10
Lucas fece capolino nella cucina della base.
«Ho sentito delle voci su una torta ai mirtilli.»
Marg si lanciò un’occhiata alle spalle mentre terminava di ungere un paio di tacchini grossi come due motociclette. «Potrei averne messo da parte un pezzo e forse potrebbe anche essermi rimasta una tazza di caffè da berci sopra. Se qualcuno me lo chiedesse con gentilezza.»
Lui si avvicinò e le diede un bacio sulla guancia.
«Così va meglio. Su, siediti.»
Lui prese una sedia al banco da lavoro, dove Lynn era intenta a preparare colline di vegetali. «Come va, Lynn?»
«Non c’è male, considerando che continuiamo a perdere cuochi.» Gli scoccò un sorriso con un luccichio dei suoi intensi occhi castani. «Se te ne stai seduto qui troppo a lungo, ti metteremo al lavoro.»
«Sono disposto a lavorare per la torta. Ho saputo del problema. Speravo di parlare con Rowan, ma mi hanno detto che è a un picnic con il novellino dalla California.»
«Piè veloce» confermò Lynn. «Ha intortato Marg finché non l’ha convinta a preparargli un cestino da picnic.»
«Nessuno intorta me, a meno che non mi piaccia la torta.» Marg mise davanti a Lucas un pezzo caldo di dolce ai mirtilli, con una cucchiaiata di gelato che si scioglieva delicatamente sulla crosta dorata.
«Ci sa fare, però» commentò Lynn.
«Nessuno ci sa fare con Rowan, a meno che non sia lei a permetterlo.» Marg aggiunse una grossa tazza di caffè alla torta.
«Non sono preoccupato per lei.» Lucas scrollò le spalle.
«Bugiardo.»
Lucas sorrise a Marg. «Non molto, diciamo. Che cosa mi dite di questa faccenda con Dolly?»
«Per prima cosa, la ragazza sa cucinare ma non ha il cervello o il buonsenso di quel cespo di broccoli che Lynn sta preparando.» Marg agitò una presina verso di lui. «E non pensare che non sappia che ha cercato di farti il filo una volta o due.»
«Oh, perbacco» disse Lynn mentre sia lei che Lucas arrossivano fino all’attaccatura dei capelli.
«Buon dio, Marg, ha la stessa età di Rowan.»
«È stato quello e il buonsenso a fermarti, ma a lei non ha impedito di provarci.»
«Questo non ha importanza» borbottò Lucas, poi si concentrò sulla torta.
«Puoi ringraziare me per avertela tolta di torno prima che Rowan venisse a saperlo e le facesse lo scalpo. Comunque, sarei stata pronta a scornarmi con Piccolo Orso sul fatto di non doverla riassumere, ma ci serviva l’aiuto. L’ultima cuoca che avevamo preso non ha superato il periodo di prova.»
«Troppo lavoro, ha detto.» Lynn roteò gli occhi mentre riempiva una pentola enorme con la montagna di patate che aveva sbucciato e tagliato.
«Stavo pensando di vedere se riuscivamo a prendere una delle ragazze che ogni tanto vengono a darci una mano con i preparativi e le pulizie, farla diventare una cuoca a tempo pieno. D’altra parte, Dolly aveva l’esperienza necessaria e sapevo cos’è capace di fare. E poi, be’, aveva una bambina.»
«La figlia di Jim Brayner.» Lucas annuì mentre mangiava la torta. «Tutti meritano un’opportunità.»
«Sì, e grazie a questo luogo comune la stanza di Ro è stata ridipinta col sangue di maiale. Brutta faccenda, lascia che te lo dica.»
«Quella ragazza ce l’aveva con Ro fin dai giorni della scuola, ma arrivare a questo...» Lucas scosse il capo. «È semplicemente insensato.»
«Dolly è stata fortunata che Cards fosse lì a trattenere Ro quanto bastava perché gli altri ragazzi arrivassero di corsa e la bloccassero. Altrimenti non sarebbe stato solo sangue di maiale.»
«Mia figlia ha un carattere un po’ impulsivo.»
«Già, ma aveva ragione, se vuoi la mia opinione... o quella di chiunque altro, qui. E cosa ha fatto, Dolly, dopo che Piccolo Orso l’ha segata?» Gli occhi di Marg diventarono roventi mentre schiaffava un panno per i piatti sul bancone. «È venuta a piangere da me, chiedendomi di mettere una buona parola a suo favore! Gliel’ho data sì, una parola.»
Lynn sbuffò. «Assieme ad altre, come: ‘Porta fuori il tuo parola dalla mia cucina!’»
«Mi dispiace per i suoi guai, ma è meglio che se ne sia andata. E lontano dalla mia ragazza» aggiunse Lucas. Per quanto lo riguardava, meglio che fosse finita. «Come valuteresti le reclute, questa stagione?»
