La definizione che abbiamo proposto, nella sua ultima parte, ripropone alcuni quesiti da sempre al centro della preoccupazione degli studiosi: il populismo è compatibile con la democrazia? Ne è una forma, sia pur particolare, o una negazione? Ne minaccia la tenuta o ne permette l’effettiva realizzazione? Tanto in Europa quanto in America Latina, la discussione in merito non si è mai acquietata, mentre negli Stati Uniti il populismo pare essere stato metabolizzato come una componente ineliminabile della fisiologia del sistema, anche se i pareri sulla sua bontà o nocività restano divisi.
I termini generali della questione appaiono chiari: il rapporto fra populismo e democrazia è per forza di cose controverso. La sfiducia dei populisti nei confronti dei meccanismi della rappresentanza è evidente; per dirla con Hermet, la dimensione affettiva di una comunione popolare che caratterizza la loro mentalità si contrappone alla logica divisiva dei regimi rappresentativi, che obbligano a scegliere fra candidati e partiti in concorrenza. Tuttavia, fa notare lo studioso francese, non per questo la «guida provvidenziale» che essi si sono scelti ripudia la legittimità democratica. Il capo populista tende piuttosto a pretendere «di rappresentare nella sua persona qualcosa come il corpo mistico del suo popolo. E nel contempo si atteggia a rifondatore di una comunità nazionale rigenerata e resa, a partire da ciò, capace di creare una nuova democrazia sbarazzata delle dispute di interesse dell’oligarchia»[134]. In altre parole, la democrazia auspicata dai populisti non riesce ad affrancarsi da una connotazione plebiscitaria: le elezioni vi sono viste come un semplice meccanismo di certificazione degli sforzi compiuti per creare un processo di identificazione con un leader, che dal successo riterrà di aver tratto la legittimazione ad agire nell’interesse collettivo seguendo esclusivamente le proprie convinzioni, senza doversi sentire impicciato dai vincoli imposti da mediazioni e rispetto di formalità istituzionali. In questa situazione, la democrazia finisce con l’essere vista come «l’acclamazione plebiscitaria di redentori» e non come un sistema di regole; i partiti politici, il parlamento, la discussione pubblica guidata dagli intellettuali e qualunque altra forma di politica mediata «sono considerati potenziali ostacoli che possono interferire nel processo di istituzione di forme di connessione non mediate fra leadership politica e popolo»[135].
Per più di un verso, questa concezione della democrazia, che si oppone a quella liberale, discende dalla considerazione negativa che il populismo ha dell’odierna politica, sfuggita al controllo popolare e incagliata nelle nebbie della complicazione e di un gergo specialistico che la rende incomprensibile ai più. Mény e Surel hanno colto l’ampio spettro lungo il quale si svolge il controverso rapporto fra populismo e democrazia, considerando il primo come una dimensione eterodossa, ma nel contempo costitutiva, della seconda. Constatando la perversione dell’originario ideale democratico che si manifesta in molti degli attuali regimi liberali, i populisti giocano al rialzo delle aspettative, giudicano distorcente della volontà popolare il sistema rappresentativo e criticano tutti i meccanismi procedurali che ne limitano l’espressione diretta[136]. In linea con la loro generale tendenza a semplificare i problemi, interpretano la democrazia come espressione di una politica fatta di volontà e decisione, piuttosto che di accomodamenti e compromessi, ed elevano la regola di maggioranza «alla dignità dell’oracolo che dichiara la volontà del popolo sovrano»[137]. Su questo modo di interpretare i requisiti di una buona democrazia incide quella che Hermet ha definito come una «concezione antipolitica della temporalità», la pretesa di ottenere – o, se al governo, di fornire – soluzioni istantanee a qualunque problema: «il populismo mantiene con il tempo una relazione di simultaneità in assoluto contrasto con la tempistica normale della politica, guidata dall’utilizzo della lunga durata di fronte all’impossibilità di soddisfare tutte le domande in una sola volta, di fronte all’obbligo di conciliarle e di fronte alla correlativa necessità di amministrare con prudenza e lentezza la loro iscrizione nell’agenda delle azioni di cui si riconosce la priorità»[138]. Tutto ciò, nella mentalità populista, si traduce in opacità dei processi decisionali, perdita di tempo, inefficienza.
L’impazienza, la scarsa o nulla considerazione dei diritti delle minoranze – che, anzi, vengono in genere considerate troppo tutelate, a scapito della possibilità della maggioranza di veder realizzate le proprie aspettative – e la tendenza ad affidarsi a uomini forti che si ergono a portavoce esclusivi degli interessi della collettività possono, come da più parti è stato fatto notare, favorire latenti tentazioni autoritarie in contesti nei quali le istituzioni democratiche sono fragili. In paesi in cui queste sono consolidate possono però a volte fungere da valvola di sfogo, di tipo demagogico e tribunizio, per tensioni e proteste dettate dalla sfiducia verso l’efficienza del regime o dal disincanto prodotto dalle promesse che il suo ceto politico non ha saputo mantenere, e così contribuire a mantenere una crisi nei binari dell’ordinaria conflittualità o addirittura rafforzare le richieste di democratizzazione del rapporto fra la società civile e le istituzioni. Nei termini in cui Taguieff imposta la questione, ciò significa che «se il populismo incarna una corruzione ideologica della democrazia, esso esprime nel contempo un’esigenza di democrazia partecipativa o di cittadinanza attiva che il sistema funzionale ben temperato della democrazia rappresentativa non è capace di soddisfare»[139]. Più che respingere il principio di rappresentanza[140], del resto, i populisti puntano a modificarne la natura, accordandola con il massimo di rassomiglianza possibile fra governanti e governati, dal momento che la loro aspirazione è a veder incarnate, più che rappresentate, le loro istanze. Come ha fatto notare Yannis Papadopoulos, questa propensione non contrasta in linea di principio con le premesse ideali della democrazia, che
comprende anch’essa la rappresentazione non mediata dei punti di vista dei cittadini e la sua legittimazione include una sorta di concezione «speculare» dei processi decisionali. [...] noi ci aspettiamo che i governanti siano repliche dell’uomo della strada e che vengano dal nostro stesso retroterra, esprimano le nostre stesse preferenze o condividano i nostri stessi valori. Data l’assenza di ogni garanzia che, una volta entrati in carica, gli eletti continueranno a mantenere questo profilo, le tecniche populiste di «democrazia immediata» (referendum, recalls, mandati limitati, ecc.) sono a volte utilizzate per costringerli a farlo[141].
