11
Ogni uomo abile al lavoro era impegnato nella manifattura, nella stanza di carico, nel deposito paracaduti. Gli Zulie si sparpagliavano per gli edifici, preparando borse portaoggetti, poncho, terminando paracadute che erano stati consegnati in riparazione, occupandosi di rifilature e rifornimenti. Sotto il brusio e lo sferragliare delle macchine, sotto i borbottii, Rowan sapeva che i pensieri di tutti correvano verso la stessa direzione.
Che le sirene restassero in silenzio.
Finché non avessero provveduto a riparazioni, rifornimenti e ispezioni, non c’era nessuna lista di lancio.
Non si poteva toccare nulla, nella sala di equipaggiamento, finché i poliziotti non l’avessero sgomberata. Così lavoravano con quello che avevano nella manifattura, lottando contro il tempo e gli umori della natura.
«Forse potremmo mandarne otto.» Cards lavorava di fronte a Rowan, meticolosamente impegnato su un paracadute. «Possiamo metterne assieme otto anche adesso.»
«Non riesco a pensarci. E non possiamo fare le cose in modo affrettato. È una dannata fortuna che lei non sia entrata qui dentro. La situazione è già brutta così com’è.»
«Pensi davvero che sia stata Dolly a farlo?»
«Chi altri?»
«Ma è impossibile. Era, tipo, una di noi. Io ci ho perfino...»
«Molti dei ragazzi ‘ci hanno perfino’.»
«Prima di Vicki» precisò Cards. «E prima di Jim. Comunque, voglio dire, ha lavorato proprio qui alla base, scherzando e flirtando in mensa. Come Marg e Lynn.»
«Dolly non è mai stata come Marg e Lynn.»
Concentrandosi, Rowan dispose le funi del paracadute in due involti perfetti. Una corda aggrovigliata poteva fare la differenza tra un buon salto e un incubo. «Chi altro è incazzato e fuori di testa, a parte Dolly?»
«E poi, dipingere quella merda sul muro...» concordò Cards. «Come ha fatto nella tua stanza. Sono stato sveglio quasi fino all’una e non ho sentito nemmeno un dannatissimo rumore. Per devastare il posto a quel modo deve averlo fatto, un po’ di rumore.»
«Si è intrufolata nella base tardi, dopo che tutti erano andati a dormire.» Rowan scrollò le spalle. «Non è così difficile, in particolare se conosci il posto. Quello che è maledettamente sicuro, è che è successo per davvero.»
«Non ha alcun senso.» Gull si fermò mentre era diretto a un altro tavolo con un paracadute riparato. «Se c’è un incendio e noi non siamo pronti, manderanno dei pompieri d’assalto da altre basi. Nessuno si lancerà finché il nostro equipaggiamento non sarà perfettamente a posto. A chi sta cercando di fare del male?»
«La pazzia non deve avere un senso.»
«Su questo hai ragione. Ma tutto il casino laggiù ha come unico risultato uno spreco di tempo e denaro... e l’incazzatura di tutti quanti.»
«Anche essere vendicativi non deve avere senso.»
Gull fece per parlare di nuovo, ma Gibbons chiamò Rowan. «I poliziotti vogliono parlare con te, Ro. Con tutti noi» aggiunse mentre il ronzio delle macchine scemava in un silenzio. «Ma tu sei la prima.»
«Finisco di impacchettare questo paracadute. Cinque minuti» stimò.
«Nell’ufficio di Piccolo Orso. Tenente Quinniock.»
«Cinque minuti.»
«Cards, quando hai finito lì puoi andare in cucina. L’altro, il detective Rubio, parlerà con te lì.»
Cards fece cenno di sì con la testa. «Pare che tu abbia estratto la pagliuzza corta, Ro. Almeno io potrò fare colazione.»
«Gull, Matt, Janis, quando i poliziotti ci daranno il via libera, lavorerete con me alle pulizie e all’inventario. Se volete la pappa, Marg ha preparato un buffet. Riempitevi la pancia perché ci daremo dentro per un po’. Che cazzo di casino» disse disgustato Gibbons mentre usciva.
Cards appose il suo nome, la data e l’ora sul paracadute rimpacchettato.
«Ti accompagno» disse Gull a Cards, e passò una mano lungo la schiena di Rowan mentre le passava accanto.
Lei terminò il lavoro, concentrandosi soltanto sul compito presente. Quando ebbe finito, etichettò il pacco. Paracadute revisionato da Svedese.
Lo mise su uno scaffale, poi fu lieta di lasciare il frastuono della manifattura; faceva venire il mal di testa. Però fece una deviazione verso la sala di equipaggiamento.
Voleva rivederla. Forse ne aveva bisogno.
C’erano due agenti di polizia al lavoro insieme a un paio di civili: quelli della scientifica, stabilì Rowan. Conosceva la donna che in quel momento stava scattando foto del messaggio dipinto. Jamie Potts, pensò. Si erano ritrovate assieme nella classe di storia tremendamente noiosa del professor Brody, durante il primo anno delle superiori. Riconobbe anche uno dei poliziotti, dato che era uscita con lui per un po’ di tempo, più o meno sempre ai tempi del professor Brody.