Marg tirò fuori un paio di casseruole. «Per reclute intendi il novellino con cui la tua figliola sta mangiando pollo fritto, o anche gli altri?»
«Parlo di tutti.» Lucas prese l’ultimo pezzo di torta. «Forse di uno in particolare.»
«Sono un buon raccolto, incluso uno in particolare. Direi che molte reclute sono pazze quanto basta da tenere botta.»
«Immagino che lo vedremo presto. La torta era dannatamente buona, Marg.»
«Stai per caso cercando di farmi sganciare altro cibo?»
«Non posso.» Si diede delle pacche sulla pancia. «I giorni in cui mangiavo come un pompiere d’assalto sono finiti. E ho alcune cose di cui devo occuparmi» aggiunse quando si alzò per portare piatto e tazza al lavandino. «Quando vedi Ro, dille che sono passato.»
«Contaci. Sei abbastanza vicino da poter passare anche un po’ più spesso.»
«Gli affari vanno bene e questo mi tiene bloccato. Ma troverò il tempo. Non lavorare troppo, Lynn.»
«Vieni a dirmelo a ottobre, magari potrei darti retta.»
Uscì fuori e si diresse verso il suo furgone. Come sempre, ebbe una lieve fitta di nostalgia. Vide che alcuni dei ragazzi si erano fatti coinvolgere in una corsa sulla pista. Altri invece se ne stavano a chiacchierare con i meccanici.
Notò Yangtree, con un’aria ufficiale nella sua camicia e cappello di ordinanza, che guidava un gruppo per un tour fuori dall’edificio logistico.
Notò che nel gruppo c’erano parecchi bambini, eccitati alla vista dei paracadute, delle tute e della rete dei sistemi informatici della base, enormemente migliorata dai tempi in cui lui lavorava lì.
Forse sarebbero stati fortunati e avrebbero visto qualcuno sistemare un paracadute. Comunque sia, era una tappa interessante per un bambino in vacanza estiva.
Questo gli fece pensare alla scuola, e la scuola gli fece pensare alla preside di liceo che aveva acconsentito a incontrare per un drink.
Probabilmente sarebbe stato meglio se l’avesse semplicemente portata in ufficio per discutere con lei. Professionale.Quell’amichevole incontro di lavoro cominciò a martellargli sui nervi sempre di più, man mano che la giornata andava avanti.
Ricordò a sé stesso che non c’era più modo di evitarlo, ormai, e tirò fuori le chiavi dalla tasca. Mentre lo faceva, il ruggito di un motore lo fece voltare e Lucas si accigliò un po’ nel vedere sua figlia che si abbottonava la camicia sul sedile del passeggero di una R8 decappottabile.
Lei lo salutò con la mano, poi balzò fuori non appena quella bestia di macchina si fermò con un ultimo ringhio.
«Ehi! Pensavo di provare a fare un salto giù per venire a trovarti, più tardi.» Gli gettò le braccia al collo. Esisteva qualcosa di più meraviglioso dell’abbraccio di una figlia cresciuta? «Ma, visto che sei qui, non ce n’è più bisogno.»
«C’è mancato poco che non ci incrociassimo. Gull, giusto?»
«Sì, esatto. È bello rivederla.»
«Bella macchina.»
«A me non dispiace.»
«Quanto fa?»
«In teoria o in pratica... con sopra sua figlia?»
«È una buona risposta, senza rispondere» decise Lucas.
«Vuole provarla?» Gull gli porse la chiave.
«Ehi!» Rowan fece per afferrarle al volo, ma mancò la presa quando Gull richiuse le dita. «Perché a lui sì?»
«Perché lui è Iron Man.»
Rowan si infilò i pollici nelle tasche. «Ha detto che dovevo andare a letto con lui, prima di poterla guidare.»
Gull rispose al suo sorrisetto con un’occhiata fulminante. «Lei ha declinato l’invito.»
«Mmm. Be’, non mi dispiacerebbe farci una corsetta. Purtroppo però devo declinare anch’io l’invito, dato che ora devo proprio andare.»
«Non puoi restare?» chiese Rowan. «Così stiamo un po’ insieme. Potresti trattenerti e scroccare la cena.»
«Mi piacerebbe molto, ma ho un paio di cose di cui occuparmi, e poi devo incontrare una cliente per un drink. Un appuntamento di lavoro.»
Rowan si tolse gli occhiali da sole. «Una cliente?»
«Già. Già. Lei ha un... ehm... certo progetto di cui vuole parlarmi, ed è interessata al corso di caduta libera. Perciò immagino che ne parleremo. Di quello. Comunque sia... Tornerò presto e vi scroccherò quella cena. E magari proverò la tua macchina, Gull.»
«Quando vuole.»
Lucas prese il mento di Rowan nella mano. «Ci vediamo dopo.»
Lei lo osservò salire sul furgone e andare via.
«Un appuntamento di lavoro... sì, col cazzo.»
Gull aprì il bagagliaio per tirare fuori il cestino da picnic. «Come, scusa?»
