IL «NO» DI ANNA

I

Trillavano i grilli nella placida sera di settembre sulla spiaggia lunga e stretta, tutta ingombra di alte cataste di zolfo. La spiaggia, fino a mezzo secolo addietro era seno di mare, il quale allora veniva a battere alle mura del borgo nascente. Inarenato il seno, subito il commercio aveva invaso quel breve lembo sabbioso, per comodo del carico dello zolfo.

Chi sa da qui a cento, a duecent'anni che diverrà Vignetta! Intanto, è quasi città, affermano gli abitanti. E possiede un porto, che è forse il piú commerciale dell'isola, sebbene ancora senza banchina: due lunghe braccia petrose, curve sul mare, accoglienti in mezzo un breve ponitojo da legni sottili, detto il Molo vecchio, al quale è stato riserbato l'onore di tener la sorte della capitaneria del porto e la bianca torre del faro principale.

Di giorno Vignetta è in continuo fermento. Ogni mattina, all'alba, i tre appelli d'un banditore la destano:

E già comincia lo strider dei carri carichi di zolfo, carri senza molla, ferrati, rotolanti nel brecciale fradicio dello stradone polveroso, popolato di magri asinelli a frotte, bardati, che arrivano anch'essi con due pani di zolfo a contrappeso, uno per ciascun lato.

Le spigonare, con la gran vela triangolare ripiegata a metà sull'albero, assiepano la riva; mentre già a piè delle cataste s'impiantan le stadere, sulle quali lo zolfo è pesato, e quindi caricato sulle spalle degli uomini di mare protette da un sacco commesso alla fronte. Gli uomini di mare scalzi, in calzoni di tela, recano il carico alle spigonare, immergendosi nell'acqua fino all'anca; poi le spigonare ripiene, sciolta la vela, recano alla lor volta il carico ai vapori mercantili ancorati nel porto, o fuori.

Questo, sulla spiaggia.

Entro il paese, sulla larga strada principale, altri carri giungono carichi di sacchi d'orzo, di frumento, di fave.

— chiamano i facchini.

I sacchi di sul carro son votati su un largo tappeto di juta grezza steso sulla via, e l'orzo e il frumento, misurati a tòmoli e insaccati di nuovo, son portati a spalla entro i depositi ben guardati dall'umido. Ogni cinque tòmoli, un sacco; ogni venti tòmolí, una salma.

Grida, a ogni ventina, con voce lunga e lamentosa il misuratore.

Cosí fino al tramonto, con una breve tregua sul mezzogiorno. La sera, dopo tanto frastuono, il senso della quiete pervade piú profondamente e domina il paese. E i grilli strillano sulla spiaggia, tra le cataste di zolfo, e qualche cane di guardia abbaja di quando in quando; mentre il mare, dentro il porto, dorme tranquillo come un lago, con la selva oscura delle navi quasi protette dal faro, di cui le acque nere riflettono il verde lume.

Oltre il porto, il mare si stende vastissimo, rischiarato dalla luna, fino all'orizzonte chiuso a sinistra da Punta Bianca, a destra da Monte Rossello, in ampio semicerchio.

Allo spettacolo di questa solenne calma del mare, sul terrazzo di casa Prinzi, la signorina Rita ascoltava una sera le confidenze dell'amica Anna Cesarò, e la guardava freddamente negli occhi, e le guardava le labbra appassite e i denti malpari, sicché Anna, parlando, si sentiva spesso costretta ad abbassar gli occhi: allora la voce le usciva piú che mai velata e tremula dalla gola troppo larga, quantunque il collo fosse lungo e magro. Talvolta gli occhi di Rita si stringevano un po' in uno sguardo di commiserazione, che turbava peggio Anna, le cui dita tremanti tormentavano allora le trine della manica. Peggio ancora poi, quando Rita traeva qualche lieve sospiro, guardando in alto.

— disse Anna con quella certa baldanza di chi sappia di dir cosa che faccia piacere.

— domandò Rita senza ombra di curiosità.

