Postfazione

 

"Se tutta l'Africa" oggi

di Jan J. Milewski

 

 

Come mai, a distanza di quarant'anni, questo libro non ha perso la sua importanza per comprendere i problemi dell'Africa?

Per vari motivi, visto che si tratta di una delle più straordinarie testimonianze sulla decolonizzazione africana di tutta la letteratura mondiale.

Con la sua ben nota maestria, Ryszard Kapuscinski ci racconta un periodo cruciale della storia del continente: la nascita dei nuovi Stati, i leader posti alla loro guida, la caduta dei primi sistemi politici e, infine, le vicende della gente comune.

Gli avvenimenti descritti si sono svolti negli anni 1955-1966.

L'autore, storico di professione e anche per passione, li ha osservati sul posto, ha incontrato i protagonisti e ha vissuto l'atmosfera, spesso rischiando la vita. Sebbene gli stessi eventi siano stati riferiti dai giornalisti di tutto il mondo, nessuno di loro ha lasciato una testimonianza paragonabile a quella contenuta in queste pagine. Kapuscinski, come Tucidide, ha composto un grande quadro con le storie cui ha preso parte.

Ma il valore di questo libro va ben oltre la testimonianza storica del primo decennio dell'indipendenza africana. L'autore è riuscito come ben pochi altri analisti dei fatti di allora a comprendere e a descrivere le sfide e le difficoltà davanti alle quali si sarebbero ben presto trovati i giovani Stati e le élite africane. È riuscito a vedere i fatti come parte di un lungo processo storico che dura fino ai nostri giorni ed è per questo che, leggendo queste pagine, abbiamo talvolta l'impressione di leggere delle considerazioni sui dilemmi odierni.

E invece questo libro, malgrado la sua importanza per la conoscenza dell'Africa, ha avuto una sorte ben diversa da quella dei successivi testi africani di Kapuscinski. Se tutta l'Africa, pubblicato a Varsavia nel 1969 e riedito nel 1971, non ha avuto una sola traduzione.

A quarant'anni di distanza dall'ultima edizione, continua a essere una lettura appassionante. Chi non è mai stato in Africa vi viene trasportato. I lettori che la conoscono vi ritrovano l'atmosfera della sua vita sociale, la confusione e il silenzio, gli odori, il colore, la febbre della vita politica. E i miei studenti vi studiano da anni la vita di quel continente.

Faccio parte dei privilegiati che hanno conosciuto Ryszard Kapuscinski durante gli studi alla facoltà di Storia dell'Università di Varsavia. Fin da allora fummo legati da un rapporto di amicizia e dal nostro comune interesse per l'Africa, ed è così che ho potuto assistere fin dall'inizio allo svilupparsi della sua passione africana, discutere sulle letture comuni, approfittare della sua ispirazione. Per anni, se era a Varsavia, ha partecipato di buon grado alle mie lezioni con gli studenti dell'università. Spesso i suoi incontri con giovani che vedeva per la prima volta cominciavano con le parole: "Che cosa volete che vi dica? Avete degli eccellenti professori, che sanno tutto. Io sono solo un semplice giornalista".

Per questo è doveroso ricordare che Kapuscinski, grande reporter, scrittore e pensatore, era anche un profondo analista degli eventi osservati, che riusciva a descrivere in forma stringata e con straordinaria precisione; Spiegate da lui, le questioni più complicate diventavano comprensibili e quasi ovvie.

Aveva la passione di approfondire continuamente le sue conoscenze. Alla fine della sua vita, dopo quasi cinquant'anni di osservazione e di analisi delle burrascose trasformazioni avvenute in alcune decine di paesi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, nonché dei processi globali che le accompagnavano, diceva: "Non afferro ancora il mondo". Parafrasando, è quello che ogni lettore attento dovrebbe dire dell'eredità di Kapuscinski e, in particolare, della sua parte africana.

Cominciamo dal concetto stesso di "Africa". In questo come in molti altri suoi testi, Kapuscinski premetteva che si trattava di una definizione puramente convenzionale. Lo ripeté con forza anche nell'introduzione a Ebano: "È un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un vero e proprio oceano, un pianeta a parte, un cosmo eterogeneo e ricchissimo.

È solo per semplificare, per pura comodità, che lo chiamiamo Africa. In realtà, a parte la sua denominazione geografica, l'Africa non esiste".' Se quindi mi servirò dei concetti di "Africa" e di "africano", darò loro la stessa connotazione convenzionale usata da Kapuscinski.