Fece per parlare, poi si trattenne, rendendosi conto che non voleva intrattenere una conversazione finché non avesse avuto altra scelta.
Inoltre, guardare tutta quella scena lacerata e calpestata, sparpagliata e sfigurata, aveva come unico effetto quello di far ribollire la sua collera, già fumante.
Si ficcò le mani nelle tasche della felpa che aveva infilato sopra la biancheria da notte.
A metà strada verso l’edificio operativo, incrociò Gull. Lui le allungò una Coca. «Ho pensato che ti potesse far comodo.»
«Sì, grazie. Pensavo che fossi sceso per la colazione.»
«Lo farò. È solo uno scossone, Ro.»
«Cosa?»
«Tutto questo.» Fece un gesto dietro di loro, verso la sala di equipaggiamento. «È uno scossone, di quelli che ti fanno sobbalzare, ma non ti impedisce di arrivare all’obiettivo. Chiunque l’abbia fatto, non ha ottenuto nulla tranne rendere tutti in questa base più determinati ad arrivare dove stiamo andando.»
«Bicchiere mezzo pieno?»
Sinceramente Rowan non sapeva perché la cosa le desse sui nervi. «In questo momento il mio bicchiere non solo è quasi vuoto, ma c’è dentro anche una scheggia acuminata, di quelle che ti tagliano il labbro. Non sono pronta a guardare la cosa in termini positivi. Potrei esserlo una volta che il culo di quella fottuta pazza vendicativa sarà seduto in una cella.»
«Dovranno chiamare i ranger o i federali, suppongo. È stata danneggiata una proprietà del Servizio forestale degli Stati Uniti, perciò probabilmente è un crimine. Non so come funziona.»
Questo la fece fermare. Non ci aveva pensato a fondo. «Piccolo Orso ha chiamato i poliziotti locali. I federali non sprecheranno il loro tempo con questa faccenda.»
«Non lo so. Ma penso che, se qualcuno avesse intenzione di perseguire il colpevole, è lì che dovrebbe andare a battere il chiodo. Distruzione di proprietà federale: quello sì che potrebbe farla finire al fresco per un bel po’ di tempo. Quello che le occorre è una bella dose di terapia obbligatoria.»
Quell’uomo, pensò lei, era proprio un bel tipo. Aveva un cuore buono, e in questo momento quel cuore buono le metteva voglia di prendere a pugni qualcosa.
Magari lui.
«Mi stai dicendo questo perché non sei sicuro che io voglia che lei sconti una pena a Leavenworth o da qualche altra parte.»
«E tu lo vuoi?»
«Dannazione. In questo momento non ci verserei sopra una lacrima, ma in fondo voglio solo che si tolga dalle palle, una volta per tutte.»
«Nessuno può obiettare su questo. Chiunque abbia fatto una cosa del genere alla sala di equipaggiamento ha seri problemi.»
«Ascolta, tu hai passato alcune settimane a contatto con Dolly. Io ci ho passato una vita, e non più intenzione che i suoi problemi diventino miei.»
«Nessuno può obiettare nemmeno su questo.» Le mise una mano sulla nuca e la colse alla sprovvista con un bacio. «Vediamo se riusciamo a trovare il tempo per una corsa, più tardi. Me ne servirebbe proprio una.»
«Vuoi smetterla di cercare di calmarmi?»
«No, perché probabilmente non è il caso che parli con un poliziotto quando sei tanto incazzata da staccargli la gola a morsi se per caso dovesse toccare il tasto sbagliato.»
La prese per le spalle, una stretta salda. E Rowan notò che i suoi occhi non erano così calmi, così pazienti. «Sei intelligente. Sii intelligente. La sala di equipaggiamento non è stato un attacco personale a te. È stato un colpo basso rivolto a tutti noi. Mettitelo in testa.»
«Lei...»
«Lei non è niente. Fa’ che sia niente e concentrati su ciò che è importante. Da’ al poliziotto quello che gli occorre e torna al lavoro per riparare il danno. Dopodiché, vieni a correre con me.»
La baciò di nuovo, rapido e rude, poi si allontanò.
«Vuoi una corsa? Avrai la tua corsa» borbottò lei. Svoltò verso l’ufficio di Piccolo Orso e si rese conto che Gull l’aveva turbata quasi quanto l’improvvisa propensione di Dolly per la violenza.
Il tenente Quinniock sedeva alla scrivania oberata di scartoffie di Piccolo Orso con una tazza di caffè e un taccuino. Degli occhiali con la montatura nera erano appollaiati sull’estremità del suo lungo naso aquilino, mentre due occhi del colore di un paio di jeans sbiaditi la scrutavano da sopra di essi. Una piccola cicatrice saliva in alto sulla sua guancia destra, simile a un amo pallido che risaltava sul suo colorito rubizzo. E, come una cicatrice, una frezza bianca, simile a una saetta sfumata ai bordi, attraversava i suoi capelli brizzolati fra la tempia sinistra e l’aureola di calvizie.
