UN INVITO A TAVOLA

— si domandavano, guardandosi negli occhi, in cucina, le tre sorelle Santa, Lisa e Angelica Borgianni, impegnate da due giorni ad ammannire un pranzo da gran signori.

Santa, la minore, era piú alta di Angelica; Angelica, di Lisa, la maggiore. Tutt'e tre, del resto, poppute e fiancute, gareggiavano coi fratelli per la statura colossale e per la forza erculea.

— soleva dir Mauro, il minore dei fratelli e dell'intera famiglia.

Tre sorelle, dunque, e cinque fratelli: Rosario, Nicola, Titta, Luca e Mauro, in ordine di età.

Rosario e Nicola attendevano alla campagna, Titta badava alla zolfara presso il borgo Aragona; Luca faceva l'appaltatore dei lavori pubblici di quasi tutto il circondario; Mauro aveva la passione della caccia, e faceva il cacciatore.

Rosario Borgianni era famoso pe' suoi giovanili furori di bestia feroce. Si raccontavano di lui le piú temerarie avventure ai tempi nefandi del brigantaggio, naturalmente accresciute e abbellite dalla fantasia popolare. Si voleva finanche ch'egli avesse un giorno tenuto testa a una dozzina di briganti, fra i piú sanguinarii, e che li avesse uccisi tutti. Esagerazione! Quattro soltanto: due, nella sua stessa campagna, e gli altri due lungo la via che da Comitini discende ad Aragona.

Anche di Mauro se ne raccontavano di belle. Un giorno, per esempio, a caccia, cadde dalla vetta del Monte delle Forche: rimbalzò tre volte, giú per tre ciglioni selvatici, e ogni volta, rimbalzando con lo schioppo alto in una mano, esclamava.

Ne riportò tuttavia una frattura alla gamba destra e una leggera commozione cerebrale: lui, che il cervello veramente non aveva avuto mai bene a segno.

Un'altra volta, a caccia, scorse tre o quattro storni su la schiena d'alcuni buoi pascolanti su una costa. Cheto e chinato s'avvicina e, appena a tiro, bum! una schioppettata. Balza dalla fratta, in potere di tutti i diavoli, il boaro.

— gli grida Mauro, in guardia. —

Il pranzo pareva apparecchiato per trenta invitati, a dir poco; l'invitato invece era uno solo, e neppure si sapeva chi fosse. Si sapeva soltanto che sarebbe arrivato il giorno appresso da Comitini, e che gli si doveva questo pranzo a titolo di ringraziamento per il ricetto prestato al fratello Luca, l'appaltatore, latitante da quindici giorni.

Omicidio? Sí… cioè, no: ma quasi. Ecco: Luca Borgianni aveva preso in appalto la costruzione dello stradone tra Favara e Naro. Una sera, sospesi i lavori, nel tornarsene a cavallo, a un certo punto della via aveva veduto un'ombra allungarsi minacciosa su la ghiaia rischiarata dalla luna. Qualcuno, senza dubbio, stava lí alla posta, incappucciato. Luca lo aveva scorto, per fortuna; o meglio, aveva scorto il cappuccio. Gli era parso che il furfante se ne stesse accoccolato per ripararsi dalla luna che veniva lentamente sú dal colle a manca.

Nessuna risposta.

Tra-ta; tra-tà: sú, per precauzione, i cani del fucile. E un grillo s'era messo a cantare.

Allora Luca, di nuovo, fermando il cavallo:

Silenzio. Solo il grillo a cantare.

— aveva gridato infine Luca, impallidendo. —

L'ombra non s'era scomposta.

L'ombra, lí, ferma, impassibile. E silenzio. Soltanto il grillo a cantare.

E una schioppettata. Qualcosa era saltata per aria: e Luca, dàlli al cavallo! Era arrivato a casa, che non tirava piú fiato. Fratelli e sorelle gli erano accorsi intorno.