 

L'Africa affascinò Ryszard fin dal suo primo viaggio, quello del 1959 in Ghana.' Vi tornò molte volte. Fino alla fine della sua vita osservò e analizzò i cambiamenti che vi avveni vano, commentandoli in interviste per la stampa polacca e straniera. I primi testi africani apparvero nel 1960 su "Polityka", in un ciclo di sette puntate intitolato "Il Ghana da vicino"; gli ultimi nel 2006.3

L'eredità africana di Kapuscinski si compone: dei dispacci scritti per l'Agenzia di stampa polacca, parte dei quali è stata pubblicata nei Bollettini speciali della PAP, accessibili a una ristretta cerchia di privilegiati, ossia all'attivo del partito e ai direttori dei principali giornali; dei testi pubblicati sulla stampa polacca e, anni dopo, anche su quella straniera; infine, ' R. Kapuscinski, Ebano, Feltrinelli, Milano 2006, p. 7.

Mi baso sui dati forniti dai biografi del reporter: cfr. B. Nowacka, Z. Zigtek, Ryszard Kapuscinski. Biografia pzsarza, Znak, Cracovia 2008, pp. 68-69 e 371.

Mi riferisco a due interviste in cui i problemi dell'Africa e dei suoi abitanti sono solo uno dei temi trattati da Kapuscinski: Milada Jgdrysik, "Swiat sii rusza" ("Gazeta Wyborcza" 25 giugno) e Wojciech Jagielski, "Detronizacja Europy" ("Gazeta Wyborcza" 12 ottobre). dei libri contenenti alcuni dei testi già pubblicati sulla stampa.

Nel 1963 apparve Czarne Gwiazdy (Stelle nere), una raccolta di reportage dal Ghana e dal Congo, nel 1969 uscì Se tutta l'Africa cui seguirono le opere più famose: Ancora un giorno (1976), Shah-in-Shah (1978) ed Ebano (1998). Nella bibliografia pubblicata da Maciej Koimiríski e dal sottoscritto,4 nonché nelle opere biografiche, soprattutto in quella di Beata Nowacka e Zygmunt Ziatek,5 si trovano degli elenchi comprendenti la maggior parte delle opere pubblicate. Ma il corpus completo dell'eredità africana di Kapuscinski è ancora in attesa di essere redatto. Leggendo questo libro conviene ricordare che vi si trova soltanto una parte di ciò che l'autore sapeva e di ciò che aveva scritto sull'Africa fino al 1969.

 

Se tutta l'Africa si compone di quindici testi (il più vecchio dei quali reca la data del 1962, il più recente quella del 1966) e di un'introduzione in cui l'autore descrive con modestia il contenuto del libro: "Questo volume vuole essere solo una libera selezione di reportage. In alcuni descrivo le varie vicende alle quali mi è capitato di assistere, in altri cerco di spiegare alcune questioni". Non è escluso che una simile presentazione mirasse sotto sotto a tranquillizzare il censore.

In realtà questa "libera selezione di reportage" comprende testi di vario peso e natura. Si va dalla relazione di una seduta del parlamento del Tanganica (Il presidente sonda il futuro) all'approfondita analisi di uno dei primi colpi di Stato (La Nigeria nei giorni del colpo di Stato), dallo studio dell'ideologia e della pratica nella costruzione dell'unità africana e della nascita dell'Organizzazione dell'unità africana (L'Africa intorno alla tavola rotonda) al saggio sui problemi di lunga M. Koimiriski, J. Milewski, Bibliografia polskiche publikacji na temat Afryki, parte I-II, Polski Instytut Studibw Migdzynarodowych, Varsavia 1965, Per le pubblicazioni di Kapuscinski cfr. parte II, pp. 2-3, voci 1740-1768.

B. Nowacka, Z. Zi4tek, op. cit., pp. 362-386. portata delle trasformazioni del continente (A proposito della rivoluzione africana). Ognuno di questi testi dice, sulla storia dell'Africa indipendente, più di tutte le decine di lavori scientifici usciti in seguito sull'argomento.

 

Tutto ciò che Kapuscinski ha scritto sull'Africa poggia su una conoscenza sistematicamente accumulata e i cui primordi risalgono agli anni universitari: dal 1950 al 1955. Malgrado la prevalenza del marxismo ufficiale, all'università frequentava le lezioni dei grandi storici: Iza Biezur ska-Malowist, Aleksander Gieysztor, Stefan Kieniewicz, Tadeusz Manteuffel e altri.

Mantenne per tutta la vita i contatti con la cerchia degli africanisti e con la facoltà di Giornalismo e di Scienze politiche.

Nel suo lavoro di giornalista e analista dei processi politici ha sempre applicato con il massimo rigore i metodi propri dello storico tra i quali, in particolare, la critica della fonte di informazione (scritta, orale, materiale), la tendenza a vedere i singoli fatti come momenti di processi di lunga portata, la ricerca di teorie che spiegassero tali processi e, infine, l'ostinazione a voler conoscere tutta la letteratura accessibile sull'argomento e le diverse interpretazioni degli eventi. Un approccio ostinatamente teso ad appurare "come stessero veramente le cose" (p. 11). In questo si manteneva fedele ai suoi maestri, Erodoto e Tucidide.