Rowan si rese conto di averlo già visto da qualche parte, in un bar o in un negozio... o da qualche altra parte. Non era una faccia che si dimenticava facilmente.
Indossava un completo scuro e appena gessato, come un dirigente, stirato e su misura, con una cravatta di un rosso sgargiante annodata alla perfezione.
Rowan pensò che il completo non si adattasse alla faccia e si domandò se quel contrasto non fosse intenzionale.
Si alzò quando lei entrò nella stanza. «Signorina Tripp?»
«Sì. Rowan Tripp.»
«Apprezzo che mi abbia riservato qualche minuto. So che è una giornata stressante. Le dispiacerebbe chiudere la porta?»
Rowan decise che la voce gentile, educata e accattivante, si adattava al completo.
«Si sieda» le disse lui. «Ho qualche domanda da farle.»
«Okay.»
«Ho incontrato suo padre. Immagino che molti da queste parti l’abbiano fatto, prima o poi. La sua dev’essere un’ombra piuttosto imponente, ma mi hanno detto che lei sta facendo un ottimo lavoro per riempirla.»
«Grazie.»
«Dunque... lei e una certa signorina Dolly Brakeman avete avuto un alterco, qualche giorno fa.»
«Lo può definire così.»
«Lei come lo definirebbe?»
Rowan voleva infuriarsi, piantargli un dito in mezzo a quella cravatta sgargiante. Sii intelligente, le aveva detto Gull... E, accidenti a lui, aveva ragione.
Così, Rowan si impose di rilassarsi sulla sedia e di parlare conservando il proprio autocontrollo. «Vediamo... Io lo definirei violazione di domicilio, vandalismo, danneggiamento di proprietà privata e in generale essere una schizzata fuori di testa. Ma questa è una mia opinione.»
«A quanto pare non solo la sua, dato che gli altri con cui ho parlato condividono questo punto di vista. Lei ha sorpreso la signorina Brakeman nei suoi alloggi qui alla base nell’atto di versare sangue animale sul suo letto. È esatto?»
«Sì. E questo dopo averlo versato, lanciato, sparso sulle pareti, sul pavimento, sui miei vestiti e su altri oggetti assortiti. Dopo averlo usato per scrivere sulla mia parete. ‘Brucia all’inferno’, tanto per essere precisi.»
«Sì, ho le foto del danno. Le ha scattate il signor Piccolo Orso prima che la zona fosse pulita e riverniciata.»
«Oh.» Quelle parole la colsero per un momento alla sprovvista. Non si era resa conto che Piccolo Orso avesse documentato l’accaduto con delle foto. Ora pensò che avrebbe dovuto immaginarlo. Ecco perché era lui al comando.
«E che cos’è successo, quando l’ha trovata nei suoi alloggi?»
«Cosa? Oh, ho cercato di farle il culo, ma diversi miei colleghi mi hanno fermato. Il che, alla luce della situazione attuale, è proprio un vero peccato.»
«Non ha informato la polizia.»
«No.»
«Perché no?»
«In parte perché ero troppo incazzata e in parte perché lei è stata licenziata e cacciata dalla base. Mi sembrava sufficiente, tutto sommato.»
«Tutto sommato?»
«Tutto sommato, al momento, ho immaginato che fosse stata soltanto estremamente stupida e che la sua stupidità fosse rivolta unicamente contro di me... E poi ha una bambina. Inoltre, un’ora dopo abbiamo avuto un incendio, per cui dopo quello non era più una massima priorità per me.»
«Lei e la sua unità avete avuto un paio di giorni lunghi ed estenuanti.»
«È il nostro lavoro.»
«Quello che fate è apprezzato.» Il poliziotto sorseggiò il caffè mentre esaminava i suoi appunti. «Si ritiene che la bambina che ha menzionato sia figlia di James Brayner, un pompiere d’assalto di Missoula morto in un incidente l’agosto scorso.»
«Proprio così.»
«La signorina Brakeman incolpa lei per quella morte.»
Quella faccenda continuava a ferirla; immaginò che l’avrebbe fatto sempre. «Io ero la sua compagna di lancio. Lei incolpa l’intera unità, e me in particolare.»
«Solo per mia conoscenza personale, che cosa significa ‘compagna di lancio’?»
«Saltiamo in squadre da due. Uno dopo l’altro, una volta che lo spotter ci dà il via. Il primo a saltare, in questo caso io, controlla la posizione e le condizioni del secondo uomo. Potrebbero essere necessari aggiustamenti di direzione, di traiettoria, e si deve garantire al secondo paracadutista un percorso sgombro. Se uno dei due ha problemi, l’altro dovrebbe essere in grado di notarlo. Ognuno bada all’altro il più possibile, in aria e in fase di atterraggio.»
«E, dopo un’indagine, l’incidente di Brayner fu attribuito a un suo stesso errore.»
A Rowan bruciava la gola, rendendole impossibile non lasciar trasparire l’emozione dalla sua voce. «Non ha virato. Abbiamo incrociato una corrente d’aria, ma lui l’ha cavalcata. Ha tirato la manopola sbagliata e ha virato verso di essa invece di opporsi. Non c’era nulla che potessi fare. Il suo paracadute volteggiava fuori controllo; gli ho dato spazio, ma non ce l’ha fatta. Ha superato il punto di atterraggio ed è finito tra le fiamme.»