I fratelli lo avevano tolto di peso e portato per il momento giú in cantina. Intanto Mauro era uscito di casa per appurare se già in paese si buccinasse qualcosa intorno all'omicidio. Rosario e Titta avevano atteso impazienti che Luca, lí in cantina, si fosse rimesso un po' in forze per condurlo fuori, in luogo piú sicuro: avevano già pensato al rifugio, presso un loro compare di Comitini, dove Luca si sarebbe recato la notte stessa, cavalcando alla porta del paese. Nicola, armato fino ai denti, era partito per aggirarsi attorno al luogo designato dal fratello e cercar cosí di sapere di che, di chi si fosse trattato. Luca finalmente s'era potuto mettere in cammino. Il giorno dopo, all'alba, ecco Nicola.

Eran passati tre giorni in attesa angosciosa. Non si sapeva nulla in paese; né dai paesi vicini si aveva notizia d'alcun ferimento o caso di morte violenta. Dopo sedici giorni, alla fine, s'era venuto a sapere che un contadino, lavorando in quei dintorni, si era servito per attaccapanni d'una pietra miliare lungo lo stradone; aveva incappucciato la colonnina col ferrajuolo, e la sera se n'era tornato in paese, dimenticandosene. Luca aveva tirato contro quella colonnina, scambiandola per un appostato.

Ora il pranzo, ecco, era lí, pronto fin dalla vigilia, su la lunga tavola in mezzo alla stanza: una pallida porchetta illaurata, ripiena di maccheroni, in una teglia da mandare al forno; sette lepri scojati con contorno di tordi, uccisi da Mauro; due tacchini pettoruti; abbacchio; trippa e cute affettate; piedi di bue in gelatina; un gran pesce salsito; un enorme pasticcio; poi un reggimento di fiaschi e frutta in quantità.

Titta diceva di sí; Mauro di no; e faceva il conto:

— assicurava Titta.

Questa conversazione avveniva su la mezzanotte, intorno alla tavola: fratelli e sorelle, tutt'e sette, avevan lasciato il letto pian piano, spinti dal medesimo desiderio di vedere che effetto facesse il pranzo apparecchiato; e cosí eran convenuti a uno a uno in camicia, con una candela in mano, com'ombre nottambule. Tra Titta e Mauro poco dopo s'accese il diverbio. Mauro brandí una lepre e minacciò il fratello. Vennero alle mani.

— esclamò in quella Angelica, udendo per fortuna i mandolini e la chitarra d'una serenata giú per la via.

— esclamò Santa contemporaneamente, battendo le mani e trascinando la sorella a danzare, tutte e due in camicia.

Gli altri allora seguirono l'esempio: Lisa si buttò tra le braccia di Titta, Rosario s'appajò con Nicola, e Mauro, rimasto solo, si mise anche lui a ballare con la lepre dalle orecchie svolazzanti, ridendo allegramente.

Nessuno, a prima giunta, fra le strette di mano, gli abbracci e i baci e le domande al fratello Luca (la piú alta colonna della famiglia) badò a un omicello d'età incerta, oppresso da un enorme copricapo che gli sprofondava fin su la nuca, sorretto ai lati dagli orecchi ripiegati sotto il carico. Il poverino pareva commosso dalle espansioni di affetto di quegli otto colossi, i quali non avevano un solo sguardo per lui già tutto smarrito, cosí piccino che non arrivava neppure (compreso il cappello) a le spalle di Lisa, la piú bassa tra le sorelle.

— disse alla fine Luca, sovvenendosi. E gli posò una mano su la spalla, con aria di protezione, sorridendo.

— esclamarono allora, a coro, scorgendolo, le tre sorelle. —

— fece don Diego, togliendosi dal capo il gran cappello e sorridendo con umiltà impacciata.

Tutti lo guardarono con occhi pieni di profonda commiserazione, cosí scoperto, senza un capello sul cranio lucido, ovale, protuberante; e non trovarono una parola da dirgli. Oh delusione! Quello lí, l'invitato? E allora… A saperlo avanti!

— domandò Angelica, dopo averlo osservato a lungo, col volto atteggiato di nausea e di pietà.