A partire dagli anni cinquanta del xx secolo la decolonizzazione dei paesi africani ravvivò negli ambienti scientifici polacchi l'interesse per quel continente. Centri di studio e didattici dedicati all'Africa e al Terzo Mondo sorsero presso la Scuola centrale di pianificazione e statistica (sotto la direzione dei professori Michal Kalecki e Ignacy Sachs), presso l'Istituto polacco delle questioni internazionali, nell'Accademia polacca delle scienze (sotto la direzione del professor Józef Chalasinski). All'Università di Varsavia i tradizionali studi sull'archeologia e sulle lingue dell'Africa furono rapidamente estesi anche ad altri campi. Il professor Stefan Strelcyn, eminente etiopista, dirigeva dal 1960 un dinamico centro di africanisti che riuniva studiosi di varie branche delle scienze sociali.6 Ogni settimana sentivamo parlare i migliori storici, economisti, geografi, linguisti, sociologi e, insieme ai neoadepti dell'africanistica, discutevamo di economia, di politica, di ideologie e della nuova letteratura occidentale sull'Africa. Si potevano anche ascoltare le relazioni di quanti a quel tempo erano riusciti a recarsi in Africa. Nel 1962, presso l'Università di Varsavia venne creato lo Studio di africanistica diretto dal professor Strelcyn. Malgrado la censura e le limitazioni di valuta, la biblioteca di africanistica incrementò rapidamente la sua raccolta della migliore letteratura occidentale e africana. Riuscimmo a far venire via mare alcune decine di testate di giornali africani, consegnati in grossi pacchi e con enorme ritardo.

Se era a Varsavia, Ryszard non mancava mai ai nostri incontri e trascorreva intere giornate in biblioteca sommerso da libri e riviste. In questo modo ne sapeva di più della gran parte degli europei dopo anni di soggiorno in Africa.

In un primo tempo una parte fondamentale delle sue osservazioni consistette nello scattare fotografie. L'archivio fotografico dell'autore di Ebano conta quasi diecimila foto, molte delle quali dedicate all'Africa. Ce ne possiamo convincere sfogliando gli album Dall'Africa (2000)' e Ze swiata (Dal mondo, 2008), ma non è che l'inizio della scoperta del Kapuscinski fotografo.

6 Tra i molti mi limiterò a citare i professori di quel periodo e di quello successivo: Zofia Dobrska (economista), Zygmunt Komorowski (sociologo), Tadeusz Lewicki (arabologo e storico), Szymon Chodak (sociologo), Marian Malowist (storico), Andrzej Zajaczkowski (sociologo), Bogodar Winid (geografo), Andrzej Waligorski (etnologo), Zofia Sokolewicz (etnologa), Rajmund Ohly (linguista), Joanna Mantel-Nieéko (linguista), Boleslaw Dumanowski (geografo), Jan Halpern (giornalista ed economista).

R. Kapuscinski, Dall'Africa, Bruno Mondadori, Milano 2002.

Consapevole dell'estrema importanza del periodo tra il 1955 e il 1966, quello descritto nel libro, Kapuscinski non è tuttavia riuscito a dargli una precisa e univoca definizione. Lo chiama ora il periodo "più burrascoso e inquieto", ora "la svolta tra due epoche", ora "la rivoluzione".

Quello che più lo interessava erano i cambiamenti politici e questo, infatti, è l'argomento dell'opera. Ma dietro a questa definizione si nascondevano decine di trasformazioni in atto con maggiore o minore intensità in oltre quaranta paesi.

Nella sua prima fase la decolonizzazione significò la trasformazione dei territori fino ad allora dipendenti in altrettanti Stati indipendenti entro i confini a suo tempo tracciati dai colonialisti europei. Durante i suoi quasi sei anni di soggiorno in Africa Kapuscinski fu testimone di uno dei processi più Stato-poietici di tutta la storia mondiale. Fino al 1939 sul continente c'erano quattro Stati indipendenti. Tra il 1945 e il 1957 se ne aggiunsero cinque. Quando, nel 1959, Ryszard giunse in Africa per la prima volta, gli Stati indipendenti erano dieci; quando, nell'autunno 1966, la lasciò, erano arrivati a quaranta, senza contare i nuovi territori che nel frattempo stavano per accedere all'indipendenza.

