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Gull la guardò dritta negli occhi mentre lui e Rowan mandavano giù il primo shot, e la tequila gli bruciava la lingua, la gola, scivolando calda e veloce fin nello stomaco.

Quelli, si rese conto, erano stati la prima cosa di lei che l’aveva attratto. Quegli occhi chiari e freddi così pieni di vita. E ora brillavano di sfida, di buonumore, e c’era qualcosa, nel modo in cui si incrociavano con i suoi, che rendeva quel momento particolarmente intimo, un momento che gli scendeva dentro, caldo e liquido come la tequila.

Seguendo il suo ritmo, Gull attaccò il secondo bicchiere.

E poi c’era la sua bocca, grande ma non troppo, con le labbra carnose, e quel modo così naturale, così abituale, di comporsi in un sorriso di scherno.

Non c’era da stupirsi che avesse voglia di assaggiarla come si deve.

«Come te la passi, Hotshot?»

«Tutto bene. E tu, Svedese?»

Per tutta risposta, lei toccò il terzo bicchiere di Gull con il suo prima di scolarlo in un sorso, imitata da lui. Rowan si portò lo spicchio di lime alle labbra. «Lo sai che cosa mi piace, della tequila?»

«Che cosa ti piace, della tequila?»

«Tutto.» Dopo una risata sguaiata, Rowan mandò giù il quarto bicchiere con la stessa noncuranza con cui aveva tracannato i primi tre. Sbatterono insieme i calici appena svuotati sul tavolo.

«Che cos’altro ti piace?» le chiese lui.

«Uhm...» Lei ci pensò mentre si scolava il quinto shot. «Mi piace aggredire gli incendi dall’alto, e mi piacciono quelli che condividono la stessa follia.» Alzò il bicchiere verso i suoi compagni, ricevendo un giro di applausi e commenti rudi, poi tornò ad appoggiarsi allo schienale con in mano il sesto bicchiere pieno. «Mi piace il fuoco e la sua cattura, mio padre, un rock’n’roll assordante in una calda sera d’estate e adorabili piccoli cuccioli. E tu che mi dici?»

Come lei, Gull si appoggiò allo schienale tenendo il suo ultimo shot.

«Concordo con la maggior parte di quello hai detto, tranne per il fatto che non conosco tuo padre.»

«E non ti sei nemmeno lanciato in un incendio, ancora.»

«Vero, ma ho una predisposizione a farmelo piacere. Mi piacciono anche il rock a tutto volume e i piccoli cuccioli adorabili, ma tenderei a sostituirli con del sesso mozzafiato in una calda sera d’estate e con grandi cagnoloni pigri.»

«Interessante.» Mandarono giù l’ultimo bicchiere all’unisono, tra gli applausi dei compagni. «Ti immaginavo più un uomo da gatti.»

«Non ho niente contro i gatti, ma un grosso cagnolone pigro avrà sempre bisogno del suo umano.»

Gli orecchini di Rowan si agitarono mentre lei inclinava la testa. «Ti piace sentirti necessario, vero?»

«Immagino di sì.»

Lei gli puntò addosso un dito, come a dire: Ti ho beccato! «Ecco che esce fuori di nuovo il romanticone.»

«In tutto il suo splendore. Ti va fare un po’ di sesso mozzafiato, nell’attesa di una calda sera d’estate?»

Lei tirò indietro la testa e scoppiò a ridere. «Un’offerta generosa, ma no.» Batté una mano sul tavolo. «Però ti terrò compagnia per un altro giro da sei.»

Che dio lo aiutasse. «Ci sto.»Si toccò il taschino. «Credo che andrò a farmi una piccola pausa sigaro mentre aspettiamo i nostri shot.»

«Ti concedo dieci minuti di ricreazione» annunciò Rowan. «Ehi, Big Nate, che ne dici di portarci un po’ di patatine e salse per accompagnare questa tequila? Non ci dare quelle ammosciate, eh...»

