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Una nube di bollicine infrange la superficie dell’acqua di palude in cui Nove è ancora immerso. È lì sotto da quasi un minuto. Faccio un passo verso la riva, decisa a tuffarmi per salvarlo, ma non sapendo se Cinque me lo permetterà. Mi guarda fisso, con aria incuriosita, come se si chiedesse quali saranno la mia reazione e quella di Otto.

«Dov’è il vero Cinque?» chiede Otto. «Cosa ne hai fatto di lui?»

Cinque pare confuso, poi sorride. «Ah, pensi che io sia Setrákus Ra.» Scuote la testa. «Sta’ tranquillo, Otto, sono proprio io. Niente trucchi da mutaforma.» Come per dimostrarcelo, con la mano libera apre la serratura dello scrigno. Lo richiude subito e ci guarda. «Vedete?»

Io e Otto restiamo raggelati, incerti sul da farsi.

«Tira fuori Nove dall’acqua», dico, cercando di parlare con voce calma, di non lasciar trasparire il panico.

«Tra un momento. Prima voglio parlare con voi due, senza che Sei e Nove c’interrompano.»

«Perché ci hai aggrediti?» chiede Otto. «Siamo tuoi amici.»

Cinque fa una smorfia d’insofferenza. «Apparteniamo alla stessa specie. Non per questo siamo amici.»

«Fa’ uscire Nove dall’acqua», lo scongiuro. «Poi parliamo.»

Cinque sospira e tira fuori Nove, che boccheggia ma ha gli occhi iniettati di rabbia. È ancora immobilizzato dalla mano di Cinque che gli stringe il collo: per quanto ci provi, non riesce a divincolarsi.

«Non sei più così forte, eh?» lo sbeffeggia Cinque. «Okay, fratello, fa’ un bel respiro.» E lo spinge di nuovo in acqua.

Intanto, Sei non si muove. Ha la testa piegata a un’angolazione strana e le si sta formando un grande livido sul mento; sembra che respiri a fatica. Mi avvicino per curarla, ma la telecinesi di Cinque mi spinge delicatamente indietro. «Perché fai così?» gli grido, con le lacrime agli occhi.

Sembra quasi sorpreso di sentirmi gridare. «Perché voi due siete stati gentili con me», risponde, come se fosse ovvio. «Perché, a differenza di Nove e di Sei, penso che i vostri Cêpan non vi abbiano fatto il lavaggio del cervello per farvi credere che la resistenza sia l’unica strada. Otto, tu l’hai dimostrato in India, quando hai lasciato che quei soldati morissero per te.»

«Non parlarmi di quella storia», replica Otto. «Non ho mai voluto che qualcuno si facesse male.»

«Lavaggio del cervello?» ribatto. «Sei impazzito?»

«Non preoccupatevi», dice Cinque, cercando di calmarci. «Il Benevolo Condottiero è pronto al perdono. Vi accoglierà. Siete ancora in tempo per unirvi alla squadra vincente.»

Non riesco a credere a ciò che sento. Mi si rivolta lo stomaco, mi viene da vomitare. Non può essere vero... «Tu lavori per loro?»

«Mi dispiace di avervi mentito, ma era necessario. Ero su questo pianeta da sei mesi quando mi hanno trovato», racconta Cinque, con aria malinconica. «Il mio Cêpan era già morto di qualche disgustosa malattia umana: quella parte era vera, solo che è successa prima di quando vi ho detto. I Mogadorian mi hanno accolto, mi hanno aiutato. Quando leggerete il Grande Libro, capirete che non dobbiamo combatterli. Tutto questo pianeta... l’universo intero può essere nostro.»

«Ti hanno fatto qualcosa», dico in un sussurro, e provo al contempo compassione e terrore nei suoi confronti. «Va tutto bene. Possiamo aiutarti.»

«Lascia andare Nove», soggiunge Otto. «Non vogliamo farti del male.»