Kapuscinski è stato tra i primi autori compresi quelli africani a descrivere le patologie delle nuove élite governative e le minacce incombenti sul futuro dei nuovi Stati. Ammoniva che l'inserire popolazioni estranee le une alle altre entro artificiose frontiere amministrative (come nel caso limite della Nigeria, nei cui confini erano venute a trovarsi popolazioni parlanti oltre duecento lingue) poteva rappresentare una minaccia, e i fatti gli dettero ben presto ragione. Gli attriti tra i diversi gruppi etnici all'interno dei nuovi Stati si rivelarono un pericolo maggiore per il loro assetto interno che non i danni causati dalle artificiose divisioni coloniali.

Un'altra minaccia era rappresentata dalla necessità di costruire in breve tempo una propria amministrazione senza disporre di quadri, di infrastrutture e di mezzi, nonché dal bisogno di creare dei sistemi politici che si adeguassero alle esigenze dei nuovi Stati, alle culture politiche tradizionali, alle complesse strutture etniche e, infine, alle necessità economiche.

Sull'onda delle immense speranze legate all'indipendenza, questi pericoli non venivano visti o, comunque, non venivano dichiarati né in Africa né fuori di essa.

Nel periodo 1955-1966 descritto nel libro si era già chiaramente delineata la seconda fase dei sistemi politici dei nuovi Stati. La prima era consistita nella presa del potere dalle mani degli Stati coloniali e nel tentativo di consolidarsi dei primi regimi civili postcoloniali. Gli inizi della seconda qui magistralmente descritti corrisposero al rovesciamento dei governi dei primi leader (i "padri dell'indipendenza") da parte dei militari e alla presa del potere a opera di questi ultimi.

I colpi di Stato descritti nel libro, per esempio quello della Nigeria, segnarono, come dimostrarono i fatti successivi, l'inizio di un processo che coinvolse la maggior parte dei nuovi Stati africani. Fino alla metà del 2011 in Africa l'esercito ha compiuto con successo oltre centodieci colpi di Stato durante i quali gruppi di militari hanno volta a volta tolto il potere sia ai civili sia ai propri predecessori in divisa.

In queste pagine Kapugcinski non trascura un'importante componente della vita politica africana degli anni 1955-1966

(tuttora presente seppure in circostanze mutate): i rapporti dei giovani Stati con il mondo esterno. Fu necessario costruirli partendo letteralmente da zero, creando dapprima reciproche relazioni con gli altri nuovi Stati del continente e poi con il resto del mondo: Stati Uniti, Unione Sovietica, l'"area socialista", la Cina e altri, e questo senza avere né quadri diplomatici, né esperienza, né mezzi. Aggiungiamo che la fase iniziale dell'indipendenza africana si realizzò in piena Guerra fredda, quando gli Stati indipendenti erano oggetto di un'accanita rivalità tra il blocco occidentale e quello dominato dall'Unione Sovietica. Ufficialmente venivano forniti sostegni economici, si creavano programmi di istruzione per gli studenti e cosìì via ma, sotto sotto, era in atto una lotta per accaparrarsi le riserve naturali del continente. Uno scopo perseguito sia procurandosi aree di influenza militare, sia tramite la diffusione di ideologie.

La lotta si svolgeva anche sull'arena internazionale, nel foro dell'ONU, dove si cercava di assicurarsi i voti dei nuovi Stati. Queste lotte vengono magnificamente descritte nel reportage L'Africa intorno alla tavola rotonda. Il lettore attento, memore che il libro fu pubblicato sotto la censura della mPP, non farà fatica a decifrare tra le righe il quadro di questa rivalità da Guerra fredda nonché la goffaggine delle iniziative sovietiche.

Nel 1962 Kapuscinski, già come corrispondente della PAP, partì per l'Africa provvisto di solide conoscenze circa i problemi economici del continente. Sappiamo che aveva studiato i lavori sull'Africa degli economisti polacchi e occidentali nonché i rapporti delle organizzazioni internazionali. Ma a queste conoscenze basate sulle analisi numeriche aggiungeva sempre le proprie doti di osservazione. Secondo tutti gli indici sullo sviluppo economico e sociale del 1960 consultabili a quel tempo, l'Africa apparteneva (e, malgrado le enormi trasformazioni, tuttora appartiene) alle zone più arretrate del mondo. A parte rare eccezioni, i suoi abitanti vivevano nella più estrema miseria. Negli anni 1957-1960 il colonialismo aveva lasciato l'Africa priva di capitali, di infrastrutture, di industrie, di tecnologie, di quadri amministrativi, di accesso al mercato mondiale e perfino alle sue stesse riserve. Nello stesso tempo, cosa ripetutamente sottolineata da Kapuscinski, l'indipendenza aveva inizialmente suscitato, nelle società del continente, enormi speranze di un rapido miglioramento del tenore di vita. Il lettore troverà un quadro dello stato dell'economia africana sia sotto forma di primi piani (nei testi che descrivono la sorte di singole popolazioni), sia nel campo lungo dei problemi di più ampia durata descritti con occhio visionario nel saggio A proposito della rivoluzione africana.