«Ha un appuntamento. Con una donna.»
«Wow! Questa sì, che è una notizia sconcertante. Penso che il mio cuore abbia saltato un battito.»
«Lui non ha mai appuntamenti galanti.» Rowan continuò ad avere un’espressione accigliata mentre il furgone di suo padre rimpiccioliva in lontananza. «È tutto impacciato e agitato con le donne, se quella che ha davanti gli piace. Non hai visto quanto era scombussolato quando ha parlato del suo appuntamento di lavoro? E lei chi diavolo è?»
«È dura, ma devi lasciare che i bambini lascino il nido, prima o poi.»
«Oh, ma fammi il piacere. Gli va il cervello in pappa, quando è assieme a un certo tipo di donna, e si fa manipolare.»
Affascinato dalla sua reazione, Gull si sporse sulla macchina. «È solo un’ipotesi azzardata, ma potrebbe darsi che stia per incontrare una donna da cui è attratto e che non ha intenzione di manipolarlo. Berranno qualcosa e faranno quattro chiacchiere.»
«E tu che diavolo ne sai?» lo fulminò Rowan, poi si diresse a passi furiosi verso gli alloggi.
Divertito, Gull, riportò il canestro a Marg.
Non aveva fatto in tempo a posarlo sul bancone che qualcuno bussò alla porta esterna.
«Chiedo scusa. Cerco Margaret Colby.»
Gull esaminò rapidamente l’uomo: abito scuro, con una cravatta annodata stretta, scarpe lucide di un vivido rosa acceso, capelli color dell’inchiostro pettinati all’indietro sulla fronte alta.
Marg rimase dov’era. «Sono io.»
«Io sono il reverendo Latterly.»
«Mi ricordo di lei... con Irene e Dolly.»
Dal tono di Marg, e dal fatto che non aveva invitato l’uomo a entrare, Gull decise di restare nei paraggi.
«Posso parlare con lei per un momento?»
«Può farlo, ma non farà altro che sprecare il suo fiato e il mio tempo, se è venuto qui per chiedermi di provare a convincere Michael Piccolo Orso a lasciar tornare Dolly Brakeman in questa cucina.»
«Signora Colby.» L’uomo entrò senza essere stato invitato, mostrando una chiostra di grandi denti bianchi.
Gull trovò che la cravatta di quell’uomo non gli andava a genio e si prese dal frigo una lattina di Ginger.
«Se potessimo avere solo un momento in privato...»
«Stiamo lavorando.» Lei lanciò un’occhiata di avvertimento a Lynn prima che la donna potesse sgattaiolare via dalla stanza. «Questo è tutto il privato che può avere.»
«So che è molto occupata e che cucinare per tanti è un lavoro duro. Un lavoro sfiancante.»
«Mi pagano per questo.»
«Sì.» Latterly fissò Gull e lasciò che il silenzio si protraesse.
Per tutta risposta, Gull si appoggiò al bancone, bevendo un sorso di Ginger. Le labbra di Marg si contrassero in un sorrisetto.
«Be’, volevo scambiare qualche parola con lei poiché è il diretto supervisore di Dolly e...»
«Ero» lo corresse Marg.
«Sì. Ho parlato con il signor Piccolo Orso e comprendo la sua riluttanza a perdonare la trasgressione di Dolly.»
«Lei la chiama una trasgressione. Per me invece è stato un gesto degno di un serpente a sonagli.»
Latterly allargò le mani, poi le congiunse per un momento come un uomo in preghiera. «Mi rendo conto che è una situazione difficile, e non ci sono scuse per il comportamento di Dolly. Ma è naturale che fosse turbata dopo che la signorina Tripp l’ha minacciata e accusata di... essere priva di moralità.»
«È questa la versione di Dolly?» Marg si limitò a scuotere il capo; in quel movimento c’era tanta compassione quanto disgusto. «La ragazza mente la metà delle volte che apre la bocca. Se lei non se n’è accorto, allora non è molto bravo a giudicare le persone. E penso che, per la sua professione, questa sia una capacità importante.»
«Come consigliere spirituale di Dolly...»
«Si fermi lì perché non sono affatto interessata allo spirito di Dolly. Ce l’ha avuta con Rowan fin da quando la conosco. È sempre stata gelosa, ha sempre voluto ciò che era di qualcun altro. Non tornerà qui, non avrà un’altra possibilità di prendersela con Rowan. Piccolo Orso gestisce questa base, ma sono io a gestire questa cucina. Se si è messo in testa di far tornare Dolly qui dentro, dovrà cercarsi un’altra capocuoca, e lui lo sa.»
«Questa è una linea molto rigida.»
«Io lo chiamo buonsenso. La ragazza sa cucinare, ma è indisciplinata, inaffidabile, ed è una piantagrane. Io non posso aiutarla.»
«È problematica, ma sta ancora cercando di trovare la sua strada. Sta anche crescendo un bambino da sola.»