«Farmi del male?» Cinque scoppia a ridere. «Questa sì che è buona!» Strattona Nove fuori dall’acqua e lo scaraventa contro l’albero nodoso.

Cerco di usare la telecinesi per bloccare Nove, ma non ne ho il tempo e Cinque è troppo potente. Nove va a sbattere con la schiena sul tronco, con tanta forza da scuotere i rami più alti; lancia un grido, si contorce, e capisco che si è rotto qualche costola e forse anche qualche vertebra.

«Avete idea di quanto sia stato noioso fingermi debole?» chiede Cinque. Il braccio di gomma si accorcia, tornando normale. «Siete stati addestrati da Cêpan incapaci, nel migliore dei casi. Avete vagato coi vostri scrigni e con le vostre Eredità, sempre all’oscuro di tutto. Io invece sono stato addestrato dalla forza militare più potente dell’universo. E voi vorreste intimidirmi?»

«Proprio così», ribatte Otto. Si trasforma nel leone a dieci braccia e torreggia sopra Cinque. Ma, prima che lui possa passare all’attacco, Cinque soffia nel flauto.

L’alligatore mutante, che finora era rimasto in paziente attesa, balza in aria e si avventa su Otto. Vediamo un ammasso di ali e di fauci, gli artigli di Otto che infieriscono sull’avversario, le due bestie enormi che atterrano nel fango e si rotolano l’una sopra l’altra.

Con un’aria vagamente divertita, Cinque osserva Otto che lotta col mostro. «Non fatevi del male», dice loro. «Possiamo ancora essere tutti amici.»

Non so bene se stia scherzando o se sia davvero così pazzo. L’importante è che è distratto. Nove emette un gemito ai piedi dell’albero; sta cercando di tirarsi in piedi, ma le gambe non lo reggono. Intanto Sei non si è ancora mossa, e non so bene quale dei due abbia bisogno più urgente del mio aiuto. Sei è la più vicina a me, quindi corro da lei e mi getto in ginocchio, premendo le mani sul suo cranio ferito.

All’improvviso mi sento sollevare. I miei piedi non toccano più terra: Cinque mi sta tenendo sospesa in aria con la telecinesi. «Fermo!» grido. «Lascia che la curi!»

Cinque scuote la testa. «Non voglio che sia curata. Lei è come Nove, non capirà mai. Non opporti a me, Marina.» Un ramo lo colpisce alla nuca, facendogli perdere la concentrazione: io ricado a terra. Si volta giusto in tempo per vedere Nove che sta staccando un altro ramo con la telecinesi. «Ma che bravo!» Cinque schiva agilmente il colpo successivo.

«Coraggio», ringhia Nove, che è riuscito a tirarsi a sedere appoggiato al tronco dell’albero. «Non mi servono le gambe per arrostirti quelle chiappe grasse.»

«Stronzate, fino all’ultimo respiro.» Cinque sospira. «Lo sai cosa sta succedendo a Chicago, in questo momento? I Mogadorian hanno invaso la tua lussuosa suite. Voglio che tu muoia sapendo che il tuo palazzo di merda sta bruciando al suolo.»

«Li hai indirizzati alla nostra base?» grido. Il mio sconcerto è reale, ma quando Cinque mi guarda intravedo un’occasione. Gli piace sentire il suono della sua voce... be’, posso usarla per distrarlo. Nove non è in condizioni di combattere. Devo guadagnare tempo. «Come hai potuto? Ed Ella e gli altri?»

«Ella se la caverà. Il Benevolo Condottiero la vuole viva.»

«La vuole viva? E perché? Pensavo che ci volesse tutti morti.»

Cinque si limita a sorridere.

«Cosa vuole Setrákus da lei?» grido, invasa da una nuova ondata di panico.

Cinque m’ignora e s’incammina verso l’albero.