Studiando i rapporti delle agende dell'ONU e osservando la realtà Kapuscinski si rendeva conto non solo delle condizioni di vita in Africa, ma anche dei processi demografici a lungo termine che la riguardavano. Dalla metà del xx secolo l'Africa è entrata in una fase di forte crescita spontanea della popolazione. Da allora (fino a oggi) vi si mantiene il tasso di crescita più alto del mondo. Secondo le stime dell'ONU, nel periodo 1960-1970, qui descritto, il numero degli abitanti dell'Africa è passato da circa 280 a 360 milioni circa. In molti paesi a sud del Sahara il tasso di crescita era notevolmente superiore alla media del continente. Insieme al forte aumento demografico si è intensificato il processo di migrazione dalle campagne verso le città, con conseguente aumento della disoccupazione all'interno di queste ultime. La consapevolezza dei sempre maggiori bisogni derivanti da questi processi demografici è stata espressa in queste pagine con molta più forza che nella maggior parte della letteratura sull'Africa di quei tempi. I primi veri segnali di allarme hanno cominciato a farsi sentire solo verso la fine degli anni settanta del xx secolo.8

La quantità di personaggi contenuti nel libro e il modo in cui sono descritti dimostrano quanto profondamente l'autore capisse la politica e, in senso più lato, il panorama politico che si andava formando nell'Africa indipendente. Accanto a figure, per così dire, di secondo o di terzo piano e la cui successiva sorte non è ricostruibile, vi si trova una vera e propria galleria non solo dei capi di Stato del tempo, ma anche di membri di governo, di attivisti di partito, di giornalisti e di semplici interlocutori casuali, molti dei quali ritratti da Kapuscinski in modo brillante e suggestivo. Per quanto riguarda gli uomini politici, autori essi stessi di opere scritte e di significative ideologie, come Nkruma'h, Nyerere e Senghor, l'autore ne commenta le idee con una giustezza e una capacità sintetica raramente riscontrabili nella letteratura specializzata. Tra i perso$

Tra i numerosissimi studi, analisi e rapporti sul tema delle difficoltà e delle barriere dello sviluppo socioeconomico dei paesi africani, le inquietudini espresse in Se tutta l'Africa si ritrovano soprattutto in: Accelerated Development in Sub-Saharian Africa. An Agenda for Action, World Bank, Washington 1981 (il cosiddetto Rapporto Berg) e: Can Africa Claim the 21st Century?, World Bank, Washington 2000. Nell'altrettanto vasta letteratura riguardante l'evoluzione della vita politica degli Stati africani, le opere da questo punto di vista più vicine a Se tutta l'Africa sono: Wole Soyinka, The Open Sore of a Continent. A Personal Narrative of the Nigerian Crisis, Oxford 1966, e George B.N. Ayittey, Africa Unchained. The Blueprint for Africa's Future, New York 2006. naggi del libro figurano anche studiosi che a quel tempo influenzarono fortemente il pensiero circa lo sviluppo dell'Africa: Paul Baran, Ruth Benedict, René Dumond, Gunnar Myrdal, Ernst Friedrich Schumacher, Richard Sklar, Paul Sweezy.

Per i lettori polacchi degli anni settanta la maggior parte delle persone ritratte da Kapuscinski erano figure note non solo attraverso la stampa. I polacchi che allora lavoravano in Africa ebbero occasione di incontrarne molte. Alcune di quelle personalità, venute in Polonia, frequentarono l'ambiente scientifico e posso così testimoniare che l'autenticità dei loro tratti è davvero straordinaria.

Tanto per fare un esempio, nel 1963 il politico kenyota Oginga Odinga, padre dell'attuale premier, trascorse alcune settimane a Varsavia. Lo incontrai varie volte e il mio ricordo coincide punto per punto con il ritratto fatto da Kapuscinski.

I lettori di Il Negus. Splendori e miserie di un autocrate troveranno qui un precedente ritratto di Hailè Selassiè, il quale compare in due testi (L'Africa intorno alla tavola rotonda del 1963 e La matrioska piccola dentro quella più grande del 1966). Sono entrambi dedicati all'Organizzazione dell'unità africana: il primo parla della sua nascita, il secondo è un bilancio delle sue realizzazioni a distanza di tre anni. Nel primo l'imperatore appare nelle vesti di uno dei principali artefici dell'ouA nonché in quelle di padrone di casa della prima conferenza; nel secondo, come uno dei leader africani più rispettati del mondo. Al tempo in cui cominciavano già a crollare alcuni dei sistemi politici postcoloniali (Ghana e Nigeria, 1966) l'imperatore appariva come un simbolo di stabilità.