Certo, nella democrazia ideale che sognano, i populisti vincolerebbero i rappresentanti eletti attraverso un mandato imperativo che svuoterebbe la loro libertà di manovra, ma nella pratica si limitano a chiedere una semplificazione e un’integrazione della rappresentanza con strumenti di democrazia diretta. Più che accusarli di coltivare inclinazioni antidemocratiche[142], ci si può limitare a obiettare che i loro intendimenti sfociano in un’idealizzazione della disponibilità dell’uomo della strada a trasformarsi in un cittadino attivo, consapevole dell’esigenza di partecipare alla vita pubblica e perciò disposto a sopportare i relativi costi di impegno e d’informazione pur di riappropriarsi dell’esercizio del potere di cui è teoricamente titolare. Questa carenza di senso della realtà, in contrasto con le reiterate professioni di fede nel senso pratico e le assicurazioni di voler restare con i piedi per terra, fa del populismo un paradossale e iperpolitico «fondamentalismo democratico»[143].
Da questo punto di vista, il populismo si contrappone alla mentalità tipica dell’autoritarismo, che predilige il diffondersi dell’apatia di massa per lasciare mano libera ai governanti, e può anzi essere descritto come una forma estrema di democrazia «perché cerca di mantenere nelle mani dei cittadini quanto più potere è possibile [ed è] quindi ostile alle deleghe ai partiti e alle organizzazioni intermedie»[144]. Ciò ha autorizzato a sostenere che esso può costituire «una risorsa, un momento di ricerca, una scossa energetica per ordinamenti politici in crisi crescente di rappresentatività e ormai sempre più incapaci di suscitare la benché minima passione o emozione, sempre più percepiti come freddi e distanti rispetto alla vita reale delle persone» e a considerarlo una reazione inevitabile di fronte all’«obiettiva involuzione in senso oligarchico-burocratico dei regimi politici democratico-rappresentativi contemporanei» e al deficit di legittimità democratica di molti organismi pubblici[145]. Preoccupazioni analoghe circa i rischi di distacco fra l’opinione pubblica e le istituzioni e di chiusura del ceto politico in una logica di compromesso oligarchico hanno tuttavia ispirato anche giudizi di segno opposto, che condannano il populismo come «fenomeno altamente regressivo, tipico di una condizione di sottosviluppo economico e culturale [...], semplice reazione al moderno»[146]. La diversità di pareri è solo apparentemente paradossale, poiché le potenzialità democratiche del populismo sono sempre condizionate dal momento storico in cui esso si presenta e dal tipo di establishment che contesta, per cui possono mostrarsi compatibili con un quadro istituzionale liberale, quando portano a chiedere una migliore e più fedele rappresentanza e a dar voce agli esclusi, oppure opporvisi, quando invocano un superamento della rappresentanza che dia spazio a una forma di potere popolare più autentico e prometta, come scrive Panizza, «una partecipazione radicale a un nuovo ordine nel quale la plebs (i più deboli) si convertirà in populus (il demos)»[147]. Sul piano delle preferenze ideali, il populismo mostra comunque una marcata diffidenza verso il pluralismo, che in taluni casi viene considerato «una patologia da sanare più che la condizione fisiologica di una società moderna»[148] e di norma è tollerato come un’inevitabile imperfezione delle società contemporanee, cercando tuttavia di ridurne le manifestazioni all’ambito politico-elettorale e di evitarne la propagazione in un senso eccessivamente individualistico, che minerebbe alla base il sentimento di solidarietà che è il collante dell’unità organica del popolo.
Lo scarso amore per il pluralismo, le istituzioni e la burocrazia ha sempre reso problematica, in sede scientifica, la definizione di una chiara linea divisoria fra il populismo e la democrazia. Se già Peter Worsley sosteneva che il populismo non è in sé né democratico né antidemocratico, ma in virtù della propensione a favorire la partecipazione diretta dei cittadini alla gestione della comunità deve essere ritenuto quantomeno compatibile con la democrazia[149], le considerazioni espresse in seguito dalla maggioranza degli studiosi hanno ribadito l’ambivalenza della questione. Mény e Surel ritengono che l’ideologia populista condivida e anzi alimenti l’ideale democratico «per quanto riguarda il richiamo costante al primato legittimo del popolo negli scambi e nelle dinamiche politiche»[150], ma si allontani dalle sue manifestazioni concrete per il diverso significato assegnato al concetto di «sovranità popolare». Ciò che più nettamente separa la concezione che i populisti hanno della democrazia dai sostenitori delle poliarchie liberali è l’assai diversa interpretazione del principio di rappresentanza; questa non secondaria differenza non porta tuttavia il populismo a contrapporsi frontalmente alla liberaldemocrazia, bensì a costituirne una componente critica e dissidente[151].