Spero che Nove resista abbastanza a lungo da lasciarmi il tempo di curare Sei. Torno da lei e le prendo la testa in grembo. Il cranio è fratturato, naso e mandibola sono rotti. Cerco di concentrarmi e di evocare l’energia della mia Eredità. Ma vengo distratta da un grido ferino.

Nel fango, Otto è riuscito a immobilizzare il mostro. Due delle teste penzolano inerti; quella centrale però funziona ancora, e cerca di mordere il leone. Otto riesce ad agguantare le fauci del mostro, con sei delle sue zampe, e le allarga finché non si spaccano. La terza testa dell’alligatore è praticamente squarciata a metà; le ali mostruose si scuotono un’ultima volta, e infine la bestia mutante resta immobile e inizia lentamente a disintegrarsi.

«Bel lavoro!» esclama Cinque. «Ma, credimi, ne arriveranno altri.»

Otto è ancora inginocchiato nel fango; non riesce più a mantenere le sembianze del leone. Mi accorgo che è ferito: ha tagli profondi inferti sul petto e sulle braccia. Ha lottato con tutto se stesso contro quel mostro, ma riesce a rialzarsi, benché malfermo sulle gambe.

Cinque torreggia sopra Nove. La sua pelle d’acciaio riluce nel tramonto.

Nove lo guarda con aria di sfida. «Vuoi colpire un uomo disarmato, stronzo traditore?» Prima che l’altro possa replicare, attiva la telecinesi. Il bastone, che dev’essergli caduto quando Cinque gli è saltato addosso, si solleva dal fango e va dritto verso di lui.

Cinque lo ferma in aria; noto che ha afferrato il bastone con la mano destra, quindi le pietre che usa per alimentare l’ Eredità devono essere strette nella sinistra. Alza il bastone di Nove e lo sbatte sul ginocchio metallico, spezzandolo come un legnetto. «Sì, lo voglio.»

In quell’istante Otto si teletrasporta tra loro. È piegato in due, ansima e sanguina in più punti, ma non è ancora fuori combattimento. «Basta con questa follia, Cinque.»

Cerco di tenere un occhio sulla scena che si svolge accanto all’albero senza smettere di concentrarmi su Sei. Sento il cranio iniziare a ripararsi, le tumefazioni sul viso sgonfiarsi. Spero di essere abbastanza veloce: abbiamo un disperato bisogno di lei. «Coraggio... svegliati», sussurro.

Vedendo Otto davanti a sé, Cinque esita un istante: la rabbia diretta verso Nove si è un po’ stemperata. «Togliti di mezzo, Otto. La mia offerta è ancora valida, ma solo se mi lasci uccidere questo idiota.»

«Lascia che ci provi!» grida Nove, da terra.

«Sta’ zitto, tu!» sbotta Otto, senza voltarsi. Alza le mani verso Cinque. «Sei fuori di te. Ti hanno fatto qualcosa. Dentro di te lo sai che non è giusto.»

Cinque sbotta in una risata. «Vuoi parlare di cos’è giusto? Cosa c’è di giusto nel mandare un gruppo di bambini su un pianeta sconosciuto e costringerli a combattere una guerra che neppure capiscono? Cosa c’è di giusto nel dare a quei bambini dei numeri al posto dei nomi? È disgustoso.»

«Lo è anche invadere un pianeta», ribatte Otto. «Sterminare un popolo.»

«No! Ci sono tante cose che non capisci», replica Cinque, ridendo. «La Grande Espansione doveva avvenire.»

«Il genocidio doveva avvenire? È una pazzia.»

Il corpo di Sei ha un sussulto. Non è ancora sveglia, ma la guarigione ha funzionato. La poso a terra delicatamente, mi alzo e mi avvicino agli altri.

Cinque non si accorge di me, ormai è in pieno delirio: «Combattete perché i vostri Cêpan vi hanno detto che gli Antenati lo volevano. Vi siete mai chiesti perché? O chi siano davvero gli Antenati? No, certo che no! Prendete ordini da individui morti da un pezzo e non li mettete in discussione. E poi il pazzo sarei io?»

