GUARDANDO UNA STAMPA

Un viale scortato da giganteschi eucalipti. A sinistra, un poggio con su in cima un ricovero notturno. Due mendicanti che confabulano tra loro per quel viale, e che hanno lasciato un po' piú giú sulla spalletta una bisaccia e una stampella. Un'alba di luna che si indovina dal giuoco delle ombre e delle luci.

È una vecchia stampa, ingenua e di maniera, che quasi commuove per il piacere manifesto che dovette provare l'ignoto incisore nel far preciso tutto ciò che ci poteva entrare: questa zana qua, per esempio, a piè del poggio, con l'acqua che vi scorre sotto la palancola; e là quella bisaccia e quella stampella sulla spalletta del viale; il cielo dietro il poggio con quel ricovero in cima; e il chiaror lieve e ampio che sfuma nella sera dalla città lontana.

S'immagina che debba arrivare il rombar sordo della vita cittadina, e che qua tra gli sterpi del poggio forse qualche grillo strida di tratto in tratto nel silenzio, e che se la romba lontana cessi per un istante, si debba anche udire il borboglío fresco sommesso dell'acqua che scorre per questa zana sotto la palancola e il tenue stormire di questi alti alberi foschi. La luna che s'indovina e non si vede, quella bisaccia e quella stampella illuminate da essa, l'acqua della zana e questi eucalipti formano per conto loro un concerto a cui i due mendicanti restano estranei.

Certo, per fare da sentinelle alla miseria che va ogni notte a rintanarsi in quel ricovero su in cima al poggio, piú bella figura farebbero, lungo questo viale, alberetti gobbi, alberetti nani, dai tronchi ginocchiuti e pieni di giunture storpie e nodose, anziché questi eucalipti che pare si siano levati cosí alti per non vedere e non sentire.

Ma la pena che fa tutta questa puerile precisione di disegno è tanta che vien voglia di comunicare a tutte le cose qui rappresentate, a questi due mendicanti che confabulano tra loro appoggiati alla spalletta del viale, quella vita che l'ignoto incisore, pur con tutto lo studio e l'amore che ci mise, non riuscí a comunicare. Oh Dio mio, un po' di vita, quanto può averne una vecchia stampa di maniera.

Vogliamo provarci?

Per cominciare, questi due mendicanti, uno mi pare che si potrebbe chiamare Alfreduccio e l'altro il Rosso.

La luna è certo che sale di là; da dietro gli alberi. E piú volte, scoperti da essa, Alfreduccio e il Rosso si sono tratti piú su, nell'ombra, lasciando al posto di prima, sulla spalletta, la bisaccia e la stampella. Parlano tra loro a bassa voce. Il Rosso s'è tirati sulla fronte gli occhialacci affumicati e, parlando, fa girare per aria la corona del rosario e poi se la raccoglie attorno all'indice ritto.

E dice che tutti i signori con l'estate se ne sono andati in villeggiatura, chi qua chi là; per cui l'unica sarebbe d'andare in villeggiatura anche loro.

Alfreduccio però è titubante. Non si fida del Rosso. È cieco da tutt'e due gli occhi, con una barbetta di malato, pallido, gracile. Insomma, civilino. Palpa con le mani giro giro le tese del tubino che gli hanno regalato da poco, e ripete con voce piagnucolosa:

— miagola il Rosso, rifacendogli il verso. —

(Marco è un mendicante di mia conoscenza, a cui ho pensato subito, guardando questi due mendicanti della stampa. Può stare benissimo in loro compagnia perché, se questi due sono disegno di maniera, quello, pur essendo vivo e vero, come ognuno può andare a vederlo e toccarlo seduto davanti la chiesa di San Giuseppe con una ciotolina di legno in mano, non è meno di maniera di loro, uguale del resto a tanti altri che fanno con arte e coscienza il mestiere di mendicanti.)

Ma Alfreduccio seguita a non fidarsi e domanda:

— prende a recitare sotto sotto Alfreduccio, come un ragazzo che voglia imparare la lezione.

Il Rosso si volta a guardarlo; stende una mano e gli stringe le gote col pollice e il medio, schiacciandogli contemporaneamente con l'indice la punta del naso.

— gli grida. —

Alfreduccio si lascia fare lo sfregio senza protestare.

E l'altro soggiunge:

— dice Alfreduccio maravigliato, e ride come uno scemo. —

— conclude il Rosso. —

— sospira Alfreduccio, alzando le spalle. —

— sbadiglia il Rosso, e si gratta con tutt'e due le mani la testa arruffata. —

— domanda Alfreduccio senza voltarsi.