La donna dei suoi sogni, decise Gull mentre andava fuori a fumarsi il suo sigaro. Una bomba sexy che mangiava nachos, si scolava tequila su tequila e si lanciava tra le fiamme, con un gran cervello e un montante strepitoso.

Ora, tutto quello che gli restava da fare era convincerla ad andare a letto con lui.

Si accese il sigaro nella fresca oscurità della sera e sbuffò una nuvola di fumo verso il cielo brulicante di stelle. Quella notte era dannatamente perfetta. Musica scadente in un bar texano, tequila da quattro soldi, la compagnia di gente che la pensava come lui e una donna avvincente che gli solleticava la mente ed eccitava il suo corpo.

Ripensò a casa e agli inverni che occupavano e assorbivano la maggior parte del suo tempo. Non gli dispiaceva, anzi, gli faceva piacere. Però, se doveva trarre una qualche lezione dagli ultimi anni, era che aveva bisogno del calore e dell’adrenalina dell’estate, del lavoro e, sì, del rischio di dare la caccia agli incendi.

Forse era solo quello, la combinazione di orgoglio e piacere per ciò che aveva compiuto a casa, e il brivido e la soddisfazione per ciò che sapeva di poter portare a termine in quel posto, che gli permetteva di starsene lì fuori in una fredda serata di primavera, nel bel mezzo del quasi-nulla, e di riconoscere la perfezione in quel momento.

Si aggirò attorno all’edificio, godendosi il suo sigaro, con il pensiero di dover affrontare Rowan per un altro giro di shot di tequila. La prossima volta – sempre che ci fosse stata una prossima volta – si sarebbe assicurato di avere una bella bottiglia di Patrón Silver. Perlomeno così si sarebbe sentito più sicuro su ciò che gli avrebbe bucato lo stomaco.

Divertito da quel pensiero, girò l’angolo dell’edificio. La prima cosa che sentì furono i versi soffocati, poi il rumore nauseante di un pugno che affondava nella carne. Avanzò verso i rumori, cercando di vedere qualcosa nei punti più bui del parcheggio.

Due degli uomini a cui Rowan aveva dato una lezione all’interno tenevano fermo Dobie mentre il terzo – quello grosso – lo massacrava di botte.

«Cazzo» mormorò Gull e, gettando via il sigaro, si gettò nella mischia.

Udì uno degli uomini gridare, sovrastato dal ronzio sordo e rabbioso che gli aveva invaso le orecchie. L’omone si girò, con il viso contorto dall’ira. Gull tirò indietro un pugno e lo scaricò sul tipo.

Non pensava; non ce n’era bisogno. L’istinto prese il posto della ragione mentre gli altri due uomini lasciavano cadere Dobie a terra per lanciarsi su di lui. Accolse la follia, il momento, pugni, calci, gomitate, mentre in bocca sentiva il sapore del suo sangue e quello degli altri.

Sentì qualcosa rompersi sotto il suo pugno, e uno sbuffo d’aria quando il suo calcio andò a segno sulla pancia dell’avversario. Qualcuno cadde in ginocchio tossendo e sputando dopo che il suo gomito aveva colpito una gola esposta. Con la coda dell’occhio, Gull vide che Dobie era riuscito a rialzarsi e si era avvicinato zoppicando per sferrare un pesante calcio di punta nel costato dell’uomo in ginocchio.

Uno degli aggressori cercò di scappare. Gull lo afferrò e lo scaraventò a terra, mandandolo a scorticarsi il viso sul brecciolino.

Non si ricordava con chiarezza di aver messo al tappeto il grassone e di essergli montato sopra per riempirlo di cazzotti, ma ci vollero tre dei suoi colleghi per tirarlo via di lì.

«Ne ha avute abbastanza. È svenuto.» La voce di Piccolo Orso riuscì a penetrare attraverso il ringhio sordo dell’ira. «Calmati, Gull.»