Se per Mény e Surel il populismo è, accanto al costituzionalismo di impronta liberale e in equilibrio concorrenziale con quest’ultimo, uno dei due pilastri dei regimi democratici, per Canovan il rapporto fra populismo e democrazia è ancora più condizionante e aggrovigliato. Rifacendosi alla distinzione operata da Michael Oakeshott tra «politica della fede» e «politica dello scetticismo», là dove la prima è un mezzo di raggiungimento di obiettivi etici mentre la seconda mira esclusivamente a risolvere problemi pratici per garantire una pacifica coesistenza ai membri di una collettività[152], la studiosa inglese scorge nella democrazia due volti, uno «redentore» e l’altro «pragmatico». La visione redentrice della democrazia è insofferente dei vincoli posti dalle istituzioni all’espressione diretta della volontà popolare, mentre quella pragmatica li accetta e li legittima, considerandoli indispensabili a consentire l’esercizio effettivo del potere. Questi due volti costituiscono «una coppia di litigiosi gemelli siamesi, irrimediabilmente legati [...] Ma le tensioni tra di loro sono molto grandi, e sono esse a fornire lo stimolo alla mobilitazione populista che segue come un’ombra la democrazia [...] I populisti fanno appello, al di là delle ossificate istituzioni, al popolo vivo, proclamando la vox populi senza mediazioni»[153]. Chi vuole la democrazia, dunque, non può fare a meno di sopportare anche una certa dose di populismo. Già in precedenza, del resto, Canovan aveva sostenuto che «il populismo è un’ombra proiettata dalla stessa democrazia», che «essa porta con sé»[154] e dunque ne riproduce il profilo anche se con tratti deformati dalla prospettiva. La metafora dell’ombra è efficace e suggestiva, sebbene l’autrice non la sviluppi pienamente: si può infatti rimarcare che se l’ombra, da un lato, appartiene al corpo e non può esserne mai separata, dall’altro essa offre sempre un’immagine di quel corpo che non ne rende mai l’autentica conformazione. Vista in questa prospettiva, quella del populismo è una sfida lanciata alla democrazia sul suo stesso terreno, in nome dello smascheramento del potere elitario che si cela dietro il bluff di «un sistema in cui al popolo è consentito votare, ma il potere reale è convogliato lontano da esso verso una élite più liberale e illuminata» e in cui la sovranità popolare non è che «una menzogna necessaria», un «elaborato sotterfugio» sostenuto da «false promesse»[155].
In questa interpretazione, il populismo appare come un’altra proiezione delle premesse ideali della teoria democratica, diversa da quella liberale e portata a scavalcare le istituzioni per riaffermare che soltanto il rispetto della volontà dei cittadini legittima il potere di chi si vede assegnare il compito di rappresentarne le istanze. Ma se per certi versi il populismo è l’ombra della democrazia, per altri ne rappresenta lo spettro, un fantasma che la accompagna e la ossessiona. Così lo definisce Benjamín Arditi, riconoscendovi, in linea con un giudizio ormai corrente, una possibilità inclusa nella prassi moderna della democrazia, che vi si può manifestare in tre distinte forme: come audience democracy, ovvero come fiducia concessa a personalità di spicco rese popolari da meccanismi mediatici e non istituzionali; come modalità di partecipazione alla vita pubblica non conforme alle norme vigenti; come sfiducia nelle procedure istituzionali che può tradursi in accettazione puramente discrezionale del dettato delle leggi. A seconda della mistura in cui si presentano, queste tendenze possono alimentare nuove forme di mobilitazione e organizzazione dell’opinione pubblica con positivi effetti di bilanciamento del crescente deficit di trasparenza e legittimità della politica di élite[156], facendo del populismo una sorta di «periferia interna della politica democratica», oppure diffondere a livello di massa propensioni autoritarie[157].
Lo scoglio maggiore all’inclusione delle istanze populiste nella normale dinamica democratica è costituito da un particolare aspetto della mentalità che le ispira, che ha attirato soprattutto l’attenzione degli studiosi del fenomeno nelle sue incarnazioni latinoamericane ma può fornire spunti di riflessione anche agli osservatori di alcune delle sue più recenti insorgenze europee: l’ambizione a veder sorgere prima o poi dall’applicazione delle procedure democratiche una volontà unanime. Per quanto possa apparire utopico a chi è estraneo al loro universo valoriale, questo obiettivo traspare da molte dichiarazioni di leader populisti. In alcuni paesi latinoamericani – ultimo in ordine cronologico, ma non unico in epoca recente, il Venezuela – il presidente eletto si percepisce come l’incarnazione del popolo e il suo successo viene visto come il successo non di una parte o di un partito, ma dell’intero popolo, nonché come la premessa di un processo di omogeneizzazione dello scenario politico[158]. Juan Domingo Perón è stato il primo a dichiararlo esplicitamente, come emerge da un passaggio del discorso pronunciato il 25 luglio 1949:
La nostra dottrina [...] è una dottrina patriottica. Pertanto non vedo inconvenienti nell’introdurla ovunque. Se fosse una cattiva dottrina, io sarei il primo a sconfessarla, ma essendo una dottrina benefica, dobbiamo cercare di introdurla in ogni ambito, in ciascun uomo e donna, in modo tale da assicurare il trionfo di un’azione collettiva unificata.
Che la si consideri uno stimolo oppure una minaccia, è comunque innegabile che la mentalità populista trova nella democrazia un fertile terreno di crescita, a conferma dell’ipotesi che «dovunque vi sia politica rappresentativa, [il populismo] è onnipresente come potenziale movimento o come sistema di idee adatto a essere propugnato da movimenti politici»[159]. In altre parole, chi ne coglie le coordinate effettive è in grado di misurare l’estensione empirica, oggi assai ampia, dei fenomeni che ad essa si richiamano. E la possibilità di verificare in che misura questa potenziale onnipresenza si sia concretamente materializzata nell’odierna politica democratica, oltre a smentire la presunta (e sopravvalutata) impalpabilità astratta del concetto di «populismo», offre finalmente alla scienza politica l’opportunità di liberarsi del complesso di Cenerentola che l’ha attanagliata ogniqualvolta si è trovata a confronto con questo oggetto di studio troppo a lungo ritenuto misterioso.
[1] Panizza, Introducción. El populismo como espejo de la democracia, cit., p. 9.
[2] Zanatta ha fatto giustamente notare che il ritorno in auge del concetto di «populismo» nel dibattito scientifico, dopo un periodo di eclissi durato alcuni decenni, è stato dovuto «alla comparsa di fenomeni politici e sociali che proprio esso pareva il più adatto a descrivere» e che il suo uso era ed è giustificato dal fatto che «restano fenomeni politici che pare non si riesca a definire altrimenti» (Il populismo: una moda o un concetto?, cit., pp. 330-331). Molte delle polemiche sulla sua inadeguatezza si sono sviluppate a posteriori, soprattutto da quando l’etichetta è stata applicata a movimenti e partiti che una parte della letteratura preferiva rubricare alla voce «estrema destra», e non di rado sono state ispirate più da idiosincrasie valutative che da preoccupazioni di rigore analitico.