Ricordiamo che nel 1963 Kapuscinski descriveva Hailè Selassiè come un uomo simpatico e affascinante, quale del resto lo ricordiamo dalla sua visita all'Università di Varsavia; ma diceva anche che il suo era un potere assoluto e che il parlamento era un concetto puramente simbolico data la mancanza di elezioni generali. Non dimentichiamo poi che in entrambi i reportage criticava aspramente l'incredibile sfarzo e il costo delle conferenze organizzate dall'imperatore. Malgrado gli oltre dieci anni che separano questi due testi da Il Negus, il lettore ritrova in questo celebre libro la stessa critica al sistema di governo etiopico, anche se espressa in un diverso stile letterario.

Alcuni dei personaggi di Se tutta l'Africa sono tuttora attivi.

Nel reportageLa Nigeria nei giorni del colpo di Stato Kapugcinski fa uno splendido ritratto dell'allora tenente colonnello Yakubu Gowon durante il secondo golpe militare. A differenza di molti militari, avidi di potere, Gowon non lo desiderava. Fu costretto ad accettarlo nelle tragiche circostanze della carneficina dell'esercito nel luglio 1966 e, dalla minaccia della disfatta del paese, circostanze descritte a caldo da Kapuscinski e successivamente confermate dagli storici. Come capo del Supremo consiglio militare (1966-1975) cercò di mantenere l'unità del paese nel difficile periodo tra il 1966 e il 1967, ma senza successo.

La Nigeria visse il dramma della cruenta guerra civile (la cosiddetta guerra del Biafra, dal maggio 1967 al gennaio 1970).

Gowon era allora a capo del governo federale della Nigeria.

Perse il potere nel 1975, spodestato dal suo sottoposto, colonnello Murtala Muhammed. Ne fu informato mentre si trovava ad Addis Abeba, durante una seduta dell'Organizzazione dell'unità africana all'Africa Hall, nota al lettore dal reportage L'Africa intorno alla tavola rotonda. Allontanato dal potere, si stabilì in Gran Bretagna dove conseguì la laurea sotto la guida dell'eminente storico africanista Ian Smith. Se cito questi fatti è perché la descrizione fattane da Kapuscinski, quando Gowon aveva trent'anni, è stata confermata dalla sua vita successiva.

Fu capo dello Stato durante la tragica guerra civile, ma perfino i suoi avversari ne riconoscono gli sforzi per farla finire al più presto e per limitare il numero delle vittime. In Nigeria è circondato dal generale rispetto.

Un particolare concorso di circostanze permetterà ben presto al lettore di giudicare di persona il valore storico di Se tutta l'Africa: entro l'anno uscirà la traduzione polacca dell'opera di Martin Meredith, la migliore mai scritta su questo mezzo secolo di indipendenza africana. I testi di Kapuscinski, reperibili in inglese, vi hanno esercitato un forte e visibile influsso.

 

Le prime edizioni di Se tutta l'Africa sparirono in un soffio.

Lo comprarono gli appassionati lettori di Kapuscinski già conquistati dalle precedenti pubblicazioni (per la corrispondenza dall'Algeria aveva ricevuto il premio del Club dei pubblicisti internazionali dell'Associazione giornalisti polacchi).

Chi non aveva alcuna esperienza dell'Africa vi trovava una fonte di informazioni su quel continente, ma un vasto gruppo di lettori era costituito anche da persone che conoscevano l'Africa. Nella nostra storia quello fu l'unico momento in cui l'uscita di un libro sull'Africa di un autore polacco coincise con la presenza di numerosi polacchi sul continente. Ricordiamo che, negli anni sessanta e settanta del xx secolo, in alcuni paesi africani lavoravano per conto dell'azienda nazionale Pol-Service varie migliaia di nostri specialisti di tutti i settori, che vi trascorrevano a volte più di dieci anni' e che conoscevano perfettamente la realtà africana, seppure da una prospettiva diversa rispetto a quella di Kapuscinski. Il confronto con le loro conoscenze costituì un importante banco di prova per il libro, che ne uscì vittorioso. Scienziati e studenti che si occupavano dell'Africa e dei rapporti internazionali lo portavano con sé nei viaggi di studio in Africa. Per molti si rivelava una fonte di ispirazione per i propri lavori.