Anna rispose con gli occhi bassi:

Rita sospirò. Ella compiangeva in cuor suo, veramente, la povera amica innamorata alla perdizione del giovane medico di Vignetta, il dottor Mondino Morgani, lungo, Dio mio, tre canne, senza esagerazione, e magro: un palo insomma; piú biondo della paglia, con due puntini cilestri per occhi e un naso gracile, cosí enorme, che gli diventava pallidissimo, ogni qualvolta rideva, a cagione dello stiramento della pelle lí lí per scoppiargli sul dorso.

Il dottor Morgani, poveretto, non che corrispondere alla passione d'Anna, non sospettava nemmeno dell'amor di lei; cosí almeno credeva Rita, la quale perciò soffriva alle timide confidenze dell'amica tanto illusa da non accorgersi quanto fossero ridicoli quei dispettucci che ella intendeva fare al preteso innamorato. (Chiudergli in faccia la finestra, poveretto, e perché?)

Quella relegazione nella cittaduzza marittima di Vignetta, a causa del commercio dello zolfo a cui il padre s'era dato, aveva alterato l'indole, prima gaja e aperta, di Rita. Era troppo forte veramente il contrasto tra l'immensità della natura, del cielo, e del mare, e la grettezza opprimente degli abitanti di Vignetta. Il padre dedito tutto il giorno agli affari, la madre alle faccende di casa lasciavano Rita nella piú completa solitudine, cosí che ella aveva preso l'abitudine del fantasticare, chiusa sempre in se stessa, da mane a sera. Non aveva amiche a Vignetta, tranne la Cesarò (grettuccia anche lei, la poverina), né cosa alcuna o persona che l'interessasse in quel paese. Cosí, senza scopo, quasi senza vita, vedeva andar via ad uno ad uno i suoi giorni migliori.

Anna era adesso di paraggio inferiore alla Prinzi. Rosario Cesarò, suo padre, tipo strano d'uomo, morto quattr'anni addietro, aveva buttato a piene mani tutto l'aver suo nelle buche delle solfare, preso dalla manía di trovar filoni di zolfo in ogni montagna del circondario. E aveva sventrato montagne, fatto scavar buche fino a duecento metri di profondità, senza trovar mai nulla: acqua soltanto: e allora, impianti di macchine a vapore per votar le buche, o costruzioni sotterranee per deviar l'acqua. Cosí migliaia e migliaia di lire aveva lasciato ingoiare alle buche voraci senza alcun frutto.

Appunto nell'infausta occasione della malattia del padre Anna aveva conosciuto il dottor Morgani.

Né la madre, né la sorella maritata, né il cognato, ancora in pianto per la recente morte, avevan pensato alla povera Anna, allora sui diciotto anni, di cagionevole salute fin da bambina, consumata da una febbre lenta, continua.

Mondino Morgani s'era messo ad esercitar la professione del medico da tre mesi soltanto, e il Cesarò era «il suo primo morto». La malattia del quale era stata irrimediabile, è vero; ma tuttavia della morte Mondino aveva quasi avuto rimorso.

Durante i tre mesi angosciosi della malattia del padre, Anna erasi talmente consumata, che il nasino, la bocca, il mento piccolo un po' sfuggente, parevan presi di paura dagli occhi verdognoli straordinariamente ingranditi sotto la fiamma dei folti capelli rossi, arruffati.

Era alta anche lei, non quanto il dottore, ma quasi, per via del collo; e tossiva.

Mondino le guardava il seno schiacciato, stretto e le spalle ossute.

E non sapeva tollerare che nessuno in casa si prendesse cura di lei. Ordinava lui in cucina del brodo per la signorina.

Anna allora lo guardava un tratto coi suoi grand'occhi verdognoli, come per dirgli: «» Li chiudeva e ingollava.

E Anna, dal suo lettuccio, lo seguiva con gli occhi fino all'uscio; poi si nascondeva tutta sotto le coperte, e sospirava felice, struggendosi, e baciava il guanciale con le labbra avide.

E non era Mondino finanche arrivato ad assaggiar prima lui i medicamenti piú amari per incoraggiar l'inferma a prenderli? Qual medico suole arrivare fino a tal punto? E quel che le diceva! E come la forzava!