— fece Luca, voltandosi, abbassandosi, e guardando in faccia da vicino il minuscolo invitato.

— rispose don Diego, che stava per recarsi all'occhio destro un gran fazzoletto di cotone a fiorami.

— esclamarono, rassicurati, i colossi.

Don Diego dagli occhi si recò il fazzoletto al naso lievemente, come per ricevervi di furto una gocciolina.

— gli suggerí Santa.

— si schermí don Diego. —

E sospirò: — — poi: — — ancora due volte, imbarazzato dal silenzio sopravvenuto, stropicciandosi continuamente una manina con l'altra e tenendo gli occhi bassi.

Nessuno sapeva risolversi a parlare, e quella perplessità diveniva di minuto in minuto piú penosa.

— cominciò a dire finalmente Luca, —

— disse allora Rosario, tendendo una mano all'ospite. —

— fece don Diego, sorridendo umilmente.

— aggiunse Nicola, stringendo a sua volta la mano all'invitato e guardando gli altri fratelli come per dire: «».

Titta e Mauro, uno dopo l'altro, seguirono l'esempio e dissero la loro, avanzandosi d'un passo, militarmente, e stringendo dopo il complimento la mano a don Diego, il quale non seppe allontanarsi da quel suo: «» in risposta.

Non fu possibile cavare una parola di bocca alle tre sorelle deluse.

Si parlò dell'avvenimento per cui Luca si era reso latitante.

— esclamò questi indignato. —

— disse Rosario. —

Don Diego approvò col capo, non perché si promettesse un divertimento, poverino, tra quegli otto giganti; ma per tôr di mezzo ogni lite. Non si sa mai!

Attendendo la chiamata a tavola, Rosario e Nicola cominciarono a discorrere con l'invitato delle cose della campagna, delle cattive annate e delle buone. Don Diego, con l'umiltà sua, si rimetteva costantemente nelle mani di Dio; ma questa remissione a un certo punto fece uscir dai gangheri Nicola.

E mostrò a Don Diego, protese e con le pugna serrate, le erculee braccia, come se lui fosse solito di pigliare a cazzotti la terra per costringerla a rendere ogni anno piú del dovere.

— esclamò Rosario, mostrando le sue.

Allora anche Titta e Mauro vollero mostrar le loro, tirando su le maniche della giacca e della camicia. Il povero Don Diego si vide puntate sotto il naso otto braccia nerborute, buone da accoppare otto buoi.

— diceva a ognuno, guardando le braccia e sorridendo con una meraviglia mista di costernazione. —

— gl'intimarono i fratelli Borgianni.

E don Diego toccò pian piano con un dito tremante quelle braccia, mentre con l'altra mano si recava sotto il naso il fazzoletto per paura qualche gocciolina non vi cadesse sopra, Dio liberi!

— venne ad annunziare Santa, mollemente.

— gridò Mauro. —

— premise don Diego, per ogni buon fine.

— domandò sottovoce Titta alle sorelle.

— propose Mauro. Lisa si ribellò:

Don Diego prese posto tra Rosario e Nicola. Gli otto Borgianni, appena seduti a tavola, si riempirono di vino i grossi bicchieri da acqua.

— disse Rosario solennemente.

E giú!

— domandò Titta.

— si scusò l'ospite timidamente.

— gli suggerí Nicola, dandogli in mano il bicchiere.

Allora don Diego lo accostò alle labbra, per cortesia, e lo scoronò appena appena con un sorsellino cauto.

— lo incitarono gli otto Borgianni.

Mauro si levò da sedere:

Prese con una mano il bicchiere, con l'altra il capo di don Diego e, dicendo: — — lo vuotò in bocca al poveretto invano riluttante.

— singhiozzò, balzando in piedi, don Diego, mezzo affogato, con gli occhi pieni di lagrime. —

E s'asciugò il sudore della fronte, tra le risa della tavolata.

— osservò Angelica, beffardamente.

Venne in tavola la porchetta imbottita. Rosario si levò in piedi; trinciò le parti: la piú grossa a don Diego.

