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Roma, Montesacro

Il blu scuro della notte si mescolava al giallo tenue dei lampioni di sotto e Antonio fumava una canna affacciato alla finestra. Giulia analizzava con Caterina e Alexandra le foto. Avevano ragionato sul senso più profondo di quella parola, «ego», sul significato che le aveva attribuito l’assassino. Non poteva essere un’affermazione del sé, o forse una ricerca della propria identità? Ma perché la stava cercando, l’aveva smarrita? E se sì, in che modo pensava di ritrovarla, cosa stava tentando di fare con quella serie di omicidi?

Walter era seduto e batteva le dita sul bordo stondato del tavolo a mo’ di bacchette della batteria. Caterina lo guardò male ma la disapprovazione nel suo sguardo lasciò subito il posto all’imbarazzo per ciò che gli stava tacendo. Quando Mancini tornò dalla cucina con del caffè per tutti, l’ispettore colse la palla al balzo: «Commissario, ho parlato con la figlia di Francesco Noce, il giudice tutelare finito sotto a un ponte».

Caterina s’illuminò e aprì le fotocopie che teneva in mano. Le indagini di Walter convergevano con le sue? Erano a un punto di svolta?

«Sono venute a galla alcune cose interessanti. Prima di tutto il nostro senzatetto è andato fuori di testa e ha abbandonato moglie e figlia per una ragazzina. Ma la cosa peggiore è che era una minore.»

«Una minore che aveva in custodia», intervenne Caterina e cinque paia d’occhi si spostarono su di lei. «Radiato per grave violazione del codice etico.» Aveva spianato i fogli sulla superficie di legno. Li fece scorrere fino al commissario. «Non abbiamo il nome della minore, ovviamente. Però ho trovato qualcosa che all’inizio mi è suonato assurdo. Ma adesso... non so, commissario.»

«Come hai fatto ad avere questi documenti? Non dovrebbero essere riservati?» chiese Mancini stupefatto.

Walter la guardava come se la vedesse per la prima volta. Era per quello che nell’ultimo periodo era stata spesso fuori? Voleva portare un contributo importante all’indagine? Comunque fosse, era fiero di lei, della poliziotta che era diventata in pochissimo tempo.

«Un’amica al Tribunale dei minori. Con un marito importante, diciamo», disse Caterina, arrossendo appena. Poi spostò di poco il primo foglio che Mancini stava leggendo, quello del curriculum del giudice, e gli fece scivolare accanto il secondo. «Queste sono le coppie che hanno chiesto minori in affidamento sotto la tutela del nostro giudice senzatetto, Francesco Noce.»

Lentamente, Caterina fece scorrere l’indice verso il basso, catturando lo sguardo del commissario, fin quasi al termine dell’elenco alfabetico.

«C’è un nome che conosciamo», mormorò Caterina.

Mancini avvicinò gli occhi alla scritta piccolissima e lesse ad alta voce: «Cristiana e Paolo Tancredi».