La Nigeria nei giorni del colpo di Stato
1. Sabato 15 gennaio in Nigeria i soldati hanno effettuato un colpo di Stato. All'una di notte è scattato l'allarme in tutte le unità militari del territorio nazionale e i reparti prescelti hanno proceduto all'esecuzione dei rispettivi incarichi. La difficoltà di condurre l'attacco con efficacia dipendeva dal fatto che non andava eseguito in una sola città, ma contemporaneamente nelle cinque capitali e cioè a Lagos, capitale della federazione, e nelle capitali delle quattro regioni della Nigeria: Ibadan (Nigeria occidentale), Kaduna (Nigeria settentrionale), Benin (Nigeria centroccidentale) ed Enugu (Nigeria orientale). La seconda difficoltà era che, su un territorio tre volte più vasto della Polonia e con cinquantasei milioni di abitanti, l'attacco veniva sferrato da un esercito di appena ottomila soldati.
Sabato, ore 2.00 di notte Lagos: pattuglie militari (soldati con elmetti, divise da campo e mitra) occupano l'aeroporto, l'edificio della stazione radio, la centrale telefonica e la posta. Lagos interrompe i collegamenti telegrafici con il mondo. Su richiesta dei militari la centrale elettrica stacca la corrente nei quartieri africani.
La città dorme, le strade sono deserte. La notte del sabato è buia, calda e afosa. Alcune jeep si fermano in King George v Street, una stradina in fondo all'isola di Lagos, parte della città omonima. Su un lato della strada c'è lo stadio, sull'altro sorgono due ville. La prima è la residenza del premier della federazione, sir Abubakar Tafawa Balewa, nell'altra abita il ministro delle Finanze, chief Festus Okotie-Eboh. I militari le circondano entrambe. Un gruppo di ufficiali entra nella residenza, sveglia il premier e lo porta con sé. Un altro arresta il ministro delle Finanze. Le auto ripartono. Qualche ora dopo, un comunicato ufficiale del governo annuncerà che il premier e il suo ministro sono stati "condotti verso un luogo non precisato". Le successive sorti di Balewa sono tuttora ignote, come lo sono quelle di Ben Bella. Si dice che Balewa si trovi nelle caserme di Ikoyi (una delle isole su cui sorge Lagos). Corre anche voce che sia stato portato a est, in una prigione di Calabar. Secondo alcuni è stato ucciso e molti ritengono che sia stato ucciso anche Okotie-Eboh, il quale non sarebbe stato fucilato ma massacrato di botte. La versione, forse non veritiera, esprime comunque l'opinione corrente su Okotie-Eboh: un tipo estremamente antipatico, avido e brutale che, lasciandosi corrompere, aveva accumulato un favoloso patrimonio e che trattava la gente con il massimo disprezzo e cinismo.
Balewa era un tipo completamente diverso: simpatico, calmo, modesto. Con Balewa ho avuto una conversazione esattamente tre giorni prima del golpe. Il suo punto debole era la sua cieca sottomissione ad Ahmadu Bello, premier del Nord e capo del partito in nome del quale Balewa esercitava la funzione di premier della federazione.
Mentre il gruppo di ufficiali arresta Balewa, in un albergo di Ikoyi non lontano da lì viene ucciso il colonnello Segana, amico del premier della Nigeria occidentale, chief Akintola.
Alcuni giorni prima Segana aveva ricevuto l'ordine di partire da Ibadan per Lagos. Era noto che, su richiesta di Ahmadu Bello, Balewa stava preparando la destituzione del generale Ironsi dalla carica di capo dell'esercito e che il suo posto doveva essere preso da Segana.
I militari occupano il porto e circondano il parlamento.
Pattuglie girano per le vie della città addormentata.
Le 3.00 di notte Kaduna: nella periferia della capitale della Nigeria occidentale, sulla strada tra Kaduna e Zaria, sorge la residenza a due piani, cinta da un muro, del premier Ahmadu Bello. In Nigeria il presidente onorario dello Stato è il dottor Nnamdi Azikiwe e il capo del governo è Tafawa Balewa. Ma il vero padrone della Nigeria è Ahmadu Bello, da due anni premier della Nigeria settentrionale. Per tutto il venerdì Bello riceve visite. L'ultima gli viene fatta alle diciannove da alcuni emiri fulani: Sei ore dopo, un gruppo di ufficiali piazza due cannoni tra i cespugli di fronte alla residenza. Il gruppo è al comando del maggiore Chukuma Nzeogwu, arrivato in aereo alcuni giorni fa da Lagos, I soldati circondano in ordine sparso le mura della residenza.
Uno dei cannoni spara un colpo. Il proiettile esplode sul tetto della residenza e il palazzo di Ahmadu Bello comincia a bruciare. È il segnale dell'attacco. Gli ufficiali danno l'assalto dapprima alla guardiola delle sentinelle del palazzo.
Vengono uccisi due ufficiali e alcuni poliziotti della guardia del corpo del premier Bello. Il resto degli ufficiali si reca nel cortile e, da lì, nel palazzo in fiamme. Nel corridoio incontrano Ahmadu Bello, uscito di corsa dalla camera da letto.
Bello cade colpito alla tempia da una pallottola.
Perisce così il politico che governava la Nigeria. Presidente del partito al governo (il Northern People's Congress), premier della Nigeria settentrionale, vicepresidente della Lega mondiale musulmana, nipote di Usman Dan Podio, creatore del grande impero di Sokoto, aristocratico fulani, dittatore per il modo di governare, uno degli ultimi grandi feudatari africani, signore e padrone della vita di trenta milioni di hausa e di fulani, Alhaji sir Ahmadu Bello, Sardauna di Sokoto.
Il palazzo è in fiamme, ma le quattro grandi limousine del premier restano intatte. Il capo delle operazioni, maggiore Nzeogwu, è ferito. Nel frattempo un altro gruppo di ufficiali uccide il comandante del primo battaglione di stanza a Kaduna, un colonnello di origine hausa fedele agli ordini di Bello. La città dorme, le strade sono deserte.
Le 3.00 di notte Ibadan: il palazzo del premier della Nigeria occidentale, chief Samuel Akintola, sorge su una delle colline su cui si stende questa città-villaggio fatta di case a un piano ("il più grande villaggio del mondo") e popolata da un milione e mezzo di abitanti. Da tre mesi in Nigeria occidentale si svolgono sanguinosi conflitti, a Ibadan vige il coprifuoco e la residenza del premier è protetta da ingenti forze di polizia. Dopo le due di notte un reparto dell'esercito inizia l'attacco alla residenza.
La polizia apre il fuoco. Seguono una sparatoria e poi il corpo a corpo. Alcuni ufficiali riescono a entrare nel palazzo.
Akintola era uno dei politici più odiati della Nigeria. Estremamente reazionario, ricco sfondato, cinico, senza principi.
In seguito a elezioni chiaramente truccate era diventato premier della Nigeria occidentale e presidente del Nigerian Democratic Party, che insieme al partito di Ahmadu Bello costituiva la coalizione al potere in Nigeria, la Nigerian National Alliance. I1 fatto che Bello e Balewa avessero nominato premier Akintola ha dato inizio al movimento di opposizione che ha portato al golpe del 15 novembre.
Akintola è stato ucciso sulla veranda con tredici colpi di pistola.
Le 3.00 di notte Benin: i militari occupano la stazione radio, la posta e piantonano le uscite dalla città. Un gruppo di ufficiali disarma senza colpo ferire i poliziotti che proteggono la residenza del premier della Nigeria centroccidentale, chief Dennis Osadebay.
La residenza viene circondata dai soldati e il premier è posto agli arresti domiciliari. Gruppi di militari pattugliano la città immersa nel sonno.
Le 3.00 di notte Enugu: la residenza del premier della Nigeria orientale, dottor Michael Okpara, viene circondata in silenzio e con la massima discrezione. Nella residenza, oltre al premier dorme un ospite, il presidente di Cipro, arcivescovo Makarios. Il capo del gruppo di ufficiali che effettua l'attacco garantisce ai due dignitari la possibilità di muoversi liberamente. A Enugu la rivoluzione è umana. Altri gruppi militari occupano la stazione radio, l'ufficio postale e chiudono le vie di uscita dalla città, che continua a dormire.
Le 3.00 di notte L'operazione "Ora zero" è stata compiuta nelle cinque capitali della Nigeria in contemporanea e senza il minimo errore.
Nel giro di due ore íl piccolo esercito è diventato, in modo ancora informale, l'effettivo padrone del paese.
Nel giro di due ore il machiavellico sistema federale costruito per settant'anni dall'amministrazione coloniale britannica e imposto alla Nigeria viene spazzato via.
Nel giro di due ore la morte, l'arresto o la fuga nei boschi mettono fine a centinaia di carriere politiche.
Sabato -mattino, pomeriggio e sera Lagos si sveglia all'oscuro di tutto. Inizia la consueta routine quotidiana della città: si aprono i negozi, la gente va al lavoro. In centro non si vedono militari, ma davanti alla residenza del premier, alla posta e al ministero della Difesa stazionano soldati. Alla posta ci dicono che i collegamenti con il resto del mondo sono interrotti. Impossibile inviare telegrammi.
In città cominciano a circolare le prime voci circa l'arresto di Balewa. Qualcuno afferma che l'esercito ha effettuato un golpe. Mi reco alla caserma di Ikoyi. Dal portone della caserma escono jeep cariche di pattuglie armate di mitra.
Davanti al portone sosta in silenzio una folla di curiosi.
Alle dieci si radunano i membri del parlamento, davanti al quale sono schierati numerosi soldati. Chiunque entri nell'edificio viene perquisito. Dei trecentododici parlamentari ne vengono alla sessione soltanto trentatré. Arriva un solo ministro, R. Okafor. Okafor propone di differire la sessione alla Camera. I deputati in aula chiedono spiegazioni.
Uno di loro, N. Anah, dice che in città c'è un'atmosfera tesa e aggiunge: "I deputati non gradiscono di essere sottoposti a una perquisizione. Mi sembra il caso di chiedersi se il paese non stia diventando una dittatura militare". L'oratore propone una discussione sul rispetto dei principi parlamentari. Una pattuglia di soldati entra in sala e disperde i presenti.
La radio trasmette programmi musicali senza comunicati di sorta. Incontro il corrispondente dell'APP. Siamo entrambi sull'orlo delle lacrime: essere in possesso di notizie di portata mondiale e non poterle trasmettere è la cosa peggiore che possa capitare a un giornalista. Intanto la Reuters, che ha un collegamento permanente con Londra tramite l'ambasciata britannica, l'unico legame tra Lagos e il mondo che non sia stato interrotto, se la ride soddisfatta.
In città fervono i pettegolezzi: corre voce che Akintola sia stato ucciso, che Ahmadu Bello sia stato ucciso, che l'esercito abbia compiuto con successo un golpe in tutte le capitali della Nigeria, che Osadebay e Okpara siano stati arrestati e che al Nord ci sia un'insurrezione degli hausa.
Alle 12.00, presso il comando centrale della polizia, ha luogo un incontro al quale prendono parte i rappresentanti del comando centrale; il capo dell'esercito, generale Aguiyi-Ironsi, con un gruppo di ufficiali; l'ambasciatore britannico sir Francis Cumming-Bruce; l'addetto militare dell'ambasciata britannica; due influenti ministri del governo federale, Dipcharima ed Elias. Non sappiamo che cosa si sia discusso nel corso dell'incontro, ma lunedì mattina i corrispondenti della stampa londinese, che domenica hanno avuto accesso ai rapporti inviati da Gumming-Bruce a Downing Street, lasceranno intendere nelle loro relazioni che Cumming-Bruce avrebbe proposto l'intervento delle truppe britanniche per domare i ribelli.
Dopo l'incontro ha luogo una seduta del governo federale.
Il termine "governo federale" è ormai puramente convenzionale, visto che la maggior parte dei ministri è scappata non si sa dove. Nondimeno, alle 14.30 questo moncone di governo emana un comunicato, trasmesso dalla stazione radio di Lagos, in cui si parla del rapimento di Balewa. Vi si afferma che alcune unità militari si sono ribellate, ma che la stragrande maggioranza dell'esercito, nonché il suo comandante in capo, si mantengono fedeli al governo federale e che a breve verrà ristabilito l'ordine.
In un primo momento il comunicato suscita una grande confusione. Quello che sembrava un colpo di Stato perfettamente organizzato risulterebbe non essere altro che la rivolta di un piccolo gruppo di militari. A sostenere questa tesi contribuisce anche il fatto che il golpe non è stato ancora rivendicato da un centro direttivo, da un consiglio rivoluzionario o da un comitato di salute pubblica.
Sembra invece che il comunicato sia stato un'iniziativa del generale Aguiyi-Ironsi per evitare la minaccia dell'intervento britannico incombente da sabato sulla Nigeria. Si tratterebbe di un'ottima mossa tattica per convincere gli inglesi dell'inutilità di un loro possibile intervento: i disordini sarebbero ridotti al comportamento irresponsabile di alcuni ufficiali, tratti in inganno, ma l'esercito, nel suo insieme, si mantiene fedele al governo federale costituzionale, indefettibile alleato della politica britannica.
Poco alla volta affluiscono a Lagos i rapporti dal resto del paese. L'attentato ha avuto successo in tutte le regioni. I militari sono dovunque al potere e controllano la situazione.
Il generale Aguiyi-Ironsi mantiene comunque un atteggiamento estremamente cauto, evitando di proclamare trionfalmente il proprio evidente successo e l'avvenuta presa di potere nel paese. Il generale vuole che il potere gli venga legalmente affidato dal governo federale.
Sabato i negozi e gli uffici chiudono come al solito a mezzogiorno.
La giornata è calda e la città si svuota. Nelle strade regna la calma. Lagos attende lo sviluppo degli eventi.
La sera ci rechiamo all'aeroporto. Le uscite dalla città sono presidiate dai soldati. L'aeroporto è sorvegliato da un reparto della marina militare. Non c'è nessuno. Tornando dall'aeroporto veniamo fermati da una pattuglia che non vuole lasciarci rientrare a Lagos. Inizia una lunga discussione. I soldati sono cortesi, educati, tranquilli. Arriva un ufficiale che ci dà il permesso di continuare. Rientriamo attraversando quartieri immersi nella più totale oscurità, la corrente non è ancora tornata. Le uniche fonti di luce sono le candele e le lampade a olio sulle bancarelle delle venditrici. Di tanto in tanto passano camionette cariche di poliziotti e soldati. La notte ripiomba nell'oscurità e nell'afa.
Domenica: la conquista del potere La città è sorvolata da elicotteri, ma a parte questo la giornata scorre tranquilla. Le strade sono deserte, ma di domenica a Lagos è sempre così. La situazione continua a essere confusa. L'unico documento degli ultimi due giorni resta il comunicato governativo circa la rivolta dei militari, ma è fin troppo evidente che l'esercito si muove in modo compatto e ben organizzato.
A mezzogiorno arrivano da Kaduna notizie sulla conferenza stampa organizzata in quella città dal capo della congiura, maggiore Nzeogwu. Il maggiore ha dichiarato ai giornalisti che "lo scopo del nuovo regime è la creazione di una nazione forte e unita, libera dalla corruzione, dal nepotismo, dal tribalismo e da lotte intestine". Ha attaccato gli uomini politici nigeriani affermando che l'unico modo per destituirli è il golpe militare. "Una volta diventati ministri, credono che nessuno possa più privarli del potere. Chiunque si azzardi a criticarli viene considerato un nemico da eliminare..." A Lagos nel pomeriggio si riunisce una seduta dell'ormai decimato governo federale, mentre, nello stesso tempo, al quartier generale inizia un consiglio militare. Un soldato mi dice che stanotte o domattina il generale Ironsi proclamerà via radio la presa del potere.