«È dura perdere un compagno.»
«Già. Dura.»
«All’epoca la signorina Brakeman lavorava alla base come cuoca.»
«Esatto.»
«Avevate avuto problemi prima dell’incidente?»
«Lei cucinava. Io mangiavo. Questo è più o meno tutto.»
«Ho come l’impressione che voi due vi conosceste da qualche tempo. Che siate andate a scuola assieme.»
«Non frequentavamo gli stessi giri. Ci conoscevamo. Per qualche motivo, è sempre stata gelosa di me. Conosco parecchie persone. Conosco Jamie e Barry, che stanno facendo il loro lavoro da poliziotti giù alla sala di equipaggiamento; sono andata a scuola anche con loro. A nessuno di loro però è mai passato per la testa di mettersi a replicare la scena di Carrie al ballo di fine anno nei miei alloggi.»
Il poliziotto la guardò oltre la punta di quel suo naso lungo e stretto. «Lei sapeva che la signorina Brakeman era incinta, al momento della morte di Brayner?»
«No. A quanto ne so, nessuno ne era al corrente tranne Jim, a giudicare da quello che lei ci ha detto quando è tornata. Se ne andò subito dopo l’incidente: non so dove e non m’importa. Quello che so, è che è tornata con la bambina, si è data alla religione ed è venuta qui in cerca di lavoro, armata di madre, pastore e foto della pupa dalle guance paffutelle. Piccolo Orso ha deciso di assumerla.»
Per concedersi un attimo di pausa, Rowan prese una lunga sorsata di Coca. «Immaginando che dovessimo appianare le cose, ho avuto una conversazione con lei, durante la quale ha messo in chiaro che odiava ogni centimetro quadrato del mio essere e desiderava che finissi all’inferno. Ha sparso sangue per tutta la mia stanza. Piccolo Orso l’ha licenziata. E questo ci porta a oggi.»
Si mosse sulla sua sedia, stanca di stare lì ferma a rispondere a domande di cui sospettava che lui avesse già le risposte. Si ricordò di concentrarsi su ciò che era importante. «Ascolti, so che ha un caso su cui indagare, ma non vedo come il mio passato con Dolly abbia qualcosa a che fare con tutto questo. Si è introdotta nella sala di equipaggiamento e ha danneggiato tutto il materiale al suo interno. Equipaggiamento essenziale. Qui non stiamo parlando di disagio e confusione. Se non siamo pronti quando ci chiamano, può morire della gente. La fauna e la foresta in cui vive possono essere distrutte.»
«Capito. Parleremo con la signorina Brakeman. In questo momento, l’unico collegamento possibile tra lei e il vandalismo nella vostra sala di equipaggiamento è il vandalismo confermato nei suoi alloggi.»
«Ha detto che voleva che morissimo tutti quanti. Che bruciassimo tutti quanti. Proprio come ha scritto sul muro. Immagino che non sia riuscita a mettere le mani su altro sangue di porco, perciò questa volta ha usato della vernice spray.»
«Senza equipaggiamento non potete lanciarvi. Se non potete lanciarvi, non siete in pericolo di vita.»
«Logico. D’altra parte, la logica non è il punto forte di Dolly.»
«Se si dovesse scoprire che è lei la responsabile di questa situazione, non potrei che concordare. Grazie per il suo tempo e per la sua franchezza.»
«Nessun problema.» Si alzò in piedi ma, nell’andare verso la porta, si fermò. «Non vedo come possa esserci alcun ‘se’. La gente di queste parti sa bene che cosa facciamo. Siamo parte del tessuto. Tutti alla base sono un filo nel tessuto, e facciamo quello che facciamo perché lo vogliamo. Dipendiamo gli uni dagli altri. Dolly è l’unico elemento estraneo.»
«Ci sono tre uomini che sono stati malmenati il mese scorso fuori dall’Impiccato a cui potrebbe piacere sfilacciare quel tessuto.»
Rowan si girò di centottanta gradi. «Pensa davvero che quegli stronzi siano tornati a Missoula, si siano intrufolati nella base, abbiano trovato la sala di equipaggiamento e abbiano fatto quella merda?»
Quinniock si tolse gli occhiali e li ripose attentamente sulla scrivania. «È un altro ‘se’. Il mio lavoro consiste nel considerare tutti i ‘se’.»
L’interrogatorio lasciò Rowan più irritata che soddisfatta. Anche se aveva a stento appetito, andò al buffet e si preparò un sandwich per colazione. Mangiò mentre era diretta al laboratorio.
Nessuno si lamentò. Né per il lavoro supplementare, né per la noia di farlo. Mentre era stata con Quinniock, Janis aveva attaccato degli altoparlanti al suo lettore mp3, così c’era un po’ di R&B, country, rock e hip-hop ad attenuare il frastuono delle macchine. Osservò Dobie che faceva due passi di boot scooting sulle note di Shania Twain con un carico di borse portaoggetti tra le braccia.