«Okay. Sto bene.» Gull alzò una mano per avvertire che la smetteva. Quando la stretta dei compagni si allentò, guardò verso Dobie.

Il suo amico era seduto a terra, circondato da altri paracadutisti e da alcune ragazze del posto. Aveva la faccia e la maglietta coperte di sangue, con l’occhio destro chiuso e gonfio.

«Ti hanno conciato per le feste, amico» commentò Gull. Poi vide una macchia scura sulla gamba destra dei pantaloni di Dobie, e una chiazza che si allargava a terra. «Cristo! Ti hanno accoltellato?»

Prima che Gull potesse raggiungerlo, Dobie con due dita tirò fuori dalla tasca una bottiglia rotta di tabasco. «Macché. Si è rotta questa quando sono andato giù. Ho solo qualche livido qua e là, e ho sprecato tutto quel buon tabasco.»

Piccolo Orso si chinò per dare un’occhiata da vicino a Dobie. «Ti porti il tabasco nelle tasche?»

«Dove altro dovrei portarlo?»

Scuotendo la testa, Gull si accovacciò accanto a loro. «Lo mette dappertutto.»

«Ci puoi giurare.» Per provarlo, Dobie rovesciò il poco che rimaneva sul culo di uno degli uomini in stato di semincoscienza. «Sono uscito a prendere una boccata d’aria, e questi tre mi si sono avventati addosso. Stavano aspettando me, o uno qualunque di noi, immagino. Sei arrivato proprio al momento giusto» disse a Gull. «Conosci il kung fu, o roba del genere?»

«Qualcosa del genere. Sarà meglio che ti faccia controllare quelle ferite.»

«Oh, sto bene.»

Rowan si fece largo tra i presenti e si accovacciò di fronte a Dobie. «Non sarebbero venuti a cercare te, se non ce l’avessero avuta con me. Fammi un favore, okay? Vatti a far rimettere in sesto, così non dovrò sentirmi in colpa.» Poi si chinò in avanti e gli diede un bacio sulla guancia insanguinata e contusa. «Sono in debito con te.»

«Be’, se può farti sentire meglio...»

«Vuoi che chiami la polizia?» gli chiese Big Nate.

Dobie guardò i tre uomini e si strinse nelle spalle. «Mi sembra che abbiano più bisogno di un’ambulanza.» Scrollò di nuovo le spalle. «Non me ne frega niente che vadano in cella, all’inferno o che se ne tornino dal buco da cui sono usciti.»

«E va bene.» Big Nate si fece avanti e spinse con la punta del piede quello seduto a terra, che si teneva la faccia tra le mani. «Sei in grado di guidare?» Quando l’uomo riuscì a fare cenno di sì con la testa, Big Nate lo spinse di nuovo col piede, un po’ più forte. «Allora sali sul tuo furgone con gli stronzi che ti sei portato appresso. Togliti di torno, e vedi di allontanarti di parecchio. Se ti rivedo da queste parti, o dovunque mi trovi a essere, quanto è vero iddio giuro che ti farò rimpiangere di non aver visto le guardie, stasera. E ora, fuori dalla mia proprietà.»

Per sbrigare la faccenda, diversi uomini gettarono il grassone e i suoi compagni gementi sul furgone, restando lì, immobili, finché i tre non furono lontani.

Gull ricevette mille pacche sulla schiena e innumerevoli offerte di bevuta. Saggiamente, le accettò tutte per evitare controversie mentre guardava Libby, Cards e Gibbons che aiutavano Dobie a salire su uno dei furgoni.

«Vuoi che chiami un dottore?» gli chiese Piccolo Orso.

«No. Mi sono fatto più male cadendo giù dal letto.»

Piccolo Orso e Gull rimasero a fissare il furgone. «Starà bene. Ci vogliono più di tre stronzi per mettere al tappeto un pompiere d’assalto.» Diede a Gull un’ultima pacca sulla spalla, poi tornò verso il bar mentre il furgone si allontanava dal parcheggio.