Alle nove di sera la radio preannuncia un importante comunicato.
Seguono due ore di musica.
Alle 23.30 parla il facente funzione di presidente della Nigeria, Nwafor Orizu: in una sola frase dichiara che, su consiglio del governo federale, si accinge a trasmettere l'intero potere nelle mani dell'esercito. Parla poi il nuovo capo di Stato, il maggiore generale John Thomas Aguiyi-Ironsi, quarantenne comandante dell'esercito nigeriano. Dice che l'esercito ha accettato di prendere il potere e che la carica di presidente, la Costituzione, le cariche dei premier e dei ministri sono sospese. Dice anche che il paese verrà governato per mezzo di decreti emanati dal Supremo consiglio militare e che in Nigeria verranno ristabiliti l'ordine e la legge.
È mezzanotte. I quartieri africani di Lagos sono in festa.
La gente inneggia, si abbraccia, grida: "Viva la Nuova Nigeria!
". Nel paese sta accadendo qualcosa di nuovo.
Lunedì: "Non dovrete mai più vergognarvi" Incontro conoscenti nigeriani che mi danno pacche sulla spalla, ridono e sono di ottimo umore. Attraverso insieme a loro la piazza del mercato: la folla delle venditrici balla, un ragazzo batte il ritmo su uno scatolone di latta. Un mese fa ho assistito al golpe militare nel Dahomey: le stesse scene sulla piazza di Cotonou, gli stessi "Evviva!" all'indirizzo dell'esercito. La recente serie di golpe militari gode di grande popolarità in Africa. La maggior parte dei regimi civili imposti dai colonialisti è stata sufficientemente odiata perché il rivolgimento venga accolto con gioia e speranza.
Vengo a conoscenza di altri particolari della drammatica notte di sabato. Il capo del gruppo che ha arrestato il premier Balewa era il maggiore Okafor. Entrato nella residenza e svegliato Balewa, il maggiore gli ha imposto di firmare le dimissioni dalla carica di primo ministro. "E dopo che avrò firmato mi ucciderete, non è vero?" ha chiesto Balewa. Sulla sua sorte non si sa ancora niente, ma circolano voci sempre più insistenti che sia morto.
Il ministro delle Finanze, chief Okotie-Eboh, arrestato insieme a Balewa, ha tentato di corrompere gli attentatori firmando loro su due piedi un assegno da un milione di sterline.
L'ufficiale che comandava le operazioni ha preso l'assegno e l'ha stracciato, dopo di che ha ordinato al ministro di scrivere seduta stante l'ordine di trasferire al tesoro del governo nigeriano tutta la valuta depositata nelle banche estere.
Da Kaduna giunge la relazione della nuova conferenza stampa convocata dal maggiore Chukuma Nzeogwu. Il maggiore è un personaggio estremamente pittoresco: vivace, in telligente, giovane e combattivo, semina il terrore tra gli hausa settentrionali e molto probabilmente il generale Ironsi sarà costretto a richiamarlo per evitare che il Nord cominci ad agitarsi. Nzeogwu, che ha ventotto anni, è di provenienza ibo. Durante l'attacco al palazzo di Ahmadu Bello si è distinto per il suo grande coraggio. Ferito da una scheggia di gra nata, porta il braccio appeso al collo, ma si rifiuta di andare all'ospedale. Sono tre notti che dorme sulla sua scrivania.
Durante la conferenza stampa Nzeogwu ha rivelato per la prima volta che a capo del golpe c'è sempre stato il generale Aguiyi-Ironsi e ha descritto l'organizzazione dell'attentato a Kaduna: "Avevamo un circolo segreto composto da cinque ufficiali con i quali abbiamo concertato i particolari dell'attacco.
Sabato notte tutti gli altri ufficiali erano convinti che stessimo andando alle esercitazioni notturne. Abbiamo detto loro la verità solo al momento di entrare nella macchia (vicino alla residenza di Bello). Loro erano armati, io no: se non fossero stati d'accordo, avrebbero potuto spararmi. Provenivano per la maggior parte dal Nord, ma era evidente che ci sentivamo tutti nigeriani. L'esercito è la sola sede del vero patriottismo nigeriano al di sopra delle distinzioni tribali.
Nessuno di quelli che hanno preso parte all'attentato ne ha ricavato un vantaggio personale, l'hanno fatto solo per il bene della patria".
A Lagos vengono rimessi in libertà due importanti attivisti di sinistra arrestati durante il precedente regime. Si tratta del segretario generale del Socialist Worker's and Farmer's Party, Tunji Otegbeye, e del presidente del Nigerian Youth Congress, Kunai Iyere.
Da Enugu e dal Benin affluiscono informazioni circa le sorti dei rispettivi governi. Il premier della Nigeria centrooccidentale ha fatto fagotto e, lasciata la sua residenza, è tornato a casa nella cittadina di Asaba. Pare che anche il premier della Nigeria orientale, Michael Okpara, abbia fatto ritorno al villaggio natale. I vari ministri hanno lasciato le residenze ufficiali e sono rientrati nelle loro abitazioni private.
Alla sede del governo militare della Nigeria arrivano le prime dichiarazioni di lealtà e di appoggio al nuovo potere.
Questi documenti, dal tono concordemente entusiasta, hanno a mio avviso un valore aggiuntivo. Da anni leggo quello che i giornali americani e britannici scrivono sulla Nigeria: secondo loro tutto quello che faceva il precedente regime (che seguiva una politica filoamericana e filobritannica) era assolutamente perfetto. Erano affermazioni di un cinismo senza pari: la Nigeria era la vetrina africana della democrazia occidentale, il modello presentato da Washington e da Londra a tutti i governi dell'Africa. Dalle testimonianze odierne emerge invece il quadro di un paese sull'orlo della rovina.
"Il 16 gennaio 1966," dice la risoluzione della coalizione UPGA, "passerà alla storia della nostra grande Repubblica come il primo in cui abbiamo raggiunto la vera indipendenza.
Questa giornata dovrebbe diventare la nostra festa nazionale.
La folle corsa alla ricchezza dei nostri politici ha compromesso il nome della Nigeria all'estero e ha permesso al capitale straniero di istituire un governo interno a quello federale e che si vantava apertamente di tenere in mano l'intero governo nigeriano. [...] Nel nostro paese si era creata una casta governativa che basava il proprio potere sul seminare zizzania, sull'aizzare i fratelli contro i fratelli e sullo sterminio di chiunque fosse di parere contrario. [...] Salutiamo il nuovo potere come un dono inviato dal cielo per liberare il popolo dagli imperialisti neri, dalla tirannia, dall'intolleranza, dagli inganni e dalle rovinose ambizioni di quanti credevano di rappresentare la Nigeria e che, invece di servirla, pensavano fosse lei a dover servire loro. [...] Le ricchezze del nostro paese sono ancora in mano a un unico monopolio straniero, proprietario di metà del territorio su cui sorge la nostra capitale.
[...] In Nigeria non c'è posto per i lupi politici che ci hanno saccheggiato." "Il colpo di Stato," afferma la risoluzione dello Zikist Movement, "è stato reso necessario dalla dilagante anarchia e dalla delusione delle masse. Dopo la conquista dell'indipendenza il governo ha brutalmente violato i diritti fondamentali dell'uomo. Ci è stato negato il diritto di vivere nella libertà e nel rispetto reciproco. Ci è stato vietato di avere opinioni personali. Il gangsterismo politico organizzato e la politica dei brogli hanno trasformato le elezioni in una farsa. Invece di servire la nazione, i politici si sono dedicati a rubare fino all'ultimo soldo. Mentre nel paese crescevano la disoccupazione e lo sfruttamento, la piccola cricca del feudale potere fascista non ha conosciuto limiti nell'infierire sul popolo." La maggior parte delle risoluzioni chiede al generale Ironsi di tradurre davanti al tribunale militare gli ex ministri, i parlamentari e gli altri sfruttatori.
Tra le innumerevoli risoluzioni appaiono anche quelle del re del Lagos, Oba Adeyinka Oyekan ii, e del segretario della Lega della gioventù comunista della Nigeria, W. Madu.
Lunedì appare ormai chiaro che molti ministri (il solo governo federale ne contava cinquantaquattro) sono quasi tutti fuggiti oltre frontiera. Si dice che la maggior parte dei ministri del governo occidentale e settentrionale sia stata uccisa.
La sera, nel quartiere ministeriale di Lagos cominciano gli arresti.
In città entrano i carri armati.
Martedì, 18 gennaio Corre voce che ieri sera il colonnello Adebayo abbia compiuto un attentato contro il generale Ironsi. Adebayo ha sparato tre colpi ferendo leggermente il generale a un braccio.
Pare che sia stato immediatamente giustiziato insieme ad altri nove ufficiali sospettati di aver preso parte al golpe.
Sono anche venuto a sapere che il vice primo ministro della Nigeria occidentale, chief Fani-Kayode, personaggio odiato e venale, è stato arrestato e trasferito da Ibadan a Lagos.
Oggi anche gli ultimi collegamenti sono stati interrotti. Al ministero dell'Informazione ci hanno consegnato una nota in cui si dice che d'ora in poi la censura lascerà passare soltanto i comunicati ufficiali del Supremo comando di guerra.
Non posso trasmettere nulla. La Reuters, l'AFP e l'UPT spediscono quotidianamente i loro pezzi per via aerea. La cosa viene a costare dai seicento ai mille dollari al giorno poiché i servizi vengono recapitati a Londra, Parigi e Leopoldville da giornalisti che tornano indietro il giorno dopo. Sono situazioni in cui le capacità personali del reporter non contano nulla: siamo tutti nello stesso posto, sappiamo tutti le stesse cose, ma il fatto di riuscire a spedire per primi il servizio è solo una questione di soldi. Scrivere in queste condizioni è un puro sport, visto che comunque non posso trasmettere una parola.
L'inviato del "Daily Telegraph" di Lagos riferisce una storia stupenda capitata durante il golpe nella Nigeria orientale.
Cito alla lettera: "Enugu. Appena la notizia dell'arresto del premier della Nigeria orientale raggiunge il suo distretto natale di Bende, nei villaggi Ohuhu, Ibeku, Igbere, Akyia, Ohafia, Abiriba, Abama e Nkporo si leva il tam tam tribale.
Ai guerrieri delle tribù viene detto che il loro conterraneo, dottor Okpara, è stato arrestato, omettendo di specificare da chi. Convinti che ad arrestarlo siano stati gli agenti dell'NNDP-NNA
(la coalizione al governo ai tempi del precedente regime), i combattenti decidono di partire all'attacco. Chiunque possieda un camion lo mette a loro disposizione e nel giro di poche ore la capitale della Nigeria orientale, Enugu, viene occupata da un esercito di guerrieri armati fino ai denti di spade, lance, scudi, frecce e intonanti inni bellicosi. La città risuona di marziali tam tam. A questo punto ai capi delle colonne in armi viene spiegato che il potere è in mano ai militari e che il dottor Okpara si trova agli arresti domiciliari insieme agli altri premier. Una volta compreso l'accaduto, i guerrieri manifestano la più viva soddisfazione e si avviano verso i rispettivi villaggi".
Quella sera ho avuto un'interessantissima conversazione con C.A., un giovane e intelligente attivista della sinistra nigeriana.
Considera il golpe un grande evento rivoluzionario.
"Finora ci vergognavamo di guardare negli occhi gli stranieri," dice. Ha una grande stima per l'esercito: secondo lui è lì che si trova il maggior numero di elementi progressisti, soprattutto tra gli ufficiali più giovani, caratterizzati da una posizione patriottica e indipendente. "Adesso lo scopo della sinistra," dice, "sarà di lottare perché i militari mantengano il potere il più a lungo possibile." Data la situazione nigeriana, pensa che un eventuale nuovo passaggio di poteri debba inevitabilmente segnare una svolta a destra. "Bisognerebbe che Ironsi restasse al potere per almeno dieci o vent'anni." Secondo lui adesso la reazione farà di tutto perché i militari restituiscano il potere il più presto possibile e anche la politica degli imperialisti andrà nella stessa direzione. L'esercito non è corrotto, per cui l'Occidente non ha modo di arrivarci né di influenzarlo, mentre i politici si fanno comprare lasciando la Nigeria in mano a cani e porci. Secondo lui solo l'esercito è in grado di introdurre l'ordine. "Come nigeriano mi dispiace dirlo, ma nei prossimi anni lo Stato non potrà essere governato che per mezzo di una dittatura." In tarda serata la radio trasmette l'ordine del generale Aguiyi-Ironsi che nomina quattro governatori militari incaricati di esercitare il potere supremo nelle quattro regioni della Nigeria. Del gruppo fanno parte tre tenenti colonnello e un maggiore. A eccezione del colonnello S.A. Fajuyi, governatore della Nigeria occidentale, gli altri tre sono sui trent'anni.
Mercoledì, 19 gennaio Giornata tranquilla e politicamente incolore. Ne approfitto per dire due parole sulla Nigeria. Si tratta di un paese enorme, il nono al mondo per numero di abitanti nonché massima potenza del continente africano. La Nigeria, la cui popolazione è numericamente superiore a quella di tutti gli altri paesi dell'Africa occidentale messi insieme, ha sotto ogni punto di vista un peso qualitativamente maggiore rispetto a quello del Congo. La sua popolazione rappresenta un ricchissimo e variegato mosaico etnico. L'etnografo americano Murdock calcola che entro i confini della Nigeria vivano quattrocentosedici gruppi etnici. Ma a contare è soprattutto il fatto che il 60% della sua popolazione appartiene a uno dei quattro grandi gruppi etnici: gli hausa, gli ibo, gli yoruba e gli edo.
Il più importante gruppo etnico è quello degli hausa, chiamati anche hausa-fulani per via della struttura etnica che accomuna i due gruppi. Gli hausa abitano la regione più vasta della Nigeria, ossia il Nord, che esercita una posizione dirigente sull'intera federazione. Vengono poi gli ibo, elemento dominante nella Nigeria orientale, gli yoruba, che popolano la Nigeria occidentale e, infine, gli edo, dominanti nella Nigeria centrorientale. È difficile definire gli hausa, gli yoruba o gli ibo: si tratta di popoli composti da vari milioni di individui, con una lunga tradizione storica e, nel caso degli hausa e degli yoruba, anche statale. Gli hausa sono ottimi artigiani e mercanti ambulanti, un popolo che si distingue per la sua grande onestà e disciplina nonché per la profonda religiosità musulmana. A Lagos i vigili notturni e i guardiani di banche sono tutti hausa. Qui hausa è sinonimo di onestà: un hausa preferisce morire di fame piuttosto che toccare la roba altrui.
Sono modesti, gentili e ospitali.
La componente etnica più intraprendente della Nigeria sono gli ibo, considerati anche i più intelligenti e illuminati.