[3] Un esempio di questo uso estensivo è fornito da due dei contributi presentati al primo simposio scientifico dedicato all’argomento: Donald MacRae, Populism as an Ideology, e Peter Worsley, The Concept of Populism, in Ghiţa Ionescu ed Ernest Gellner (a cura di), Populism: Its Meanings and National Characteristics, London, Weidenfeld and Nicolson, 1969, rispettivamente alle pp. 153-165 e 212-250.
[4] Così Pierre-André Taguieff, L’illusion populiste, Paris, Berg, 2002, p. 78; trad. it. L’illusione populista, Milano, Bruno Mondadori, 2003, p. 79.
[5] Hermet, Les populismes dans le monde, cit., p. 53.
[6] Così Marc Lits, Populaire et populisme: entre dénigrement et exaltation, in Idem (a cura di), Populaire et populisme, Paris, CNRS, 2009, p. 10.
[7] Paul Taggart, Populism, Philadelphia, Pa., Open University Press, 2000; trad. it. Il populismo, Troina, Città Aperta, 2002, p. 9.
[8] Zanatta, Il populismo. Sul nucleo forte di un’ideologia debole, cit., pp. 263-264.
[9] Sul punto le osservazioni più pertinenti sono sempre quelle offerte dai contributi di Giovanni Sartori, da Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino, 1957, sino a Democrazia. Cosa è, Milano, Rizzoli, 1992.
[10] Per una ricostruzione del dibattito in argomento, non meno animato di quello suscitato dal populismo, cfr. Marco Tarchi, Fascismo. Teorie, interpretazioni, modelli, Roma-Bari, Laterza, 2003. Un’interpretazione illuminante, in questo campo, è fornita da Juan J. Linz, Some Notes Toward a Comparative Study of Fascism in Sociological Perspective, in W. Laqueur (a cura di), Fascism: A Reader’s Guide, Berkeley, University of California Press, pp. 5-121; trad. it. Note per lo studio comparato del fascismo in una prospettiva storico-sociologica, in Idem, Democrazia e autoritarismo. Problemi e sfide tra XX e XXI secolo, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 207-359.
[11] Taggart, Il populismo, cit., p. 9.
[12] Cfr. Panizza, Introducción. El populismo como espejo de la democracia, cit., pp. 11-14. Meno convincente è la distinzione fra gli approcci funzionalista, psicosociologico, marxista e mitico proposta da Alexandre Dorna, Le populisme, Paris, Presses universitaires de France, 1999, pp. 106-122. L’intera opera è del resto caratterizzata da un taglio fortemente valutativo e non è esente da imprecisioni e commistioni metodologiche poco fruttuose.
[13] Le relazioni presentate riguardarono Nord America, America Latina, Russia, Europa orientale e Africa; in alcuni interventi di taglio comparativo comparvero anche riferimenti all’Asia e all’Europa occidentale (rappresentata peraltro quasi esclusivamente da Poujade). È interessante notare che tredici anni dopo il simposio di Londra venne pubblicata in Unione Sovietica un’opera – passata sotto silenzio nel dibattito occidentale recente – che ne costituiva una sorta di «controcanto» in versione marxista e ne allargava ulteriormente lo spettro geografico di analisi: Vladimir Georgievich Khoros, Populism: Its Past, Present and Future, Moscow, Progress, 1984 (ed. or. russa, ivi, 1980).
[14] Cfr. Ionescu e Gellner, Introduction, in Eidem (a cura di), Populism: Its Meanings and National Characteristics, cit., pp. 1-3. Il volume raccoglie parzialmente gli atti del convegno londinese.
[15] Citato in John B. Allcock, «Populism»: A Brief Biography, in «Sociology», V, 3, settembre 1971, p. 385 e ripreso da Canovan, Populism, cit., p. 7.
[16] Cfr. Edward Shils, The Torment of Secrecy: The Background and the Consequences of American Security Policies, Glencoe, Ill., The Free Press, 1956, pp. 98-104.
[17] Cfr. MacRae, Populism as an Ideology, cit., pp. 154-163.
[18] Cfr. Peter Wiles, A Syndrome, Not a Doctrine: Some Elementary Theses on Populism, in Ionescu e Gellner, Populism, cit., pp. 166-179. Nell’intervento c’è un’altra osservazione utile nell’ottica delle discussioni future sui connotati del populismo, in merito al suo rapporto con il fascismo. «C’è molto populismo nel fascismo», scrive Wiles, ma anche, nel secondo, elementi di differenziazione: «l’elitismo, il culto della violenza, la ripulsa della religione e la richiesta di obbedienza al capo» (ibidem, p. 176).
[19] Cfr. Worsley, The Concept of Populism, cit., pp. 212-250.
[20] Cfr. Kenneth Minogue, Populism as a Political Movement, in Ionescu e Gellner, Populism, cit., pp. 197-211.
[21] Cfr. Angus Stewart, The Social Roots, in Ionescu e Gellner, Populism, cit., pp. 180-196. La citazione rinvia a Clifford Geertz, Ideology as a Cultural System, in David E. Apter (a cura di), Ideology and Discontent, Glencoe, Ill., The Free Press, 1964, p. 64.
[22] Cfr. Ferdinand Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft, Leipzig, Fues, 1887; trad. it. Comunità e società, Milano, Comunità, 1963.
[23] Cfr. Isaiah Berlin et al., To Define Populism, in «Government and Opposition», III, 2, 1968, pp. 173-178.
[24] Molti dei cui scritti sono comparsi sotto lo pseudonimo di «Ludovico Garruccio», sino a quando l’autore ha svolto la professione di diplomatico.
[25] Cfr. Ludovico Incisa di Camerana, voce Populismo, in Norberto Bobbio e Nicola Matteucci (direttori) e Gianfranco Pasquino (redattore), Dizionario di politica, Torino, Utet, 1976, ora in Ludovico Incisa di Camerana, Fascismo, populismo, modernizzazione, Roma, Pellicani, 2000, pp. 351-352 e 359.
[26] Cfr. Gino Germani, Fascismo, autoritarismo e classi sociali, Bologna, Il Mulino, 1975, p. 226.