«Non è da sola» lo corresse Marg. «Conosco sua madre da quando eravamo ragazze e so che Irene e Leo stanno facendo tutto quello che possono per Dolly. Probabilmente più di quanto non dovrebbero, tutto sommato. E ora dovrà scusarmi, ma ho da fare.»
«Almeno le scriverebbe delle referenze? Sono certo che l’aiuterebbe a trovare un altro posto come cuoca.»
«No, non lo farò.»
Gull reputò sincero lo sconcerto che attraversò il volto dell’uomo. Era molto probabile che il reverendo non fosse abituato a ricevere un no così categorico.
«Come donna cristiana...»
«Chi ha detto che sono cristiana?» Marg lo pungolò con un dito, abbastanza dolorosamente da farlo indietreggiare di un passo. «E perché mai questa dovrebbe essere una specie di metro di ciò che giusto e sbagliato, del bene e del male? Non le scriverò delle referenze perché la mia parola e la mia reputazione hanno un valore, per me. Lei può consigliare il suo spirito quanto vuole, ma non venga nella mia cucina a cercare di consigliare il mio. Dolly ha fatto le sue scelte e adesso dovrà fare i conti con le conseguenze che ne derivano.»
Fece un passo in avanti e quei suoi occhi nocciola mandarono saette. «Pensa che non abbia sentito che cos’è andata a dire in giro su Rowan, in città? Su di me, su Piccolo Orso, perfino sulla piccola Lynn? Su tutti quanti? Io sento tutto, reverendo Jim, e non darò niente di niente a una persona che calunnia me e i miei. Se non fosse per sua madre, Dolly Brakeman l’avrei presa a calci nel sedere io stessa.»
«I pettegolezzi sono...»
«Ciò che ingrossa gli acini su una vite. Se vuole farle un favore, dica a Dolly di badare alla sua boccaccia. Ora ho del lavoro da fare, e ho concesso a lei e a Dolly fin troppo del mio tempo.»
Si voltò platealmente verso i fornelli.
«Mi scuso per l’intrusione.» L’uomo ora parlava in tono rigido, senza più quel sorriso a trentadue denti. «Pregherò affinché la rabbia lasci il suo cuore.»
«La mia rabbia mi piace proprio dov’è» ribatté Marg mentre Latterly usciva dalla porta. «Lynn, quelle verdure non si prepareranno da sole.»
«Nossignora.»
Con un sospiro, Marg si voltò. «Mi dispiace, tesoro. Non ce l’ho con te.»
«Lo so. Vorrei avere il coraggio di parlare così alla gente, di dire esattamente quello che penso.»
«No, non lo vuoi. Tu vai bene così come sei. È solo che non mi piace quel coglione bigotto.» Indirizzò un’occhiata a Gull. «Niente da ridire?»
«Solo che è un coglione bigotto con troppi denti e una cravatta orrenda. La mia unica critica alla tua reazione è che penso che avresti dovuto dirgli di essere buddista, o magari pagana.»
«Vorrei averci pensato.» Marg sorrise. «Vuoi un po’ di torta?»
Gull non aveva più spazio nello stomaco, dopo la torta al cioccolato, ma, capendo il sentimento che si celava dietro quell’offerta, non poté rifiutare.
Lo stomaco di Lucas era in subbuglio quando entrò nel bar, ma si rassicurò: avrebbe smesso di dargli fastidio una volta che avessero cominciato a parlare di ciò di cui lei voleva parlare.
Poi la vide, seduta a un tavolo, intenta a leggere un libro, e la lingua gli si fece di marmo.
Si era messa un abito, tutto verde ed estivo che metteva in mostra braccia e gambe mentre i suoi deliziosi capelli rossi le scendevano ondulati fino alle spalle.
Si domandò se non avrebbe dovuto indossare una cravatta. Non ne indossava quasi mai, ma ne aveva alcune.
Lei alzò lo sguardo, lo vide e sorrise. Così lui non poté far altro che dirigersi verso il tavolo.
«Credo di essere in ritardo. Mi dispiace.»
«Niente affatto.» Ella chiuse il libro. «Sono arrivata un po’ prima, avendo impiegato meno tempo del previsto per le commissioni che avevo da fare.» Fece scivolare il libro nella borsa. «Porto sempre un libro con me in caso abbia un po’ di tempo libero.»
«L’ho letto, quello.» Ecco, pensò, stava parlando. Si stava sedendo. «Immagino di aver pensato che, per via del suo lavoro, leggesse libri sull’istruzione tutto il tempo.»
«Ne leggo parecchi, ma non li porto nella borsa. Questo mi sta piacendo parecchio finora, ma d’altra parte mi è sempre piaciuto Michael Connelly.»
«Già, scrive bene.»
La cameriera si avvicinò. «Buonasera. Posso portarvi da bere?»