In Nigeria le ventate rivoluzionarie sono sempre provenute dall'Iboland, la terra degli ibo, che ne rappresenta la parte sudorientale. Gli ibo sono detestati in tutta la Nigeria, che li invidia per il loro talento, la loro perspicacia e per le sviluppate capacità in ogni campo. La maggior parte degli studenti è ibo, la maggior parte dei poliziotti è ibo, la maggior parte degli ufficiali è ibo, la maggior parte dei funzionari è ibo.
Ovunque occorra una qualificazione professionale, lì c'è un ibo. La terra degli ibo è sovrappopolata e loro emigrano in tutto il paese. Ovunque si stabiliscano, avanzano rapidamente e cominciano la scalata sociale. Sotto il vecchio regime l'ostilità per gli ibo era uno dei temi della propaganda tribale praticata da Ahmadu Bello e da Akintola. La stampa di Akintola era piena di espressioni tipo ibo imperialism o ibo colonialists, come se gli ibo aspirassero a colonizzare e conquistare l'intera Nigeria.
Gli yoruba (e gli edo loro vicini) abitano la Nigeria occidentale.
La caratteristica degli yoruba è di rappresentare l'elemento più urbanizzato dell'Africa: le città yoruba erano grandi e famose già molto prima della colonizzazione britannica.
Ma la parola "città" non inganni: dal punto di vista della tipologia costruttiva si tratta di immensi villaggi con centinaia di migliaia di abitanti, gran parte dei quali si mantiene peraltro con l'agricoltura. Gli yoruba, boriosi e sempre pronti alla rissa, trattano con palese antipatia tutte le altre tribù.
Hanno i più begli abiti e le più belle donne di tutta la Nigeria.
Sono molto tradizionali e nello stesso tempo molto borghesi.
Sostanzialmente scansafatiche, credono fermamente nella possibilità di fare soldi dal nulla e, soprattutto, di farli senza lavorare.
Hausa, ibo e yoruba formano il grande triangolo etnico della Nigeria. La politica britannica aveva per principale scopo quello di fomentare l'odio etnico tra i suoi componenti.
Gli hausa sono musulmani, gli yoruba sono per metà musulmani e per metà cristiani, la maggioranza degli ibo è cristiana e questa divisione religiosa costituisce un ulteriore pomo della discordia.
Dire Nord della Nigeria significa dire tradizione islamica, tradizione del commercio con il Nordafrica e il Medioriente attraverso il Sahara, tradizione della conquista del Sud fonte di schiavi e, infine, tradizione di una forte organizzazione sociale di tipo militare. Privo di sbocchi sul mare, professante la religione islamica, vale a dire una religione massimamente refrattaria alle idee e alle correnti di pensiero esterne, il Nord costituiva la roccaforte del feudalesimo e del tradizionalismo.
Dire Sud della Nigeria significa invece dire i "negri", gli infedeli, le tribù sparpagliate in foreste tropicali su territori afflitti da uno dei peggiori climi del mondo. L'afoso, rovente, malarico e paludoso Sud della Nigeria era un terreno difficilmente accessibile ai colonialisti bianchi il cui fisico non reggeva quel clima. Le spedizioni sparivano una dopo l'altra. Gli inglesi cominciarono quindi a commerciare dal mare o dalla costa. Tra la terra e il mare, tra il mercato nella giungla e il ponte della nave si creò un andirivieni di mediatori e, quel che più conta, di mediatori africani. In Nigeria iniziò a crearsi la categoria della borghesia commerciante che, nella sua versione locale, è caratterizzata da due fatti: 1. è legata soprattutto al commercio, anziché alla produzione; 2. è fortemente imbevuta di elementi feudali e costellata di ogni sorta di chiefs, re ed emiri.
Oggi la Nigeria possiede la borghesia più sviluppata di tutto il continente; una borghesia che, come quella francese degli inizi del xIx secolo, è fortemente pervasa di elementi feudali e di aspirazioni aristocratiche. In nessun'altra parte dell'Africa si può trovare un paese così borghese e nello stesso tempo così snobisticamente aspirante al riconoscimento aristocratico.
Occorre anche tenere presenti altri due elementi per capire la situazione politica in Nigeria. Il primo è che nella tradizione feudale africana il concetto di potere politico e quello di ricchezza sono sempre stati strettamente uniti. L'Oba (re degli yoruba e quindi sovrano politico) era anche un uomo ricco. Il secondo è che i tempi moderni non hanno fatto altro che confermarlo capitale e industria sono in mano ai colonialisti. In quale altro modo è possibile farsi un capitale, se non con la carriera politica e per la via più semplice e breve, quella della corruzione?
Lo spaccato sociale della Nigeria è il seguente: giù in basso, al livello più infimo, i milioni di piccoli contadini, pastori, operai, braccianti e disoccupati. Sopra di loro, la sterminata classe dei piccoli commercianti delle città e cittadine nigeriane (siamo nel paese degli onnipresenti mercati). Un gradino più sopra, la forte e ben strutturata classe feudal-borghese, ricca, decisamente reazionaria, avida e dispotica. In Nigeria le differenziazioni di classe, tribali e religiose sono marcate con evidenza.
È la tipica situazione irta di contraddizioni per la quale gli inglesi vanno a nozze. Gli inglesi sono i grandi maestri delle acque torbide, cercano sempre il punto debole, lo spiraglio in cui scavare fino a creare un abisso. E qui in Nigeria paese che, dopo la perdita dell'India, era il loro massimo possedimento d'oltremare gli inglesi hanno perseguito questo fine con particolare attenzione. Il loro scopo è sempre stato quello di creare una situazione in cui l'Inghilterra, pur concedendo ufficialmente l'indipendenza, mantenesse immutati i propri interessi e conservasse la sua posizione di arbitro supremo. Ovunque esistano parti in contrasto ci vuole un arbitro ed è per questo che gli inglesi, al momento di abbandonare ufficialmente un paese, hanno sempre cercato di lasciarvi una situazione controversa. L'India, Cipro, il Kenya ovunque la stessa storia. La situazione controversa si ottiene mediante il cosiddetto constitutional development. "Impossibile farne a meno," dicono gli inglesi ai loro sudditi. "Un paese deve avere un constitutional development." Si fa quindi venire sul posto un gruppo di legali del Colonial Office i quali preparano la Costituzione del caso, fondata sul principio della vera democrazia. E qual è il principio fondamentale della vera democrazia? Che la Costituzione garantisca a tutti i cittadini il libero godimento dei propri diritti. I due nobili principi vengono tradotti nella lingua in vigore nel paese, e la Costituzione è fatta. Dato che la caratteristica delle comunità africane è il pluralismo (per cui pluritribalità, plurireligiosità, pluralità di razze) e dato che la Costituzione deve garantire a tutti il diritto a tutto, in men che non si dica si arriva a quello che gli inglesi definiscono il bloody mess: il guazzabuglio infernale, la paralisi politica, l'ingorgo totale. Non si può fare un passo a favore degli uni senza che scatti il veto di coloro che, a loro volta, pretendono il godimento dei diritti costituzionali: diritto al potere, diritto all'opposizione, diritto a Dio solo sa cosa. Il paese entra in crisi. Risultato? Ci si rivolge agli inglesi perché sblocchino la situazione.
Tale era appunto la Costituzione della Nigeria quando, il primo ottobre 1960, il paese ottenne l'indipendenza: quella Costituzione sospesa dal generale Ironsi il 16 gennaio 1966, dopo cinque anni di incalcolabili danni procurati al paese da quel documento.
Le costituzioni britanniche imposte ai territori dipendenti sono sempre state uno strumento di divisione anziché di unità, visto che erano nate apposta per creare un ostacolo politico-legale che impedisse la trasformazione delle ex comunità coloniali in nazioni indipendenti.
La Costituzione nigeriana è un ponderoso volume impossibile da riassumere. La Nigeria ha una struttura federativa: nel 1960 si divideva in tre regioni, mentre dal 1964 le regioni sono diventate quattro: settentrionale, orientale, occidentale e centroccidentale, più il territorio federale della città di Lagos che non appartiene a nessuna regione. Oltre al governo, al parlamento, alla polizia e all'esercito federali, ogni regione aveva il proprio governo e parlamento. Le singole regioni avevano diritto a una propria polizia, ma non a un proprio esercito.
Il loro potere era immenso: potevano addirittura avere i loro rappresentanti diplomatici all'estero.
Il partito al governo, al Nord, era l'NPC, o Northern People's Congress, che peraltro governava l'intera federazione.
Sarebbe difficile definirlo un partito nel senso corrente del termine: si tratta piuttosto di una sorta di organizzazione aristocratico-feudale del Nord, remissivamente votata dai sudditi dei feudatari. Le donne del Nord non hanno ancora diritto al voto.
Il partito al potere a est era l'NCNC, o National Council of Nigerian Citizens. Ne era presidente il dottor Michael Okpara, premier della Nigeria orientale. L'NCNC era il partito della borghesia ibo.
La regione centroccidentale è anch'essa governata dall'NCNC.
L'Occidente aveva due partiti. Fino al 1962 aveva governato 1'Action Group Party, dopo di che Bello e Balewa l'avevano illegalmente estromesso scatenando un'interminabile crisi politica. Bello comprò il successore di Awolowo, chief Samuel Akintola, il quale attuò la scissione dell'Action Group Party e creò un proprio partito, il Nigerian National Democratic Party. Malgrado violente proteste di massa, l'NNDP divenne il partito che governava la Nigeria. Sia l'AGP che l'NNDP sono partiti borghesi, con la differenza che forse l'AGP contiene qualche elemento progressista in più.
L'equilibrio politico della Nigeria si basava sull'esistenza di due grandi coalizioni: una era la coalizione governante, la Nigerian National Alliance (NNA), composta dall'NPc e dall'NNDP; l'altra era la coalizione governativa di opposizione, l'United Progressive Grand Alliance, formata dall'AGP e dall'NCNC.
In questa coalizione 1'AGP era un partito totalmente di opposizione, mentre l'NCNC lo era solo in parte visto che governava in due regioni e aveva i propri ministri nel governo federale.
Il meccanismo, qui descritto per sommi capi, non riusciva a funzionare. Nessuno poteva alzare un dito, ogni mossa provocava la crisi dell'intero paese. Se, tanto per fare un esempio, il governo annunciava di voler impiantare una fabbrica di chiodi, sorgeva all'istante l'immane problema di dove edificarla.
Ogni regione la voleva per sé. Se il governo decideva di costruirla a Oriente, le altre regioni scatenavano il finimondo, minacciando di uscire dalla federazione e di dimettersi dal governo. Se decideva di costruirla a Occidente, si metteva a strillare la parte orientale... e via di questo passo.
La Nigeria era senza dubbio il paese con il maggior tasso di anarchia, rissosità e sarmatismo." Quando vi arrivai mi colpì soprattutto il fatto che fosse un paese senza governo.
Avevo sempre sentito dire che il problema della Nigeria era che il Nord comandava il Sud: la realtà era che nessuno comandava nessuno. La Nigeria, come si dice dalle mie parti, è sempre stata un immane casino. A Lagos uno può tranquillamente costruirsi la casa in mezzo a una strada piena di traffico senza che nessuno dica una parola. Recentemente due studenti hanno fatto causa al governo federale per brogli Il Sarmatismo è un termine usato per indicare l'esasperato orgoglio patrio degli esaltatori delle antiche usanze nobiliari polacche. [N.d.T.] elettorali. Durante il processo, protrattosi a lungo, i membri del governo sono stati presi a secchiate di acqua sporca e hanno dovuto difendersi presentando folle di testimoni.
La più grande controversia della Nigeria è da sempre il problema della popolazione, vale a dire di quante persone vivano realmente in ognuna delle sue regioni: un problema che sta anche alla base della sua cronica crisi interna. Il sistema più semplice, ovviamente, sarebbe quello di fare un censimento, ma la cosa si è rivelata impossibile. L'ammontare della popolazione nigeriana non è un problema demografico, ma prettamente politico, dato che dal numero degli abitanti di una data regione dipendono anche l'ammontare dei suoi deputati, gli aiuti finanziari che le vengono destinati e via dicendo. Nel 1963 il governo federale decise di fare un censimento e fece venire a Ibadan un gruppo di studiosi universitari che svolsero il loro lavoro con la massima serietà. Grave errore! I loro calcoli preliminari prospettavano delle cifre troppo modeste per gli appetiti dei politici locali. Scoppiò una grave crisi con minaccia di scioglimento della federazione.
Il governo convinse la commissione a dimettersi e il problema del censimento fu affidato ai politici i quali, tramite tortuosi tira e molla tra i partiti, arrivarono finalmente a stabilire l'ammontare demografico di ogni regione. A conti fatti venne fuori che la Nigeria aveva cinquantaquattro milioni di abitanti. La cifra fu approvata in parlamento (malgrado le proteste dell'opposizione) e ufficialmente diffusa.
Nel 1963 il paese è stato sconvolto da un grave sciopero generale. Nel dicembre 1964 c'è stata una crisi in seguito alle elezioni federali. Nel 1965, nuovo sciopero generale, che non è arrivato a concretarsi grazie allo scioglimento del movimento sindacale, corrotto dagli americani. Le elezioni dell'11 ottobre in Nigeria occidentale hanno scatenato la guerra civile, una delle più crudeli e brutali vissute dall'Africa nel nostro secolo.
Al momento di lasciare che la Nigeria camminasse "con le proprie gambe" gli inglesi passarono il potere a elementi provenienti dalla fascia feudal-borghese, tra i quali stettero bene attenti a scegliere come esponenti politici di punta gli individui più corrotti e veniali. La Nigeria contava una serie di politici di professione che con la politica avevano accumulato veri e propri patrimoni. Certi disgustosi individui come l'ex ministro degli Esteri, poi ministro dell'Aeronautica, Jaja Wachuku, oppure come il ministro delle Finanze Okotie-Eboh godevano in Africa della stessa nomea di un Ciombe.
Molti ministri si trasformarono in grandi capitalisti: invece di dedicarsi alle attività del loro dicastero, sfruttavano il proprio titolo come fonte di colossali introiti. Dai ministri in giù, la corruzione dilagava a vasto raggio.
Una simile élite politica era una manna per ogni sorta di neocolonialismo, grande o piccolo. Oltre che da parte dei tradizionali padroni inglesi, la Nigeria fu oggetto di un'attiva espansione anche da parte degli Stati Uniti. Washington ne era estremamente orgogliosa e Mennen Williams considerava Balewa il proprio ambasciatore in Africa. La Nigeria è stata uno dei primi sette paesi a ottenere gli aiuti americani. I peace corps sono dappertutto e l'RFT ha cominciato a costruire qui le sue basi militari. Piccoli neocolonialisti di ogni risma vi hanno trovato il paradiso: un vero e proprio esercito di sfruttatori libanesi, greci e indiani che arrivavano a frotte, pagavano le tangenti ai ministri, dopo di che erano liberi di fare quello che volevano, soprattutto di vendere a prezzi esorbitanti.
Da una parte il lusso dell'élite, dall'altra la squallida e miserabile vita delle masse, la disoccupazione, l'analfabetismo e la prostituzione, considerati fenomeni abituali, senza il minimo accenno di miglioramento. Erano fatti che in alto loco non interessavano a nessuno e di cui neanche si parlava.
Stando così le cose, gangsterismo, furti e imbrogli erano fenomeni all'ordine del giorno, ma anche questo era un argomento che non interessava nessuno.
La Nigeria era un paese bello ma malato, grande ma paralizzato.
