non è in grado di lasciare la sua cabina.»
«Allora dovrà fare la fila due volte.»
Oh, Dio! «Non ne ho la minima intenzione. Ieri non ho mangiato niente, quindi non si può certo dire che...»
«Quello è un problema suo. Non può ammassare cibo.»
Un mormorio di approvazione si levò dalla coda alle sue spalle. Maddie guardò il tizio amichevole davanti a lei, ma quello le voltò le spalle. Di colpo le venne da piangere. Non arrenderti. Non sarebbe durata granché come assistente di Celine se si fosse arresa facilmente. Maddie squadrò la sua avversaria. «Allora cosa dovrebbe fare la mia amica? Non è in grado di uscire dalla sua cabina.»
«Non è un mio problema.»
La rabbia fiammeggiò improvvisa. «È un problema di tutti, brutta stronza.» Maddie si stupì di se stessa. Prima Ray, adesso quella tizia.
La donna spalancò gli occhi. «Come mi ha chiamata?»
«Mi ha sentita benissimo.»
«Lei... non può...»
«È lei che mi ha aggredita. Perché non bada piuttosto agli affari suoi?»
«Ci sono delle regole, qui.» La donna la superava di almeno venti chili, ma c’era da augurarsi che non si arrivasse a tanto.
Maddie si guardò attorno alla ricerca di qualcuno della sicurezza, ma non c’era nessuna guardia in vista.
«Non può semplicemente prendere tutta quella roba quando siamo tutti qui in coda. Non è giusto!»
Un uomo s’intromise. Era il blogger, Xavier. Sfiorò il braccio di Maddie e disse: «Grazie, cara». Prima che lei potesse rispondere, disse alla donna infuriata: «Mi stava tenendo il posto».
La donna non si lasciò smontare. «Ha preso due piatti. Troppi. Non può farlo. E non si può tenere il posto per gli altri.»
«Sì. Mi scusi. È che dovevo...» Si toccò lo stomaco. «Sa...»
La donna fece una smorfia. «Non lo faccia più.»
«Ma no, ci mancherebbe. Grazie per essere stata così comprensiva.»
«Mmm.»
La donna continuò a fissarla, ma Maddie non abbassò lo sguardo. «Qualcos’altro che non va?»
La donna si arrese: «No».
L’uomo davanti a Maddie si voltò e disse: «Il nervosismo aumenta».
«Sì, e grazie tante per l’aiuto, testa di cazzo», ribatté lei, sorprendendosi di nuovo, mentre Xavier sbuffava trattenendo una risata.
L’uomo arrossì e distolse lo sguardo.
«Grazie per essere intervenuto», mormorò a Xavier.
«Di niente. Bell’idea, i guanti. Vorrei averci pensato anch’io. A quanto pare si può anche riprenderlo, il norovirus. Non sarebbe davvero il colmo?»
Finalmente raggiunsero la testa della fila. Su ciascuno dei piatti planò un panino con dell’affettato, ma se non altro il pane sembrava abbastanza fresco. Maddie ringraziò il cameriere, ma quello si limitò a fissarla senza espressione.
«Hai davvero intenzione di mangiarlo?» le chiese Xavier.
«È da ieri che non mangio.»
La soppesò con un’occhiata. «Seguimi. Ti faccio vedere una cosa.»
«Cosa?»
«È interessante.»
Gli mostrò i piatti. «Devo portare da mangiare alla mia amica.»
«Ti accompagno.»
«No. Aspettami qui. Non ci metterò molto.» Non lo conosceva: non era una buona idea fargli vedere qual era di preciso la cabina di Celine.
Le scoccò un sorriso sardonico. «Okay.»
Attraversò in fretta l’atrio e il ponte VIP. Davanti a una delle suite c’era un mucchio di sacchetti rossi usati e cercò di non soffermarsi troppo a guardarli.
Helen prese il cibo con un sorriso stanco, poi Maddie tornò nella cabina di Celine. Diede un morso al panino, il pane le sembrò un pezzo di moquette sulla lingua, e allora mise via il resto nel frigo: mossa inutile, tanto non funzionava.
Poteva semplicemente restare lì. Voleva davvero avere a che fare con quel blogger? Però doveva ammettere che una parte di lei era curiosa di scoprire cos’avesse da mostrarle. Al diavolo. Che altro aveva da fare?
Xavier le fece un beffardo saluto militare, quando la vide arrivare. «Credevo che avessi cambiato idea.»
«Cos’è che volevi farmi vedere?»
«Vieni. Ci vorrà solo un momento.»
