MARINA

Sarah ed Ella, entrambe accucciate dietro una barricata vicino alla nostra bandiera, puntano i fucili qua e là per la stanza in cerca di un bersaglio invisibile.

«Coraggio, Ella, puoi farcela», dice Sarah.

Ella ha i lineamenti distorti dalla concentrazione: sta cercando di localizzare Sei con la telepatia. Spero che non si stia sforzando troppo, dopo quello che ha passato ieri. All’improvviso sorride. «Laggiù!» grida, e inizia a sparare verso destra.

Sarah la imita, senza prendere la mira ma cercando di puntare nella stessa direzione.

La maggior parte dei colpi si conficca nella parete, ma a un certo punto una delle scariche elettriche sembra fermarsi a mezz’aria. Per un istante scorgo lo scheletro di Sei, come in una radiografia, e lo vedo accasciarsi a terra. Sei ridiventa visibile e sembra stupirsi di essere stata scoperta. Deve arretrare come un gambero per evitare un’altra raffica.

«Bel lavoro, ragazze!» grido.

Ella e Sarah battono il cinque prima di tornare a puntare i fucili.

Scorro lungo la parete, osservando la battaglia da bordocampo. Nessuno mi presta ancora attenzione: proprio come nei nostri piani.

Al centro della stanza, Nove si china per schivare un pugno d’acciaio di Cinque, gli afferra un braccio e glielo gira dietro la schiena. Tenta di aprirgli le dita. «Sarai anche fatto di metallo, ma non sei più forte di me», lo sento ringhiare.

Costringe Cinque a schiudere la mano. Sento il rumore metallico del cuscinetto a sfera che cade a terra. Immediatamente la pelle di Cinque torna normale. Nove lo spinge via e lo manda a scontrarsi con uno dei palloni di cuoio. Cinque viene colpito al volto e cade; si prende la testa tra le mani, lamentandosi per il dolore.

«Accidenti!» esclama Nove. «A quanto pare, qualcuno ha perso le palle.»

Distratta dalla battaglia, quasi calpesto il braccialetto che Nove ha strappato dal polso di John. Immaginando che possa tornare utile lo raccolgo e me lo infilo al polso. La sensazione di gelo che mi si propaga nel braccio mi stupisce così tanto che quasi mi strappo via il braccialetto. M’impongo di concentrarmi e continuo a scorrere lungo la parete senza farmi notare.

«Ehi!» grida John, e ci metto un momento a capire che sta parlando con me. «Hai qualcosa che mi appartiene!»

I suoi pugni sono arroventati dal fuoco. Invia verso di me due sfere roventi grandi come palloni da basket.