Un paese con un presente scoraggiante e un futuro apparentemente senza speranza.
Giovedì, 20 gennaio: viaggio a Ibadan La mattina parto per la Nigeria occidentale per vedere se sia ancora in guerra o se vi sia tornata la pace. Sono anche curioso di sondare in loco le opinioni della gente sul golpe.
Alle porte di Lagos soldati e poliziotti controllano auto e bagagli. La Nigeria occidentale è ancora in agitazione ed è probabile che continui un contrabbando clandestino di armi, perché i militari perquisiscono minuziosamente ogni minimo involto. Martedì scorso il generale Ironsi ha avvisato la popolazione della regione che qualora i combattimenti non cessino all'istante verrà dichiarato lo stato d'emergenza.
Da Lagos a Ibadan la strada corre per centocinquanta chilometri in mezzo a verdi e dolci colline. Negli ultimi tempi su questa strada è morta molta gente e non si può mai sapere che cosa ci aspetti dietro la prossima curva. Gli uni consigliano di procedere a bassa velocità in modo che, se si avvista una squadra dell'UPGA, si fa in tempo a fare marcia indietro.
Altri consigliano di proseguire sventolando un biglietto da cinque sterline. Scelgo la tecnica di andare avanti e di sperare nella fortuna.
Lungo la strada giacciono auto bruciate, quasi sempre grosse limousine dalle targhe governative. Alcuni giorni prima del golpe, in una di esse sono stati bruciati quattro viceministri del governo Akintola. Mi sono fermato davanti a un paio di macchine: dentro si vedono ancora resti umani carbonizzati.
Tutte le cittadine lungo il percorso recano tracce dei recenti combattimenti. Le più malmesse sono Ikorodu e Sagamu.
Scheletri di case incendiate, abitazioni rase al suolo, le vuote orbite cosparse di vetri dei negozi sventrati, mobili sfondati, camion con le ruote all'aria, macerie. Alcune cittadine sono ancora spopolate. I villaggi abitati dagli hausa sono deserti: per paura della repressione gli hausa fuggono in massa al Nord.
Anche Ibadan è distrutta. Nelle strade giacciono automobili bruciate, le vie di alcuni quartieri sono interamente rase al suolo. Il quartiere più danneggiato è quello di Mokola, fino all'altro ieri teatro di combattimenti. Per le strade di Mokola circolano pattuglie dell'esercito.
Venerdì, 21 gennaio La mattina vado a visitare la residenza di Akintola. Si trova alla periferia di Ibadan, nel verde quartiere delle residenze ministeriali ora completamente morto. Le ville appaiono semidistrutte e deserte. Se n'è andata perfino la servitù. Parte dei ministri è stata uccisa, parte è riuscita a rifugiarsi nel Dahomey.
Davanti al cancello della residenza dell'ex primo ministro della Nigeria occidentale c'è una pattuglia di polizia.
Uno dei poliziotti prende il fucile e mi accompagna a visitare la residenza. È una grande villa moderna a un piano. Sul pavimento in marmo della veranda d'ingresso, una pozza di sangue rappreso. È qui che è stato ucciso Akintola. Accanto alla macchia, la galabia insanguinata, un fascio di lettere sparpagliate e stracciate e due mitra giocattolo del nipotino di Akintola fatti a pezzi.
Le mura dell'edificio sono scheggiate dalle pallottole, il cortile è ingombro di vetri, le reticelle delle finestre, strappate dai soldati per entrare nella residenza, penzolano nel vuoto.
Ovunque deserto e silenzio.
Akintola aveva cinquantacinque anni ed era un uomo corpulento, dalla faccia paffuta e fortemente scarificata. Suo padre era uno yoruba, la madre una fulani. Akintola era universalmente odiato. Negli ultimi mesi non usciva più dalla sua residenza sorvegliata dalla polizia, aveva paura. Cinque anni fa non era che un povero avvocato. I primi soldi li ebbe da Ahmadu Bello per essersi prestato a scindere l'Action Group Party e a creare un partito che si dichiarasse favorevole all'alleanza con Bello. In cambio, l'anno dopo, Bello e Balewa l'hanno fatto premier. Dopo un anno di carica Akintola era già diventato milionario. Non faceva che trasferire i soldi dal conto governativo al suo conto privato. Ovunque si può trovare una casa di Akintola: a Lagos, a Ibadan, ad Abeokuta.
Si era fatto costruire un lussuoso palazzo nel suo villaggio natale di Ogbomosho. Aveva dodici limousine; il suo vice, Fani-Kayode, ne aveva otto. Fani-Kayode aveva sei amanti fisse, a ognuna delle quali aveva regalato una villa e una macchina e alle quali versava uno stipendio. Anche i ministri di Akintola, nei due anni di governo dell'NNDP, hanno intascato fortune da capogiro. Ci troviamo in un mondo di ricchezze favolose ricavate dalla politica o, più esattamente, dal gangsterismo politico, dalla frantumazione dei partiti, da elezioni truccate, dall'eliminazione fisica degli avversari politici, dalle sparatorie contro le folle affamate. E tutte queste cose bisognerebbe immaginarsele sullo sfondo della deprimente miseria di Ibadan, del paese bruciato, spopolato e inondato di sangue per opera del governo di Akintola.
Rientro a Lagos nel pomeriggio.
La sera la radio trasmette un riassunto delle conferenze stampa tenute a Kaduna, Benin, Enugu e Ibadan dai nuovi governatori militari delle rispettive regioni.
"Cari amici," ha detto il colonnello David Ejoor, governatore militare della regione centroccidentale, "stiamo assistendo alla nascita di una nuova nazione che, come tutti i neonati, ha bisogno di essere circondata di cure materne." Il governatore ha chiesto agli abitanti di fornire informazioni su abusi di loro conoscenza commessi dai politici del vecchio regime.
"Il mio primo compito," ha affermato il nuovo governatore militare della Nigeria occidentale, tenente colonnello Adekunle Fajuyi, "sarà di fermare i banditi che bruciano viva la gente. Abbiamo vissuto troppo a lungo nella paura l'uno dell'altro." Alla domanda dei giornalisti se si consideri un riformista o un rivoluzionario, il governatore ha risposto: "Sono un soldato". Quando gli è stato chiesto se cercherà di fare in modo che la Nigeria occidentale goda di una partecipazione soddisfacentemente ampia al governo federale, ha risposto: "Siamo un governo militare, non ragioniamo secondo categorie regionali. Le categorie del regionalismo sono estranee al nostro pensiero, per noi la patria è una sola".
Il governatore militare della Nigeria orientale, tenente colonnello Odumengwu Ojukwu, ha detto: "Il nostro capo supremo ha acconsentito a prendere il potere per evitare la disintegrazione della nostra amata patria. È nostro compito estirpare il male sistematicamente praticato nel paese sotto la maschera della democrazia. Siamo decisi a fare della Nigeria un'unica patria, priva di attriti tribali e di interessi campanilistici".
Nazione, patriottismo e unità sono i principali temi ricorrenti in tutti i discorsi.
Sabato, 22 gennaio: funerale di Balewa Comunicato del governo federale militare circa la morte dell'ex premier della Nigeria, sir Abubakar Tafawa Balewa.
"Venerdì mattina alcuni contadini della località di Otta hanno riferito di aver rinvenuto nella macchia circostante un cadavere somigliante a Tafawa Balewa. Il corpo, in posizione seduta e con le spalle appoggiate a un albero, era coperto da un'ampia agbada bianca (la lunga veste araba solitamente indossata da Balewa) e ai suoi piedi giaceva un berretto 'rotondo.
"Alla mezzanotte del venerdì il corpo di Tafawa Balewa è stato trasportato, con un aereo speciale, da Lagos alla sua città natale di Bauchi (Bauchi si trova nella parte centrale della Nigeria). Oltre al pilota e all'operatore radio, a bordo dell'aereo si trovavano soltanto dei soldati. Il corpo di Tafawa Balewa è stato cremato nel cimitero musulmano alla presenza di un folto gruppo di persone." Il reporter locale Segun Osoba scrive: "A una settantina di metri dalla strada tra Lagos e Abeokuta, al quarantesimo chilometro da Lagos, ho visto il corpo senza vita dell'ex premier Tafawa Balewa, nonché i resti di quello che mi è parso l'ex ministro delle Finanze, chief Okotie-Eboh.
"Quando, venerdì sera verso le sette, sono arrivato sul posto, ho visto due corpi nel fosso vicino alla strada.
"Per prima ho visto la salma di chief Okotie-Eboh. Giaceva nudo, faccia a terra, con il corpo già mezzo mangiato dagli insetti. Lungo la gamba destra pendeva un pezzo del pigiama.
"Un metro più avanti c'erano le spoglie di Tafawa Balewa.
Indossava un'agbada candida che gli copriva anche la testa.
"Su nessuno dei due corpi ho notato tracce di pallottole.
La testa di Okotie-Eboh era massacrata. Mentre le spoglie di Balewa erano ancora in buono stato, il corpo di Okotie-Eboh appariva gonfio e deformato.
"Sabato mattina entrambi i corpi sono stati rimossi. Uno dei due è stato deposto in una bara e trasportato all'aeroporto di Lagos, chiuso al traffico dai soldati. La bara è stata caricata su un aereo che è subito decollato".
Sembra ormai certo che Balewa e Okotie-Eboh siano stati uccisi poco dopo l'arresto, fra le tre e le quattro di notte di sabato 15 gennaio, forse durante il tragitto verso il luogo dove sono stati rinvenuti i loro cadaveri. Sia durante l'arresto che al momento di salire sul camion coperto Balewa ha mantenuto la calma, mentre Okotie-Eboh ha avuto un attacco isterico e si è messo a gridare: "Non sparate! Non sparate! ".
Un testimone oculare afferma che è stato gettato a bordo del camion come un pesante fagotto (Okotie-Eboh pesava centoventi chili).
Domenica, 23 gennaio La stampa pubblica alcune foto del luogo dove sono state cremate le spoglie di Balewa. Balewa lascia diciotto figli. Era un feudatario arabo, possedeva un'immensa fattoria. In una delle foto il più giovane dei figli di Balewa punta un fucile giocattolo contro un bersaglio invisibile. Indossa una maglietta con la scritta "American Express Company".
Sono giornate insopportabilmente calde e afose. La Nigeria vive una fase di grandi aspettative e speranze. Oggi il mio amico nigeriano Onyebuchi mi ha detto: "Ironsi è una creatura soprannaturale". Una volta qualcuno gli ha sparato un colpo, ma la pallottola ha cambiato traiettoria senza neanche sfiorarlo.
Lunedì, 24 gennaio Il "New Nigerian", il quotidiano che esce nella Nigeria occidentale, scrive che gli hausa-fulani non credono alla morte di Ahmadu Bello. Secondo la gente del Nord, le pallottole hanno deviato il loro percorso evitando di colpire il Sardauna, che si è rifugiato alla Mecca protetto dal mantello di Allah.
L'opinione pubblica africana nutre un certo scetticismo circa l'effetto delle armi da fuoco e le notizie sulla morte di qualcuno colpito da una pallottola vengono accolte con incredulità.
Punto primo: nessuno ha mai visto un proiettile volante, quindi come si fa a sostenere che una persona sia morta perché le hanno sparato un colpo? Punto secondo: la traiettoria di una pallottola può essere modificata, è a questo che servono i vari tipi dijuju, più efficaci di una corazza di acciaio. Il premier della Nigeria occidentale, chief Akintola, non è stato giustiziato mettendolo contro un muro come si fa di solito, ma al centro di una grande veranda: gli attentatori sapevano che se Akintola avesse avuto le spalle appoggiate a un muro il suo juju l'avrebbe reso refrattario alle pallottole. L'opinione pubblica europea è rimasta spesso sconvolta dalle notizie provenienti dal Congo circa i massacri perpetrati sui corpi degli uccisi. Non si tratta di una manifestazione di sadismo, come varie volte si è tentato di spiegare. L'infierire sulle spoglie deriva da un concetto metafisico, dalla convinzione che l'uomo non si componga solo di anima e corpo, ma anche degli spiriti che lo abitano. Molti bianchi credono che l'uomo sia fatto di corpo e anima: ma credere in una sola anima è una grossolana semplificazione del complesso mistero dell'esistenza umana. La verità è che il corpo umano contiene numerosi spiriti, annidati nelle varie parti del suo organismo. La loro forza è immensa, al punto che, se vengono lasciati in vita, possono addirittura far resuscitare il corpo. È ingenuo credere che basti una pallottola per annientare il complicato mondo degli spiriti insediati nei recessi del corpo umano.
L'uccisione del corpo è solo uno degli elementi della morte: " Magia nera. [N.d.T.) la morte totale si verifica solo dopo la distruzione degli spiriti, o dopo la loro fuga. E perché fuggano bisogna farli uscire come si fa uscire l'aria da un pallone, ossia bucandolo. È da qui che nasce la necessità di distruggere il corpo, soprattutto quello di un nemico, i cui spiriti potrebbero in seguito vendicarsi.
Non si tratta di crudeltà, ma dell'autodifesa dell'uomo costretto a lottare contro il minaccioso e onnipresente mondo degli spiriti che, sebbene invisibili, gli stanno sempre alle calcagna.
Non è escluso che la calma regnante al Nord dipenda effettivamente dalla convinzione che Bello sia riuscito a filarsela alla Mecca. Gli inglesi contavano fermamente sul fatto che il Nord si sollevasse e che gli emiri dichiarassero la jihad, la guerra santa contro gli infedeli del Sud. Non c'era giornale inglese che non prevedesse la jihad, dopo di che le cose avrebbero seguito il consueto copione: ci sarebbe stata una carneficina e gli inglesi avrebbero dovuto fare intervenire le loro truppe per proteggere le vite dei cittadini britannici. Non si tratta di un'ipotesi campata in aria: il londinese "Sunday Express", giunto oggi a Lagos, riferisce che il secondo battaglione degli Scots Guards è stato posto in stato d'allerta "nel caso che la Gran Bretagna sia costretta a un intervento armato in Nigeria Il Nord rappresentava il sostegno britannico in Nigeria.
Gli inglesi hanno sempre badato a creare un colonialismo di stampo aristocratico. Il colonialismo francese è borghese, quello inglese feudale e il Nord della Nigeria rispondeva alla perfezione a questo concetto. Nel xIx secolo le nomadi tribù fulani, sotto la guida di Usman Dan Fodio, sferrarono la jihad contro gli hausa stanziali, imponendo loro l'islam e il proprio dominio. Nel Nord si formò un sistema feudale il cui ceto dominante era costituito dall'aristocrazia fulani. Quando gli inglesi invasero il Nord diedero al sistema una veste legale e lo sfruttarono ai propri fini coloniali. Il Nord venne diviso in emirati, gli emirati erano governati dagli emiri e gli emiri dagli inglesi. Gli emiri indossano vesti estremamente decorate che ricordano quelle dei re polacchi del xvi secolo. Anche il protocollo è di tipo feudale. Fino al golpe militare l'emiro ha goduto di un enorme potere: era capo religioso dei suoi sudditi, giudice supremo e condottiero in caso di una guerra santa. L'emiro era anche il rappresentante dello Stato sul territorio amministrativo a lui sottoposto. Il contadino di un emirato si trovava nell'esatta situazione di un contadino dell'Europa feudale costretto alle prestazioni gratuite. Tutti questi anacronismi erano legalizzati dalla Costituzione nigeriana.