[27] Diana Quattrocchi-Woisson, Les populismes latino-américains à l’épreuve des modèles d’interprétation européens, in «Vingtième siècle», 56, ottobre-dicembre 1997, p. 181, indica come caratteri dell’azione dei governi populisti dell’America Latina il nazionalismo, l’antimperialismo, la preferenza accordata alla giustizia sociale rispetto alle libertà individuali, l’integrazione delle masse.
[28] Cfr. Nicola Matteucci, Dal populismo al compromesso storico, Roma, Edizioni della Voce, 1976, pp. 75-76.
[29] Canovan, Populism, cit., p. 6.
[30] Ibidem, p. 12.
[31] Ibidem, p. 9.
[32] Ibidem, p. 265.
[33] Ibidem, pp. 294-297.
[34] Su questo filone di studi offre una buona ricostruzione sintetica Chiapponi, Il populismo come problematica della scienza politica, cit., pp. 22-36.
[35] Ibidem, p. 36.
[36] Tullio-Altan, Populismo e trasformismo, cit., pp. 42-43.
[37] Yves Mény e Yves Surel, Par le peuple, pour le peuple. Le populisme et les démocraties, Paris, Fayard, 2000; trad. it. Populismo e democrazia, II ed., Bologna, Il Mulino, 2004, pp. 1-2.
[38] Ibidem, pp. 8 e 167.
[39] Ibidem, p. 279.
[40] Questa formulazione è in Yves Surel, Berlusconi, leader populiste?, in Olivier Ihl, Janine Chêne, Éric Vial e Ghislain Waterlot (a cura di), La tentation populiste au coeur de l’Europe, Paris, La Découverte, 2003, pp. 114 e 116.
[41] Cas Mudde, The Populist Zeitgeist, in «Government and Opposition», XXXIX, 4, 2004, pp. 543-544. Il riferimento è, in questo caso, a Michael Freeden, Is Nationalism a Distinct Ideology?, in «Political Studies», XLVI, 4, 1998, p. 750.
[42] Cfr. Margaret Canovan, Taking Politics to the People: Populism as the Ideology of Democracy, in Yves Mény e Yves Surel (a cura di), Democracies and the Populist Challenge, Basingstoke, Palgrave, 2002, pp. 30-32. Qui il rinvio dell’autrice è a Michael Freeden, Ideologies and Political Theory: A Conceptual Approach, Oxford, Clarendon, 1996; trad. it. Ideologie e teoria politica, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 110-115.
[43] Zanatta, Il populismo: una moda o un concetto?, cit., p. 331.
[44] Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell, Introduction: The Sceptre and the Spectre, in Eidem (a cura di), Twenty-First Century Populism: The Spectre of Western European Democracy, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2008, p. 3. Gli autori sentono il bisogno di precisare (ibidem, p. 11, n. 1): «Per essere chiari, noi intendiamo l’ideologia come un sistema di credenze, valori e idee caratteristico di un particolare gruppo. Usato in questo modo, il termine si riferisce a sistemi di credenze la cui funzione è di spiegare perché le cose sono come sono, fornendo uno schema interpretativo attraverso il quale gli individui e/o le organizzazioni danno senso alle proprie esperienze, si riferiscono al mondo esterno e pianificano il futuro».
[45] Paolo Pombeni, L’appello al popolo, in «Ideazione», VII, 2, marzo-aprile 2000, pp. 35-36.
[46] La letteratura scientifica sul concetto di «ideologia» è sterminata; per un approccio riassuntivo resta valido il contributo di Mario Stoppino, voce Ideologia in Bobbio, Matteucci e Pasquino, Dizionario di politica, cit., pp. 464-476.
[47] Chiapponi, Il populismo come problematica della scienza politica, cit., p. 58.
[48] Cfr. Ernesto Laclau, On the Populist Reason, London, Verso, 2005; trad. it. La ragione populista, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. xxxiii, 5-13 e 111-112. Sul complesso pensiero di Laclau in argomento, cfr. Marco Baldassari e Diego Melegari (a cura di), Populismo e democrazia radicale. In dialogo con Ernesto Laclau, Verona, Ombre corte, 2012.
[49] Ibidem, rispettivamente pp. 168 e 19.
[50] Ibidem, p. 169.
[51] Mişcoiu, Au pouvoir par le «peuple», cit., p. 66. Sul carattere «transdottrinario» del populismo, in una prospettiva non lontana da quella di Laclau, cfr. Daniel Şandru, The Ideological Components of Populism, in Sergiu Gherghina, Sergiu Mişcoiu e Sorina Soare (a cura di), Contemporary Populism: A Controversial Concept and Its Diverse Forms, Newcastle upon Tyne, Cambridge, 2013, pp. 53-83.
[52] Cfr. Alan Knight, Populism and Neopopulism in Latin America, Especially Mexico, in «Journal of Latin American Studies», XXX, 2, maggio 1998, pp. 223-248.
[53] Cfr. Panizza, Introducción. El populismo como espejo de la democracia, cit., p. 14; Michael Kazin, The Populist Persuasion: An American History, Ithaca, N.Y., Basic, 1995, pp. 1-2; Kurt Weyland, Clarifying a Contested Concept: Populism in the Study of Latin American Politics, in «Comparative Politics», XXXIV, 1, ottobre 2001, pp. 1-22. Sempre in riferimento al contesto latinoamericano, de la Torre e Peruzzotti, Introducción. El regreso del populismo, cit., p. 12, parlano di uno stile politico «che rimane intimamente legato, nella memoria popolare, a processi significativi di incorporazione e democratizzazione politica».
[54] Flavia Freidenberg, ¿Qué es el populismo? Enfoques de estudio y nueva propuesta de definición, in Éric Dubesset e Lucia Majlátová (a cura di), El populismo en Latinoamérica. Teorías, historia y valores, Bordeaux, Presses universitaires de Bordeaux, 2012, p. 23. Cfr. anche Idem, La tentación populista: una via al poder en América Latina, Madrid, Síntesis, 2007.
[55] Pierre-André Taguieff, Political Science Confronts Populism, in «Telos», 103, primavera 1995, pp. 9-43; trad. it. La scienza politica di fronte al populismo: da miraggio concettuale a problema reale, in «Trasgressioni», XV, 3, n. 31, settembre-dicembre 2000, p. 43.