Quando Ella si mosse, il suo profumo – un profumo caldo e speziato – si spanse al di là del tavolo e annebbiò la mente di Lucas.
«Di che umore sono?» si domandò lei. «Dell’umore giusto per un Bombay and tonic, direi, con una punta di lime.»
«E lei, signore?... Signore?» ripeté la cameriera quando Lucas rimase muto.
«Oh, mi scusi. Ah, prenderò una birra. Una Rolling Rock.»
«Ve li porto subito. Qualcos’altro? Uno stuzzichino?»
«Sa cosa adorerei? Una porzione di quelle bucce di patate dolci. Sono straordinarie» disse a Lucas. «Ne deve condividere un po’ con me.»
«Certo. Okay. Grandioso.»
«Torno subito con i vostri drink.»
«Apprezzo molto che abbia trovato il tempo di venire» esordì Ella. «Mi dà una scusa per sedermi in un bar carino, bere un drink estivo e mangiare stuzzichini ipercalorici.»
«È un bel posto.»
«Mi piace venire qui, quando ho una scusa. Sono arrivata a sentirmi a casa, qui a Missoula, in un tempo piuttosto breve. Amo la cittadina, la campagna, il mio lavoro. È difficile chiedere di più.»
«Lei non è di queste parti, del Montana?» Lo sapeva. Non lo sapeva?
«Sono nata in Virginia, poi trapiantata in Pennsylvania per frequentare l’università, dove ho incontrato il mio ex marito.»
«È parecchio lontano dal Montana.»
«Mi ci sono riavvicinata col tempo. Ci trasferimmo a Denver quando i ragazzi avevano dieci e dodici anni, quando mio marito – il mio ex marito – ricevette un’offerta di lavoro difficile da rifiutare. Restammo lì circa una dozzina d’anni prima di trasferirci nello Stato di Washington, per un’altra offerta di lavoro. Mio figlio si è trasferito qui, si è sposato e ha creato la sua famiglia, mentre mia figlia si è sistemata in California, perciò dopo il divorzio ho voluto ricominciare da capo. Dal momento che mi piacciono le montagne, ho deciso di provare qui. Fa fresco, ci sono le montagne, c’è mio figlio con la sua famiglia, e mia figlia è abbastanza vicina, con l’aereo, da poterci vedere diverse volte all’anno.»
Lucas non riusciva a immaginare come fosse prendere e andare via, e poi spostarsi e andare via di nuovo. Anche se il suo lavoro l’aveva portato in giro per tutto l’Ovest, aveva vissuto a Missoula tutta la sua vita.
«Un sacco di posti, un sacco di trasferimenti.»
«Sì, e sono felice di aver chiuso con quella vita. Lei è originario di qui?»
«Proprio così. Nato e cresciuto a Missoula. Sono stato a est, qualche volta. Ci capita di essere ingaggiati fuori stagione per lavorare a incendi contenuti o per debellare insetti.»
«Sterminare cimici?»
Lui sogghignò. «Gli insetti che vivono sugli alberi più alti» spiegò, indirizzando un pollice verso il soffitto. «Noi – i pompieri d’assalto, intendo – siamo addestrati per arrampicarci. Ma ho trascorso la maggior parte della mia vita a ovest di St Louis.»
La cameriera portò loro i drink ed Ella sollevò il suo. «Alle radici: al mantenerle e al piantarle.»
«Lo Stato di Washington, quello sì che è un bel posto. Ho dato la caccia ad alcuni fuochi lì. Anche in Colorado.»
«Un sacco di posti.» Ella gli sorrise. «Ha visto i più puri e i più devastati. Anche l’Alaska, giusto? Ho letto che si è lanciato in incendi anche lì.»
«Certo.»
Ella si sporse in avanti. «E com’è? Ho sempre voluto vederlo, visitarlo.»
Per un minuto, Lucas si smarrì negli occhi di lei, perdendo il filo del discorso. «Ah... L’ho visto solo in estate, ed è fantastico. Il verde, il bianco, l’acqua, gli enormi spazi aperti. Tutta quell’acqua è un rischio quando ci si lancia in un incendio, ma non hanno gli alberi come noi qui, perciò è una compensazione.»
«Cos’è più rischioso? L’acqua o gli alberi?»
«Se atterri sull’acqua con tutto il tuo equipaggiamento,vai giù e c’è il rischio di non riuscire a tornare su. Quando atterri sugli alberi, atterri male e forse rimani appeso, forse ti rompi il collo. La cosa migliore è non atterrare su nessuno dei due.»
«E a lei è mai successo?»
«Sì. Ho avuto la mia dose di entrambi. La parte peggiore è renderti conto che sta per succedere, e cercare di correggere il tiro abbastanza da poterne uscire fuori con le tue gambe. Qualunque salto da cui esci sulle tue gambe è un buon salto.»
Lei si appoggiò contro lo schienale. «Lo sapevo. Sapevo che lei sarebbe stato perfetto per quello che mi piacerebbe fare.»