Gull rimase lì dov’era, cercando di ritrovare la sua calma. Sapeva che era lì, dentro di lui, da qualche parte, ma al momento gli sfuggiva.

«È tuo, questo?»

Si voltò e vide Rowan con il suo sigaro tra le dita.

«Già. Immagino di averlo lasciato cadere.»

«Dita di burro.» Lei diede qualche boccata di prova finché il mozzicone non si fece nuovamente rosso, poi fece un bel tiro di fumo, lungo e profondo. «Ed è anche di prima qualità» aggiunse, prima di restituirglielo. «Sarebbe un peccato sprecarlo.»

Gull lo prese, lo studiò. Questo è troppo, decise.

Gettò il mozzicone a terra e, afferrando Rowan per i fianchi, l’attirò a sé. «Questo è troppo» ripeté, prima di spingere le labbra sulla bocca di lei.

Un uomo poteva sopportare fino a un certo punto, prima di esplodere.

Lei lo spinse via posandogli entrambe le mani sul petto. «Ehi!»

Per un istante, Gull pensò che avrebbe assaggiato in prima persona il suo magnifico montante. Poi lei replicò il suo stesso gesto e lo tirò a sé.

La sua bocca era proprio come lui se l’era immaginata. Calda, e soffice, e avida. Incontrò le sue labbra con uguale fervore, come se in entrambi si fosse appena acceso un interruttore. Premette il suo corpo mozzafiato su quello di Gull senza esitazioni, senza remore, come fosse un dono e insieme una sfida, finché l’aria fredda sotto quelle stelle brulicanti non sembrò prendere fuoco.

Gull sentì il forte sapore di tequila sulla sua lingua, un affascinante contrasto con il profumo di pesche mature che emanava la sua pelle; sentì il cuore di lei che martellava, forte e deciso come il suo.

Poi lei si staccò, lo guardò negli occhi e rimase lì per un istante prima di tirarsi indietro.

«Ci sai fare» commentò.

«Anche tu.»

Lei emise un lungo respiro. «Sei una tentazione, Gull, non posso negarlo. Sarebbe stupido farlo, e non sono una stupida.»

«Tutt’altro, direi.»

Strofinò un labbro sull’altro, come a voler ritornare sul suo sapore. «Il fatto è che, una volta che si mette di mezzo il sesso, anche le persone più intelligenti possono diventare stupide. Per cui... sarà meglio evitare.»

«Il no è una tua scelta. La mia è di continuare a provarci.»

«Non posso certo fartene una colpa.» Lei gli sorrideva, ora; non il suo solito sorriso ironico, ma qualcosa di più caloroso. «Combatti come un pazzo scatenato.»

«Tendo a lasciarmi trasportare, per cui cerco di evitarlo quando posso.»

«Un’ottima politica. Che ne dici se rimandiamo la tequila a un altro momento, e mettiamo un po’ di ghiaccio su quella mascella?»

«Va bene.»

Mentre si avviavano verso il locale, lei gli rivolse un altro sguardo. «Che tecnica era, quella che hai usato con quei bastardi?»

«Un’antica arte marziale, chiamata ‘rompere il culo’.»

Lei rise e gli diede un colpetto con il fianco. «Impressionante.»

Lui le restituì il colpetto. «Vieni a letto con me e te la insegno.»

Lei rise di nuovo. «Puoi fare di meglio.»

«Mi sto solo scaldando» le disse, poi aprì la porta e furono investiti dall’atmosfera afosa del locale, in un’ondata di musica scadente.

Rowan tirò su la zip della giacca mentre usciva. Aveva passato un po’ di tempo in palestra e aveva controllato la lista di lancio sul pannello nella sala operativa. Era nel primo giro, quarto uomo. Ora aveva voglia di farsi una bella corsetta in pista, e poi magari di mangiare qualcosa. Aveva già controllato più e più volte il suo equipaggiamento. Se fosse suonato l’allarme, sarebbe stata pronta.