Potrebbe essere peggio di così, pensò. Poteva sempre essere peggio, perciò la cosa intelligente da fare era tirar fuori il meglio dal peggio.
Quando Gull portò dentro dei paracadute da riparare, ipotizzò che i poliziotti avessero sgomberato la stanza di equipaggiamento.
Lasciò la sua macchina per andare al bancone e aiutarlo a spiegare i tessuti.
«Quanto è brutta la situazione?» gli domandò.
«Probabilmente non quanto sembrava. Era tutto sparpagliato per la sala, ma i veri danni non sono quelli che pensavamo. O che pensavo io, almeno. Molte cose vanno solo smistate e rimpacchettate.»
«Non tutto il male viene per nuocere.» Rowan segnò strappi e tagli.
«Altroché. La squadra delle pulizie sta sistemando dei tavoli fuori. Corre voce che Marg stia preparando un barbecue e che abbia una camionata di costolette.»
Rowan segnò un altro strappo. Uomini che quella mattina non si erano presi la briga di radersi o farsi la doccia canticchiavano un motivetto di Taylor Swift. Era una situazione un po’ surreale.
«Quando le cose si fanno dure,» decise lei «i duri mangiano costolette. Abbiamo rimesso a posto tutti i paracadute che dovevano essere rifilati e riparati, e quasi tutti sono stati rimpacchettati. Stiamo facendo buoni progressi con zaini, portaoggetti, poncho e borsoni.»
Rowan si interruppe e incontrò il suo sguardo. «Se continua così, forse riusciremo a infilarci quella corsetta.»
«Io sono pronto, quando vuoi.»
«Odio sbagliarmi.»
«Chiunque non lo faccia probabilmente ha una bassa autostima. Una bassa autostima può portare a molti problemi, parecchi dei quali di natura sessuale.»
Rowan sapeva quando veniva presa in giro, così annuì con solennità. «Sono fortunata ad avere un’autostima straordinariamente alta. Comunque, odio sbagliarmi nel pensare che questo fosse diretto a me. Preferirei che avesse tentato di colpire me. Preferirei essere incazzata per una vendetta personale che non per questo.»
«È una schifezza, ma lo stesso si può dire dell’accoppiata Southern e Trigger che canta un duetto di Wanted Dead or Alive.»
«Non erano così male. Non era Bon Jovi, ma niente male.»
«Se il tuo bicchiere è mezzo vuoto ed è scheggiato, tanto vale andare al bancone e ordinarne uno nuovo. Comunque, ora devo andare.»
Lati positivi, pensò lei. Non tutto il male viene per nuocere. Forse a lei occorreva più tempo per trovarli – o volerli trovare – ma che diavolo. Tanto valeva gettar via il suo merdoso bicchiere.
Esaminò ogni centimetro del paracadute prima di consegnarlo in riparazione, poi cominciò col successivo. Era così concentrata su quella che reputava una catena di montaggio da cui dipendevano la vita e la morte che non udì Piccolo Orso avvicinarsi a lei.
Le posò una mano sulla spalla come uno spotter sul portellone di lancio. «Fai una pausa.»
«Alcuni di questi vanno rifilati, ma molti altri vanno solo rattoppati.»
«Ho ricevuto degli aggiornamenti. Andiamo a prendere una boccata d’aria.»
«D’accordo.» Tutto quel piegarsi, ingobbirsi e ispezionare l’aveva resa rigida e legnosa. Decise che aveva bisogno di quella corsa, che voleva bruciar via la tensione e le ore passate a stare in piedi.
Poi fiutò l’odore delle costolette che si affumicavano sulla griglia e decise che di quelle aveva ancor più bisogno.
«Dio santo, che buon odore. Marg conosce proprio il modo per distogliere la mente dai problemi e rivolgerla alla pancia.»
«Aspetta finché non avrai visto le focacce di mais. Ho appena finito di parlare al telefono con la polizia.»
«L’hanno arrestata? No» disse lei prima che Piccolo Orso potesse parlare. «Riesco a capirlo dalla tua faccia. Dannazione, Piccolo Orso.»
«Afferma di essere rimasta in casa per tutta la notte. Sua madre conferma le sue dichiarazioni.»
«Ma che sorpresa.»
«Il fatto è che non possono provare che non era lì. Forse, quando avranno passato in rassegna tutto quanto, troveranno qualche prova. Sai, impronte digitali o cose del genere.»
Tirò fuori con il pollice una Life Savers da masticare assieme a quella che aveva già in bocca, e questo le fece capire lo stress che lo attanagliava per il desiderio di una Marlboro.
«Comunque, al momento,» continuò, con un alito alla ciliegia «lei lo nega. Hanno parlato anche con i vicini. Nessuno sa dire per certo se fosse a casa o no. E, dal momento che nessuno di noi l’ha vista, non possono accusarla di nulla.»
Piccolo Orso sbuffò l’aria dalle guance. «Quinniock ha tenuto a farci sapere che lei sta facendo il diavolo a quattro per querelarci per diffamazione.»