[56] Taguieff, L’illusion populiste, cit., p. 80. Questa formulazione era stata anticipata dall’autore in Le populisme et la science politique. Du mirage conceptuel aux vrais problèmes, in «Vingtième siècle», 56, ottobre-dicembre 1997, pp. 4-33, che è una versione rimaneggiata dell’articolo citato nella nota precedente.
[57] Idem, Le populisme comme style politique, in Idem (a cura di), Le retour du populisme. Un défi pour les démocraties européennes, Paris, Universalis 2004, pp. 17-18.
[58] Ibidem, p. 18.
[59] Idem, Le nouveau national-populisme, cit., p. 23.
[60] Cfr. Delsol, La nature du populisme ou les figures de l’idiot, cit., p. 27.
[61] Liogier, Ce populisme qui vient, cit., p. 15.
[62] Cfr. Margaret Canovan, Il populismo come l’ombra della democrazia, in «Europa Europe», II, 2, 1993, pp. 45-46.
[63] Cfr. Michel Wieviorka, La démocratie à l’épreuve. Nationalisme, populisme, ethnicité, Paris, La Découverte, 1993, pp. 76-77.
[64] Cfr. Guy Hermet, La trahison démocratique. Populistes, républicains et démocrates, Paris, Flammarion, 1998, pp. 119-122.
[65] Così Jean-Jacques Becker, L’opinion publique: un populisme?, in «Vingtième siècle», 56, ottobre-dicembre 1997, pp. 92-98. Un contributo scientificamente fondato offerto da questo approccio è il libro di Gianpietro Mazzoleni, Julianne Stewart e Bruce Horsfield (a cura di), The Media and Neo-Populism: A Contemporary Comparative Analysis, Westport, Conn., Preager, 2003, che fa un ampio uso di dati empirici.
[66] Alfio Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia. La destra radical-populista e la politica italiana, in «Meridiana», 38-39, novembre 2000, pp. 51-52.
[67] Hans-Georg Betz, Radical Right-Wing Populism in Western Europe, New York, St. Martin’s Press, 1994, p. 4.
[68] Cfr. Hermet, Les populismes dans le monde, cit., pp. 16, 41, 45, 49 e 52. Hermet ritiene peraltro, contro il parere di tutti gli altri studiosi del populismo, che si commetta un errore quando si fa dell’appello al popolo una componente privilegiata della sua dottrina (termine peraltro accuratamente evitato da gran parte degli specialisti), in quanto il riferimento al popolo si rivelerebbe «paradossalmente ciò che vi è di più confuso e suppletivo nel populismo» (ibidem, p. 74). Ma la confusione dei contorni di questa figura simbolica è appunto il dato che permette ai movimenti populisti di farne la propria bandiera ed evocarlo di continuo a sostegno delle proprie proposte anche quando il popolo reale e concreto sembra negare loro, con il voto, una delega rappresentativa.
[69] Taggart, Il populismo, cit., p. 13.
[70] Cfr. Roberto Cartocci, L’Italia unita del populismo, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XXXVII, 2, aprile-giugno 1996, p. 293.
[71] Cfr. Taguieff, L’illusion populiste, cit., pp. 80 e 84; Idem, Le populisme, in Universalia 1996, Paris, Encyclopedia Universalis, 1996, p. 120.
[72] Cfr. Maryse Souchard, Les (nouveaux?) populismes, in Idem et al., Le populisme aujourd’hui, Paris, M-Editer, 2007, p. 21.
[73] Cfr. Carlos de la Torre, Populismo, ciudadanía y Estado de derecho, in Idem e Peruzzotti, El retorno del pueblo, cit., pp. 30-32.
[74] È questa l’opinione di Alexandre Dorna, Le populisme, Paris, Presses universitaires de France, 1999, p. 8.
[75] Zanatta, Il populismo, cit., p. 9.
[76] Ibidem, p. 10.
[77] Idem, Il populismo: una moda o un concetto?, cit., p. 331.
[78] Cfr. Theodor Geiger, Die soziale Schichtung des deutschen Volkes, Stuttgart, Enke, 1932, pp. 77-79.
[79] Cfr. Juan J. Linz, An Authoritarian Regime: The Case of Spain, in Erik Allardt e Yrjö Littunen (a cura di), Cleavages, Ideologies, and Party Systems: Contributions to Comparative Political Sociology, Helsinki, Academic Bookstore, 1964, pp. 291-341; trad. it. Che cos’è l’autoritarismo. Riflessioni a partire dal caso spagnolo, in «Trasgressioni», XXI, 1, n. 42, gennaio-aprile 2006, pp. 35-80.
[80] Juan J. Linz, Totalitarian and Authoritarian Regimes, in Nelson Polsby e Fred Greenstein (a cura di), Handbook of Political Science. Vol. 3: Macropolitical Theory, Reading, Mass., Addison-Wesley, 1975, pp. 175-411; trad. it. Sistemi totalitari e regimi autoritari. Un’analisi storico-comparativa, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006, pp. 237-240.
[81] Anche Gianfranco Pasquino, Populism and Democracy, in Albertazzi e McDonnell (a cura di), Twenty-First Century Populism, cit., p. 20, si pone in quest’ottica.
[82] Cfr. Albertazzi e McDonnell, Introduction: The Sceptre and the Spectre, cit., p. 5, che adottano la formula di Zygmunt Bauman, Community: Seeking Safety in an Insecure World, Cambridge, Polity, 2001, p. 12.
[83] Cfr. le due versioni della classificazione: Canovan, Il populismo come l’ombra della democrazia, cit., pp. 54-57; Idem, Trust the people! Populism and the two faces of democracy, in «Political Studies», XLVII (1999), pp. 2-16; trad. it. Abbiate fede nel popolo! Il populismo e i due volti della democrazia, in «Trasgressioni», XV, 2, n. 31, settembre-dicembre 2000, pp. 27-28.
[84] Mény e Surel, Il populismo e la democrazia, cit., p. 171.
[85] Ibidem, pp. 180-184. Cfr. anche Hermet, Les populismes dans le monde, cit., p. 15.
[86] Ibidem, pp. 187-196.