Altrimenti...

Altrimenti, pensò, mentre salutava agitando un braccio uno dei meccanici, c’era sempre del lavoro da svolgere, o altri esercizi in palestra. Ma il fatto era che Rowan era pronta, più che pronta, a dare la caccia al suo primo incendio della stagione. Lanciò un’occhiata al cielo mentre s’incamminava verso la pista: chiaro, sgombro e di un blu primaverile come non se ne vedevano spesso.

Sotto quel cielo, la vita nella base proseguiva in modalità mattutina d’inizio stagione. I paracadutisti e lo staff di supporto si tenevano impegnati, lavando i veicoli o mettendo a punto i loro motori; o mettendo a punto sé stessi con qualche esercizio a corpo libero sul campo di addestramento. Dopo la bisboccia del giorno prima, molti avevano avuto qualche difficoltà a uscire dal letto, ma Rowan sentiva il bisogno di prendere aria e di faticare.

Quando guardò verso la pista, vide che non era l’unica.

Riconobbe Gull non soltanto per il corpo, ma per la velocità. Piedi veloci, pensò di nuovo. A quanto pareva, la bevuta a base di tequila e una rissa da bar non l’avevano rallentato.

Non poteva che ammirarlo per questo.

Mentre si avvicinava corricchiando, Rowan notò che, nonostante l’aria fosse piuttosto fredda, Gull aveva sudato un bel po’, e il sudore gli aveva lasciato una grossa V scura sulla maglietta grigia.

Anche quello era ammirevole. Le piacevano gli uomini che spingevano sé stessi fino al limite, che si mettevano alla prova anche quando non dovevano dimostrare nulla a nessuno.

Benché avesse già fatto stretching, si concesse una pausa per allungarsi ancora un po’ prima di togliersi il giacchetto. E calcolò il tempo dell’ingresso in pista in modo da entrare proprio accanto a lui.

«Che combini?»

Lui si limitò ad alzare due dita, risparmiando il fiato.

«Vai per tre?» Quando lui annuì, Rowan si chiese se sarebbe stato in grado di mantenere quel passo micidiale per un altro chilometro. «Anch’io. Però tu va’ avanti, Flash, io non riesco a tenere il tuo passo.»

Rowan si sganciò e trovò il proprio ritmo di corsa.

Le piaceva correre, le piaceva con tutto il cuore, ma immaginò che, se avesse avuto la velocità di Gull, sarebbe stata una cosa che avrebbe addirittura adorato. Poi si dimenticò di lui, si concentrò sul proprio corpo, sull’aria, sul picchiettio ritmico delle proprie scarpe sulla pista. Lasciò che la sua mente si svuotasse affinché potesse di nuovo riempirsi di pensieri sparsi.

La lista delle sue scorte personali, il fatto di dover trovare del tempo per cucire un po’ di borse da equipaggiamento, la bocca di Gull, Dobie. Avrebbe dovuto fare una telefonata a suo padre, visto che essendo di turno, non poteva passare a trovarlo. Perché mai Janis si metteva lo smalto sui piedi se poi nessuno lo vedeva? I denti di Gull che le graffiavano il labbro inferiore. Degli stronzi che si mettevano in gruppo contro un piccoletto.

Gull che rompeva loro il culo in un parcheggio buio.

Il culo di Gull. Molto bello.

Sarà meglio pensare a qualcos’altro, si disse mentre chiudeva il primo chilometro. Però, che diavolo, non c’era nient’altro di attraente. E poi, pensare non aiutava.

Quello di cui aveva bisogno – di cui tutti loro avevano bisogno – era che quella dannata sirena si mettesse a suonare. Allora sarebbe stata troppo occupata per fantasticare, e tantomeno per considerare la possibilità di complicarsi la vita con un collega di lavoro.