«Ma fammi il piacere.»
«Sono d’accordo con te, Ro. Non lo farà, ma lui pensava che dovessimo sapere che ha sollevato un bel polverone quando l’ha interrogata.»
«La miglior difesa è l’attacco.»
«Potrebbe trattarsi di quello, certo.» Piccolo Orso guardò in direzione della griglia e lei immaginò le mille cose che dovevano passargli per la testa, il peso del carico che aveva sulle spalle.
«Diavolo, tutta questa faccenda è roba per poliziotti e avvocati.»
«Già. La cosa più importante è che, se scatta un allarme, siamo pronti. Possiamo mandarne fuori venti, a questo punto.»
«Venti?»
«Alcuni dei meccanici si sono aggregati per aiutare la squadra nella sala di equipaggiamento. Stanno lavorando come schiavi. Abbiamo equipaggiamento e provviste per venti uomini, belli e pronti. Ho già richiesto dei rimpiazzi per quello che è stato danneggiato o rovinato. Questo non ci fermerà. Sei di nuovo in lista di lancio.»
«Immagino che le cose non fossero brutte come sembravano, allora.»
«Be’, sembrava davvero una pessima situazione.» Lei lo guardò togliersi molto cautamente parte di quel peso dalle spalle. «Siamo pompieri d’assalto, Svedese. Siamo capaci di scavare una trincea da qui al Canada. Questo incidente possiamo gestirlo, poco ma sicuro.»
«Io voglio che paghi.»
«Lo so. E, per dio, lo voglio anch’io. Se trovano qualunque cosa per collegarla a quella sala di equipaggiamento, voglio che la sbattano in cella. Mi dispiace per lei» disse in tono disgustato. «Le ho dato una seconda possibilità, poi una terza quando l’ho licenziata invece di chiamare la polizia. Perciò credimi, nessuno più di me vuole che paghi.»
Il telefono nella tasca di Rowan trillò.
«Dài, rispondi. Vado ad avvertire che il pranzo è pronto.» Si allontanò, poi si voltò brevemente camminando all’indietro. «Fa’ attenzione all’assalto alle costolette» la ammonì.
Ridendo, lei tirò fuori il telefono. Vide il numero di suo padre e si ricordò dei messaggi che gli aveva lasciato.
«Be’, era ora.»
«Tesoro, mi dispiace non averti richiamato. Sono tornato tardi e non volevo rischiare di svegliarti. Sono stato occupato tutta la mattina.»
«Anch’io.» Rowan gli raccontò della sala di equipaggiamento, della polizia, di Dolly.
«Santo cielo, Ro, cos’ha che non va quella ragazza? Vi serve altro aiuto? Posso vedere di riorganizzare alcune cose, o almeno mandarti un paio di uomini.»
«Penso che sia tutto sotto controllo, ma lo chiederò a Piccolo Orso.»
«Quinniock, hai detto. Lo conosco un po’. L’ho incontrato l’anno scorso quando ho partecipato a uno di quegli eventi benefici con un politico che va in giro a stringere mani. È venuto con i suoi ragazzi. Gli abbiamo fatto fare un giro.»
«Ecco dove l’avevo visto. È stato anche da queste parti. Allora... Com’è andato il tuo appuntamento, ieri sera?»
«Bene. Lavorerò a questo progetto per alcuni ragazzi delle superiori. Ed Ella – la cliente – si è segnata al corso di caduta libera.»
«Tutto questo? Un bel drink, allora.»
«Eh, be’. Ah, probabilmente la incontrerai. Vuole mettersi in contatto anche con la base. Per questo progetto. Ho un gruppo in arrivo, ma riferisci a Piccolo Orso di farmi sapere se vuole dell’aiuto supplementare. Posso dedicarci un po’ di tempo.»
«Lo farò, ma penso che siamo a posto. Potresti venire qui, dopo la chiusura. Puoi dedicare un po’ di tempo a me.»
«Stasera ho una cena di lavoro con il commercialista, per parlare un po’ dei conti. Se facessimo domani? Posso passare dopo il lavoro.»
«Per me va bene. Ci vediamo domani.»
Chiuse la comunicazione, poi si avviò per unirsi all’orda barbarica che usciva dalla manifattura, diretta ai tavoli.
Il suo umore migliorò. Progressi, stomaco pieno, un appuntamento fissato con il suo omaccione. Dopodiché promise a sé stessa che sarebbe rientrata presto e avrebbe recuperato un po’ di sonno.
L’umore si sollevò ancora di più quando udì Matt ridere per qualcosa che aveva detto Libby, vide Cards impressionare uno dei novellini con un gioco di prestigio e ascoltò Trigger e Janis discutere animatamente di baseball.
Per quanto fosse irritante riconoscerlo, Gull aveva ragione. Tutte quelle stronzate con Dolly non erano altro che uno scossone lungo la via.
Gli diede di gomito mentre si avviavano verso le rispettive zone di lavoro. «Quattro in punto, sulla pista.»
«Ci sarò.»