«Ah...»
«So che fanno dei tour della base e i gruppi possono vedere le operazioni e fare domande. Ma avevo questa idea, espressamente per gli studenti. Qualcosa di più intimo, più approfondito. Sentire direttamente dalla fonte quello che occorre, quello che fate, quello che lei ha fatto. Esperienze personali di lavoro, di vita, dei rischi, delle ricompense.»
«Vuole che parli con i ragazzi?»
«Sì. Voglio che parli con loro. Che insegni loro. Mi ascolti» aggiunse quando lui rimase lì a fissarla. «Parecchi studenti provengono da situazioni privilegiate, da genitori che possono permettersi di mandarli in una scuola privata di eccellenza come la nostra. Tutti sanno degli Zulie. La base è proprio qui. Ma le garantisco che pochi, forse nessuno, a meno che non abbiano un legame diretto, capiscono cosa significa davvero essere quello che siete voi, fare quello che voi fate.»
«Non sono più un paracadutista d’assalto.»
«Lucas.» Quel sorriso delicato fece risaltare le sue fossette. «Lei lo sarà sempre. In ogni caso, vi ha dedicato metà della sua vita. Ha visto com’è cambiata la tecnica, l’equipaggiamento. Ha dato la caccia a incendi boschivi in tutto l’Ovest. Ha visto meraviglia e orrore. Li ha sperimentati sulla sua pelle.»
Ella si posò sul cuore una mano a pugno. «Alcuni di questi ragazzi, quelli che vorrei proprio raggiungere con questo progetto, hanno un pregiudizio. Il lavoro duro, il lavoro sporco, è compito di qualcun altro: di qualcuno che non ha i soldi o il cervello per andare all’università e avviare una carriera redditizia. Le foreste? A che servono? Che sia qualcun altro a preoccuparsene.»
Ella aveva fatto scattare qualcosa in lui nell’attimo in cui aveva detto che sarebbe sempre stato uno Zulie. Nell’attimo in cui aveva visto che lei lo capiva davvero.
«Non so come il fatto che io parli con loro possa cambiare tutto questo.»
«Penso che ascoltarla, poterle fare delle domande, farle spiegare tutto, dall’addestramento al fuoco, aprirà qualcuna di quelle giovani menti.»
«Ed è questo il suo lavoro. Anche se non insegna più, lei sarà sempre un’insegnante.»
«Sì. Su questo ci capiamo perfettamente.» Lo osservò mentre sorseggiava il suo drink. «Intendo parlare con l’ufficiale operativo della base. Con il permesso dei genitori, mi piacerebbe far sostenere a un gruppo, o a più gruppi, l’addestramento. Una versione ridotta, naturalmente. Magari per un fine settimana, dopo la stagione degli incendi.»
«Vuole metterli a dura prova» disse lui con l’accenno di un sorriso.
«Voglio mostrare loro, insegnare, fare in modo che capiscano che sono proprio gli uomini e le donne che si dedicano a proteggere le nostre foreste, che si mettono a dura prova. Ho delle idee su fotografie e video e... insomma, ho delle idee» disse con una risata. «E avremo tutta l’estate per mettere assieme il progetto.»
«Penso che ciò che lei sta cercando di fare sia una buona cosa. Ma io non sono molto bravo a parlare. A parlare in pubblico.»
«In questo posso aiutarla io. Inoltre, preferirei che fosse semplicemente quello che è. Mi creda, è sufficiente.»
Prese una delle bucce di patate che la cameriera aveva portato mentre lei esponeva il suo progetto.
Lo aveva proprio coinvolto, Lucas non poteva negarlo. L’idea, la passione che la guidava... «Posso provarci, suppongo. Almeno per vedere come va.»
«Sarà stupendo. Penso davvero che possiamo fare qualcosa che abbia un impatto... e che sia anche divertente. E questo mi porta a due conclusioni.» Prese un altro sorso. «Lasci che gliele esponga. Sono stata sposata per ventotto anni. Ho strappato via le mie radici e poi anche quelle dei miei figli per sostenere mio marito e adattarmi alle sue esigenze. L’ho amato, per quasi tutti quei ventotto anni, e nel corso degli ultimi ho creduto nel matrimonio, nella vita che avevamo costruito. Ho creduto in lui. Finché, il giorno del mio cinquantaduesimo compleanno, lui non mi portò fuori a cena. Un ristorante stupendo: candele, fiori, champagne. E, come se non bastasse, mi regalò perfino uno splendido paio di orecchini di diamante.»
Indietreggiò un poco sulla sedia e incrociò le gambe. «Aveva preparato tutto questo affinché non facessi una scenata in pubblico quando mi disse che aveva una storia con la sua assistente personale, una donna tanto giovane da poter essere sua figlia, tra l’altro. Mi disse che era innamorato di lei e che voleva lasciarmi. Stravedeva ancora per me, naturalmente, ma sperava che avrei capito che queste cose potevano succedere. Oh, e che al cuore non si comanda.»