Un vero peccato che non si fossero conosciuti durante l’inverno, anche se non vedeva come avrebbe fatto a incontrarlo, visto che viveva in California. Eppure, se si fosse presa una vacanza e fosse capitata nella sua sala giochi... Avrebbe avuto lo stesso brivido, se l’avesse conosciuto su una pista da bowling, o durante una partita infuocata di Mortal Kombat?

Difficile dirlo.

Sarebbe stato altrettanto bello, si disse Rowan. Ma le avrebbe fatto lo stesso effetto, se avesse guardato quei suoi occhi verdi mentre le vendeva dei gettoni?

Quel che provava non era forse, almeno in parte, dovuto a ciò che avevano fatto lì, all’allenamento, al sudore versato, alla trepidazione condivisa, all’intensa soddisfazione di sapere che soltanto pochi eletti potevano superare il test ed essere ciò che erano loro?

E... Ehi, non era forse proprio quella la ragione per cui non si concedeva relazioni di tipo romantico o sessuale con altri pompieri d’assalto? Come poteva fare affidamento sulle sue sensazioni, quando queste ultime venivano amplificate dal brivido dell’adrenalina? E che cosa dovevi fare con quelle sensazioni, quando e se – più probabilmente quando – le cose andavano storte? Ti toccava comunque lavorare e affidare la tua vita a qualcuno con cui eri andato a letto e con cui poi avevi smesso di farlo. E uno dei due, o entrambi, sarebbero stati piuttosto seccati per la cosa.

Era molto meglio conoscere qualcuno, anche se vendeva gettoni in una sala giochi, e farsi una bella avventura a breve termine, senza complicazioni. E poi tornare a fare quel che facevi di solito.

Aumentò il passo per chiudere l’ultimo chilometro, poi rallentò fino a una corsetta di rilassamento. Inarcò le sopracciglia quando Gull la affiancò.

«Sei ancora qui?»

«Ne ho fatti cinque. Mi sentivo in forma.»

«Niente nebbia da tequila, stamattina?»

«Non soffro mai di postumi da sbronza.»

«Mai? Qual è il tuo segreto?» Quando lui si limitò a sorridere, lei scosse la testa. «Sì, va bene... me lo dici solo se vengo a letto con te. Come sta la mascella, invece?»

«Tutto a posto.» Pulsava come un tamburo dopo quei cinque chilometri, ma Gull sapeva che sarebbe passato presto.

«Ho sentito che Dobie ha rifiutato di passare la notte in osservazione, all’ospedale. Piccolo Orso l’ha esonerato dalla lista di lancio finché non sarà di nuovo in forma.»

Gull annuì. Anche lui aveva controllato la lista di lancio. «Non gli ci vorrà molto. È un piccolo bastardo robusto, quello.»

Rowan rallentò fino a camminare, poi si fermò per un po’ di allungamenti. «Che cosa stavi ascoltando?» gli chiese, indicando il lettore mp3 allacciato al suo braccio.

«Rock a tutto volume» disse con un sorriso. «Se vuoi te lo presto, la prossima volta che corri.»

«Non mi piace ascoltare musica mentre corro. Mi piace pensare.»

«La cosa migliore della corsa è il non dover pensare.»

Mentre lui faceva stretching, Rowan osservò il corpo a cui aveva tanto pensato. «Già, probabilmente hai ragione.»

S’incamminarono insieme verso la base.

«Non sono venuta qui perché ti ho visto in pista.»

«Be’, dannazione. Ora mi hai rovinato la giornata.»

«Però ho ammirato il tuo culo mentre mi superavi.»

«Questo è in parte soddisfacente» rifletté lui «ma trovo che non risarcisca appieno il mio ego.»

«Sei un tipo strano, Gull. Hai la tendenza a usare paroloni e a leggere libroni, mi dicono. Sei cattivo come un serpente a sonagli quando fai a botte, veloce come un ghepardo, e passi i tuoi inverni a giocare a biliardino.»

Gull si chinò a raccogliere la felpa da terra. «Mi piace il biliardino.»