Rita aveva lasciato trapelare all'amica i suoi dubbi sull'innamoramento del dottore; e Anna, poverina, rinvangava nei ricordi… No, no! Non era inganno il suo! Ma che! E la grasta dei garofani? Sí, una bella pianta di garofani screziati, ch'ella teneva sul davanzale della finestra di camera sua… Il dottor Morgani, amantissimo dei fiori, quando veniva da lei a visita, non sapeva staccar gli occhi da quella pianta.

Ne staccava uno, con le lunghe e secche dita, e se lo metteva all'occhiello.

Anna, ristabilita, aveva voluto per conto suo regalare al dottore quella bella grasta di garofani. E Mondino non portava mai altri fiori all'occhiello, se non quei garofani, quando sbocciavano.

Non era un segno anche questo?

Rita pensava tra sé: «» E, in fondo, non si sbagliava.

Solamente, in Mondino – bisogna dirlo – non era intenzione di far del male ad Anna. Egli si stimava sinceramente, il giovinotto piú irresistibile di Vignetta; le sue maniere erano per natura cortesi e garbate, non ci metteva nulla di suo, era cosí, che poteva farci? E le ragazze s'invaghivano di lui, credendosi lusingate… Ma nemmeno per ombra, parola d'onore! Se ne invaghivano? Padronissime! anzi, tanto piacere, ma lui… Per altro, la signorina Cesarò (un'ottima creatura, come negarlo?) doveva pensare che egli aveva per le mani una professione nobilissima e lucrosa, che i suoi parenti erano molto ricchi, e che lei, poverina, non aveva un soldo di dote. Quando s'ama, è vero, non si pensa a queste cose; ci pensano i parenti però… Non parlava della figura. Per la figura, passi! Mondino aveva in proposito un'idea sua: «». Ma inutile parlarne! Lui, per adesso, non aveva intenzione di sposare, ecco! E dunque…

E ogni qual volta era invitato in casa Cesarò, sbuffava come un cavallo stracco.

E innanzi al lettuccio di Anna, all'incentivo tocco di quel polso esile che tremava tra le sue dita, avviluppato dal fervido sguardo di quei grand'occhi verdognoli, chiedenti quasi pietà, Mondino Morgani si turbava anche lui, si sentiva impacciato, non sapeva metter piú insieme due parole, due grecismi dell'oscura terminologia medica, che pure era il suo forte.

— gli domandava la madre.

— avrebbe voluto risponderle Mondino, esasperato.

II

E Anna spingeva col gomito, sulla ringhiera del terrazzo, il gomito di Rita.

— ammoní questa, fingendo di non vedere.

Mondino Morgani passava lungo lungo, secco secco, per la spiaggia, guardando il terrazzo di casa Prinzi, ove le due amiche erano affacciate.

Passava quasi ogni giorno, alla stessa ora; e guardava ogni volta il terrazzo, a lungo, anche quando Anna non v'era.

Questa intanto era felice di quel lungo sguardo diretto a lei, a suo credere.

— rispose asciutta Rita, guardando il mare.

— incalzò timidamente Anna.

— sospirò Anna, lí lí quasi per piangere.

Rita la guardò, ed ebbe pietà di quelle labbra pallide, tremanti, di quei grand'occhi smarriti, e rimorso d'aver cosí recisamente esternato quel che pensava.

— soggiunse. —

S'interruppe, e propose:

Mondino Morgani ripassava sotto il terrazzo.

Anna lo scorse, mentre già stava per seguir la Rita, e si trattenne con una mano alla ringhiera a guardare, facendosi violenza.

Mondino passò diritto come un palo, senza voltarsi.

— si chiese Anna trepidando. O c'è qualcuno affacciato in qualche finestra vicina?

Guardò: nessuno! E quelle parole di Rita…

Discese, angosciata, la scala del terrazzo.

Rita sonava con molto slancio la Smania del Coop. Appena Anna entrò nel salotto, ella volse il capo verso l'amica, senza smettere di suonare.

— osservò Rita con uno strano sorriso a fior di labbra. Levò le mani dalla tastiera e prese quelle di Anna, guardandola negli occhi.