Alfreduccio si muove, a testa alta, una mano sulla spalletta. Quand'è a un passo dalla stampella si ferma e domanda:

— gli grida il Rosso; poi scoppia a ridere; si dà una rincalcata al cappellaccio e, balzelloni, con quattro gambate lo raggiunge; gli prende la faccia tra le mani; gliela alza verso la luna e gli osserva da vicino gli occhi tumidi, orribili, sghignandogli sul muso:

Alfreduccio non si ribella: attende con la faccia volta alla luna che quello gli esamini ben bene gli occhi, poi domanda come un bambino:

— dice allora il Rosso, lasciandolo, —

Due giorni dopo, per tempo, eccoli con Marco per lo stradone polveroso, il Rosso in mezzo, Alfreduccio a sinistra, Marco a destra; l'uno a braccetto e l'altro reggendo un lembo della giacca del Rosso.

Marco, il Poeta, ha una dignitosa e serena aria da apostolo, col petto inondato da una solenne barba fluente, un po' brizzolata. La sua cecità non è orribile come quella d'Alfreduccio. Gli occhi gli si sono disseccati; le palpebre, murate. E va come beandosi dell'aria che gli venta sulla bella faccia di cera. Sa d'avere un dono prezioso, il dono della parola; e la vanità di farsi conoscere anche nei paesi vicini lo ha forse indotto ad accompagnarsi con quei due. (Bisogna ch'io supponga cosí, perché i due mendicanti della stampa so di certo che Marco non se li farebbe compagni per nessun'altra ragione.)

Il Rosso è scaltro. Per entrargli in grazia, a un certo punto gli domanda:

Marco accenna di sí col capo.

— vuol far sapere Alfreduccio. —

— gli dà sulla voce il Rosso. —

Marco accenna di sí un'altra volta; poi stropiccia la fronte e dice con gravità:

Gli scaltri però non sempre riescono a valersi a lungo della loro scaltrezza, tenendola nascosta; non resistono alla tentazione di scoprirla, specie quando li obblighi ad avvilirsi e colui su cui la esercitano si mostri soddisfatto del loro avvilimento.

— soggiunge infatti il Rosso, —

— risponde secco secco Marco.

— dice Marco. —

Alfreduccio, commosso, ha un brivido alla schiena che lo fa ridere:

— gli fa eco il Rosso. —

— esclama Marco. —

— gli consiglia il Rosso. —

— sospira Marco, scrollando le spalle. —

Il Rosso si ferma un pezzetto a mirarlo, come per vedere se dica sul serio; poi scoppia a ridere,

— gli dice. —

— esclama Marco. —

— dice il Rosso. —

— ripete Marco. —

— esclama il Rosso. —

Cosí difatti è solito cominciare le sue prediche Marco, quelle almeno piú solenni e terribili. «» e leva le braccia, agitando le mani per aria, mentre la faccia, col volume di tutta quella gran barba nera, gli si sbianca di piú.

Un cieco che dica ciechi gli altri non è di tutti i giorni. E fa furore.

Ora il Rosso apprezza queste doti di Marco perché sa che gli fruttano bene; ma si può essere certi che stima sciocchi tutti coloro che gli fanno la carità. Vivendo per le campagne come un animale forastico, s'è formata anche lui una sua particolare filosofia, di cui, strada facendo, per non restare indietro a nessuno, vuol dare un saggio ai due compagni. Li pianta lí in mezzo allo stradone dicendo loro d'aspettare un pochino, perché ha riflettuto che Sopri è molto lontana e non potrebbero arrivarci se non dopo il tocco.

— domanda Alfreduccio.

Alfreduccio allunga una mano per toccare Marco e stringersi a lui; non tocca nulla perché Marco gli sta dietro; e allora chiama:

— fa questi, protendendo anche lui una mano, nel vuoto.

Ma basta a confortarli la voce, sentendosi almeno vicini.

Traggono un sospiro di sollievo udendo il tonfo cupo della stampella del Rosso.

— dice questi, ansimando e trascinandoli via per lo stradone.

Marco, costernato, sentendosi strappare avanti con tanta furia, domanda:

E Alfreduccio, arrancando dietro, chiede anche lui:

— impone loro il Rosso di nuovo. E finalmente, fermandosi a una svoltata dello stradone, acchiappa una mano d'Alfreduccio per fargli palpare qualcosa dentro la bisaccia.

— dice subito Alfreduccio.

Marco aggrotta le ciglia:

— risponde il Rosso tranquillamente. Marco si ribella:

— dice il Rosso sghignazzando. —

— ribatte Marco, pestando un piede. —

E si strappa da Alfreduccio che s'è afferrato con una mano al suo braccio.

Il Rosso lo trattiene:

— gli domanda Marco.

— risponde il Rosso. —

— gli urla Marco.

E Marco stende una mano, in atto di chiedere l'elemosina.

Allora il Rosso, irresistibilmente:

Uno sputo su quella mano. Partito proprio dal fondo dello stomaco.