«Sì», ringhia Nove. «Ma ti ascolti quando parli?»

«Sei confuso. Sei loro prigioniero da anni e non te ne rendi neppure conto. Calmati», dice Otto. «Possiamo discuterne. Non dobbiamo combattere.»

Ma Cinque non lo ascolta più. Speravo che Otto riuscisse a farlo ragionare, ma quell’ultima uscita di Nove è bastata a farlo arrabbiare di nuovo. Cinque si avventa su Otto, cercando di dargli una spallata.

Con la telecinesi afferro la sua mano sinistra, cercando di aprire le dita per liberare le sfere.

Lui arretra di scatto da Otto, sorpreso, e si oppone alla mia telecinesi.

«La mano sinistra!» grido. «Aiutatemi ad aprirla!» Dai loro sguardi intuisco che hanno capito.

Cinque grida di dolore e di frustrazione.

Per un momento quasi mi fa pena; siamo di nuovo tutti coalizzati contro di lui. Dev’essere così che si sente da quand’è con noi: emarginato, confuso e arrabbiato. Ma ci preoccuperemo dopo di riallacciare i rapporti e di cambiare la sua visione distorta del mondo. Al momento dobbiamo fermarlo.

«Ti prego, non opporti a noi!» grido. «Stai soltanto peggiorando le cose.»

Cinque lancia un altro strillo quando le nocche delle dita gli scricchiolano rumorosamente. Il nostro assalto telecinetico combinato deve avergli rotto gli ossicini della mano. Le due sfere cadono a terra e rotolano fin sotto le radici dell’albero. Cinque si stringe la mano e si getta in ginocchio; guarda me, come se sapesse che sono stata la prima ad attaccarlo e questo rendesse la sconfitta ancora più cocente.

«Andrà tutto bene», gli dico, ma le mie parole suonano vuote. Sto cercando di calmarlo, ma quando lo guardo provo la stessa repulsione che mi assale quando vedo i Mog. Stava per uccidere Nove, uno del suo popolo, uno di noi. Come possiamo salvarlo, se è arrivato a questo punto?

Otto si fa avanti e gli posa una mano sulla spalla. Sembra che non abbia più voglia di combattere.

Cinque singhiozza e scrolla il capo. «Non doveva finire così...» mormora.

«Piange come una ragazzina», commenta Nove.

Immediatamente Cinque si scurisce in volto. Prima che riusciamo a fermarlo spintona via Otto, facendolo cadere, e spicca il volo.

«No!» grido, ma lui sta già puntando dritto su Nove.

La lama montata sulla manica che ha estratto dallo scrigno si estende con un raschio metallico: è lunga trenta centimetri e appuntita come un ago, letale e precisa.

Nove cerca di rotolarsi di lato, ma è ferito gravemente e non riesce a muoversi. L’erba intorno a lui si schiaccia, e capisco che Cinque lo sta tenendo fermo con la telecinesi. Cerco di tirare Nove verso di me, ma non si muove. La telecinesi di Cinque è più potente della mia.

Succede tutto molto in fretta.

Cinque si getta in picchiata puntando la lama. Nove guarda il colpo mortale andargli incontro, digrigna i denti; non riesce a muoversi.

All’improvviso Otto compare davanti a Nove: si è teletrasportato.

«No!» grida Nove.

La lama di Cinque affonda nel cuore di Otto.

Cinque scatta all’indietro, turbato, quando capisce cos’ha fatto.

Otto ha gli occhi sbarrati; una macchia di sangue sul petto. Barcolla all’indietro, verso di me, a braccia larghe. Cerca di dire qualcosa, ma non gli esce neanche una parola. Si accascia al suolo.

Grido quando mi sento incidere sulla caviglia una nuova cicatrice.