A capo della gerarchia degli emiri stavano due sovrani: il sultano di Sokoto e il Sardauna di Sokoto. Oggi il sultano ufficialmente capo religioso degli hausa-fulani non riveste un ruolo politico. Il vero sovrano del Nord era Ahmadu Bello, Sardauna di Sokoto.
Questo personaggio domina tutta la recente storia della Nigeria. Era un uomo alto e corpulento, dal modo di fare autoritario, imperiale. La prima cosa che colpiva nel suo comportamento era l'estrema sicurezza di sé. Era privo di dubbi e di complessi: per lui in politica non esistevano cose impossibili, non esisteva l'opinione altrui, non esistevano nemici.
Governava il Nord con il terrore e il Sud con la corruzione.
Disprezzava la gente del Sud ritenendo che dei politici di quella regione si potesse fare quello che si voleva purché si permettesse loro di rubare, teoria che metteva in pratica con immancabile successo. Il Sud era più sensibile del Nord al denaro: i politici nigeriani corrotti erano gente del Sud.
Nel sistema stesso del paese era insita una profonda contraddizione: da un lato si trattava di una dittatura ingiusta, dall'altro questa dittatura non possedeva un apparato esecutivo adeguato ed efficiente. Aveva un piccolo esercito, scarse, e per giunta deboli, forze di polizia, un'amministrazione fiacca e incapace.
Questa contraddizione del sistema nigeriano tra la natura dittatoriale del potere e la cornice formale della democrazia parlamentare in cui tale potere si muoveva è stata una delle cause della caduta del vecchio regime. Per anni si è trascinata una situazione in cui potere e opposizione erano troppo deboli per risolvere il contrasto a proprio vantaggio. Tutto ristagnava, tutto ammuffiva, tutto viveva in uno stato di perenne irritazione, tensione, frustrazione. Per giunta questo girare e agitarsi a vuoto non verteva mai su questioni programmatiche o ideologiche: il senso della lotta stava tutto nei tentativi degli uni di togliere la poltrona agli altri.
Tutto sembrerebbe indicare che nell'ultimo periodo il Sardauna avesse deciso di risolvere questa contraddizione tra la dittatura e la democrazia a favore della dittatura, il che avrebbe affrettato il colpo di Stato militare.
Una volta chiesi a un attivista nigeriano se il Sardauna fosse personalmente corrotto. "A che scopo?" chiese lui. "Il Nord è già una sua proprietà privata. Ogni volta che vuole qualcosa, se la prende e basta." Era vero. Il bilancio del Nord, ammontante a ottanta milioni di dollari l'anno, era la sua cassa privata. Dare due milioni di dollari ad Akintola perché truccasse le elezioni per il Sardauna era solo questione di staccare un assegno.
Il Sardauna era un fanatico musulmano con grandi ambizioni panislamiche. Era vicepresidente della Lega mondiale musulmana e voleva creare un Commonwealth musulmano.
Aveva organizzato un congresso mondiale musulmano, che avrebbe dovuto avere luogo quest'anno, dedicato "alla lotta contro le ideologie estranee al mondo musulmano". Esattamente due giorni prima della sua morte era tornato da un nuovo pellegrinaggio alla Mecca. Il Sardauna vi si recava sempre con uno speciale aereo a reazione portandosi dietro la corte che, quest'ultima volta, ammontava a centoventiquattro persone. Quest'uomo dinamico e pieno di energia dedicava gran parte del suo tempo a convertire all'islamismo gli infedeli.
Affermava di averne convertiti trecentocinquantamila e prometteva di convertire l'intera popolazione della. Nigeria.
Era il tipico personaggio del califfo arabo delle Mille e una notte. Le sue magnifiche vesti ricamate d'oro sfavillavano e il premier della massima potenza africana, Tafawa Balewa, che in confronto al Sardauna era un paria, all'aeroporto lo salutava ossequiosamente con un profondo inchino fino a terra.
Martedì, 25 gennaio Il golpe del 15 gennaio rappresenta uno dei massimi eventi della storia dell'Africa moderna. Il dottor Banda, premier del Malawi nonché continuatore della linea politica di Ciombe, sa quel che dice quando afferma che "la morte di Balewa segna la fine dell'Organizzazione dell'unità africana". Secondo il dottor Banda l'ouA era uno strumento del neocolonialismo in Africa e poiché la Nigeria di Tafawa Balewa era la principale base del neocolonialismo occidentale, la fine di Balewa segna anche la fine dell'ouA. Per l'Occidente la caduta di Balewa rappresenta una grossa perdita in Africa.
Grazie alla sua posizione di grande potenza la Nigeria di Balewa era la forza attiva e trainante della destra africana.
Tutti i tentativi di spostare l'Africa su posizioni più autonome si infrangevano regolarmente contro l'opposizione nigeriana.
È probabile che adesso la Nigeria si ritiri nelle proprie frontiere accantonando le ambizioni di guida ideologica pancontinentale.
La cosa è dovuta al fondamentale cambiamento di assetto politico in Africa, dove l'Occidente non ha ormai un politico abbastanza autorevole per succedere a Balewa nel ruolo di capo dell'ala destra del continente. I grossi calibri, i grandi nomi - Nasser, Nyerere - sono tutti di sinistra.
La seconda sostanziale conseguenza del golpe nigeriano è che adesso in Africa tira un'aria completamente diversa nei confronti del capitale estero, per il quale la Nigeria rappresentava un libero campo di azione e un incentivo a penetrare nuove zone del continente. Quest'ultima serie di golpe militari si ripercuoterà profondamente sui rapporti tra l'Africa e il capitale estero, che deve poter contare su una situazione interna stabile. Oggi questa garanzia non c'è più: i golpe dimostrano una mancanza di stabilità.
Mercoledì, 26 gennaio Su tutti i quotidiani appaiono decine di dichiarazioni, appelli e proposte inviati dai nigeriani al generale Ironsi.
Sul "Morning Post" esce la lettera di un bambino di nove anni, G.A. Amuk, il quale scrive: "Vi prego di pubblicare questa lettera. Il vecchio governo non valeva niente e sono felice che ce ne sia uno nuovo. Invito tutti i bambini delle scuole a collaborare con i militari. Viva il generale Ironsi! ".
L'Unione dei lavoratori delle banche e assicurazioni invia un telegramma al generale Ironsi: "Sei il più grande liberatore che la Nigeria abbia mai avuto. Il Tuo nome e quello dei Tuoi splendidi ufficiali che hanno spazzato via il vecchio regime si iscriverà a lettere d'oro nei cuori dei morti, dei vivi e di coloro che devono nascere".
Il Comitato centrale del marxista Socialist Worker's and Farmer's Party stila un programma in diciotto punti nel quale, tra le altre cose, propone che il governo del generale Ironsi: a) convochi una commissione per appurare gli abusi commessi da ministri, ambasciatori e direttori di imprese statali; b) instauri un controllo sui guadagni delle imprese straniere; c) sviluppi il commercio con tutti i paesi del mondo; d) espella dalla Nigeria tutti i membri del peace corp americano; e) espella dall'apparato di sicurezza della Nigeria tutti i non-nigeriani.
"Milioni di nigeriani oppressi," scrive il quotidiano "Nigerian Outlook" che esce in Nigeria orientale, "possono finalmente essere felici! Noi che ci vergognavamo del nome della Nigeria, adesso ne siamo orgogliosi! I politici del vecchio regime, invece di avvicinarci gli uni agli altri, ci hanno divisi con l'odio; invece della libertà ci hanno dato la più nera tirannide; invece della giustizia, l'ingiustizia, invece del sacrificio, la corruzione. Quale futuro ci aspetti lo sa solo Iddio, ma una cosa è certa e cioè che dai resti di una società disgregata sta nascendo una NUOVA NAZIONE. Siamo convinti che sotto il governo dei militari questa nostra corrotta ed empia società vedrà un'epoca di radicali riforme." "Per lungo tempo siamo stati a guardare il nostro grande paese affondare nella rovina e nella distruzione," scrive il "West African Pilot". "La democrazia è stata gettata in pasto ai cani. Ci hanno imposto di genufletterci davanti a quattro teste di porco dicendoci che erano i nostri capi. Il vecchio regime ha indotto i nigeriani a considerarsi nemici tra loro.
Non osavamo alzare la testa dalla vergogna, rantolavamo senza più aria da respirare. Chi di noi era ancora in grado di parlare si appellava ai nostri capi, ma quelli si limitavano a ridere: le sofferenze delle masse li rallegravano. Quella manciata di politici voleva governarci all'infinito, a qualunque prezzo, e quando il popolo non è più stato d'accordo è cominciata l'era del terrore. In pieno giorno si bruciava la gente e si dava fuoco alle case, migliaia di innocenti sono stati massacrati per appagare l'avidità dei dittatori accecati dal potere. Le crudeltà si susseguivano una dopo l'altra alla luce del sole, eppure coloro che ne erano responsabili continuavano a dirci che dovevamo essere felici. Finalmente è giunto il 15 gennaio, giorno in cui il nostro Esercito di liberazione è venuto a salvarci e a renderci tutti felici: perfino i bambini non ancora nati hanno sentito la gioia in grembo alle loro madri. Oggi per la prima volta siamo veramente liberi! " Giovedì, 27 gennaio Le caserme sono situate alle tre estremità di Lagos. Vi stazionano tre battaglioni militari che costituiscono un terzo di tutto l'esercito. Il trentatreenne brigadiere Zakariya Maimalari, capo della guarnigione della capitale e uomo di fiducia del vecchio regime, è stato fucilato il 15 gennaio. Non si conosce il numero degli ufficiali periti nei giorni del golpe: qualcuno parla di venti morti, altri addirittura di cinquanta.
Ci sono stati due attentati falliti contro il generale Ironsi. Si dice che dietro le mura delle caserme siano ancora in atto i combattimenti. Qualcuno dice di aver sentito degli spari nelle caserme di Akyia, qualcun altro ha visto arrestare due ufficiali.
Venerdì, 28 gennaio Alle nove di sera il generale Ironsi ha letto alla radio un proclama alla nazione. Ha iniziato col dire che tutti i nigeriani desiderano vedere la fine del regionalismo e delle discordie tribali. Ha affermato che il governo militare cercherà di fare in modo che la Nigeria diventi un'unica e forte nazione, ha annunciato la lotta contro la corruzione e ha dichiarato che in Nigeria "non ci sarà più posto per capitalisti stranieri e locali privi di scrupoli", ma che gli onesti investitori potranno "dare il proprio contributo allo sviluppo economico del paese.
Ha annunciato "drastici tagli" alle spese dello Stato, la lotta contro la disoccupazione e una serie di riforme volte a migliorare il tenore di vita.
Sabato, 29 gennaio Stanotte sono trascorse due settimane dalla caduta del vecchio regime. I militari hanno ordinato un ribasso dei principali prodotti di mercato. Il governatore del Nord, maggiore Hassan Katsina, è stato promosso tenente colonnello.
11 agosto A Lagos regna la calma, ma c'è da chiedersi quanto durerà.
Nel giro di sei mesi la Nigeria ha già vissuto due colpi di Stato: in gennaio i militari hanno rovesciato il governo civile e, sei mesi dopo, il loro stesso regime. Se ne deve dedurre che attualmente la Nigeria sia priva di un governo, affermazione che in effetti non è molto lontana dalla verità. Il tenente colonnello Yakubu Gowon, uno dei pochi ufficiali sopravvissuti alla serie di sanguinosi scontri che da sei mesi decimano lo Stato maggiore dell'esercito nigeriano, ha dichiarato alla radio di assumersi la temporanea "responsabilità", ma senza parlare del potere. Quindi il tenente colonnello non ha preso il potere, ma ha semplicemente accettato di dirigere per qualche tempo le sorti del paese. Visto che oggi in Nigeria non esistono partiti, né corpi di rappresentanza, né parlamento né governo, evidentemente è mancato qualcuno che potesse caricare sulle spalle del tenente colonnello l'oneroso fardello del potere. Lui non si è sentito di farlo personalmente e gli altri non ne avevano l'autorità.
Da un punto di vista tecnico, a nominare Gowon capo dello Stato sono stati i giornalisti. Così vanno le cose in questo mondo. Sebbene siano stati rovesciati due regimi e gli ottantaquattro partiti politici non siano più in vita, la stampa è sopravvissuta. Si tratta di quotidiani privati, che nelle situazioni difficili devono cavarsela da soli. L'esistenza di un immenso paese in cui ufficialmente nessuno detiene il potere è senza dubbio una situazione difficile. Sono stati precisamente i giornalisti, e nessun altro, che hanno cominciato a chiamare Gowon "capo del governo nazionale militare" e "co-. mandante supremo delle forze armate" e la cosa è invalsa al punto che ormai tutti lo chiamano così. Riferendosi al tenente colonnello i giornalisti dovevano usare un qualche titolo e, nel caso di Gowon, hanno scelto quello di capo del governo, sebbene sia noto che non esiste alcun governo, che nessuno ha nominato Gowon capo del governo e che lui stesso non si considera tale.
La storia degli ultimi avvenimenti nigeriani dà molto da pensare anche sotto un altro punto di vista: sono sei mesi che in questo immenso e complicatissimo paese, sovraccarico di conflitti e di contraddizioni, non esiste governo, non esiste parlamento, non esiste Costituzione, non esistono partiti politici, non esistono coalizioni, non esistono né una monarchia né una repubblica, non esiste una cricca governativa, non esistono né una dittatura né un dittatore; in una parola, non esiste niente di quello che universalmente si ritiene debba esserci. E che succede?
Assolutamente niente.
Il paese continua a vivere, a lavorare e ad andare avanti.
Chi ha un lavoro continua a ricevere regolarmente lo stipendio, i contadini coltivano i campi, i bambini vanno a scuola, nelle città c'è il traffico di sempre, i negozi sono ben forniti e tutto è più che normale.
Strano paese. Strana situazione.
In questi giorni in Nigeria si prega molto. I giornali pubblicano preghiere che proteggano il paese da nuove disgrazie e invitano i fedeli a moltiplicare gli atti di devozione perché la Nigeria non sprofondi in un'irreversibile rovina. Oggi il "Nigerian Daily Sketch" scrive che "ad Akura il profeta della Chiesa apostolica di Cristo ha invitato i propri fedeli a tre giorni di preghiere e digiuno per salvare la pace e l'unità della Repubblica nigeriana. Il profeta ha dichiarato di pregare affinché Dio aiuti il nuovo regime in tutte le sue iniziative".
Lo stesso giornale riferisce che "l'imam principale della moschea centrale di Lagos, Alhaji Liadi Ibrahim, ha invitato i fedeli di tutte le moschee della capitale a continuare a pregare Allah perché conceda al paese un buon governo". "L'imam principale," scrive il quotidiano, "ha recitato speciali preghiere mattutine per la pace e l'unità della Nigeria e per invocare la divina protezione sul tenente colonnello Yakubu Gowon, che Allah lo guidi su tutte le vie dell'umana esistenza." Il "Morning Post" riferisce che "sotto la guida dell'apostolo Adeleke Adejobi, i fedeli della Chiesa del Signore hanno iniziato tredici giorni di preghiere sul Monte Tabor (vicino a Ogere) per invocare il ritorno della pace e dell'unità in Nigeria".