— disse Anna con gli occhi bassi, interpretando lo sguardo dell'amica, e si morse il labbro inferiore.

— domandò Rita, alzando le spalle, ancora con lo strano sorriso sulle labbra.

— l'interruppe Rita —

Anna continuò a mordersi il labbro inferiore.

— obbiettò Anna. —

Rita sospirò. Dall'incertezza, purtroppo, ella era uscita.

Mondino Morgani si teneva sicurissimo, che tutte le ragazze di Vignetta, a un cenno solo, si sarebbero buttate dalle finestre a terra per lui: «» Una sola gli avrebbe resistito: Rita Prinzi! Ed era senza dubbio (pareva almeno al dottor Mondino) la piú bella, la piú intelligente fra tutte: «»

E passava e ripassava sotto il terrazzo.

Rita se n'era accorta.

— pensava, vedendolo. —

E si ritirava, perché l'imbecille non si credesse lusingato. Oh, quella povera Anna!

Mondino, persuaso alla fine, che col passare e ripassare, sciupo di scarpe e nessun pro', si decise al gran passo. «» Addio vita da scapolo! Addio sospiri! Addio temporanee avventure!

Un «no», tanto cosí!

— si domandava Mondino. — — E non se ne poteva dar pace. — — E passeggiava inconsolabile, per lungo e per largo, con le mani dietro la schiena, la camera da letto, in pantofole e in maniche di camicia, senza sentir freddo. Non se l'aspettava quel «no». Come c'entrava? In fin dei conti, rispetto all'età, una giusta proporzione: vediamo; trent'anni, lui; ventidue, lei: otto anni di differenza. Deforme non era, neanche tanto brutto, poi! per uomo, vía cosí cosí… bella statura… una professione per le mani nobilissima e lucrosa… famiglia accontata sotto ogni rispetto… «» E si grattava con le dita assiderate, nervose, il petto bianchissimo, senza un pelo, sotto la camicia.

— gli augurò la vecchia zia, dalla stanza attigua.

Si raffreddava. Indossò la giacca, e si rimise a passeggiare.

E si soffiava il naso strepitosamente.

Per tre giorni non volle uscir di casa.

E via, dall'altra parte del letto, tirandosi sulle spalle le coperte.

III

Per la povera Anna fu un colpo mortale. Apprese dalle labbra stesse dell'amica la domanda di matrimonio del Morgani, con un espediente di cui nessuna l'avrebbe creduta capace.

Già ella aveva notato nelle parole, nell'espressione del volto di Rita, ogni qual volta si parlava del dottore, dello sdegno mal frenato, e dell'acredine, in luogo del compatimento di prima. Perché?

— disse a Rita, come in risposta alle frasi di lei, contro il Morgani.

— domandò Rita, accigliandosi.

— esclamò Anna col volto in fiamme.

— domandò un'altra volta Rita, nell'imbarazzo.

— domandò a sua volta Anna cosí eccitata e accesa, che pareva dovesse da un momento all'altro cader per terra svenuta. —

— l'interruppe Rita, alteramente. —

Lottava nel cuore di Anna l'onta, l'amore, la gelosia, l'avvilimento di fronte all'amica. Da un canto avrebbe voluto dilaniare con ogni sorta di ingiurie il dottore, dall'altro soffriva a sentirne dir male da Rita: avrebbe voluto impedire che l'amica avvilisse colui ch'ella aveva stimato tanti anni degno del suo amore; ma l'amor proprio offeso non glielo consentiva.

Rita cercò di confortarla, alla meglio, distraendola con le buone maniere da ogni ridicolo proposito di vendetta manifestato nel primo impeto del dolore.

— assentiva Anna, singhiozzando.

Finalmente, rassettatasi alquanto, volle ritornare a casa sua.

Tutto il giorno s'aggirò per le stanze come una stordita, come se il bujo sopravvenuto anzi tempo, a causa di certi nuvoloni minacciosi, la avesse resa incapace d'ajutar la madre nelle consuete faccende domestiche.

La notte precipitò su Vignetta con un rovescio strepitoso di pioggia. Lampi spaventevoli squarciavano il cielo, seguiti quasi immediatamente da formidabili tuoni.