Sulla stampa, accanto ad articoli entusiastici (tra cui quello del mensile "Widnokrcgi", che per Se tutta l'Africa aveva attribuito a Kapuscinski il premio Globo d'argento), apparvero alcune recensioni "ufficiali". L'autore di una di queste, pur giudicando positivamente la raccolta dei reportage, criticò la scelta di descrivere i processi intercorrenti tra politica e costume che tanto appassionavano Kapuscinski. "La cosa 9 Cfr. J. Machowski, Z. Lazowski, W. Kozak W. (a cura di), Polacy w Nigerii, vol. I, Varsavia 1997; Z. Lazowski (a cura di), Polacy w Nigerii, vol. H Wspomnienia, Varsavia 1998; Z. Lazowski, J. Wójcik (a cura di), Polacy w Nagerii, vol. III Budowniczowie, Varsavia 2000; Z. Lazowski, S. Lazowska (a cura di), Polacy w Nigerii, vol_ Iv Polacy w krajach Afryki Zachodniej, Varsavia 2007, tutti editi da Dialog. Molti ricordi sono apparsi in pubblicazioni separate. l'assolve, manon deltutto," scrisselo storicoJerzyProkopczuk.

"Molte tesi dell'autore sono a voler essere gentili estremamente discutibili. Non tutte sono accettabili. Ma tutto sommato [corsivo mio] si tratta di un reportage politico di ottimo livello letterario." Quanto alle opinioni ritenute inaccettabili, l'autore della recensione non aveva certo bisogno di specificare quali fossero. Su "Nowe Drogi", rivista ideologica ufficiale, un recensore (firmatosi solo con la sigla "w1") si limitò a esporre il contenuto dell'opera senza ricorrere ad altrettanti riguardi. Janusz Wilhelmi, a quel tempo importante esponente dell'ideologia partitica, affermò su "Kultura" che si trattava di un "ottimo libro" che "nessun lettore poteva esitare a riconoscere come un vertice della nostra letteratura politica". Lamentò tuttavia il fatto che in Polonia esso non avesse provocato nessuna "discussione, controversia o sostanziale reazione alle conoscenze e alle generalizzazioni, tutto sommato nuove e originali, presentate dal libro" [corsivo mio].10 Anche l'autore della recensione si astenne dal polemizzare con le opinioni espresse da Kapuscinski e attribuì la mancanza di discussioni allo scoraggiamento nei confronti dell'Africa causato dagli insuccessi della vita politica e dell'economia del continente. Gli autori delle recensioni trascurarono tuttavia il fatto che nei centri accademici quell'opera stava provocando appassionate discussioni. Se tutta l'Africa suscitava l'ammirazione degli africanisti sovietici di passaggio a Varsavia, ma era impensabile che un libro del genere potesse venir pubblicato in URSS, come del resto la maggior parte dei lavori scientifici degli africanisti polacchi.

Il lettore odierno che non ricorda i tempi della prima edizione del libro resterà forse stupito dal linguaggio che vi viene impiegato, in particolare dall'uso di termini quali "letteratura borghese", "imperialismo", "neocolonialismo" e via dicendo.

L'editore della presente riedizione ha fatto bene a mantenere tale terminologia in quanto rispecchia anche il modo in cui si 10 Le citazioni di questo paragrafo provengono rispettivamente da: J. Prokopczuk, "Nowe Ksiazki", 1969, n. 10; "Nowe Drogi", 6 giugno 1969; J. Wilhelmi, Zniechgcenie Afrykg, "Kultura", 27 aprile 1969. scriveva a quel tempo, evidente soprattutto nelle pubblicazioni africane e in quelle della sinistra occidentale. Si può anche restare sorpresi per il modo leggero, talvolta addirittura ironico con cui Kapuscinski descrive certi personaggi e certe situazioni.

Non solo esso non contrasta con l'amore dell'autore per l'Africa, ma fa addirittura parte del fascino della sua scrittura: Kapuscinski non si faceva intimidire dalla cosiddetta correttezza politica, ieri come oggi delicato problema nelle questioni africane. Dagli anni novanta in poi gli autori africani rifiutano sempre più spesso il politically correct e parlano dei propri governi e sistemi politici con una durezza che nessun nonafricano oserebbe permettersi.

 

Se tutta l'Africa aiuterà il lettore a capire i problemi dei paesi africani oggi, nel 2011, e negli anni a venire? Decisamente sì. Accanto alla testimonianza di un periodo storico del continente oggi appartenente al passato, Kapuscinski vi indicava la maggior parte delle sfide di fronte alle quali si trovarono a quel tempo i giovani paesi africani che con esse, e con quelle successivamente sopraggiunte, battagliarono per quarant'anni. Molte sono rimaste irrisolte, molte altre si sono acuite. Citiamo alcuni passi del saggio A proposito della rivoluzione africana: "La portata del cosiddetto aiuto economico dell'Occidente all'Africa è infinitesimale in confronto ai bisogni dei vari Stati del continente" (cfr. p. 238). Oppure: "Riuscirà l'Africa a salvare la propria indipendenza? È una domanda che ricorre con sempre maggiore frequenza. L'Africa è entrata in una fase inquieta della sua evoluzione" (cfr. p. 241). Oppure: "Lo scoraggiamento nei confronti dell'Africa.