Rowan pensò che stava proprio andando in cerca di guai, e ammise che le piaceva. Perciò forse avrebbe fatto un piccolo strappo alla regola – o anche bello grosso, magari – per lui. Forse ci avrebbe pensato su per un po’ e avrebbe prolungato quell’eccitazione, quello sfrigolio di tensione. Oppure si sarebbe semplicemente buttata a capofitto, dandoci dentro e togliendosi quello sfizio.
Erano entrambi adulti. Sapevano entrambi come andava il mondo. Quando il fuoco tra loro si fosse sopito, potevano semplicemente allontanarsi di nuovo. Niente cicatrici, niente preoccupazioni.
Se avesse optato per il balzo, sarebbe stato quello il suo approccio. Due adulti single e sani che si piacevano e si godevano un po’ di buon sesso per spezzare la tensione.
«Ma che gran sorriso tronfio che hai» disse Janis nell’unirsi a Rowan al tavolo.
«Sto decidendo se fare sesso con Gull prima o poi.»
«Questo farebbe sbocciare un grosso sorriso tronfio anche sulla mia faccia. È così cariiino...» Scrollò le spalle, facendo danzare la sua coda di cavallo, circondata da uccellini azzurri. «In modo maschile, s’intende. Ma che ne è stato della regola?»
«Sto pensando di revocarla temporaneamente. Ma devo aspettare, continuare a ritardare, per così dire, la tensione sessuale, le allusioni e i giochetti? Oppure mi butto a capofitto nel caldo benessere del sesso sfrenato?»
«Entrambe le cose sono un ottimo modo di impiegare il tempo. Tuttavia, ho scoperto che ogni tanto aumentare l’attesa può anche creare aspettative esagerate. A quel punto, nessuno è più in grado di essere all’altezza.»
«Quello è un problema e un altro fattore da considerare. Il fatto è che non credo che lo starei prendendo in considerazione, almeno non ancora, se non fosse successo tutto questo. Quella megastronza di Dolly. Mi ha scombussolato, Janis.»
«Se lasci che quella sgualdrinella idiota, insensibile e piena di autocommiserazione ti scombussoli, è un modo per dargliela vinta. E se gliela dai vinta mi fai incazzare. E se mi fai incazzare, ti gonfierò come una zampogna.»
Rowan fece uno sbuffo. «Sai di non potermi battere.»
«Questo non è stato ancora dimostrato. Ho ottenuto il mio quarto dan questo inverno. Quando faccio i miei versi da arti marziali, a migliaia fuggono terrorizzati. Non mettermi alla prova.»
«Riesci a sentire questo rumore? Sono le mie ginocchia che tremano.»
«Sono sagge ad aver paura di me. Vai, fai sesso per divertimento, goditi gli orgasmi e dimentica quella megastronza di Dolly.»
«Sei tanto saggia quanto bassa.»
«Sono anche in grado di rompere mattoni a mani nude.» E si esaminò la manicure.
«Una capacità che potrebbe tornare utile, se mai dovessi trovarti rinchiusa da uno psicopatico nello scantinato di una casa abbandonata.»
«La tengo nascosta proprio per un’eventualità del genere.» Lanciò un’occhiata a Trigger, che stava camminando sulle mani tra i tavoli. «Una prova che stiamo impazzendo per essere stati rinchiusi troppo a lungo. C’è parecchio da fare, ma lo stiamo facendo confinati.»
«Dal modo in cui sta andando, in particolare con Dobie Stira e Cuci, saremo in condizioni migliori per attrezzatura ed equipaggiamento di quanto non fossimo prima dell’incubo di Dolly: dal profondo della notte.»
«Spero che i poliziotti le inculchino un po’ di timor di Dio.» Janis abbassò la voce. «Matt le ha dato cinquemila.»
«Cosa?»
«Per la bambina. L’ho sentita piangere con Matt dopo che Piccolo Orso le ha dato il benservito. Come avrebbe fatto a pagare le fatture dell’ospedale e il pediatra? Lui ha detto che poteva prestarle cinquemila per aiutarla a pagare le fatture e farle superare questo periodo finché non avesse trovato lavoro. Immagino di poterlo capire. La figlia di suo fratello, e tutto quanto. Ma lei continuerà a spremerlo, lo sai.»
«Perché lavorare quando puoi fare il piagnisteo con il fratello del tuo amante morto, per farti passare del denaro? Se Matt vuole aiutare la bambina, dovrebbe dare i soldi alla madre di Dolly, oppure pagare direttamente alcune di quelle fatture.»
«Hai intenzione di dirglielo?»
«Potrei farlo.» Rowan raccolse il paracadute da portare a riparare. «Potrei, eccome.»
Prese in considerazione l’idea di offrire consigli e opinioni non richieste – cosa che tutti detestavano – oppure semplicemente di starne fuori. Quando si concesse una pausa per la sua corsa, aveva praticamente esaurito le idee per una terza opzione. Forse l’esercizio fisico l’avrebbe aiutata a trovarne una.
Si mise la tuta e prese una bottiglietta d’acqua. Gull si unì a lei mentre usciva dalla caserma.
«Giusto in tempo» commentò.