Come legata dalla tremenda commozione della natura, Anna stavasi alla finestra, sferzata in faccia dalla pioggia, con le vesti inzuppate, sussultando a ogni palpito della sinistra luce tra le tenebre sul mare in tempesta. Bruciava dalla febbre e piangeva, stimando in quel momento la propria infelicità superiore a quella d'ogni altra creatura vivente. Un grande intenerimento per se stessa la vinceva, e a ogni pensiero che le ribadiva sulla coscienza il concetto della propria infelicità, le reni quasi le si aprivano e tremava convulsa, strozzata dall'angoscia. Oh in mezzo al mare, in mezzo alla tempesta, felici, felici i marinaj sotto l'imminenza della morte! Oh morire, morire… mille volte meglio morire!…

Il domani, la madre, entrando nella cameretta della figlia, trovò Anna a letto, la finestra ancora aperta, il pavimento allagato dalla pioggia.

— si lamentava Anna col capo affondato nel guanciale, accesa in volto. —

La povera madre, spaventata, mandò pel medico.

— le annunziò la serva di ritorno.

Venne però il giorno appresso.

Anna accolse il dottor Morgani come se non l'avesse mai conosciuto. Non rispose (forse perché la voce non tradisse l'interno turbamento) a nessuna domanda di lui. Mondino allora si rivolse alla madre.

Anna strinse i denti, e trasse con gli occhi chiusi un lungo sospiro per le nari. Poi tossí.

E a provare il suo raffreddore, Mondino si soffiò il gran naso. Poi scrisse una ricetta, e via.

(Visita secca, breve).

IV

Seguí al rifiuto della Prinzi una serie impreveduta di fiaschi per Mondino Morgani.

A breve distanza di tempo lo rifiutarono:

1. La figlia del capitano del porto: Nannina Vèttoli, rivale a Vignetta, della Prinzi. Ventiquattro anni (ventuno, diceva lei), bruna, non bella, ma simpatica; dodici mila lire di dote, orfana di madre, parlava sempre in lingua, e il francese cosí cosí. Suonava il pianoforte.

2. Carmela Ninfa, diciotto anni, bruttina anzi che no, un po' scema, venticinque mila lire di dote. Zero francese, zero italiano, zero pianoforte.

3. Sarina Scoma (anche lei!), ventisette anni, di carnagione incerta sotto lo strato di glicerina impastata con la polvere di riso; quindici mila lire di dote. Completamente incolta, parlava l'italiano a orecchio. Diceva, per esempio, cosí: «». Ma sapeva sonare. Diceva anche: la battaglia di Gaspare Monte per Aspromonte, e altro.

4. La nipote dell'avvocato Merca, Giovanna Merca (suo padre era veramente negoziante di cuojo, ma lei si presentava cosí: «»). Niente dote, il solo corredo da sposa: ricamava a perfezione, sonava il pianoforte, leggeva giorno e notte romanzi truci. Parlava come un uomo, ed era brutta, ma nipote dell'avvocato Merca.

Nannina Vèttoli, s'intende, rifiutò Mondino perché la Prinzi lo aveva rifiutato; Carmela Ninfa, perché le parve troppo alto di statura in confronto a lei cortissima; Sarina Scoma, perché faceva (giusto allora), all'amore con l'ufficiale di distaccamento a Vignetta; Giovanna Merca, perché in fiera corrispondenza ancora con un ufficiale di porto traslocato un mese addietro a Livorno.

Mondino fu quasi per impazzirne.

Adesso, a parte la persona, a parte la famiglia, era medico, sí o no? un dottore in medicina, per se stesso, è o non è personaggio ragguardevole in un piccolo paese come Vignetta? Ah, evidentemente, le ragazze s'erano montate la testa; sí, perché, via! a ragionarla, a parte la persona, a parte la famiglia, qual partito piú conveniente di lui? E lo argomentava dal dispiacere vivissimo con cui i padri e lo zio avvocato avevano risposto negativamente alle sue domande. Era proprio scritto, dunque, ch'egli dovesse rimaner celibe!

