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Roma, Porta Pia

Comello camminava sotto la palla infuocata del sole riparandosi sotto le fronde degli alberi che bordavano il lungotevere. Il commissario gli aveva mollato l’ennesima bega e ancora non era riuscito a venirne a capo. Non gli andava per niente, aveva voglia di una Coca ghiacciata e di chiudere quella giornata con un paio d’ore in palestra a sfasciarsi di fatica e a farsi dare un sacco di botte dal maestro di wing chun.

Prese a sinistra e si ritrovò di fronte al palazzo di Giustizia. Aveva un appuntamento con la figlia di Francesco Noce. Non aveva un telefono fisso. Cellulare inesistente. Ma Walter aveva preso il vecchio indirizzo del padre e si era appostato fin quando, una sera verso le nove, la aveva vista uscire dal cancello di via Isonzo.

Elegante nell’aspetto, il collo lungo sotto una capigliatura nera folta ma corta, due occhi truccati da egizia nascondevano perfettamente la verità della sua carta d’identità. Walter sapeva del suo passato di leggera tossicodipendenza, di una madre difficile morta da poco, di un padre assente prima, quando era sano di mente, e invisibile da quando si era dato alla macchia.

Con le sue maniere delicate Walter le aveva sbattuto il distintivo in faccia e l’aveva consigliata di seguirlo.

«Ho un appuntamento», aveva risposto lei.

«E io un mandato di perquisizione. Mi fa vedere il contenuto della borsetta?» aveva messo in chiaro Comello a modo suo.

«Cosa vuole?» aveva risposto Arianna Noce tirando fuori una sigaretta sottile e un accendino rosa.

«Parlare di suo padre», le aveva detto lasciandole il suo biglietto.

La faccia della donna aveva assunto una posizione obliqua, modificando la forma stessa del viso. Una smorfia di disappunto o di meraviglia? Lo avrebbe scoperto subito Walter se non fosse arrivata una Mercedes con tanto di autista e lei non lo avesse implorato con lo sguardo di lasciarla andare.

Ora, dopo una breve telefonata arrivata da un numero non tracciabile, la aspettava di fronte al Palazzaccio. Il chiosco delle grattachecche era affollato e l’ispettore si spostò sul marciapiede attraversando ponte Umberto I. La mole dell’edificio era opprimente e Walter si ritrovò a confrontarsi con le parole di sua madre, anni prima, che gli aveva raccontato delle esecuzioni che si facevano lì dentro. Con la sedia elettrica, aveva aggiunto. Lui lo sapeva che erano favole, ma all’epoca aveva guardato a quel mostro di marmo come a una trappola gigantesca, e adesso che era passato dalla parte della Giustizia e le cose le vedeva dall’interno poteva dire, sebbene metaforicamente, di non essersi affatto sbagliato.

Arianna Noce lo aspettava con una mise che Comello non si sarebbe immaginato. Indossava una maglietta giallo banana e una gonna a sbuffi rosa, sembrava spettinata, e quando la raggiunse sbottò: «Vediamo di finire subito questa stronzata».

Che signora, pensò Walter, squadrandola meglio. Sembrava reduce da una notte brava. Senza il trucco, spiccavano le occhiaie profonde che raccontavano degli stravizi con cui si accompagnava da qualche annetto.

«Facciamo subito. Voglio sapere di suo padre.»

«Ma che cazzo di domanda è?»

Sembrava un’altra persona rispetto alla sera in cui l’aveva incontrata sotto casa, anche nei modi.

«Sa che fine ha fatto?»

«Certo che lo so», rispose stizzita.

Walter si stava innervosendo. «È finito sotto un ponte.»

«Non sotto un ponte qualunque, ispettore. Sotto quello dietro casa mia.»

«E non dice niente?» si fece scappare Comello, che non poteva credere alle sue orecchie.

La donna lo squadrò e assunse un’aria di sufficienza che se fosse stata un uomo Walter non avrebbe esitato a farle rimangiare: «Non ci è ’finito’, là sotto. Ci è andato lui».

La sorpresa sul viso di Walter diede forza alla donna, che proseguì con lo stesso piglio fastidioso: «Ci ha lasciate sole. Mia madre è morta di crepacuore».

In realtà la madre era stata a lungo malata, Walter ricordava di averlo letto nella sua scheda.

«Perché se n’è andato?» domandò facendo cenno di spostarsi per raggiungere il parchetto che circondava Castel Sant’Angelo.

«Era uscito di testa.»

Walter camminava alla destra di Arianna e ne studiava il passo: era incerto e irregolare, nonostante portasse delle scarpe da tennis. Era sicuramente diverso da quello stabile e sicuro che ostentava qualche sera prima sopra i tacchi. «Una malattia, un episodio traumatico?»

«Ispettore», Arianna Noce si fermò sotto i platani che accompagnavano il lungotevere Castello, il sole crepitava sulle foglie, «mio padre ha perso la testa per una donna.»

«Aveva un’amante?»

«No. Era una donna che non poteva avere.»

«Non capisco», borbottò Comello cercando di mettere insieme una serie di informazioni che si rincorrevano tra le volute della sua testa.

«Una ragazza, ispettore. Poco più che una bambina, anzi.»

«Sa, a volte succede che...»

«Stia zitto. Lei non sa di cosa parla.»

Arianna Noce fissava un punto lontano fra i tronchi. Walter lo cercò inseguendo lo sguardo di lei che serpeggiava sul Tevere luccicante e si perdeva tra la sinagoga e i Fori. Si voltò e la vide indurita, gli occhi che trattenevano con forza un’ondata di amarezza.

«Mi scusi», rispose lui.

«Era una minorenne. Uno dei casi di custodia e affidamento programmato a cui lavorava.»