«Se avessi dovuto passare un’altra ora lì dentro, avrei finito per picchiare qualcuno. Oggi come stai messo a fiato?»
«Dovremo scoprirlo. Ti dico solo che la sala di equipaggiamento sembra rimessa a posto e rifornita da Martha Stewart. E sono più che stufo di qualunque cosa possa anche lontanamente avvicinarsi a delle mansioni domestiche, ma ho tutta l’intenzione di continuare a seguire altri corsi di verifica e ripiegamento dei paracadute.»
«Quindi ti sei messo a studiare anche lì dentro?»
«Sapere come funziona una cosa non è lo stesso che farla funzionare nei fatti. Tu sei una Rigger certificata. Potresti darmi lezioni.»
«Forse.» Sapeva già che lui era uno che apprendeva in fretta. «Stai cercando di ottenere la certificazione di Rigger abilitato, o di passare più tempo con me?»
«La definirei un’attività multitasking.»
Si fermarono a lato della pista, dove Rowan si tolse la felpa, gettandoci sopra la bottiglia d’acqua. «Distanza o tempo?»
«Che ne dici di una gara?»
«Facile a dirsi per te, Piè veloce.»
«Ti darò un vantaggio. Mezzo chilometro su cinque.»
«Mezzo chilometro?» Fece un po’ di stretching per sciogliersi le caviglie. «Pensi di riuscire a battermi, con tutto questo distacco?»
«Anche se non ci riesco, avrò comunque tempo in abbondanza per godermi il panorama.»
«Okay, bello, se vuoi restare a guardarmi il culo, fai pure.»
Prese la corsia interna, preparò il suo cronometro, poi partì.
Proprio una bella vista, pensò Gull mentre passeggiava sulla pista e si infilava le cuffie. Impiegò un momento per sciogliersi, agitando le braccia e sollevando le ginocchia. Quando lei giunse al mezzo chilometro, cominciò a correre.
Dio, che bella sensazione era muoversi, respirare, avere musica che rimbombava nella testa. Un vento caldo e secco gli scorreva addosso, il sole si riversava sulla pista e, davanti a lui, c’era il corpo flessuoso di Rowan che lo precedeva in corsa.
Non poteva andare meglio di così.
Accelerò gradualmente l’andatura e, superato il chilometro e mezzo, il vantaggio di Rowan si era dimezzato. Lei indossava un paio di pantaloncini che le aderivano alle cosce e una canottiera che le modellava il torace. Mentre Gull copriva altra distanza, si concesse di godersi il taglio sensuale dei muscoli dei suoi polpacci, il modo in cui il sole giocava su quelle spalle forti.
Avrebbe voluto posare le mani su entrambi.
Nutriva un desiderio assoluto per quel corpo, doveva ammetterlo. Ed era completamente affascinato dalla mente di lei. Quella combinazione lo lasciava incapace di pensare e di provare interesse per qualunque altra ragazza.
A tre chilometri avanzò fino a trovarsi a una manciata di passi da lei. Rowan si guardò alle spalle, scosse il capo e cercò di aumentare la velocità.
Tuttavia, arrivati a quattro chilometri, Gull correva accanto a lei, spalla a spalla. Lui valutò se non fosse il caso di rallentare – una concessione al respiro affannoso di Rowan – ma il suo spirito competitivo ebbe la meglio. Tagliò il quinto chilometro con una dozzina di falcate di vantaggio.
«Cristo, Cristo.» Rowan si piegò in due per riprendere fiato. «Dovrei essere incazzata. È stato umiliante.»
«Ho riflettuto se non fosse il caso di lasciarti vincere, ma ti rispetto troppo per trattarti con condiscendenza.»
Lei rantolò una risata. «Ah ah... grazie.»
«Ma figurati.»
«Comunque.» Esaminò il cronometro che aveva fermato all’arrivo. «Ho battuto il mio record personale. A quanto pare, mi sproni a eccellere.»
Il suo volto era lucido per lo sforzo e il sudore; gli occhi di Rowan erano fissi nei suoi, limpidi e freschi.
Gull si rese conto di non aver corso abbastanza. Non aveva placato affatto il bisogno che sentiva. Agganciò le dita nel corpetto della canottiera di lei e la strattonò a sé.
«Aspetta. Non ho ancora ripreso fiato.»
«Appunto.»
Mentre prendeva la sua bocca, Gull pensò che la voleva senza fiato. Calda, senza fiato e vogliosa quanto lui. Aveva il sapore di una caramella al limone fusa, acidula e calda. Il calore della corsa e di quella lussuria soverchiante pulsava in entrambi mentre il cuore di Rowan galoppava contro il suo.
Per la prima volta, lei vacillò, appena un po’. Gull non sapeva se fosse per la corsa o per il bacio. Non gliene importava.
Da qualche parte lì vicino, qualcuno lanciò un urlo e un fischio di approvazione. E per la prima volta, come una caramella al limone al sole, lei cominciò a sciogliersi.
All’improvviso, la sirena suonò.
Si staccarono, con il respiro rapido e affannoso mentre guardavano in direzione delle caserme.
«Alla prossima puntata» le disse Gull.