29
Brusco come uno schiocco di dita è il risveglio di Frank. Si mette seduto, brancola e respira a stento. Rigurgita mezzo panino e tutto l’alcol che s’è cacciato in gola. Una fitta alla schiena lo paralizza, è un’ustione, anche il braccio destro gli duole, forse l’ha sbattuto cadendo. Quella roba in corpo, deve averne ancora, gli dà la nausea.
Il rumore dei treni è scomparso. Una goccia cade in una pozza da qualche parte. È tutto buio ma non è un buio naturale e si accorge di avere qualcosa sul naso. Una benda. Guarda in basso, come faceva da piccolo quando giocava con il fratello a mosca cieca ed era sempre a lui che toccava coprirsi gli occhi. Anche in basso, nello spazio tra lo zigomo e la benda, è tutto nero. Non c’è luce oltre quel sipario. Un dolore nuovo, sì. In faccia, in testa. No, sullo zigomo a destra. No, nemmeno.
È dentro l’occhio.
Un’altra goccia e un passo. Frank si volta a destra e solleva la testa cercando di frugare lo spiraglio con lo sguardo. Sotto di sé qualcosa di duro, è seduto per terra. Era un passo? Forse no, ma la goccia sì, eccone un’altra.
«Chi è?» dice, faticando a dare ordini alle labbra di pietra.
Perché sono bendato? Perché mi fa male la schiena? Perché ho paura se della mia vita non m’importa più? gli dice la voce chiusa in gola.
Tende l’orecchio, strizza gli occhi e subito a destra la faccia, lo zigomo, il bulbo oculare esplodono di orrore. Una torcia da qualche parte a sinistra fa clic e si accende la luce oltre la garza. Si sposta, cerca di mettersi in piedi, ma la testa vortica e Frank ricade sul duro. Qualcosa si sposta sotto di lui. Non è il suolo. Dove si trova?
«Chi sei?» prova a prendere tempo quando immagina un altro passo.
Potrebbe trovarsi ovunque. In una stanza piccolissima, in un magazzino enorme, non può saperlo. Prova a togliersi la benda con il braccio e finalmente si rende conto. Ha le mani legate davanti a sé. Le piega, e lo scrocchio del nastro risuona come un colpo di frusta.
Il colpo arriva mentre Frank prova a rimettersi in piedi. Non è un colpo, è una spinta, forte, sul petto e lo fa precipitare a testa indietro come se volasse giù da un dirupo. Il fondo del dirupo però è vicino ed è di legno. La schiena e la testa picchiano contro la superficie. Istintivamente Frank muove le spalle per divincolarsi, poi i gomiti. È chiuso, bloccato dal legno.
Come corvi impazziti, le mani allacciate si sollevano in un volo scomposto, annaspano. L’incubo più antico dell’uomo si materializza nella mente di Frank. Un grido affiora dal fondo della gola, liberandosi dalla stretta dei polmoni e il terrore gli morde lo stomaco come un viluppo di serpenti affamati. Trema dalla testa ai piedi, perché non c’è più dubbio: quella è una cassa di legno. Improvvisa, sente la notte, perché, in qualche modo, sa che fuori è notte, e quella scoperta lo riempie d’un’inesorabile disperazione.
«C’è qualcu...»
La mano che gli tappa la bocca è vestita di un guanto. E spinge. Spinge la testa in giù, ma lui resiste, stremato com’è, e allora la mano gli afferra il collo e stringe, a Frank manca l’aria. Poi le dita lasciano la gola e Frank respira con tutta la forza che ha. L’ago penetra nella spalla sinistra in un secondo ed è già troppo tardi. Il vortice liquido lo risucchia nel sonno del tempo e dello spazio. Un attimo prima che la coscienza scivoli via, Frank sente che quelle dita abbassano la benda e mette a fuoco la luce a sinistra mentre l’orrore cattura ogni ruga del suo viso di cuoio. La marea chimica lo invade nel momento in cui una scheggia di realtà lo strazia. L’occhio destro, il dolore... l’occhio non c’è più. Frank schiuma saliva di terrore, poi il coperchio di legno si chiude sulla sua faccia.
Ma la notte sa essere generosa, e terribile. Sono passati pochi minuti o forse un giorno. Incredulo, Frank si sveglia ancora, per la seconda volta, dal torpore. Respira a stento. Era solo un incubo, si dice, e sposta in avanti il busto. La fronte batte violenta sul legno.
Grida, con la lingua secca. Un fuoco impossibile lo divora da dentro e l’urlo si polverizza. Il petto sussulta di tosse.
C’è un odore penetrante, lo distingue bene. Un senzatetto ama la rassicurante fragranza della terra e il rumore dell’acqua corrente. È tutto lì, a pochi centimetri dal suo naso. Perché Frank è sepolto vivo. Quando l’ossigeno finirà nel giro di ore, minuti, secondi... Allora avvertirà l’insopportabile peso sui polmoni, il sudore che appiccica e corre piano come un sottile verme famelico, la notte farsi perenne dentro al legno silenzioso. L’aria di fuori, la morte lì dentro.
E allora, proprio allora, un pensiero lo prende alla gola. Il rimpianto. Chi lo rimpiangerà? Nessuno lo può salvare, perché, da quando è diventato invisibile, lui non esiste, ma chi lo penserà con nostalgia, rammarico o solo un poco di affetto? Il pensiero lo umilia, lo strazia, lo annienta, gli squassa il cuore più dell’immagine dell’occhio strappato, prima che i suoi ultimi minuti si sbriciolino in una manciata di secondi.