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È mezzogiorno e stiamo attraversando il Missouri: tra poche ore saremo in Arkansas. Ci abbiamo messo più del previsto a uscire da Chicago, perché l’auto di Nove non ha un accessorio speciale per far sparire gli ingorghi. All’inizio sono un po’ nervoso all’idea che ci sia Sarah al volante; m’inquietano la rapidità con cui cambia corsia e il disprezzo che sembra nutrire per le distanze di sicurezza, ma poi capisco che pure tutti gli altri guidano così. Immagino che sia tipico delle grandi città.

Ci lasciamo alle spalle Chicago, e davanti a noi si snoda l’autostrada, fiancheggiata solo da campi di grano. Superiamo un semiarticolato dopo l’altro e siamo già a buon punto, tanto che non dobbiamo neppure usare il kit al protossido di azoto installato da Sandor. L’ultima cosa che vogliamo è essere fermati dalla polizia. Scommetto che il mio nome è ancora nelle banche dati di molti governi... Del resto nessuno di noi ha la patente, il che di per sé è un altro potenziale problema. Quando torniamo a Chicago devo scoprire se Sandor ha lasciato del materiale per falsificare documenti.

«Hai mai provato a rendere invisibile un’intera macchina?» chiede Sarah a Sei, che non ha parlato molto da quando siamo partiti. «Insomma, la stai toccando.»

«No, non ci ho mai provato», risponde Sei. È sul sedile posteriore e tiene Bernie Kosar sulle ginocchia.

«Non farlo», dico. «Potrebbero venirci addosso.»

«Grazie, John. Se non me l’avessi detto tu, probabilmente avrei reso invisibile la macchina qui in pubblico, mentre andiamo a cento all’ora. Per fortuna che ci sei tu a tenermi sotto controllo, e a impedire a Sarah di guidare troppo veloce.»

Apro la bocca per ribattere, ma cambio idea quando noto che Sarah mi guarda con aria confusa. Deve avere notato la tensione tra me e Sei da quando abbiamo lasciato Chicago. Non ci tengo proprio a spiegarle la situazione, quindi faccio un’alzata di spalle e lascio perdere.

Sei ha ragione: sto controllando ossessivamente la nostra velocità. Ogni volta che il piede di Sarah affonda sull’acceleratore, le assesto un colpetto sulla gamba. Lei rallenta e mi guarda con aria di scuse, come a dire che non è colpa sua, è la macchina che vuole andare veloce. Forse dovrei darmi una calmata e lasciarla correre, e al diavolo le conseguenze. Probabilmente Sei o Nove si comporterebbero così.

In ogni istante ho il terrore che una nuova cicatrice mi s’incida a fuoco nella carne della gamba. E se i Mogadorian raggiungono Cinque prima di noi, soltanto perché ho chiesto a Sarah di rallentare?

Questo è il genere di pensieri che non mi fa dormire da varie notti: non tanto a proposito di Cinque, ma riguardo alle mie capacità di guidare gli altri. Non c’è modo di pianificare ogni eventualità, per quanto mi sforzi. Sarebbe molto più facile se avessi l’atteggiamento di Nove: prima combattere e poi pensare.

E, come non bastasse, ora salta fuori questo problema con Sei: tutto per colpa di quello stupido bacio. In sostanza, al momento non c’è un solo aspetto della mia vita in cui mi senta all’altezza della situazione.

Ci fermiamo a un distributore in Missouri. Sei riempie il serbatoio, Bernie Kosar passeggia nel parcheggio annusando qua e là e sgranchendosi le zampe. Io e Sarah andiamo verso il negozio a comprare qualche bottiglia d’acqua e a pagare la benzina.

A metà del parcheggio, lei si ferma di colpo. «Be’, forse dovresti andare a parlare con Sei.»

«Perché?» Scocco un’occhiata a Sei, dietro di noi. Se fosse possibile riempire rabbiosamente un serbatoio, descriverei così quello che sta facendo. Ha infilato l’erogatore nel bocchettone come se stesse pugnalando un Mogadorian.

«È chiaro che voi due avete litigato, non so perché. Chiaritevi.»

Resto lì impalato senza sapere che dire. Non posso spiegare a Sarah il motivo per cui io e Sei abbiamo litigato; prima di tutto perché neanch’io ne sono del tutto sicuro, e in secondo luogo perché ha a che fare con la nostra relazione. Non mi va proprio di parlarne adesso; abbiamo cose più importanti di cui preoccuparci.