«» avrebbe forse esclamato Mondino in altre condizioni, se non avesse dovuto cioè esercitare la professione di medico, e non fosse stato perciò costretto a recarsi tante volte ora in casa Scoma, ora dai Merca, ora dai Vèttoli, ora dai Ninfa. Cosí frattanto, per rimedio, aveva pensato di farsi di queste sue disgrazie amorose come una specie di fatalità che gli pesasse addosso, incomprensibile. Con ciò avrebbe potuto anche mostrare di non covar rancore contro nessuno, già rassegnato a questa sua fatalità.

E s'era immalinconito.

Anna intanto peggiorava di giorno in giorno. I timori di Mondino fondati sulla misera complessione di lei, s'avveravano purtroppo! Ed egli, accanto a quel lettuccio, senza saper perché, diveniva piú malinconico.

Anna, durante la malattia, s'era alquanto rasserenata, come se il torbido dei sentimenti le si fosse man mano posato in fondo al cuore; di tanto in tanto tuttavia un pensiero tornava ad agitarla.

Ella adesso rispondeva brevemente a qualche domanda di Mondino.

Diceva meglio! E intanto…

Con l'andar dei giorni, le visite di Mondino divenivano piú lunghe e meno secche. Egli conversava un po' con la madre, e spesso induceva Anna a dire anche lei qualche parola.

Dopo una mesta riflessione sulla vita o sull'erroneo concetto che spesso ci facciamo degli uomini e della società, sorrideva amaramente e sospirava. Anna pareva non udisse; l'ascoltava invece attentissimamente.

«» pensava tra sé Mondino. — «»

Concepí a un tratto, per la disposizione di spirito in cui allora si trovava, l'idea di farla, se non altro, morir contenta.

Gliela doveva, per altro: egli s'era mostrato un giorno troppo affabile con la povera ragazza.

Rita Prinzi assisteva Anna da una settimana, come una sorella. Non sapeva scostarsi dal lettuccio dell'inferma, a cui faceva delle piane letture, che non la stancassero, e parlava di cose liete.

Soltanto, ogni qual volta veniva il dottore, ella fuggiva per non farsi vedere.

Una mattina però non fece in tempo a scappare: Mondino, entrando, udí il rumore d'una seggiola che Rita, scappando, aveva rovesciato per terra. Anna era rimasta sola, a letto.

— domandò dalla soglia Mondino, piegando il busto in avanti, sulle lunghissime gambe dritte.

— rispose Anna, seccamente.

— rispose allo stesso modo Anna.

— fece Mondino, sorridendo. —

Sedé accanto al letto, e prese tra le dita l'esile polso di Anna.

— riprese senza lasciare il polso —

Anna non traeva piú respiro, a queste parole, e ritrasse pian piano il polso di tra le dita del dottore.

— gli rispose senza guardarlo, con voce che voleva parer ferma.

Entrò in quella la madre, chiamata da Rita.

— fece Mondino sorridendo alla signora Cesarò.

— domandò questa, sedendo a piè del letto della figlia.

La madre non aveva compreso le parole del dottore, né il tono insolito della voce dolce e malinconico, e lo guardava, stordita; comprese alla fine a uno sguardo che egli rivolse alla figlia appena ebbe finito di parlare, e dall'atteggiamento del volto di Anna.

Allora si fece rossa, e rispose confusa, quasi balbettando:

Anna, col volto che pareva una maschera di cera, teneva gli occhi semichiusi.

— disse sorridendo Mondino, chinandosi un po' verso il letto, e attendendo.

— rispose Anna, aprendo gli occhi e aggrottando un poco le ciglia.

Al «no», Mondino si ritrasse istintivamente dal letto, e impallidí, col sorriso rassegato sulle labbra.

— esclamò —

S'interruppe. Si passò forte una mano sulla fronte e sugli occhi; poi riprese, con un lungo sospiro:

E cangiò tosto discorso, con molto spirito, in quel momento. (Cosí almeno stimò Rita, che origliava all'uscio della cameretta.)