Lo stesso giornale riporta la predica del parroco della cattedrale della Chiesa di Cristo a Lagos, F.O. Segun, secondo il quale la Nigeria è precipitata tanto in basso che "se Gesù Cristo in persona volesse venire a Lagos, non gli verrebbe concesso il visto d'ingresso e la televisione si rifiuterebbe di riprenderlo".
Il "Daily Times" scrive che il capo della Chiesa metodista del distretto di Ibadan, reverendo O. Saleko, "ha invitato tutta la nazione nigeriana a una rinascita morale che le permetta di condurre una guerra senza pietà contro il furioso demone della discordia che oggi cerca di annientare il nostro popolo".
Grande impressione ha suscitato un'informazione riferita dal "West African Pilot" (11 agosto 1966) circa la visione che il profeta della Chiesa di Gesù a Lagos, Glover Oba Olorum Ogung-Bamila Pedro Ilaje, aveva avuto il 7 giugno. Il giorno dopo il profeta si era recato alla residenza dell'allora capo del governo nigeriano, generale Aguiyi-Ironsi, per metterlo in guardia contro un pericolo imminente. "Purtroppo," scrive il giornale, "la polizia ha fermato e addirittura arrestato il profeta." Inutile aggiungere che due settimane dopo il generale veniva rapito e ucciso. Il 30 luglio, durante un'altra delle sue infauste profezie sulla Nigeria, il profeta era stato nuovamente arrestato dalla polizia, esasperata e furiosa. Tuttavia, guidato da forze soprannaturali, aveva dichiarato alla stampa: "Ogni volta che mi succederà di prevedere nuove sciagure per il paese continuerò a mettere in guardia il mio popolo in veste di profeta che parla nel nome del Signore L'atteggiamento della polizia verso il profeta appare incomprensibile al giornalista, tanto più che il primo colpo di Stato nigeriano del 15 gennaio era stato preannunciato anche dal profeta Oba Salam Amin J.T. Durojaiye di Ekotedo, nel distretto di Ibadan. Conservo come una delle massime curiosità giornalistiche sia la profezia che la foto di questo profeta.
Fu pubblicata esattamente alla vigilia del primo colpo di Stato, il 14 gennaio, sul quotidiano "Nigerian Tribune". Accanto alla profezia la redazione aveva aggiunto le fotografie del premier Balewa e di chief Akintola, ossia proprio i politici che ventiquattr'ore dopo l'uscita del giornale sarebbero periti per mano degli attentatori.
La profezia di Salam Amin, stampata in prima pagina, dice: "Ho visto una grande mandria di enormi mucche che cadeva sulla Nigeria dai quattro angoli del cielo [...] il popolo nigeriano scappava nella giungla e saliva sugli alberi [...] per la paura la gente sudava, le sudavano perfino i piedi. [...]
Nell'aria è risuonato un grido stentoreo: guerra, guerra! [...]
Chiesi a Dio che cosa significasse quella mia visione [...] e il Signore mi rispose: tra non molto in Nigeria ci sarà una guerra.
[...] Quando gli chiesi che cosa dovessi fare [...] mi rispose di informare della visione il Consiglio dei ministri [...] così il popolo si sarebbe messo a pregare perché il Signore scendesse sulla terra e prendesse il potere in Nigeria. [...] Vorrei ricordare," conclude il profeta, "che, già nel 1962, diffondemmo con Sua Maestà il re di Ibadan, il defunto Olubaden Ibadan Oba Akinyele, dei manifestini contenenti una mia profezia, ma il governo della Nigeria non vi prestò nessuna attenzione' Il giorno successivo alla pubblicazione della profezia di Salam Amin sul "Nigerian Tribune" il governo non esisteva più.
Il trentaduenne tenente colonnello Yakubu Gowon è un uomo snello, di bell'aspetto e molto intelligente. Come tutti i giovani ufficiali del posto ha un modo di fare semplice e modesto. Nei due colpi di Stato ha dato prova di eccezionale coraggio e di riflessi fulminei. Finora è apparso in pubblico una sola volta (in occasione di una conferenza stampa). Governa dalla caserma, lascia raramente il suo ufficio e vive sotto stretta sorveglianza. Ieri l'ho visto attraversare la città su una Mercedes verde, preceduta e seguita da jeep cariche di mitragliatrici e di soldati. Apriva la colonna una macchina della polizia a sirene spiegate. La gente si affollava ai lati della strada per acclamare il giovane tenente colonnello.
Gowon deve stare sempre all'erta.
L'esercito è smembrato, decimato: impossibile stabilire quali siano i reparti fedeli al nuovo regime e quali no. Finora le perdite maggiori sono avvenute proprio tra i militari che hanno sparato gli uni contro gli altri. Il corpo ufficiali, ormai ridotto alla metà, si compone di elementi molto giovani, fanatici, in contrasto tra loro e dalla pistola facile. Nel primo golpe sono stati gli ufficiali ibo a massacrare gli ufficiali hausa e yoruba; nel secondo sono stati gli ufficiali yoruba e hausa a massacrare gli ufficiali ibo. Sono sopravvissuti in pochi.
L'odio tribale, questa mostruosa, diabolica ossessione africana, è stato dotato di armi automatiche e la falce della morte si abbatte su sempre nuovi ufficiali. Vanno a letto senza sapere se vedranno l'alba.
Chi vuole capire l'Africa dovrebbe leggere Shakespeare.
Nelle tragedie politiche di Shakespeare i protagonisti muoiono tutti, i troni grondano sangue e il popolo contempla muto e atterrito il grande spettacolo della morte.
Qui accade lo stesso. Entrambi i golpe hanno avuto un carattere di congiura segreta i cui particolari non sono mai stati resi noti né, forse, mai lo saranno poiché i loro protagonisti sedi portano nella tomba. Al mondo viene rivelato soltanto l'esito finale. Non c'è quindi da meravigliarsi che il popolo resti apatico: viene informato soltanto a cose fatte, dopo che il sangue è stato lavato via dal pavimento.
Si dice (sebbene di lui all'epoca non si sentisse ancora parlare) che Gowon fosse il numero due del governo militare del generale Ironsi. Ironsi, come dicono gli inglesi, era un reluctant leader, nel senso che esercitava il potere senza entusiasmo e che il suo avanzamento politico era dipeso più da un concorso di circostanze che da un desiderio personale. Non usciva mai dalla sua residenza, protetta sul davanti da un carro armato e sul retro da un cannone corazzato. Finché ci restava, era al sicuro. In luglio finì per uscirne, e fu la sua fine.
Secondo la versione ufficiale sarebbe stato rapito e ucciso dai soldati ribelli. Gli ibo (dai quali proviene Ironsi) affermano che "Ironsi è vivo e tornerà". Si tratta probabilmente di una leggenda, perché a rigor di logica dovrebbe essere, anzi è, sicuramente morto. Certo è che Ironsi viveva nella paura perché conosceva meglio di chiunque altro il proprio esercito e sapeva che si componeva di elementi contrastanti come l'acqua e il fuoco. Prendeva le decisioni a malincuore: se avesse potuto, non avrebbe fatto niente, avrebbe lasciato tutto com'era. Ma, continuamente soggetto a pressioni, era costretto a cedere.
Non aveva un suo programma personale: come capo era una figura casuale e non aveva mai dato l'impressione di amare il proprio ruolo. Era un uomo senza ambizioni politiche.
La Nigeria ha capi sempre più giovani: Balewa aveva cinquantaquattro anni, Ironsi quarantuno e adesso Gowon trentadue.
Gowon proviene dalla tribù tiw, che occupa la parte centrale della Nigeria. I tiw, la cui popolazione ammonta a oltre un milione, sono agricoltori laboriosi. Secondo la loro fede l'uomo si compone del corpo e della sua ombra; l'ombra dell'uomo è l'anima. Richard Sklar li definisce "un'organizzazione tribale anarchica", ma si tratta di un'osservazione troppo superficiale. La verità è che i tiw si sono organizzati in clan, ma senza creare un potere centrale. Ogni volta che c'è da prendere una decisione o da risolvere un conflitto, i diretti interessati si riuniscono e risolvono la questione a maggioranza di voti. Quindi tra i tiw non esistono funzionari, né un'élite, né un apparato del potere. Si differenziano soltanto per l'età: più uno è vecchio, più è importante. Incontrandosi, due tiw che non si conoscono stabiliscono per prima cosa chi dei due sia più vecchio, dopo di che il più giovane deve obbedire al più vecchio anche se lo vede per la prima volta in vita sua. Tra i tiw più estesa è la calvizie, maggiore il potere.
A proposito dei golpe militari africani, il giurista nigeriano Dan Zaki scrive nel numero di agosto dell'"African Statesman" (un'interessante rivista trimestrale pubblicata a Lagos): "In Africa i colpi di Stato militari, come mezzo per rovesciare i governi, sono diventati di moda e cominciano a rappresentare una parte integrante della vita politica del continente.
"Negli anni del colonialismo i moti di liberazione africani concentravano gli sforzi sul raggiungimento dell'indipendenza, loro principale obiettivo. Ma poiché la maggior parte degli Stati africani ha frontiere arbitrariamente create dalle grandi potenze coloniali, della loro composizione sono entrate a far parte tribù e culture diverse e le differenze che le separano sono fonte di tensione politica.
"Su questo sfondo si è creato un crescente malcontento, dovuto principalmente alle seguenti cause: la nascita di una borghesia nazionale corrotta, spietata e piena di disprezzo per i propri elettori; l'aggravarsi della crisi economica, unita alla cinica indifferenza di una parte dei dirigenti politici circa i suoi effetti sulla popolazione; la politica degli investimenti di prestigio camuffata da slogan riguardanti il bene pubblico ma, in realtà, destinata a trasferire i capitali dello Stato sui conti privati dei politici; la liquidazione o l'insabbiamento delle istituzioni democratiche e giudiziarie; gli stravaganti, dispendiosi e inutili viaggi all'estero dei politici e delle loro famiglie a spese dello Stato; i brogli elettorali; la crescita e l'isolamento di un'intellighenzia declassata; l'abbassarsi degli stipendi e del livello di vita dei lavoratori; la mancanza di una pianificazione economica; i parlamentari delusi ma anche corrotti; una stampa pavida e disorientata, dedita più a sofisticare che all'onesto e approfondito commento dei fatti; infine, la disoccupazione crescente. Sono questi i bacilli che minano la salute degli Stati indipendenti africani. Quando un popolo si trova davanti un governo brutale, spietato e al tempo stesso incompetente; un governo sordo alle necessità della società e incapace di riforme; un governo che ha creato un sistema che esclude qualsiasi possibilità legale di cambiare l'équipe al potere, ebbene questo popolo deve ricorrere all'unico mezzo di cui dispone per liberarsi dei presuntuosi: il colpo di Stato".
Dan Zaki passa quindi a descrivere le disgrazie del tribalismo: "I più chiassosi leader nazionalisti del continente hanno sotto sotto elaborato una strategia che porta alla disintegrazione dei nostri Stati. Le associazioni e le organizzazioni tribali incaricate di sviluppare l'attività culturale e didattica trascurata dai colonialisti sono state trasformate in associazioni politiche, sostenute da quegli stessi apostoli della nuova Africa che da una parte proclamavano l'unità e segretamente rinfocolavano la divisione etnica. Alcuni di questi leader, vedendo minacciata la propria carriera, hanno cominciato a invocare la solidarietà della loro tribù. In Uganda, sotto lo strato superficiale della crisi politica si sviluppa la cospirazione dei baganda contro le tribù del Nord; in Kenya, quella dei kikuyu contro i luo; in Nigeria, il triangolo dell'odio formato da yoruba, ibo e hausa; in Sierra Leone, i mende contro i creoli; nel Dahomey, il Nord contro il Sud. I leader un tempo su posizioni nazionaliste cominciano a diffondere tra i loro fratelli tribali la pericolosa e settaria teoria secondo la quale essi rappresenterebbero la tribù eletta cui spetta il ruolo di consolidare la rivoluzione africana. Ne è nata una violenta reazione a catena, è stato gettato il seme della diffidenza e l'unità del paese si ritrova debole e minacciata.
"Come mai i movimenti politici che hanno lottato per l'indipendenza africana precipitano in modo così disastroso?
La risposta è che, all'epoca della lotta, quei movimenti non possedevano né un chiaro e solido programma politico né un'ideologia o una filosofia che guidasse la loro azione politica.
I capi politici raffazzonavano slogan e inventavano demagogiche parole d'ordine da contrabbandare come prove della loro onestà e come irrefutabile dimostrazione di essere capaci di dirigere lo Stato e di innalzarlo ai vertici della felicità.
Inventavano rozzi e indigeribili surrogati del socialismo a puro scopo demagogico. I cosiddetti ministri socialisti (visto che i loro partiti si dichiaravano per il "socialismo") non si vergognavano di impiantare fabbriche private o addirittura di impadronirsi di interi settori industriali e di collaborare con il capitale europeo. Gli operai e i contadini, rappresentanti l'avanguardia del movimento di liberazione, si accorsero presto che la tanto sognata indipendenza era solo una facciata e che in quasi tutti i paesi africani i capitalisti bianchi erano stati sostituiti dai capitalisti neri. Tribalismo e nepotismo erano diventati l'unico mezzo per avanzare e fare carriera.
Le università, che avrebbero dovuto diffondere un pensiero illuminato, erano state trasformate in enclave tribali".
L'autore conclude: "Oggi il maggiore pericolo per il futuro di tutti i paesi africani è rappresentato dalle guerre tribali divampanti con forza inaudita. Ma di fronte alla disgregazione della struttura sociale e al diffondersi di una generale insicurezza l'intervento armato diventa una necessità storica e, malgrado tutti i limiti dell'istituzione militare, l'esercito può temporaneamente mantenere l'unità del paese".
10 agosto "A mezzogiorno," informa il "Nigerian Tribune", "le tenebre si sono dissolte e il cielo si è illuminato di una radiosa aurora." Il fenomeno ha avuto luogo in Nigeria il 3 agosto 1966, mentre chief Obafemi Awolowo usciva dalla prigione di Calabar.
Sulle colonne dello stesso giornale Bola Oragbaiye confessa di porsi da tempo una domanda: "In che cosa consiste il segreto della grandezza di chief Awolowo?". Da molti anni Bola continua a porsi quest'interrogativo. "Vivere con una domanda così tormentosa sarebbe insopportabile," scrive, "se non mi sostenesse la fervida speranza di trovarvi prima o poi una risposta." Per íl momento Bola si consola dicendosi che la mente umana è troppo piccola per concepire la grandezza di chief Awolowo. "Chiunque provasse a enumerare i meriti di chief Awolowo," afferma Bola, "si troverebbe presto a corto di numeri, poiché le sue virtù sono sconfinate." Ciò nonostante secondo Bola tutti dovrebbero credere fermamente nella grandezza di quest'uomo e ogni scetticismo a questo riguardo non può che denotare un sintomo di infermità mentale ("Chiunque dubiti anche minimamente che chief Awolowo sia grande dovrebbe sottoporsi senza indugio a una visita psichiatrica").
Dello stesso parere è anche Orno Ekun, il quale scrive: "Chief Awolowo è la grandezza fatta persona. L'incapacità di riconoscerla o il nutrire qualche riserva circa l'assoluta superiorità di Awolowo su chiunque altro è il chiaro indizio di un disturbo mentale" ("Nigerian Tribune").