«Sono spiacente. Sto cercando di pensare a cosa dovrei dire, ma nulla di quello che mi passa per la testa sembra appropriato.»
«Oh, non può essere meno appropriato di quello che dissi io... Dopo aver preso il secchio dello champagne e avergli rovesciato il ghiaccio sulla testa. Quando andai da un avvocato – il giorno immediatamente successivo – lei mi chiese se volevo giocarmela amichevolmente o se invece preferivo tagliargli le palle. Optai per la castrazione. Ne avevo abbastanza di fare la brava.»
«Buon per lei.»
«Mi domandai se me ne sarei pentita. Ma finora non è stato così, no. Glielo dico perché è giusto che lei capisca, adesso, che posso essere cattiva, e che tanto il mio matrimonio quanto il mio divorzio mi hanno insegnato a comprendere me stessa, con pregi e difetti, e a non esitare a seguire ciò che voglio.»
«Il tempo è sempre sprecato quando non si mira a ciò che si vuole.»
«Ottima osservazione. Il che mi porta alla seconda cosa. Le ho mentito, oggi, quando le ho detto che non ci stavo provando. In realtà, ci stavo provando. Ci sto provando.»
Non fu soltanto la sua mente, a spegnersi: tutto il suo organismo andò in sovraccarico e si fermò bruscamente. Lucas non riusciva nemmeno a gestire il semplice atto della deglutizione mentre fissava gli occhi scintillanti di Ella.
«Io non credo nella sincerità assoluta,» continuò lei «perché penso che qualche sfumatura ogni tanto non solo aiuti a smussare gli spigoli, ma renda le cose più interessanti. In questo caso, però, ho optato per la nuda verità. Se questo la spaventa, è meglio saperlo ora, quando non c’è effettivamente nulla in gioco per nessuno di noi.»
Prese un piccolo sorso dal suo bicchiere. «Allora... l’ho spaventata?»
«Io... non sono molto bravo in queste cose.»
«Avrei dovuto aggiungere che, a prescindere dal fatto che lei sia interessato o meno, sono molto sincera e seria sul progetto che ho proposto e sul fatto di voler imparare il paracadutismo sportivo. Entrambe queste cose potrebbero essere collegate all’attrazione che provo, ma non sono subordinate a essa. O al fatto che l’attrazione sia reciproca.»
Ella sospirò. «E questo sembrava proprio un discorso da preside, quando invece speravo che non lo fosse. Sono un po’ nervosa.»
Quell’idea mise un freno alla degenerazione delle cellule cerebrali di Lucas. «Ah, sì?»
«Lei mi piace, e spero che sia abbastanza interessato da voler trascorrere del tempo con me, a livello personale. Dunque sì, sono un po’ nervosa: temo che affrettare le cose in questo modo possa dissuaderla. Ma fa parte della mia politica di non perdere tempo, perciò... Se fosse interessato, o propenso a considerare di esserlo, mi piacerebbe invitarla a cena. C’è un bel ristorante a un paio di isolati da qui. È una breve camminata... e ho già prenotato, per ogni evenienza.»
Lui ci pensò su, poi scosse il capo. «No.»
«Bene. Allora dobbiamo solo...»
«Io voglio invitare te a cena.» Lucas quasi non riusciva a credere che quelle parole fossero uscite dalla sua bocca e per di più senza nemmeno un balbettio. «Ho sentito che c’è un bel ristorante a un paio di isolati da qui, se ti va di fare una passeggiata.»
Osservò entusiasta il sorriso che sbocciò sul viso di Ella. «Mi sembra un’ottima idea. Prima però, andrei a darmi una rinfrescata.»
Lei si alzò dal tavolo e si diresse alla toilette.
Nell’attimo in cui la porta si richiuse alle sue spalle, fece una piccola danza della felicità con le audaci scarpe scollate e viola che aveva comprato quel pomeriggio.
Con un risolino sciocco, andò al lavandino ed esaminò il suo viso eccitato nello specchio. «Che l’avventura abbia inizio» disse, poi tirò fuori il rossetto.
Pochi anni prima si era interrogata su sé stessa, preoccupandosi e pensando che la sua vita fosse finita. In un certo senso era stato così, e così aveva dovuto essere perché potesse trovare la spinta necessaria a ricominciare.
Finora, la nuova vita di Ella Frazier traboccava di possibilità interessanti.
E una di queste stava per portarla a cena fuori.
Annuì al suo riflesso e lasciò ricadere il rossetto nella borsetta. «Grazie, Darrin» annunciò al suo ex marito. «Mi ci è voluto quel calcio nei denti, per darmi una svegliata.» Gettò indietro i capelli, facendo un’elegante mezza piroetta. «E guardami, ora. Sono più sveglia che mai.»
Rowan si trattenne dal chiamare suo padre al cellulare o dal mandargli un messaggio. Le sembrava un modo troppo sfacciato di controllarlo. Optò invece per la linea fissa di casa.