[87] Cfr. Taguieff, Le populisme et la science politique. Du mirage conceptuel aux vrais problèmes, cit., pp. 24-27 e Idem, L’illusion populiste, cit., p. 57.
[88] Mény e Surel, Il populismo e la democrazia, cit., p. 197.
[89] Zanatta, Il populismo, cit., p. 19.
[90] Questo tema è ampiamente sviluppato da Pierre Birnbaum, Genèse du populisme. Le peuple et les gros, Paris, Fayard-Pluriel, 2012, in cui peraltro si individua, verso la fine degli anni Novanta del XX secolo, un’evoluzione dell’immaginario populista, dove il «mito dei grossi lascia posto alla creazione di una nuova entità malefica», l’establishment (ibidem, p. 266).
[91] Cfr. Taggart, Il populismo, cit., p. 154.
[92] Hermet, Les populismes dans le monde, cit., p. 75.
[93] Vincent Coussedière, Éloge du populisme, Saint-Étienne, Elya, 2012, pp. 22-23.
[94] Non altrettanto rilevante è, in genere, il colore della pelle; il che spiega come il populismo si sia dimostrato una formula politica di successo in società caratterizzate da una radicata commistione etnica, come quelle dell’America Latina.
[95] Cfr. l’utile sintesi di Chiapponi, Il populismo come problematica della scienza politica, cit., pp. 102-105. Riferimenti classici sono Andreas Schedler, The End of Politics? Explorations into Modern Antipolitics, New York, St. Martin’s 1997 e Amir Abedi, Anti-Political Establishment Parties. A Comparative Analysis, London, Routledge, 2004.
[96] Alfio Mastropaolo, Antipolitica. Alle origini della crisi italiana, Napoli, l’ancora del Mediterraneo, 2000, p. 29.
[97] Idem, Recensione a Marco Tarchi, L’Italia populista, in «Polena», I, 2, 2004, pp. 119-125.
[98] Idem, La mucca pazza della democrazia (2005), cit., pp. 66-67. Per un ulteriore sviluppo di questo tema, cfr. Idem, La democrazia è una causa persa?, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, pp. 252-272.
[99] Idem, La mucca pazza della democrazia, cit., pp. 68-69.
[100] Cfr. Vittorio Mete, Antipolitica, in G. Bettin Lattes (a cura di), Per leggere la società, Firenze, Firenze University Press, 2003, pp. 337-373.
[101] Così Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia (2005), cit., p. 63. Sulla stessa linea, cfr. Annie Collovald, Le «populisme du FN»: un dangereux contresens, cit.
[102] Cfr. Vittorio Mete, Cittadini contro i partiti. Antipartitismo e antipartitici in Italia, «Polena», II, 3, 2005, pp. 9-36, e Salvatore Lupo, Antipartiti, Roma, Donzelli 2013.
[103] Pasquino, Populism and Democracy, p. 21.
[104] Lo rileva opportunamente Chiapponi, Il populismo come problematica della scienza politica, cit., p. 96. Vero è peraltro che sinora, in Europa, nessun movimento populista è riuscito a raggiungere da solo il potere, e non sappiamo se, in mancanza dei condizionamenti tipici di ogni coalizione, le cose andrebbero altrimenti, come sostengono coloro che fanno riferimento alle tendenze autoritarie di alcuni governi populisti latinoamericani. Il caso di Viktor Orban e del suo partito Fidesz in Ungheria, assai citato in chiave polemica nel dibattito politico e giornalistico, non fa testo, giacché vi si esprimono solo limitatamente alcuni tratti della mentalità populista – tanto è vero che a fargli concorrenza, con non trascurabili risultati, è una formazione come Jobbik, che del populismo esibisce una versione più radicale, sia pure ancora mescolata a tratti ideologici di estrema destra.
[105] Panizza, Introducción. El populismo como espejo de la democracia, cit., p. 37.
[106] Hermet, Les populismes dans le monde, cit., p. 73.
[107] Cfr. Giovanni Sartori, Xenofobia è paura (non odio) dello straniero, ora in Idem, Mala tempora, Roma-Bari, Laterza, 2004, pp. 445-447.
[108] Delsol, La nature du populisme ou les figures de l’idiot, cit., p. 7.
[109] Ibidem, p. 70.
[110] Ibidem, p. 73.
[111] Cfr. ibidem, pp. 74-92. Delsol cita il caso di Jean-Claude Michéa, che esprime da posizioni «di sinistra» – ma da molti giudicate «eretiche» – opinioni di sapore populista.
[112] Coussedière, Éloge du populisme, cit., pp. 51 e 55.
[113] Cfr. ibidem, pp. 61-64 e 72.
[114] Cfr. Taggart, Il populismo, cit., p. 158, e Idem, Populism and the Pathology of Representative Politics, cit., pp. 67-68.
[115] Cfr. Zanatta, Il populismo, cit., pp. 9-15.
[116] Cfr. Piergiorgio Corbetta, Conclusioni. Un web-populismo dal destino incerto, in Idem e Elisabetta Gualmini (a cura di), Il partito di Grillo, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 197-214, e Jacques de Saint Victor, Les antipolitiques, Paris, Grasset, 2014, pp. 40-58.
[117] Wieviorka, La démocratie à l’épreuve, cit., p. 79.
[118] Zanatta, Il populismo, cit., pp. 38-39.
[119] Reynié, Les nouveaux populismes, cit., p. 16.
[120] Mişcoiu, Au pouvoir par le «peuple», cit., p. 100.
[121] Hermet, Les populismes dans le monde, cit., p. 77.
[122] Cfr. Zanatta, Il populismo, cit., p. 35.
[123] La questione della (difficile, ma non impossibile) istituzionalizzazione dei movimenti populisti è peraltro troppo complessa per essere affrontata in questa sede. Per un sintetico inquadramento del problema, cfr. Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., pp. 100-101.
[124] Cfr. Panizza, Introducción. El populismo como espejo de la democracia, cit., p. 38. Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., p. 76, fanno notare come molte rappresentazioni autobiografiche di capi populisti sottolineino i loro tratti di estrazione popolare, in un evidente tentativo di accentuare nei seguaci la sensazione di vicinanza e somiglianza.