Mentre si legava le maniche della giacca attorno alla vita, lei studiò a lungo il suo viso. «Sei un tipo difficile da capire.»

«Solo se usi un metro di giudizio universale.»

«Può darsi, ma...» S’interruppe quando vide il furgone parcheggiare di fronte alla sala operativa. «Ehi!» gridò, agitando le braccia, e partì di corsa.

Gull osservò l’uomo scendere dal furgone, alto e solido come una roccia, con un vecchio giacchetto di pelle e un paio di stivali rovinati. I suoi capelli grigio argento si agitavano al vento, incorniciando un viso abbronzato e dalla mascella forte. Si voltò e aprì le braccia per accogliere Rowan, che gli saltò al collo. Gull avrebbe potuto provare una fitta di gelosia, ma aveva riconosciuto Lucas Iron Man Tripp.

Ed era una bella cosa, a suo modo di vedere, che un uomo abbracciasse così la sua bambina ormai cresciuta.

«Stavo proprio pensando a te» disse Rowan a suo padre. «Volevo chiamarti oggi. Sono il quarto uomo di lancio, per cui non sarei potuta scendere.»

«Mi mancavi. Ho pensato di salire a dare un’occhiata, prendermi un’oretta per vedere come stanno andando le cose.» Si tolse gli occhiali da sole e li appese al taschino. «Allora, ci sono un bel po’ di novellini, quest’anno...»

«Già. A proposito...» Rowan si guardò intorno, poi fece cenno a Gull di cambiare direzione e di raggiungerli. «Lui è quello che ha infranto il record della base sui due chilometri e mezzo. È un Hotshot della California.» Rowan tenne il braccio attorno alla vita di suo padre mentre Gull veniva loro incontro.

«Gulliver Curry, Lucas Tripp.»

«È un vero piacere, signor Tripp» disse Gull mentre gli tendeva la mano.

«Lascia perdere quel ‘signor’. Congratulazioni per il record della base, e per aver superato il test.»

«Grazie.»

Rowan aveva gli occhi del padre, notò Gull mentre finivano i convenevoli. E la sua struttura fisica. Ma ciò che lo impressionò fu il linguaggio corporeo di entrambi. Diceva, semplicemente e incontrovertibilmente, che insieme formavano una squadra inattaccabile.

«Eccoti, vecchio figlio di puttana!» Yangtree fece sbattere la porta della sala operativa alle sue spalle e venne loro incontro per abbracciare Lucas.

«È bello vederti di nuovo. Allora ti hanno lasciato passare anche quest’anno?»

«Diavolo. Qualcuno deve pur mantenere questi debosciati in riga.»

«Quando ti sarai stancato di fare da balia ai bambini, mi farebbe sempre comodo un altro istruttore.»

«Per insegnare ai ragazzi ricchi come si salta da un aereo.»

«E alle ragazze» aggiunse Lucas. «Un modo come un altro di guadagnarsi da vivere.»

«Niente equipaggiamento da preparare e da spacchettare, niente linea da tenere per venti ore di fila. Scommetto che ti mancano ogni giorno, queste cose» disse Yangtree, puntandogli un dito contro.

«E due volte al giorno, la domenica.» Tripp passò una mano sulla schiena di Rowan. «Ma non alle mie ginocchia.»

«L’ho sentito dire, già.»

«Vi troveremo un paio di sedie a dondolo» suggerì Rowan «e magari una bella tazza di camomilla.»

Lucas le tirò un orecchio. «Aggiungici una birra, e ci sto. Comunque, ho sentito dire che ve ne siete scolate parecchie, l’altra sera, e che avete avuto qualche problemino.»

«Niente che non potessimo gestire» disse Yangtree, facendo l’occhiolino a Gull. «O che tu non potessi gestire, dico bene, Spaccaculi?»

«Una momentanea distrazione.»

«È stata la distrazione momentanea a farti quel livido sulla mascella?» chiese Lucas.