Sarah non si lascia convincere dalla mia protesta silenziosa, e con un sorrisetto mi spinge all’indietro verso Sei. «Coraggio, voi due dovete poter lavorare insieme.»

Ha ragione, ovviamente. Non possiamo lasciare che la tensione metta a rischio il successo della missione.

Sei mi guarda a occhi socchiusi mentre mi avvicino. Riaggancia l’erogatore alla pompa con molta più forza del necessario. Restiamo a fissarci dai lati opposti della macchina.

«Dobbiamo parlare», dico.

«Ti ha detto Sarah di venire qui, giusto?»

«Senti, so che non ti sta simpatica...»

«È proprio questo il punto, John. Mi sta simpatica. E ti ama.»

La fisso interdetto. «Va bene, ho capito che ce l’hai con me perché non abbiamo più parlato di tutto quanto dopo essere tornati a Chicago. Con Sarah lì in casa mi sembrava... imbarazzante.»

«John, non ce l’ho con te perché ci siamo baciati e poi sei tornato dalla tua ragazza. Credevo che tu mi piacessi... sai, nel senso di ’più che un amico’. Ma poi mi hanno gettata in quella cella con Sarah e ho sentito come parlava di te. E ora vi vedo insieme ogni giorno. Qualsiasi cosa sia successa tra me e te quand’eravamo in fuga non è paragonabile a quello che c’è fra te e Sarah. Quando vi guardo mi viene quasi voglia di credere a tutte le sciocchezze che diceva Henri, sul fatto che i Loric s’innamorano una volta sola.»

Annuisco; sono d’accordo con lei. Sta dicendo la pura verità, ma cosa posso rispondere? Sì, hai ragione, è vero, Sarah mi piace più di te. Probabilmente è meglio se tengo la bocca chiusa.

«Forse è che mi dispiace di averti baciato quando in teoria stavi con Sarah», aggiunge Sei.

«A nostra discolpa, pensavamo che lei ci avesse venduti al governo.»

«Ma era anche la prima volta che incontravamo altri Garde. Passato quel momento di entusiasmo, tu non vedevi l’ora di tornare da Sarah, eh?»

«Neanche per sogno. Non pensavo al futuro, non aspettavo il momento giusto, niente del genere.» Ripenso a quando io e Sei abbiamo passeggiato al chiaro di luna tenendoci per mano per restare invisibili. «Quand’eravamo insieme... non mi ero mai sentito così a mio agio con un’altra persona prima di quel giorno. Sentivo di poter essere me stesso.»

Per un momento la voce di Sei si fa quasi malinconica. «Sì, anch’io.»

«Ma con Sarah è diverso. La amo. Ormai lo so con certezza.»

Sei batte le mani come se la questione fosse chiarita. «Bene. Perciò non pensiamoci più. Io e te siamo solo amici, e tu e Sarah siete la coppia felice. A me sta bene. Questa storia del triangolo amoroso mi dà la nausea.»

«Sei...» inizio, senza sapere bene come proseguire. Sembra quasi che lei voglia scagionarmi, o che cerchi di allontanarmi da sé.

«No, stammi a sentire. Mi dispiace di essermi impicciata nella tua storia con Sarah. Se vuoi parlarle del nostro bacio oppure no è una decisione tua. A me non importa. È solo che...» Sei si volta a guardare la stazione di servizio, da cui Sarah sta uscendo. «Quando mi hanno gettata in quella cella con lei, il modo in cui parlava di te... Ha fatto molte rinunce per stare con te, John. In pratica, sta scommettendo la sua vita su di te. Sarò anche un’impicciona, ma voglio essere sicura che tu ne sia all’altezza.»

«Sto cercando di esserlo», le dico, e mi volto a guardare Sarah che viene verso di noi. Sei ha ragione. So che Sarah ha rinunciato a una vita normale per stare qui con me, ha accettato di mettersi in pericolo. La amo, ma non ho ancora capito come trovare l’equilibrio giusto tra la sua incolumità e il suo coinvolgimento nella mia vita caotica. Forse non lo troverò mai. Al momento mi basta che lei sia qui con me.

Sei richiama Bernie Kosar, e insieme salgono in macchina.

Sarah si ferma davanti a me, con aria perplessa. «Tutto a posto?»