Per convincersi degli argomenti di Bola Oragbaiye e di Orno Ekun basta leggere un opuscolo su chief Awolowo edito alcuni giorni fa a Lagos. L'opuscolo, intitolato Awo, l'Uomo.
Awo, la Guida. Awo, il Profeta. Awo, il Salvatore, è stato scritto da G.B.A. Akinyede e viene venduto nelle strade al prezzo di uno scellino.
"La liberazione di chief Awolowo a opera del governo del tenente colonnello Gowon," scrive Akinyede, "ha suscitato una violenta e folgorante ondata di gioia in tutta l'Africa, nei paesi del Commonwealth britannico e nel mondo intero." A compierlo è stata la mano della Provvidenza. "È stata la Provvidenza a ispirare la sua liberazione per diradare e disperdere le tenebre in cui brancolavamo impotenti." "La Provvidenza," prosegue G.B.A. Akinyede, "ha elargito la sua fiducia 'a chief Awolowo. Mentre si recava nell'Ade, egli aveva predetto l'avvento delle tenebre: infatti, appena ebbe varcato la soglia della prigione, il cielo si copri di nubi, si fece notte in pieno giorno e calò la più completa oscurità; seguirono terremoti, tormenti, epidemie, tradimenti e grandi sofferenze. Ma nel lasciare la prigione chief Awolowo ha detto: `La luce sia', ed è venuta la luce; `Venga la pace', ed è venuta la pace e con essa sono cessati i terremoti, i tormenti, le epidemie, i tradimenti e le grandi sofferenze! Ye! Ye!
"Certuni," prosegue, "considerano chief Awolowo una guida, e infatti è una guida straordinaria. Altri dicono che è un profeta, e infatti è un grande profeta. Ma, soprattutto, migliaia di saggi lo ritengono un salvatore. Sì, oggi egli è il più grande tra i grandi. Possiamo anzi dire che è veramente il Grande.
"Come i grandi profeti dell'Antico Testamento, chief Awolowo ha portato da solo la sua croce sulle spalle. Alcuni dei suoi seguaci si sono comportati come Giuda, altri come Pietro, ma molti gli sono rimasti fedeli. E, come Gesù, anche lui può dire ai Giuda e ai Pietro: `Perché mi avete abbandonato?
Perché mi avete rinnegato?'. Oggi chief Awolowo può dire a noi tutti: `Non temete, sono io. Ciò che a voi pare un miracolo è opera del Signore'. Lui, che è il più grande tra i figli della Nigeria, può dire: `Il Signore li ha perdonati anche se sapevano quel che facevano'." Altre penne inneggiano alla grandezza di chief Awolowo.
"La liberazione di chief Awolowo," afferma Elleh Kcorr sul "Nigerian Tribune", "rappresenta l'atto di nascita di quel Messia a noi tanto necessario, giacché solo un Messia può salvare dallo sterminio la nostra Nigeria e, soprattutto, la sua regione occidentale." E aggiunge: "Se, come dice qualcuno, chief Awolowo non è l'odierno Messia, allora non so proprio chi sia".
Elleh Kcorr si dice soprattutto colpito da un paradosso insito nella grandezza di chief Awolowo: "Si resta stupefatti al pensiero che chief Awolowo ha il corpo e l'anima di un uomo normale e sembra in tutto e per tutto una persona comune".
La liberazione di chief Awolowo ha ispirato a un poeta di nome Jola West la poesia intitolata Storia delle gesta di Awolowo: Mio eroe, Vostro eroe, Nostro eroe Primo tra i Primi; Grande tra i Grandi; Sta in maestà, la legge nella voce, il destino nelle mani: Sapiente, maturo e sapiente, maturo e buono.
Awolowo, il Profeta.
Andava verso la Grandezza e l'ha trovata.
Non si è fatto ingannare, Volevano il suo sangue, ma lui si è limitato a guardarli.
Le sue profezie si avvereranno.
Dice: mi sono affrettato, Come re ho diritto al trono.
L'uomo Grande deve raggiungere la Grandezza ha detto [Awolowo.
Giunto Awo, è giunta la luce.
Il cielo ha spalancato le porte Dove si affollano schiere d'angeli e d'anime umane Cantando le lodi di chief Awolowo: Vieni Awo, vieni a prendermi O mia consolazione grande.
Awo li ha guardati e angeli e anime si sono ritirati A rallegrarsi e gioire.
La sua grandezza è l'ornamento di tutto.
Oriente, Occidente, Settentrione e Mezzogiorno, Sara e Daniele tutti chini in ginocchio davanti a lui.
("Nigerian Tribune", 20 agosto 1966)
Ma, in realtà, in che cosa consiste la grandezza di chief Awolowo? O, più esattamente: da dove nasce il culto della sua persona?
Awolowo appartiene alla generazione più anziana dei politici africani, la generazione dei Burghiba, dei Banda, degli Houphouèt-Boigny. È nato nel 1906 da una famiglia di coltivatori, non lontano da Lagos. Il suo villaggio natale si chiama Ikenne ("Ho compiuto un pellegrinaggio a Ikenne, questa Nazareth della Nigeria..." scrive oggi Olawumi Falodun) e si trova nella terra degli yoruba.
Awolowo è uno yoruba. Finita la scuola, diviene via via insegnante, impiegato, giornalista e impresario di trasporti.
Nel 1944 va a studiare Legge a Londra. Un anno più tardi vi fonda un'associazione di yoruba intitolata Egbe Orno Oduduwa (gli yoruba credono di discendere da un comune antenato di nome Oduduwa).
Inizia così la carriera di Awolowo. Ha trentasei anni. Lo Egbe Orno è una sorta di massoneria tribale. Inizialmente agisce alla luce del sole, in seguito assumerà progressivamente le forme di un'intesa segreta, di una sorta di mafia: la mafia degli yoruba. Si sa dell'esistenza dello Egbe Omo, ma nessuno ammette di farne parte. Durante le sue riunioni segrete verranno prese risoluzioni decisive circa la sorte degli yoruba.
Awolowo, ideatore e fondatore dello Egbe Orno, ne ha anche redatto il programma. Lo Egbe Orno si prefigge di: a) sviluppare e diffondere il nazionalismo yoruba; b) rafforzare le istituzioni monarchiche yoruba; c) creare lo Stato degli yoruba.
Il programma non contiene il minimo accenno alla liberazione dell'Africa né a quella della stessa Nigeria. L'attenzione si appunta esclusivamente sulla terra degli yoruba.
Gli yoruba abitano la regione della Nigeria occidentale.
Secondo lo stesso Awolowo sarebbero tredici milioni; secondo altre fonti, sei. La cifra esatta sta probabilmente tra questi due estremi. Tra le popolazioni africane gli yoruba occupano una posizione esclusiva poiché da secoli vivono nelle città. In Africa, continente rurale e contadino, le città yoruba rappresentano un fenomeno storico. L'organizzazione statale degli yoruba ricorda l'antica Grecia delle città-stato. Ogni città yoruba ha il suo re, che si chiama Oba. Gli Oba sono divisi secondo una gerarchia composta da cinquantuno gradini. Gli yoruba hanno mantenuto fino a oggi questo assetto feudale e sono molto orgogliosi che nessun altro popolo al mondo abbia tanti re come loro. Il gran numero di re deriva dal fatto che la monarchia yoruba è decentralizzata: esistono re più o meno importanti, ma manca un re principale che accentri il potere nelle sue mani. Si può quindi dire che, malgrado il suo rigido formalismo, il feudalesimo yoruba sia mitigato da una venatura di democrazia.
Gli yoruba sognano tutti di diventare o feudatari o uomini d'affari, ma quelli che ci riescono sono pochi. Gli yoruba esportano cacao e in questo campo sono i diretti concorrenti degli ashanti del Ghana. Gli ibo, che non amano gli yoruba, li accusano di essere presuntuosi, attaccabrighe e imbroglioni.
Se, passando per Ibadan, si sente uno strepito infernale, non c'è da preoccuparsi: sono due yoruba che parlano tra loro. Gli yoruba hanno una lingua difficilissima, con una struttura tonale il cui suono ricorda vagamente il cinese.
Si vestono in modo ricco, elegante, aristocratico. Le vesti delle donne sono quasi sempre azzurre, il colore dell'amore.
L'intera cultura yoruba è intrisa di un'intensa sensualità, passata poi alla cultura sudamericana, soprattutto a quella brasiliana e cubana. Al tempo della tratta degli schiavi gli yoruba si combattevano spietatamente tra loro e si vendevano gli uni con gli altri ai negrieri americani. In America i discendenti degli yoruba hanno mantenuto fino a oggi molti elementi culturali dei loro avi e le danze yoruba si ritrovano nelle feste popolari dell'Avana, di Rio de Janeiro e nelle cittadine di Haiti.
Memore di quest'aspetto universale della cultura yoruba, Awolowo introduce nel primo direttivo dello Egbe Omo Adeyomo Alakija, un brasiliano discendente degli yoruba.
Awolowo è il creatore e l'ideologo del movimento "panyoruba".
Inocula agli yoruba il nazionalismo: non il nazionalismo pan-africano o pan-nigeriano, ma un particolare e conservatore nazionalismo yoruba. Awolowo consolida gli yoruba, accelera il loro processo di autoidentificazione, accentua le loro peculiarità e i loro lati comuni.
Nel 1947 rientra in Nigeria con il titolo di avvocato e apre uno studio privato. Trasferisce qui anche l'attività dell'Egbe Omo. Gode di una certa fama: in Africa la professione dell'avvocato rende estremamente popolari. Gli africani amano farsi causa, il tribunale è la loro grande passione. I giornali sono sempre pieni di cronache giudiziarie. Quella dell'avvocato è una qualifica prestigiosa, l'avvocato sa che cosa sia lecito e che cosa no e la gente lo guarda con ammirazione: uno così sa come muoversi e come evitare le trappole.
Nella Nigeria coloniale la professione avvocatizia garantisce anche una posizione politica di primo piano. La partita dell'indipendenza non si gioca sul fronte militare né sotto il fuoco della rivoluzione. Tutto si svolge nell'ambito del cosiddetto constitutional progress, attraverso discussioni e patteggiamenti nel rispetto delle leggi coloniali: se i partiti di liberazione cominciassero a infrangere la legge, gli inglesi li scioglierebbero.
Sono le tipiche circostanze in cui si impone la presenza di un avvocato. La politica inglese agisce sempre nell'ambito della legalità, per cui la conoscenza giuridica facilita a un avvocato la carriera politica. Alla vigilia dell'indipendenza, nel parlamento nigeriano gli avvocati costituivano per numero la seconda associazione professionale dopo quella degli uomini d'affari. Nella direzione di ogni partito nigeriano si trovava sempre un gruppo di cosiddetti legal advisers (consiglieri giuridici) che di solito esercitavano una forte influenza sulla strategia del partito.
Due anni dopo il suo rientro in Nigeria, Awolowo fonda il proprio quotidiano: quel "Nigerian Tribune" che ancora oggi è il principale portavoce della questione yoruba. Nel 1951 Awolowo fonda LAction Group Party, che rappresenta l'ala politica, o lo strumento politico, della Egbe Omo Oduduwa.
Nel 1954 la federazione della. Nigeria è ancora una colonia, ma le tre regioni che la compongono ottengono l'autogoverno interno. L'Action Group Party crea il governo nella Nigeria occidentale. Ne diventa presidente il capo del partito, Obafemi Awolowo.
Da quel momento in poi la politica di Awolowo resterà irretita nella stessa insanabile contraddizione che da anni lacera internamente la Nigeria e che è all'origine della sua micidiale crisi permanente. Il partito guidato da Awolowo è il partito degli yoruba. Il governo di cui Awolowo è premier è il governo della regione abitata dagli yoruba. Ma gli yoruba, l'Action Group Party e la regione occidentale non sono che una parte della Nigeria e Awolowo aspira a conquistare il potere su tutta la Nigeria. Per questo potere è in corso una lotta accanita tra gli yoruba dell'Ovest, gli hausa del Nord e gli ibo dell'Est. Impossibile creare una duratura comunione di interessi: tutte le coalizioni sono labili e provvisorie. Il vero movente della lotta è l'aspirazione di ognuno di quei popoli a dominare gli altri due. Ognuno di essi è favorevole alla Nigeria unita, ma a una Nigeria posta sotto il suo dominio.
Ognuno di questi popoli si rende comunque conto della propria debolezza: è forte solo entro le frontiere della propria regione, al di fuori delle quali è oppresso e discriminato. Gli inglesi hanno posto l'appetitoso boccone abbastanza in basso perché se ne senta il profumo, ma troppo in alto perché si riesca ad afferrarlo.
La Nigeria eredita dagli inglesi una Costituzione che concede al feudale Nord il diritto a una duratura dominazione sul Sud, più borghese ed economicamente meglio sviluppato.
Awolowo cerca di intaccare questo assetto e crea un partito forte: l'Action Group Party è il partito meglio organizzato e più dinamico della Nigeria. Awolowo vi investe somme favolose, poiché in Nigeria la forza di un partito non sta tanto nell'ideologia quanto nel capitale di cui dispone. Awolowo riceve soldi da fonti private, da banche e dal capitale straniero.
Nel 1959, alla vigilia dell'indipendenza, si svolgono le ele-, zioni. Awolowo si dimette dalla presidenza della regione occidentale e si candida alle elezioni sperando di diventare premier della Nigeria. ("La speranza di diventare premier della Nigeria," dirà qualche anno più tardi, "non mi ha mai abbandonato.
Spero sempre di arrivarci.") L'Action Group Party presenta candidati in tutte le regioni del paese, ma esce sconfitto dalle elezioni federali. In Nigeria un ibo non voterà mai uno yoruba o un hausa, un hausa non voterà un ibo o uno yoruba e uno yoruba non voterà un ibo o un hausa. A decidere è quindi la maggioranza numerica e gli yoruba non superano il 20% della popolazione nigeriana.
Dopo le elezioni Awolowo non può né riprendere la sua poltrona di presidente della regione occidentale, già occupata dal nuovo premier (chief Akintola), né diventare premier della Nigeria, che ora è Balewa. Diventa quindi capo dell'opposizione parlamentare, funzione che svolge fino al 1962, anno noto in Nigeria come l'anno della cosiddetta "crisi occidentale": Balewa corrompe Akintola, il quale effettua la scissione dell'Action Group Party e gli yoruba si dividono in due partiti tra i quali inizia un'accanita lotta politica. Balewa fa arrestare Awolowo e lo manda sotto processo con l'accusa di aver congiurato contro il governo. Gli atti dell'accusa parlano di un colpo di Stato. In aula si svolge un processo politico, un processo per il potere: il governo dei feudali hausa vuole rafforzare il proprio dominio sulle ambizioni usurpatrici della borghesia yoruba. Condannato in un primo tempo a quindici anni, poi ridotti a dieci, Awolowo viene incarcerato a Calabar, nella Nigeria orientale, non lontano dalla frontiera con il Camerun. Per il momento la sua carriera è finita.
Ma a questo punto inizia a sorgere il suo mito.