Le indicò le scale che portavano alla pista da jogging. Una ragazza in bikini lo salutò e scoccò una strana occhiata a Maddie mentre zigzagavano tra materassi e sedie che ingombravano il ponte. Diversi passeggeri li guardarono storto, come se avessero violato una proprietà privata. Imbarazzata per il suo bizzarro abbigliamento, Maddie tenne gli occhi incollati sulla schiena di Xavier che puntava verso il ponte panoramico. Lo raggiunse e guardarono in basso verso i passeggeri e gli uomini dell’equipaggio sparpagliati sul ponte Lido e sui ponti principali, con una vaga sensazione di vertigine.
«Guarda.» Xavier le si accostò indicando la prua della nave. Sulla sinistra un gruppetto di marinai stava trafficando attorno a una delle scialuppe di salvataggio riservate all’equipaggio.
«Che stanno facendo?»
«Qualcuno sta per prendere il mare. Qualcuno ha deciso di andare a vedere che cazzo succede. E questo può solo voler dire che siamo nella merda.»
«Mandano fuori una scialuppa?»
«Una barca di appoggio. Una delle scialuppe attrezzate con un motore più potente. Sai, come quelle che hanno usato per traghettarci alla Foveros Island. Mi pare che dica tutto quello che c’è da sapere sulla nostra situazione. Se sapessero che sta arrivando la cavalleria, perché mai mandare fuori una barca? Quindi vuol dire che non siamo dove dovremmo essere.»
«Perché non hanno chiesto aiuto per radio?»
«Il wifi non funziona, probabile che non funzioni neppure la radio. Non va bene. Ti ricordi quand’era andata alla deriva la Beautiful Wonder?» Maddie non se lo ricordava, ma annuì lo stesso. «Dopo un’ora che le macchine avevano perso potenza, lo sapeva già il mondo intero. Noi siamo qui da due giorni, e niente di niente. Siamo soli. Immagino non riusciranno a tenerlo segreto ancora per molto. Devono ringraziare la loro buona stella per il norovirus. Hai visto che clima c’era in quella fila. È solo questione di tempo prima che diventi un ammutinamento in piena regola. Per fortuna non ci sono armi a bordo.»
«Non si arriverà a tanto.»
«Ne sei proprio convinta?»
Un bip, e poi: «Salve, gente. Vi parla Damien, il vostro direttore di crociera. Volevo solo avvisarvi che tra poco il comandante vi aggiornerà sugli ultimi sviluppi. Nel frattempo la nostra celebrità di bordo, Celine del Ray, si è generosamente offerta d’intrattenere chiunque voglia raggiungerla. Vi aspetta al Dare to Dream Theatre fra cinquanta minuti».
Xavier lanciò un’occhiata a Maddie. «È tre volte più grande di quella cazzo di Starlight Dreamer Lounge. Deve aspettarsi una vera folla. Ieri ho cercato di entrarci, ma mi hanno bloccato.»
Maddie sbuffò. «Che strano.»
«Ma che vuol fare? Fondare una setta?»
«Non lo so, cosa vuol fare. Non è da lei, proprio per niente. È come se avesse cambiato personalità da un giorno all’altro. Aiuta la gente, dice lei.»
«Ieri mi hai detto che era quello che faceva, no?»
Cazzo. Ma che le importava di cos’aveva detto a Xavier? Tanto stava per licenziarsi: aveva i suoi piani per il futuro. «Sì, solo che aiuta la gente senza farsi pagare. Non è da Celine.»
«Ah.»
«E non so da dove prenda le informazioni che usa.»
«Di solito le trova su Google, no? E immagino che il resto siano solo tecniche di lettura a freddo.»
Maddie scrollò le spalle. Non era ancora pronta a spingersi fino a quel punto. «Può essere.» Possibile che Ray si fosse messo a fare lui il lavoro sporco? Dopo la litigata del giorno prima non lo aveva visto in giro attorno alla sala, ma era possibile che Celine avesse spedito qualche Amico a cercarlo.
Giù alla barca un ufficiale in divisa bianca gesticolava con un paio di tizi in tuta blu.
«Non mi dispiacerebbe fare due chiacchiere con lei», disse Xavier.
«Non ho dubbi.»
«Potresti farmi entrare là dentro. Andiamo, mi devi un favore. Ti ho tirata fuori dai guai in quella coda, giusto?»
