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Anche il corpo si era stancato di scrivere. Uno spasmo acuto e prolungato gli fece cadere la penna di mano. Non poteva più aspettare.

«Francescona!» chiamò. «Porta il vaso.»

Dopo pochi secondi la vecchietta sgambettò fino al tavolo, depose il pitale per terra, dalla parte di uno dei lati brevi, e poi si ritirò in un angolo buio della stanza. Lui si alzò, dolorante per le fitte che si susseguivano, arrotolò la palandrana sui fianchi, abbassò le mutandone di lana e si accovacciò sul recipiente. Con una mano teneva la palandrana, con l’altra si appoggiava al bordo del tavolo. Si liberò con una sola scarica violenta.

Si sollevò che ancora orinava. Non se n’era accorto, e così finì di pisciare sul pavimento. Risistemati i vestiti, si girò a esaminare le feci. Vide una poltiglia giallastra chiazzata di verde e punteggiata di grani neri.

L’uva, sono acini d’uva, si disse, e poi, ad alta voce, si rivolse alla serva: «L’uva non la voglio più, mi fa male. Porta via».

La Francescona obbedì senza dire una parola. Poco dopo riapparve con uno straccio in mano e cominciò a pulire i mattoni del pavimento. Lui si era risieduto al tavolo. Stava meglio. Si accarezzava il ventre con la gradevole sensazione di essere pulito dentro e per qualche momento sentì rinascere la scioltezza e la vigoria del passato.

La Francescona si stava dirigendo verso la finestra.

«Cosa vuoi fare?» le chiese irritandosi.

«Aprire.»

«Ma sei matta? Con il freddo che fa? Via, fila via.»

La vecchia scomparve scivolando come un soffio di vento.

«Apre, la deficiente» borbottò lui. Aspirò e non percepì nessun odore sgradevole.

A causa dei movimenti che aveva fatto per alzarsi e risedersi, un piccolo foglio di carta era volato a terra, accanto allo scranno. Imprecando per la fatica si sporse da un lato e, proteso un braccio, lo afferrò con due dita. Come immaginava, era «la canzone di Boccaccio». Sulla facciata bianca, prima di coricarsi, aveva buttato giù un appunto su come terminare l’epistola al napoletano. Sull’altra facciata erano scritte due stanze, le prime due, le uniche composte, di una canzone.