L'incarcerazione di Awolowo provoca una profonda crisi degli yoruba. Il loro solidale nazionalismo, di cui Awolowo era l'apostolo, è stato frantumato nelle lotte tra le fazioni. Il partito secessionista di Akintola ha vinto nello Yorubaland, relegando all'opposizione l'Action Group Party. I progetti di conquistare il potere sulla Nigeria sono falliti. Per giunta gli yoruba attraversano una crisi economica: il prezzo del cacao, base del loro benessere, è sceso. Questo periodo di fragilità e di divisioni interne degli yoruba indebolisce la loro posizione esterna. Contro di loro si ergono gli uniti e disciplinati hausa e ibo, accomunati da una solidale collaborazione: due dinamici nazionalismi che aspettano la definitiva caduta degli yoruba. Questi, internamente divisi, non sono in grado di contrapporre una forza adeguata. La loro importanza diminuisce, le prospettive si riducono.
Il sentimento patriottico degli yoruba attribuisce le cause dello sfascio e del fallimento all'assenza di chief Awolowo.
L'arresto di Awolowo viene interpretato come un complotto contro di loro, come il primo passo di un'offensiva volta ad annientarli. Awolowo aveva ricondotto gli yoruba alla loro genesi, alle ceneri di Oduduwa, dalle quali avevano avuto origine. Poi li aveva portati al potere. A quel punto gli era stato inferto un colpo a tradimento.
Stretto tra due nazionalismi (degli hausa e degli ibo) ostili e in via di espansione, il popolo degli yoruba deve cercare la sua difesa e la sua salvezza nell'attivare a sua volta gli elementi nazionalistici presenti al suo interno, poiché (secondo la logica della situazione nigeriana) il nazionalismo è l'unica forza capace di salvare l'identità e l'indipendenza di una comunità minacciata, l'unica capace di contrastare la pressione esterna.
Il nome di chief Awolowo diventa lo slogan dei nazionalisti yoruba, il loro simbolo di facciata, visto che in Nigeria nessuno può gridare apertamente "Viva gli yoruba!" senza essere accusato di tribalismo. In quest'atmosfera di nazionalistico rimpianto, di rimuginio dei torti e delle umiliazioni, di un graduale ritorno alla speranza di recuperare splendore e importanza, avviene la grande metamorfosi di chief Awolowo: quella che era una figura politica non scevra da errori e debolezze, costretta a nascondere i propri conti in banca alle commissioni di indagine, si trasforma in un mito di fronte al quale "l'Est, l'Ovest, il Nord e il Sud si prostrano in ginocchio".
Dietro le mura di Calabar, chief Awolowo dispone di una casetta con un giardino nel quale va a passeggio ("Mi si spezzava il cuore alla sola idea delle spaventose torture e sofferenze patite da quest'uomo," scrive Aintunde Lalude). Nel frattempo gli yoruba gli sono psicologicamente vicini, sentono che la sua figura subisce una metamorfosi, che si deifica, che diventa grande. Il più grande.
Tra il futuro degli yoruba e il destino di Awolowo si crea una sorta di identificazione: più grande il loro capo, più grandi loro stessi. Più lui è divino, più loro sono immortali. Oltre che il frutto di un'estatica apoteosi, la deificazione di chief Awolowo è anche una manifestazione di orgoglio nazionale: se lui è divino, gli yoruba sono il popolo eletto. C'è anche un senso di autodifesa: innalzato tra gli dei e trasformato egli stesso in un dio, il loro chief viene sottratto alla critica, alle miserie dei comizi elettorali per diventare, come dice il poeta Gola West), "il Primo tra i Primi".
Il carcere è sempre stato un elemento di fondamentale importanza nei processi mitopoietici. Il politico prima della prigione si trova in una posizione sociale completamente diversa da quella dopo la prigione. La prigione lo innalza di rango, gli conquista la fiducia e la simpatia dell'opinione pubblica.
Se l'occasione è propizia può scavalcare d'un balzo i gradini della carriera e talvolta passare addirittura alla storia.
Più la crisi nigeriana si acuiva, più la gente nominava Awolowo.
Se fosse stato rilasciato, avrebbe senz'altro trovato una via di uscita. La gente credeva alla rivelazione: stando chiuso in prigione Awolowo sicuramente rifletteva e poiché ci stava da molto, doveva avere anche molto riflettuto. La gente voleva sentir parlare il suo chief, aspettava le sue parole, il suo programma. Il suo vangelo.
Chief Awolowo è di nuovo tra noi.
Confronto il suo viso con la fotografia che già conosco.
Lo scorso inverno, chiunque si recasse in territorio yoruba doveva portare la foto di Awolowo appuntata alla camicia.
Lungo le strade, pattuglie armate dell'Action Group Party controllavano le auto: "Ce l'hai la foto di Awolowo?".
Se non l'avevi, giù calci e, a volte, anche coltellate. Se vuoi vivere, amico, devi riconoscere la grandezza di chief Awolowo.
Ha la stessa identica faccia di prima: serena, un po' da professore, lo sguardo da miope dietro spesse lenti dalla montatura metallica.
"Dice: mi sono affrettato, come re ho diritto al trono." Lui però parla poco.
È soprattutto occupato a pensare.
24 agosto Stasera a Lagos è mancata la luce.
Una voce ha gridato: "Un altro colpo di Stato! ".
La gente è corsa alle finestre per sentire da dove provenissero gli spari. Faceva buio, l'aria era afosa, minacciava un temporale.
È questa l'atmosfera in cui oggi vivono Lagos, la Nigeria e tutta l'Africa. "Oggi in Africa essere capo dello Stato o del governo è una professione pericolosa," scrive Ronald Matthews. Nel corso degli ultimi tre anni sono oltre venti i paesi africani in cui sono avvenuti colpi di Stato riusciti o falliti. Torna in mente la sagace osservazione fatta nel 1976 dall'imperatore del Brasile, don Pedro III, dopo aver visitato l'esposizione di Filadelfia: "Voi avete più macchine e noi più rivoluzioni".
I dispacci che i corrispondenti spediscono in Europa iniziano sempre con la frase: "Oggi a Lagos giornata tranquilla...".
Si parla della calma perché è una notizia importante, un avvenimento. Io stesso ho spedito una quantità di telegrammi che dicevano: "Nella provincia orientale del Congo regna la calma...", "Già da due giorni a Dar es-Salaam regna la calma...", "Ad Accra tutto è calmo...". Il brutto è che non si possono fare previsioni. Oggi è tutto calmo e domani le strade pullulano di militari, il ponte è sbarrato dai carri armati e alla radio parla un nuovo colonnello.
In questi golpe quello che ci perde di più è il soldato. Non lo lasciano dormire, non lo lasciano mangiare. Ha conquistato il potere, ma non ne ricava alcun privilegio. Nel febbraio di quest'anno ad Accra sono stato fermato da una pattuglia.
In auto avevo la macchina fotografica, la macchina da scrivere, la radio, l'orologio e dei soldi. Dopo la perquisizione, uno dei soldati mi dice: "Dammi qualcosa". "Che vuoi?" gli chiedo.
"I soldi? L'orologio? La radio?" No: voleva che gli dessi un libro. Me ne porto sempre dietro qualcuno: "Scegli pure," ho risposto. Si è preso Delitto e castigo di Dostoevskij in inglese.
Un soldato semplice della seconda brigata del generale Kotoka che aveva compiuto il golpe in Ghana.
Impossibile prevedere che cosa succederà tra un anno. La facilità con cui cadono i regimi locali dà all'esercito un senso di assoluta onnipotenza. Per giunta l'esercito sa di essere ben visto e di esprimere le (spesso ingenue) intenzioni del popolo.
Di solito questi colpi di Stato sono preceduti da agitazioni nell'esercito. La gente amareggiata, che non intravede una prospettiva e la cui vita diventa sempre più dura, comincia a spingere i militari a intervenire. In un paese dove praticamente non esiste un partito, dove ogni opposizione viene stroncata e dove non si vede nessuna possibilità di miglioramento, l'unica speranza resta l'esercito.
È una società agli esordi. Una società ancora debole, non ancora consolidata in organismo o in nazione, indifesa contro la tirannia dei potenti, non interpellata su niente, divisa, analfabeta, non qualificata, afflitta dall'inflazione, imbrogliata dai demagoghi, amareggiata dalle promesse non mantenute, apatica, inesperta, piena di illusioni ma anche di frustrazioni, arrabbiata ma debole, complessata dalla propria impotenza ma aspirante al miglioramento... Conscia dei propri limiti, questa società cerca appoggio in un esercito che lei stessa ammira per la capacità di svolgere azioni efficienti.
Inoltre in Africa i militari godono fama di avere le mani pulite. Qui si è convinti che nelle caserme la corruzione non attecchisca. In questo esercito di medio livello, o addirittura mal pagato, nessuno diventa ricco. I soldati che hanno fatto il golpe in Ghana indossavano vecchie divise e scarponi sdruciti.In Congo ho incontrato soldati che mendicavano (pur avendo il fucile a tracolla). Nel Dahomey l'esercito è al potere da un anno, ma gli ufficiali girano in bicicletta. In paesi dove la politica è corrotta fino al midollo sono elementi che hanno un loro peso.
A proposito di colpi di Stato, il grande drammaturgo nigeriano Wole Soyinka sostiene che essi rispondano anche a una non meno fondamentale motivazione psicologica: quella di placare il bisogno di cambiamento periodicamente ricorrente in tutte le società. "Si tratta di un dato oggettivo dell'organismo sociale," scrive Soyinka sul "Nigerian Magazine", "il quale, a un certo punto, avverte lo spontaneo bisogno di cambiare l'équipe al governo esattamente come l'organismo umano avverte quello di mangiare o dormire. Questo bisogno di rinnovamento del potere viene avvertito anche dalle società più primitive, in quanto i cambiamenti periodici sono indispensabili al buon funzionamento dell'organismo sociale. Le divergenze che insorgono tra il modo di vedere le cose da parte della società e da parte del potere creano una sorta di agonia che la società non è in grado di sopportare troppo a lungo." Il golpe del 15 gennaio è stato preceduto anch'esso da questo periodo di agonia, espresso dalla generale convinzione che qualsiasi altro governo sarebbe stato migliore di questo e che qualsiasi cambiamento avrebbe rappresentato un passo avanti. Forse dipende anche dal fatto che nella vita non esistono solo il grigiore quotidiano, le delusioni e i disinganni, ma che nell'uomo alberga anche una certa dose di speranze e di aspettative e che íl cambiamento gli dà la sensazione di avere l'opportunità di realizzarle.
Dal libro De Lumumba aux colonels di Anicet Kashamura, che ho da poco ricevuto, riporto la bella confessione finale che chiude l'opera. Qualche anno fa quello di Kashamura era un nome noto in Africa. Ministro dell'Informazione nel governo di Lumumba, dopo l'arresto del medesimo aveva preso il potere nella provincia di Kivu. A quell'epoca aveva trentun anni. Lo incontrai a Stanleyville, dove si era recato per un colloquio con Gizenga, ma i rapporti tra i due non erano buoni.
Dopo qualche tempo Gizenga gli inviò un telegramma informandolo che lo destituiva dalla carica di governatore della provincia, al che Kashamura rispose che una decisione del genere poteva essere presa soltanto da Lumumba, sebbene si sapesse che Lumumba era morto da tre mesi. Gizenga era un tipo cauto e riservato, mentre Kashamura, giovane e impetuoso, aveva un carattere impulsivo. I belgi organizzarono ripetuti attentati nei suoi confronti, per cui rimase nascosto in Africa per quattro anni. Oggi è professore di swahili presso l'Istituto di lingue orientali a Parigi. Kashamura, fervido rivoluzionario, fa l'attivista politico nell'ambiente africano parigino.
Nel suo libro, che è un grande omaggio a Lumumba, scrive: "I miei amici sono soliti chiedermi che cosa pensi dei problemi dell'Africa 'e quale soluzione v'intraveda. Spesso non so che cosa rispondere poiché nessuno degli esperimenti capitalista, socialista, feudale e altro intrapresi in Africa ha mai dato risultati positivi.
"Su tutto il continente l'indipendenza è diventata sinonimo di miseria e di demagogia. Ha migliorato la situazione dei leader più o meno europeizzati, fossero essi dei rivoluzionari o dei servi dell'imperialismo, ma non ha portato alcun miglioramento alle masse.
"Noi, convinti a suo tempo che la liberazione dal giogo colonialista sarebbe bastata ad aprirci la via del progresso, ci siamo dovuti accorgere che l'indipendenza ci ha portato oltre ai problemi di sempre una serie di nuove difficoltà contrastanti con la nostra natura di africani.
"L'indipendenza ha radicalmente cambiato le nostre abitudini.
Ci ha imposto un presidente della Repubblica, dei ministri, dei diplomatici e altre personalità che hanno cercato di somigliare il più possibile ai loro equivalenti europei. In Africa il solo fatto di diventare ministro, capo di Stato, diplomatico, alto funzionario o anche studente universitario pone automaticamente queste persone a capo della società. Parlano in nome o in difesa di una società da cui si sono personalmente esclusi. L'indipendenza ha diviso gli africani più di quanto li abbia uniti.
"Un tempo uniti nella lotta contro il colonialismo, educati in una società comunitaria (une société communitaire), non siamo ancora riusciti a conciliare le nostre tradizioni di fratellanza con l'individualismo delle società industriali. Invece di vivere in un'atmosfera per così dire `fraterna', gli attivisti africani trattano i loro avversari africani con maggiore brutalità di quella usata nei confronti dei nemici dai loro selvaggi antenati. L'africano si è appropriato degli aspetti negativi della civiltà europea più che delle sue reali conquiste. La nostra società ignorava i campi di concentramento, la prigione a vita, la deportazione, i forni crematori, le ghigliottine e gli assassinii politici che rappresentano, per così dire, il rovescio della medaglia dell'evoluzione e della cultura dell'Europa contemporanea. Se oggi in Africa non si è in buoni rapporti con l'élite, si finisce in prigione o deportati.
"I nostri capi non amano essere contraddetti. Un potere impostato su queste basi non può non diventare autocratico e feudale e non trasformarsi inevitabilmente in una tirannia.
"Molte iniziative anticomuniste, anticinesi e antirivoluzionarie sono più superficiali che profonde in quanto servono solo a mascherare le nostre reali difficoltà, dovute soprattutto a un'arbitraria trasposizione in Africa di sistemi antitetici alla natura di questo continente. L'Europa sbaglia nel cercare di imporci le sue visioni, i suoi metodi e la sua mentalità. La società africana ha senza dubbio alcuni lati comuni con altre società del mondo, ma ha anche una sua specifica struttura e i suoi specifici ritmi, fondamentalmente diversi da quelli delle altre società. A suo tempo ebbi già occasione di dire che in Africa non avevamo bisogno di eserciti e di ambasciate.
"Per quanto riguarda gli orientamenti ideologici, i leader africani dovrebbero cercare di essere più onesti. Non si può essere marxista e nello stesso tempo fervente musulmano. Il socialismo è innanzitutto socialista. Non esistono socialismi arabi o socialismi africani: il socialismo è socialismo e basta.
O si è socialisti, o non lo si è.
"L'errore dei capi africani è stato di avere fatto al popolo delle promesse che non erano in grado di mantenere. In questo modo hanno perso la loro popolarità e hanno facilitato ai colonnelli l'attuazione dei colpi di Stato. Ma i colonnelli non cambieranno granché. Già alcuni di loro hanno cominciato a promettere, a improvvisare, a proteggere gli interessi altrui e a indulgere alla demagogia. Quando, tra non molto, il popolo comincerà a coprirli di insulti, cederanno il posto a una nuova generazione che accenderà sull'Africa le torce del rinnovamento".