— disse questi col piatto in mano.

— esclamò Nicola. —

— insistette don Diego. —

— gridò Mauro, levandosi un'altra volta da sedere.

Don Diego, spaventato, chinò la testa sul piatto e si mise a mangiare zitto zitto.

Mangiarono quel primo servito in silenzio, tutti. Solo, di tanto in tanto, appena l'invitato accennava di posar furtivamente la forchetta:

— gli ripetevano i colossi. —

— protestò don Diego, con qualche energia, dopo aver finito la porzione, traendo un gran sospiro di sollievo.—

— rimbeccò Mauro. —

— osservò, sorridendo, don Diego. —

— si rinzelò Titta, accigliato.—

— s'affrettò a scusarsi don Diego.— Dico che io…

— tagliò corto Rosario. —

— esclamò atterrito don Diego. —

— disse Nicola, con fare sbrigativo.

— rispose don Diego. —

— domandò Rosario. —

— proruppe Mauro, brandendo un'anca di lepre a cui dava a leva coi denti. —

E, tra sé e sé, il povero don Diego raccomandò l'anima a Dio misericordioso.

Mangiando, i sudori cominciavano a colargli dalla fronte. Alzava un po' gli occhi: vedeva quegli otto demonii scappati dall'inferno non finir mai d'imbottar vino, vino, vino. E:

— si lagnava piano, tra sé.

Il pranzo non finiva mai. Don Diego avrebbe voluto piangere, rotolarsi per terra, dalla disperazione, graffiarsi la faccia, sgangherarsi la bocca, dalla rabbia. Che crudeltà era quella? Neroni! Neroni! Ma non aveva piú forza neppure di scostare il piatto: posate, bicchieri, bottiglie gli turbinavano davanti agli occhi su la tavola, e gli orecchi gli rombavano, le pàlpebre gli si chiudevano sole; mentre gli otto Borgianni, già ebbri, urlavano, gestivano come energumeni, or levandosi, or sedendosi e ingiuriandosi a vicenda.

Adesso, se don Diego scostava un po' il piatto, dicendo come a se stesso: — — gli otto giganti sorgevano in piedi, coi coltelli da tavola in pugno, e i due piú vicini, minacciandolo alla gola, urlavano:

Don Diego non era piú di questa terra, quando tra le pàlpebre semichiuse gli parve di scorgere su la tavola come una gran mola d'arrotino. Fece allora un vano tentativo di levarsi, di fuggire.

— gemette, e si mise a piangere.

Non era vero: gli pareva cosí, povero don Diego! Rosario si alzò quant'era lungo col trinciante in mano. Parve a don Diego che toccasse col capo il soffitto e che avesse in pugno una mannaja per giustiziarlo.

— gridò Rosario, tagliando a mezzo l'enorme pasticcio, che al poveretto era sembrato una mola d'arrotino.

— propose Angelica.

— domandò Mauro. —

Luca sorse in favore della proposta di Angelica.

Don Diego pendeva da quella lite, esterrefatto.

— proruppe Mauro, levandosi e stendendo la mano sul pasticcio.

Ma Luca fu piú svelto: prese il pasticcio e, inseguito dalla famiglia, tra le grida, gli strappi, gli spintoni, andò a buttarlo da una finestra. Seguí una rissa furibonda: fratelli e sorelle s'accapigliarono: strilli, pugni, schiaffi, sgraffi, seggiole rovesciate, bottiglie, bicchieri, piatti in frantumi, il vino sparso su la tovaglia; un pandemonio! Rosario salí in piedi su una seggiola; gridò con poderosa voce:

Al fiero richiamo quei furibondi ristettero a un tratto, come per incanto. Cercarono l'invitato: dov'era? dove s'era cacciato?

Su la seggiola il mantello, sotto la tavola un pajo di scarpe. Il disgraziato se l'era svignata a piedi scalzi per correre piú spedito.

— dicevano tra loro poco dopo gli otto Borgianni, rassettati. —

Novelle per un anno
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