L'opinione dei paesi sviluppati si orienta sempre più chiaramente in questo senso" (cfr. p. 242). Oppure: "È difficile dire in quale direzione si svilupperà l'Africa" (cfr. p. 260). Si tratta di pensieri e di riflessioni estrapolate dal contesto, ma sorprendentemente simili, e talvolta addirittura identici, a quelli che oggi troviamo nei più recenti lavori degli economisti e dei politologi africani. Tra le future sfide da affrontare essi elencano la lotta contro la fame, contro i conflitti armati e la violenza; l'accelerazione dello sviluppo economico e sociale; la creazione di efficienti istituzioni statali e di sistemi politici rispondenti alle culture indigene e alle strutture etniche; la creazione di infrastrutture; la creazione di un sistema di collaborazione regionale, già iniziato con la nascita dell'ouA... e la lista potrebbe continuare. Ebbene, tutti questi punti il lettore li trova già espressi in Se tutta l'Africa.

Nei quarant'anni trascorsi dall'ultima edizione di questo libro, in Africa si sono prodotti grandi cambiamenti. La sua popolazione si è triplicata e numerosi paesi hanno compiuto visibili progressi. Ma se il lettore prende i rapporti, pubblicati dopo il 2000 dall'uNDP, dalla FAO, dal WHO e dalla Banca mondiale sullo stato dello sviluppo economico e politico dei paesi africani, vi troverà la risposta alle domande succitate.11

Le opere di Kapuscinski sull'Africa e sui problemi dello sviluppo di altre zone del Terzo Mondo hanno ottenuto un riconoscimento superiore a ogni aspettativa dello scrittore.

Nel 2008 1'UNDP, la più importante agenzia dell'ONU che si occupa dello sviluppo socioeconomico dei paesi poveri, ha dato il via al ciclo delle "Lezioni di Kapugcinski",12 svolte in vari paesi e destinate agli ambienti legati ai problemi dello sviluppo del Terzo Mondo. L'idea di istituire dei cicli di lezioni sotto il patronato di personalità di spicco è radicata da tempo nella tradizione anglosassone: è un modo per onorare le persone che hanno recato un particolare apporto allo sviluppo di un dato settore della cultura e della scienza, nonché Cfr. soprattutto Benno Ndulu et alii (a cura di), Challenges of African Growth Opportunities, Constraints and Strategic Directions, World Bank, Washington 2007, e World Development Report 2009 Reshaping Economic Geography, World Bank, Washington 2009. z "Kapuscinski Lectures" è una serie di lezioni organizzate dalla. Commissione europea, dall'uNDP, da università europee e centri di studio. Scopo delle lezioni è l'approfondimento delle conoscenze sul tema dello sviluppo. I conferenzieri finora sono stati: Paul Collier, Francois Bourguignon, il principe Haakon di Norvegia, Andris Piebalgs, Dirk Messner, Simon Maxwell, Carl Lancaster, Eveline Herfkens, Gasana Nadoba, Jerzy Buzek.

Le lezioni, iniziate nel 2009, continuano ad avere luogo. un modo per diffonderne le opere e le idee. Il fatto che un'organizzazione che si occupa degli aiuti ai paesi del Terzo Mondo e di studi sullo sviluppo abbia scelto come patrono delle lezioni su quest'argomento proprio Ryszard Kapuscinski è un'inaspettata riprova del riconoscimento della sua opera. La sua idea di "dare voce" ai poveri ha avuto un finale inatteso.

Quest'onore gli è stato tuttavia attribuito quando ancora non si conosceva il volume Se tutta l'Africa, in cui la necessità di sviluppo del continente e le barriere che gli si oppongono sono presentate in un modo che la letteratura di quel tempo non conosceva.

Varsavia, luglio 2011

Jan J. Milewski (n. 1937), storico, economista, africanista e politologo.

Laureato all'Università di Varsavia, professore all'Università di Ibadan (Nigeria), Associate Member of St. Antony's College, Oxford. Membro dei gruppi internazionali di studi sull'Africa (UNESCO, ILO-JASPA, Commissione UE e altri). Direttore dell'Istituto dei paesi in via di sviluppo presso l'Università di Varsavia (1995-2005), presidente della Società africana polacca (2002-2008), presidente dei Consigli scientifici OSB UW e ISGR UW.

Professore dell'Università di Varsavia e della Scuola superiore di psicologia sociale.