Si aspettava che rispondesse. In fondo aveva aspettato fino alle nove e mezza, tenendosi occupata con le sue scartoffie, o provandoci, perlomeno. Quando fu la segreteria a rispondere, Rowan per un attimo fu a corto di parole. Dovette sforzarsi di ricordare la scusa che ci aveva messo quasi un’ora a elaborare.
«Ehm... ehi. Sto solo facendo una breve pausa tra un rapporto e l’altro e mi sono accorta che non ho ancora avuto la possibilità di dirti quanto mi riesce bene fare il caposquadra. Se non posso vantarmene con te, con chi posso farlo? Resterò qui a occuparmi dei rapporti per un’altra ora circa, poi probabilmente farò una passeggiata per sgombrarmi la testa da tutte queste stronzate amministrative. Allora chiamami. Spero che il tuo appuntamento di lavoro sia andato bene.»
Roteò gli occhi nel riagganciare. «Appuntamento di lavoro galante» borbottò. «Un drink con una cliente non dura due ore e mezzo.»
Rimuginò un poco. Non pensava certo che suo padre non avesse diritto a una vita sociale. Ma lei non sapeva nemmeno chi fosse questa cliente. Lucas Tripp era attraente, interessante, un imprenditore di successo. E un bersaglio perfetto per una donna opportunista.
Una figlia aveva il dovere solenne di badare al suo papà single, affermato, ingenuo e che si fidava troppo delle donne. Voleva che tornasse a casa e la richiamasse, per fare proprio questo.
Forse avrebbe dovuto provare a contattarlo sul cellulare, per ogni evenienza...
No, no, no, ordinò a sé stessa. Quello superava il confine dell’ingerenza. Lui aveva sessant’anni, per amor di dio. Non aveva mica il coprifuoco.
Avrebbe semplicemente terminato quello stupido rapporto e avrebbe fatto quella passeggiata. Sicuramente lui l’avrebbe richiamata prima ancora che fosse rientrata.
Ma Rowan terminò il rapporto e lo inviò a Piccolo Orso. Fece una passeggiata lunga e decisamente imbronciata prima di tornare ai suoi alloggi e metterci il doppio del tempo necessario per prepararsi ad andare a letto.
Irritata con sé stessa, spense la luce. Durante un brutale dibattito interiore sulla giustificazione da trovare per poter chiamare il cellulare di suo padre dopo la mezzanotte, si addormentò.
Fu svegliata dalle voci. Voci concitate fuori dalla sua finestra, dalla sua porta. Per un momento annebbiato, pensò di essere nel suo sogno ricorrente: gli attimi successivi al tragico salto di Jim, quando tutti stavano urlando e accorrendo. Pieni di paura, di rabbia.
Quando però i suoi occhi si aprirono nella penombra, le grida continuarono. Pensò che ci fosse qualcosa che non andava e, istintivamente, scese dal letto e uscì dalla porta prima ancora di essere del tutto sveglia.
«Che diavolo succede?» domandò mentre Dobie le passava accanto correndo.
«Qualcuno ha distrutto la sala dell’equipaggiamento. Gibbons ha detto che sembra sia esplosa una bomba.»
«Cosa? Non può...»
Ma Dobie continuò a correre, deciso ad andare a vedere con i suoi occhi. Con i pantaloni di cotone e la canottiera del pigiama, Rowan corse fuori a piedi nudi.
Il freddo del mattino le morse la pelle, ma ciò che vide nelle facce di quelli che si affrettavano accanto a lei o che o la superavano, diretti all’edificio operativo, le fece ribollire il sangue.
Si rese conto che c’era veramente qualcosa che non andava e accelerò il passo.
Raggiunse la porta della sala di equipaggiamento assieme a Dobie.
Una bomba non era un’ipotesi tanto campata in aria, pensò. I paracadute, solitamente ordinati e impacchettati in maniera tanto meticolosa, giacevano ora a terra, o panneggiati come palloni sgonfi e ingarbugliati. Le attrezzature erano sparpagliate sulla seta lacerata e gli equipaggiamenti erano gettati in modo caotico fuori dagli armadietti. A quanto pareva, le attrezzature, un tempo attentamente pulite e organizzate, erano state usate per colpire e fare a pezzi zaini, tute, stivali... per danneggiare o distruggere tutto il necessario per dare la caccia e contenere un incendio.
Sulla parete, schizzato con una vernice spray rosso sangue, un messaggio recitava a chiare lettere: SALTA E MUORI.
BRUCIA ALL’INFERNO.
Rowan pensò al sangue di porco.
«Dolly.»
Con le mani strette a pugno lungo i fianchi, Dobie fissò quella distruzione. «Allora è molto più che pazza.»
«Può darsi.» Rowan si accovacciò e fece scivolare una mano attraverso lo squarcio nel tessuto. «Può darsi.»