Le sorrise di nuovo. Non lo avrebbe certo definito attraente, e di sicuro non era il suo tipo (non che ne avesse uno, ultimamente), ma adesso stava facendo proprio il viscido, come dicevano lei e i suoi amici ai tempi della scuola. Dio, e quella da dove usciva? Maddie ci rifletté. Celine sarebbe stata un bell’avversario per Xavier, magari poteva rivelarsi interessante. «Perché no? Vuoi incontrare Celine? E io ti porto da Celine.»
«Splendido.»
Mentre scendevano dal ponte principale in direzione del teatro, Xavier continuò a tempestarla di domande sui metodi di Celine, però Maddie lo tenne a bada. Non voleva certo rendergli le cose più facili.
Un flusso contenuto ma costante di passeggeri stava entrando in teatro. Non c’era traccia di Jacob o Eleanor, né di altri Amici, ma, quando l’ultimo gruppetto superò l’ingresso, Maddie vide Ray appena fuori dalla porta, le braccia incrociate sul petto, le gambe leggermente divaricate. Una posa da buttafuori.
«Lascia che me ne occupi io», mormorò a Xavier.
Ray la salutò con uno dei suoi sorrisi ipocriti. «Ehi, tigre. Celine l’aveva detto che ti saresti fatta vedere. Che accidenti ti sei messa addosso?»
«Credevo che non te ne fregasse niente di Celine. Che ci fai qui?»
«Be’, mia cara, a quanto pare è qui il centro di tutto. Ho un lavoro da fare.» Una strana espressione gli guizzò per un attimo sul viso.
«Ti ha detto qualcosa, Ray?»
«Naaa.» Mentiva. Celine poteva essersi tranquillamente servita di qualche informazione ottenuta dalla sua agenzia investigativa. Rigirandola a suo comodo, in modo che sembrasse qualcosa che lei non poteva sapere. Però Maddie restava perplessa; lo sapeva anche Ray, come lavorava Celine. O forse era davvero più tonto di quanto credesse. O forse c’era un’altra spiegazione sul perché era tornato al lavoro.
«Quanti soldi in più ti ha offerto?»
Un sorriso astuto. «Ehi, un extra è un extra, no?» Sembrò vedere Xavier per la prima volta. «Ehi, non sei il tizio che ha cercato d’intrufolarsi l’altra sera?»
«Sì.»
«Che ci fai con questo stronzo, Maddie?»
«Vogliamo incontrare Celine.» Maddie fece per passare davanti a Ray.
«Spiacente, tesoro. Celine non vuole vederti.»
«Ma che stai dicendo?»
«Non puoi entrare. Non prima che sia lei a darti il permesso.»
«È il mio capo.»
Ray fece spallucce. «Ho degli ordini. E non stare a provare dall’altro ingresso, Maddie. La porta è bloccata. Celine dice che non sei ancora pronta.»
«Pronta per cosa?»
«Io riferisco solo il messaggio, cara.»
«Fammi passare.»
«Non posso, Maddie.»
«E se ti paghiamo?» chiese Xavier.
«Mi stai offrendo dei soldi?»
«Già.»
«Sei un ragazzo ricco?»
«Me la cavo bene.»
Ray annuì. «Capito. Sei convinto che uno stupido ex poliziotto come me farebbe di tutto per una bustarella.»
«Non è quello che ho detto.»
«Senti, Ray», s’intromise Maddie. «Non c’è motivo per rendere tutto più sgradevole. Sono anni che lavoro per Celine e tu...»
«È un locale pubblico, non puoi fermarci», la interruppe Xavier.
«Scommettiamo?»
Maddie si rese conto che stavano bloccando l’ingresso ad altre persone. Volevano uno spettacolo, pensò, e adesso ne avevano uno davanti. Provò con le buone: «Andiamo, Ray, solo un’occhiatina. Non ci fermeremo per molto. Puoi sempre dire a Celine che non ci hai visti entrare». Perché si dava tanto da fare? Sapeva solo che di colpo le sembrava importantissimo riuscire a entrare là dentro.
Xavier tirò fuori dal portafoglio duecento dollari e li sventolò sotto il naso di Ray. «Prendili.»
«Non voglio i tuoi soldi.»
«Prendili.»
«Ho detto che non li voglio.»
«Forza, amico, sono duecento dollari. Uno come te dove...»
Ray si slanciò, afferrò per la camicia il blogger attirandolo a sé e gli assestò un testata in faccia. Xavier barcollò all’indietro, le mani sul naso. Maddie, rimasta paralizzata, accorse a sostenere Xavier solo quando una delle donne alle loro spalle si mise a strillare.
Ray si sporse verso di lei. «Levati di torno, Maddie.» Adesso sentì che il suo fiato sapeva di alcol. «Levati di torno, subito.»