Provo l’improvviso desiderio di abbracciarla, quindi la abbraccio. Lei lancia un gridolino di sorpresa, mi stringe forte.

«Tutto a posto», dico, e la bacio sulla guancia. Poi mi metto al volante.

BK si accomoda sulle ginocchia di Sarah e bussa con le zampe sul finestrino finché lei non lo apre lasciando entrare l’aria fresca della primavera. BK tira fuori la testa e lascia penzolare la lingua da beagle. Chimera o cane, dev’essere piacevole sentire il vento in faccia mentre corri in autostrada.

L’aria fresca fa piacere anche a me. Non so se le cose si sistemeranno mai completamente tra me e Sei, ma dopo averle parlato mi sento meglio. Almeno so in che rapporti siamo. L’atmosfera nella macchina è cambiata; c’è meno tensione fra noi tre. Mi rilasso un po’, mi stravacco sul sedile, guardo passare i chilometri.

Sarah mi dà un colpetto sulla gamba. «Corri troppo.»

Sorrido per scusarmi e rallento.

Sarah tiene il braccio fuori dal finestrino e la mano distesa contro il vento. I capelli biondi le sferzano il viso. È bellissima. Per un momento fingo che ci siamo solo noi due, diretti in vacanza da qualche parte. Sono ancora convinto che un giorno potrebbe succedere. Altrimenti non ci sarebbe motivo di continuare a lottare.

Sarah incrocia il mio sguardo, e giurerei che mi abbia letto nel pensiero. Mi posa la mano sulla gamba. «So che siamo in una missione seria: ma, se fossimo in vacanza come la gente normale, dove ti piacerebbe andare?»

La mia fantasticheria non prevedeva una destinazione precisa. Mi bastava essere in macchina con Sarah. «Avremmo l’imbarazzo della scelta...»

Prima che io possa decidere, Sei si sporge in avanti dal sedile posteriore. «Non l’ho visitata bene, perché dovevamo combattere, ma la Spagna sembrava piuttosto interessante.»

Sarah sorride. «Ho sempre voluto andare in Europa. I miei genitori l’hanno girata in autostop dopo il college. È così che si sono conosciuti.»

«Quindi anche tu sceglieresti l’Europa?» chiedo a Sarah.

«Sì. Ci sono altri posti negli Stati Uniti che vorrei vedere, ma essere prigioniera del governo mi ha un po’ fatto passare la voglia.»

Ridacchio. «Non hai tutti i torti.»

Sarah si volta verso Sei. «Potremmo andare in Europa, tutti insieme. Be’, se non sarete troppo indaffarati a ricostruire il vostro pianeta e tutto quanto.»

Sarah è così entusiasta che Sei non riesce a trattenere un sorriso. «Potrebbe essere divertente.»

«È lì che mi piacerebbe andare», dico a Sarah, posando la mano sulla sua.

«In Europa?»

«Su Lorien.»

«Ah...» fa Sarah, con una nota di tristezza nella voce che mi sorprende.

Provo a spiegare: «Vorrei mostrarti Lorien come appariva nelle mie visioni, come me la descriveva Henri».

«Non funziona così, il gioco», replica Sei. «Devi scegliere un posto che sia raggiungibile senza un’astronave.»

Ci penso per un momento. «Non lo so. Disney World?»

Le due ragazze si scambiano un’occhiata e scoppiano a ridere.

«Non hai il minimo buon gusto, John», dichiara Sei.

«No, è dolce», dice Sarah, accarezzandomi la mano. «Quello è un posto magico.»

«Non sono mai stato sulle montagne russe. Vedevo la pubblicità in TV e morivo dalla voglia di andarci, ma Henri non ha mai voluto.»

«Che storia triste», commenta Sarah. «Ti porteremo sicuramente a Disney World. O almeno sulle montagne russe. Sono fantastiche.»

Sei schiocca le dita. «Come si chiama quella giostra che somiglia a un’astronave?»

«La Montagna Spaziale», risponde Sarah.

«Sì, certo!» esclama Sei, e poi esita come se temesse di rivelare troppo. «Ricordo di averla cercata su Internet quand’ero più giovane. Continuavo a ripetere a Katarina che c’entrava qualcosa con noi.»

Il pensiero di Sei bambina che indaga su Disney World è esilarante. Ridiamo tutti e tre.

«Voi alieni... Avreste bisogno di stare meno in casa, vedere gente», borbotta Sarah.