Gull ci passò sopra una mano. «Le direi di andare a vedere come stanno gli altri tizi ma, visto che se ne sono scappati con la coda tra le gambe, è difficile sapere in che condizioni siano le loro facce.»

«Per averle sbattute sui tuoi pugni.» Lucas accennò con la testa alle sue nocche livide. «Come sta il ragazzo che hanno messo in mezzo?»

«Sai già tutto?» chiese Rowan.

«Orecchio a terra, mia cara.» Lucas la baciò sulla fronte. «Ho sempre l’orecchio incollato al terreno.»

«Dobie è un piccoletto, ma incassa bene.» Yangtree girò la testa e sputò per terra. «Lo stavano conciando per le feste, quando è arrivato Spaccaculi, qui. Ovviamente, prima di tutto questo, la tua figlioletta ne aveva già mandati due a gambe all’aria.»

«Già, ho saputo anche questo.»

«Non sono stata io a cominciare.»

«Così mi dicono. Cominciare una rissa è da stupidi» sentenziò Lucas. «Concluderla è necessario.»

Rowan strinse gli occhi. «Non sei venuto a vedere come procedono le cose... Sei venuto a controllare me

«Può darsi. Vuoi litigare per questo?»

Lei gli diede un colpetto sul petto e sorrise.

E la sirena cominciò a suonare l’allarme.

Rowan baciò la guancia di suo padre. «Ci vediamo dopo» disse, e scappò via. Yangtree diede una pacca sulla spalla di Lucas e la seguì.

«È stato un piacere conoscerla.»

Tripp prese la mano che gli tendeva Gull e fissò le sue nocche. «Sei fuori dalla lista per colpa di queste.»

«Oggi.»

«C’è sempre domani.»

«Ci conto.»

Gull si diresse verso la sala di equipaggiamento. Non era nella lista di lancio, ma poteva sempre dare una mano a quelli che lo erano. I pompieri d’assalto si stavano già preparando, tirando fuori dagli armadietti il loro equipaggiamento e indossando tute in kevlar sopra gli indumenti ignifughi. Quando riuscì a individuarla, Rowan si era già seduta su una delle sedie pieghevoli della sala per infilarsi gli stivali.

Gull aiutò la squadra con l’equipaggiamento finché non riuscì ad arrivare a lei.

Cercando di farsi sentire oltre il rumore dei motori e delle altre voci, le gridò: «Dove?»

«Ce n’è uno sui Bitterroot, vicino Bass Creek.»

Un volo piuttosto breve, calcolò lui, per permettere un controllo dell’equipaggiamento prima dell’imbarco. Cominciò a controllarle le fibbie degli stivali e risalì verso l’alto. Si era già dimenticato delle proprie nocche e della sua momentanea esclusione dalla lista di lancio.

I rimpianti non servivano a nessuno.

«Sei a posto.» Gull le mise una mano sulla spalla e incontrò lo sguardo di lei. «Dacci dentro.»

«È l’unica cosa che so fare.»

La guardò andare, e pensò che anche l’andatura a papera a cui la costringevano la tuta e l’equipaggiamento sembrava sicura e sexy, su di lei.

Mentre usciva per seguire l’imbarco del resto del gruppo, vide Dobie che zoppicava verso di lui. Più in là c’era Lucas Iron Man Tripp, con le mani ficcate in tasca.

«Quei pezzi di merda ci hanno rovinato la giornata.» Dobie si fermò accanto a Gull, ansimando un poco, con il volto coperto di lividi e l’occhio rovinato da un intenso miscuglio di rosso e viola.

«Ce ne saranno altre.»

«Già. Merda. Libby è lassù. Non avrei mai pensato che ne avrebbe catturato uno prima di me.»

Rimasero lì, in piedi, mentre l’aereo rullava in pista e poi alzava il muso. Gull lanciò un’occhiata al punto in cui aveva scorto Lucas, e lo vide alzare lo sguardo verso il cielo. Guardava sua figlia volare verso le fiamme.