Marco diventa furibondo:

E con quella mano da cui pende filando lo sputo, levata in aria per schifo, e con l'altra armata del bastone, cerca il Rosso che lo scansa dando indietro e sghignazzando.

Alfreduccio, piú là, spaventato, si mette a gridare:

Ma subito il Rosso gli è sopra e gli tura la bocca.

Marco pesta i piedi, si contorce dalla rabbia, curvo, e grida che vuol tornare indietro. Tra le mani del Rosso Alfreduccio, come un annegato, gli lancia una voce:

Allora il Rosso lo caccia a spintoni:

I due si raggiungono, si prendono per mano, e via di furia, tastando coi bastoni la polvere dello stradone. Quella fretta arrabbiata di poveri impotenti che andando ballano dall'ira, provoca di nuovo le risa del Rosso che s'è fermato a guardarli., Se non che, a un certo punto, vedendo che alla svoltata seguitano a tirar via di lungo:

— si mette a gridare.

E correndo giunge appena in tempo a strapparli dal pericolo di precipitare giú nel burrone.

— dice poi a Marco, lasciandosi prendere. —

Marco, ancora rabbioso, gli afferra la camicia sul petto e gli grida in faccia, come in confidenza:

— fa il Rosso, cacciandosi una mano in tasca per finta di cercarvi il coltello. Ma scoppia a ridere di nuovo, scoprendo che Alfreduccio lo ha cavato di tasca per davvero, lui, sotto sotto. — — gli grida, agguantandogli la mano. —

— geme Alfreduccio, buttandoglisi davanti in ginocchio.

— urla Marco.

— dice subito il Rosso, raccattando con una mano il coltello e afferrando con l'altra un orecchio ad Alfreduccio. —

— grida Alfreduccio con una strappata di testa e abbracciandogli le gambe, atterrito.

— dice allora il Rosso. —

Alfreduccio scoppia a ridere e fa ridere anche Marco che non ne ha nessuna voglia. Il sangue gli s'è tutto rimescolato; si sente come un gran fuoco alla testa; stenta a respirare.

Il Rosso se n'accorge e si mette in apprensione.

— gli dice. —

Ajuta, prima l'uno e poi l'altro, a montare sul ciglio dello stradone e li pone a sedere all'ombra d'un grande platano; siede anche lui e dice all'orecchio d'Alfreduccio:

— fa Alfreduccio. —

Il Rosso ha uno scatto d'ira:

Alfreduccio ascolta con un sorriso da scemo sulle labbra, appoggiato al tronco dell'albero.

— risponde Alfreduccio, —

— riprende il Rosso, —

Alfreduccio chiude subito la bocca; e allora il Rosso ripiglia con altro tono:

Sghignazza e soggiunge:

Alfreduccio gli mostra la faccia squallida, con la bocca di nuovo aperta a un ineffabile sorriso:

— dice.

— fa di nuovo Alfreduccio, stringendosi nelle spalle.

— promette il Rosso. —

— s'affretta a dire Alfreduccio, con tale impegno che il Rosso scoppia a ridere forte.

Alla risata Marco, che s'è steso tutto per terra e addormentato, si sveglia di soprassalto e domanda spaventato:

Il Rosso allunga una mano; gli tocca la fronte, e fa una smusata.

— gli dice, —

Poi, volgendosi ad Alfreduccio:

Alfreduccio riapre la bocca al suo riso da scemo. Il Rosso, scendendo, si volta a guardarlo, per un'idea che gli balena: strappa uno dei papaveri che avvampano al sole, lí sul ciglio, e va a ficcarne il gambo amaro in bocca ad Alfreduccio che subito stolza, facendo boccacce e sputando.

Torna a sghignazzare, e se ne va.

Alfreduccio resta fermo un pezzo con quel papavero in bocca. Ode dallo stradone ancora una risata del Rosso. Poi, piú nulla.

Gli risponde un lamento.

E Marco:

— fa Alfreduccio, tendendo l'orecchio. —

Marco scuote la testa su la terra. L'altro attende ancora un poco; poi, non sentendosi dire piú nulla, rimane zitto anche lui. Tutt'intorno è un gran silenzio.

A un tratto Marco ha un sussulto e ritrae la mano dalla mano del compagno.

Una voce lontana, di donna che passa cantando. Il vuoto s'allarga intorno ad Alfreduccio, di quanto è lontana quella voce. Con tutta l'anima nell'orecchio, egli cerca d'avvicinarsi a quella voce. Ma la voce tutt'a un tratto si spegne. E Alfreduccio rimane in ansia, costernato, non potendo piú indovinare se quella donna si avvicini o si allontani. Si rimette in bocca il fiore.

(Forse è meglio finire qui. Non val la pena stare ancora a far spreco di fantasia su questa vecchia stampa di maniera.)

Novelle per un anno
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