[125] Questa tipologia della leadership populista è illustrata in due contributi da Flavio Chiapponi, Populismo, leadership e carisma, in «Trasgressioni», XXV, 3, n. 51, settembre-dicembre 2010, pp. 91-120, e Italy: Varieties of Populist Leadership, in Gherghina, Mişcoiu e Soare, Contemporary Populism, cit., pp. 294-315.
[126] Cfr. Delsol, La nature du populisme ou les figures de l’idiot, cit., pp. 137-138 e 150-151.
[127] Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., p. 11.
[128] Cfr. Yves Surel, Populisme et démocratie, in Taguieff, Le retour du populisme, cit., pp. 97-98.
[129] Cfr. Chiapponi, Il populismo come problematica della scienza politica, cit., pp. 8 e 75-81.
[130] Cfr. Zanatta, Il populismo, cit., p. 17.
[131] Cfr. Pierre Rosanvallon, Penser le populisme, in Catherine Colliot-Thélène e Florent Guénard (a cura di), Peuples et populisme, Paris, Presses universitaires de France, 2014, pp. 34-36.
[132] Cfr. Souchard, Les (nouveaux?) populismes, cit., p. 17. Pur trovando alcune delle osservazioni dell’autrice pertinenti, non ci si può astenere dal far notare talune affermazioni sconcertanti contenute nel suo articolo, a partire da quella secondo cui «La difficoltà di definire il populismo è legata al fatto che la bibliografia su questo argomento è piuttosto povera» (nel 2007!). Vero è che la portata di questo quanto mai infondato rilievo è ridimensionata in nota dalle seguenti frasi: «Devo riconoscere che questa ricerca bibliografica è stata rapida e avrebbe potuto essere maggiormente approfondita. La ricerca è stata effettuata a partire dal catalogo della biblioteca dell’Università di Nantes, della lista delle opere disponibili in lingua francese in alcuni siti internet», ma pretendere di svolgere un’analisi scientifica su queste basi è quantomeno bizzarro...
[133] Raccogliamo, in questo senso, l’invito di Alexandre Dézé, Le populisme ou l’introuvable Cendrillon. Autour de quelques ouvrages récents, in «Revue Française de Science Politique», LVI, 1, 2004, pp. 179-190.
[134] Guy Hermet, Populisme et nationalisme, in Taguieff, Le retour du populisme, cit., pp. 120-121.
[135] Cfr. de la Torre e Peruzzotti, Introducción. El regreso del populismo, p. 16; Carlos de la Torre, Populismo, ciudadanía y Estado de derecho, p. 24; Enrique Peruzzotti, Populismo y representación democrática, p. 106, tutti in de la Torre e Peruzzotti, El retorno del pueblo, cit.
[136] Cfr. Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., pp. 1 e 34.
[137] Canovan, Taking Politics to the People, cit., p. 34.
[138] Guy Hermet, El populismo como concepto, in «Revista de Ciencia Política», XXIII, 1, 2003, p. 11.
[139] Taguieff, L’illusion populiste, cit., p. 25.
[140] Come sostiene, ad esempio, Paolo Pombeni, Il populismo nel costituzionalismo europeo, in «Ricerche di storia politica», VII, 3, dicembre 2004, p. 369.
[141] Yannis Papadopoulos, Populism, the Democratic Question, and Contemporary Governance, in Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., p. 48.
[142] Anche se Mastropaolo, La mucca pazza della democrazia (2005), cit., pp. 75-76, arriva a giudicare allarmante la spiccata preferenza dei populisti «per la democrazia immediata, per le investiture plebiscitarie e i pronunciamenti referendari, utilizzati non già quali tecniche complementari alla democrazia rappresentativa, ma per aggirarla e vanificarla, mostruosamente [sic!] proclamando il primato assoluto della volontà popolare cui nessun vincolo sarebbe legittimo opporre».
[143] Mastropaolo, Politics against Democracy: Party Withdrawal and Populist Breakthrough, in Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., p. 34.
[144] Mario G. Losano, Peronismo e giustizialismo: significati diversi in Italia e in Sudamerica, in «Teoria politica», XIX, 1, 2003, p. 6.
[145] Alessandro Campi, Populismo: oltre gli stereotipi, in «Ideazione», VII, 2, marzo-aprile 2000, pp. 29-30.
[146] Matteucci, Dal populismo al compromesso storico, cit., pp. 5 e 79.
[147] Francisco Panizza, Fisuras entre populismo y democracia en América Latina, in de la Torre e Peruzzotti, El retorno del pueblo, cit., p. 79.
[148] Zanatta, Il populismo. Sul nucleo forte di un’ideologia debole, cit., p. 271.
[149] Worsley, The Concept of Populism, cit., pp. 246-247.
[150] Mény e Surel, Democracies and Populist Challenge, cit., p. 78.
[151] Cfr. ibidem, pp. 35-36, 71-77. Pasquino, Populism and Democracy, cit., p. 16, ritiene invece che «le prospettive populiste siano quasi inevitabilmente incompatibili con la democrazia, o con la liberaldemocrazia».
[152] Cfr. Michael Oakeshott, Rationalism in Politics and Other Essays, London, Methuen, 1962.
[153] Canovan, Abbiate fede nel popolo!, cit., pp. 33 e 38.
[154] Cfr. Idem, Il populismo come l’ombra della democrazia, cit., p. 47.
[155] Ibidem, pp. 49-50.
[156] Su questo punto, cfr. le considerazioni di Jack Hayward, The Populist Challenge to Elitist Democracy in Europe, in Idem (a cura di), Elitism, Populism, and European Politics, Oxford, Clarendon, 1996, pp. 10-32.
[157] Cfr. Benjamín Arditi, Populism as a Spectre of Democracy: A Response to Canovan, in «Political Studies», LII 1, 2004, pp. 140-143; trad. it. Il populismo come spettro della democrazia. Una risposta a Margaret Canovan, in «Trasgressioni», XIX, 1, n. 38, gennaio-aprile 2004, pp. 25-36.
[158] Cfr. Peruzzotti, Populismo y representación democrática, cit., p. 110.
[159] Taggart, Il populismo, cit., p. 10.