V

Gesú – vero ritratto preso dallo smeraldo inciso per ordine di Tiberio Imperatore di Roma, nel trentesimo anno dell'era cristiana. Questa gemma, di cui l'inestimabile valore non supera il merito artistico, dopo varie vicende, fu posseduta dal tesoro turco, e da quell'Imperatore donata al Pontefice Innocenzo VIII, per la redenzione d'un fratello dell'Imperatore fatto schiavo dai cristiani.

Rita, assorta in pensieri a piè del letto di Anna, rileggeva meccanicamente, per la trecentesima volta almeno, questa iscrizione sotto una immagine di Gesú appesa al capezzale.

Dopo il suo «no», Anna era molto peggiorata. Il male precipitava.

— diceva ella. —

Non aveva piú forza di sollevare un braccio dal letto, e lo mostrava sorridendo amaramente all'amica.

I genitori avevano già consigliato a Rita, veramente, di non andar piú da Anna.

— rispondeva Rita. —

Anna, a cui la malattia aveva straordinariamente acuiti i sensi e l'indole un po' sospettosa, spiava dal letto l'amica con diffidenza, ritenendo per fermo in cuor suo ch'ella avesse disapprovato il suo rifiuto aspro al dottore, il quale ora, quasi in ricambio, si mostrava per lei (anche agli occhi di Rita) piú premuroso d'un fratello. Perché Rita ormai non scappava piú dalla stanza all'arrivo del Morgani? Ella anzi, adesso, rivolgeva delle domande o chiedeva a lui dei consigli circa l'assistenza da prestare, e Mondino allora rispondeva a lungo, con evidente soddisfazione, e col suo garbo abituale. E Anna, dal volto di Rita, argomentava com'egli non le dovesse parer piú, come prima, antipatico e sciocco.

— pensava Anna in cuor suo. —

Nello stesso tempo Rita si confessava internamente:

Mondino, dal canto suo, comprendeva e assecondava guardingo la corrente sentimentale favorevole, in cui s'era messo. Seguitando cosí, l'approdo era sicuro.

Anche Anna lo prevedeva, e, se da un canto provava un sentimento duro, indefinibile di gelosia contro Rita, dall'altro non solamente scusava Mondino, ma godeva a sentirlo parlare cosí bene all'amica, e a veder com'egli l'avesse già vinta e piegata a lui. E avrebbe voluto quasi dire a Rita: «»

Ma Rita non se n'andava; si mostrava impaziente se il dottore tardava cinque minuti a venire, e si recava a guardar dietro i vetri della stessa finestra, a cui Anna s'affacciava un tempo per veder passare Mondino. E sinceramente ella stessa, nel suo interno, credeva che questa impazienza derivasse soltanto da disinteressata premura per l'amica infelice.

Anna un giorno, per accertarsi fino a qual punto fosse arrivata l'intesa tra i due, volle simular di dormire proprio nel momento in cui era solito di venire il dottore.

Quel giorno la madre non avrebbe assistito alla visita: Anna stessa l'aveva pregata di mettersi a letto per rifarsi un poco delle veglie durate.

Mondino finalmente giunse, e subito Rita gli fe' cenno d'avanzarsi adagio, sulla punta dei piedi.

— bisbigliò, quand'egli si fu accostato al letto. Mondino contemplò un tratto la giacente, poi si volse a Rita, socchiuse gli occhi e dimenò desolatamente la testa.

— sospirò senza voce Rita.

Mondino annuí, poi a bassa voce, un po' impacciato, disse:

— gridò Anna aprendo gli occhi improvvisamente e volgendosi ai due con le ciglia corrugate.

Rita e Mondino trasalirono.

— balbettò Mondino imbarazzato —

— l'interruppe Anna con amarissimo sorriso. —

Rita scoppiò in lacrime, coprendosi il volto con le mani, e Mondino confuso, agitato, non trovò una parola da rispondere ad Anna, e se n'andò in fretta, senza neanche ardire di salutar Rita piangente.

Dopo circa due settimane Anna morí.

Da sei anni ora giace nell'alto e solitario cimitero di Vignetta ricco di fiori e di cipressi; e piú non può sapere, per sua pace, che da cinque anni Mondino Morgani e Rita Prinzi son marito e moglie, e che già hanno due figliuoli – Cocò e Mimí – biondi come papà.

Novelle per un anno
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