«VEXILLA REGIS…»

Uscito? Cosí per tempo? E perché? La signorina Alvina Lander, tanto alta di statura, quanto nel corpo magra; lunga di gambe e le braccia ossute, ciondoloni; l'enorme volume dei capelli ritinti d'un color d'oro scialbo e cascanti su gli orecchi, su la fronte e, in neglette trecce, su la nuca; picchiò con le grosse nocche su un uscio del corridojo in penombra e attese, abbassando le pàlpebre su i vivi occhietti ceruli mobilissimi.

Per infermità di molti anni era insordita, e per questa cagione dolentissima; benché non fosse questa sola. Ce n'erano altre, ciascuna delle quali avrebbe potuto fare piú che infelice una donna, non che tutte insieme, com'ella spesso soleva esporre all'avvocato Mario Furri, della cui figliuola Lauretta era da tredici anni governante. E innanzi tutto, la perdita di tanta vita inutilmente; poi, un certo tradimento, di cui il signor avvocato era a conoscenza, e per cui quello stato di servitú in Italia; e la debolezza, se non la vecchiaja, venuta prima del tempo e la ignoranza infine delle cose del mondo, causa di tanti mali e di tanti mancamenti, per i quali veniva accusata, quand'invece avrebbe dovuto essere, non solo scusata, ma compatita e soccorsa anche; mah! mah!

Sospettava la signorina Lander, che nell'animo delle persone, con cui praticava, fossero impressi due falsi concetti di lei, l'uno di malizia, l'altro di ipocrisia; del che era pur forse cagione la sordità. Ma questo sospetto era in lei ormai invecchiato, e lei nel sospetto. Cosí pure erano invecchiati e tenacemente radicati nell'aspra sua gorga tedesca alcuni errori di pronunzia, non ostante che ella intendesse benissimo l'italiano; troncava, per esempio, certe parole giusto dove non doveva e diceva sighnora e sighnor, con grazia particolare; come si ostinasse a non volere intendere che gli altri dicevano signora e signore.

Quanto volte intanto Lauretta aveva gridato avanti o herein? La signorina Lander attendeva ancora lí, paziente e assorta, stirandosi lo scialletto di seta verdastra, che teneva sempre addosso: «primavera su le spalle e giugno in testa» come Lauretta soleva dire. E giugno erano i capelli color di mèsse affienita. L'uscio s'aprí di furia, sbacchiando contro la strombatura e facendo sobbalzare la sorda, a cui Lauretta coi capelli disciolti, le belle braccia nude e un asciugamani sorretto col mento sul seno, ripeté stizzita:

Scuse della signorina Alvina: ecco, eh già, non aveva inteso perché aveva la mente altrove: si scervellava da un'ora a immaginare che cosa potesse mai essere accaduta al sighnor avvocato uscito di casa sehr umwölkt, cosí per tempo.

— domandò Lauretta.

Uscito. Il portiere gli aveva recato, al solito, la posta; ma lettere e giornali erano lí ancora, su la scrivania; quelle, non aperte; questi, sotto fascia.

Lauretta impallidí, con gli occhi appuntati nel sospetto che le balenava davanti: che il padre, oh Dio, fosse venuto a conoscere da qualche lettera la morte della sorella, la morte della zia Maddalena, che lei da circa tre mesi gli nascondeva? Ma, e perché era uscito? Rannuvolato, sehr umwölkt, come diceva la Lander? Indossò in fretta l'accappatojo, e corse alla camera del padre, seguita dalla Lander, che ripeteva: — Was soll man denken?

Che pensare? Ma sí, questo, senza dubbio: che aveva saputo della disgrazia. Però, dov'era la lettera? Le lettere erano lí, ancora chiuse; ma erano tutte? Ah, ecco una busta sul tappetino, strappata. Subito Lauretta si chinò a raccoglierla: una busta listata a nero con un francobollo tedesco! L'indirizzo, di minutissima scrittura, diceva Furi in luogo di Furri. La signorina Lander vi fissò gli occhi, impallidendo lei, questa volta, e indicando: — — tolse di mano a Lauretta la busta; la esaminò, e aggiunse: —

— confermò Lauretta.

— esclamò allora la signorina Lander, portandosi alla fronte le grosse mani da maschio e sollevando la mèsse dei capelli: —

— s'affrettò a replicare Lauretta, non ostante che l'interpretazione della signorina Lander che la lettera fosse per lei, le paresse in fondo giusta. — — aggiunse, per esortarla a far buon animo, è indirizzata a papà. E poi, se fosse come lei sospetta, perché sarebbe uscito papà? Sarebbe venuto da me, a dirmelo.

— negò subito, recisamente, la Lander, scotendo il capo e frignando in modo comicissimo.

— replicò Lauretta, frenando a stento il riso per quel modo di piangere. Ma la signorina Lander seguitò a dir di no col capo e a frignare, mentre Lauretta: — — avrebbe voluto insistere; ma ritorse invece a se stessa la domanda, guardando la vecchia governante che per la prima volta le appariva come strappata a una vita lontana, a lei ignota, e a cui ella non aveva mai avuto occasione di rivolgere il pensiero, non avendo mai concepito nella Lander un essere che per sé esistesse o che avesse potuto esistere fuori dei rapporti di vita con lei che, da bambina, se la era veduta sempre attorno. — — le domandò. —

— esclamò tra le lagrime la sorda levando gli occhi dal fazzoletto.

— fece Lauretta. —

— rispose la governante, nascondendosi la faccia tra le mani. — — E se ne uscí, ripetendo tra il pianto la preferita esclamazione: —

Quando Mario Furri tornò a casa, Lauretta era ancora lí, nella camera di lui, appoggiata alla scrivania e assorta.

Il Furri guardò la figlia in uno smarrimento di vertigine, come se la vista di lei e la subitanea domanda gli avessero dentro arrestato con freno violento un tumulto. Era pallido; impallidí vieppiú, mentre pur si sforzava a sorridere.

— domandò a sua volta, con voce mal ferma.

— rispose il Furri urtato, con asprezza.

— esclamò Lauretta. — — Un improvviso rossore infiammò il volto di Lauretta, come se le fosse nato il dubbio d'aver commesso un'indiscrezione. Si smarrí. Il padre allora sorrise mestamente dell'imbarazzo della figliuola e, carezzandola sotto il mento, le disse:

— fece Lauretta scappando via sorridente e tuttavia confusa.

Ma poco dopo, ecco picchiare all'uscio del signor avvocato la signorina Lander con gli occhi rossi dal pianto frenato a stento dal fazzoletto che teneva in mano pronto, se mai, a porre un altro argine.

— le disse il Furri duramente, senza darle tempo d'aprir bocca. —

— strillò a questo punto, ferita nel cuore, la signorina Lander. —

— gridò a sua volta il Furri. —

La signorina Lander non rispose; si portò il fazzoletto agli occhi e si mosse per uscire, scotendo il capo, certo col sospetto che ora ella non avrebbe potuto assicurarsi piú che qualche lettera potesse capitare nelle sue mani, che non fosse prima aperta dal signor avvocato. Il Furri, quantunque avesse ben altro per il capo, la seguí con gli occhi, compreso di stupore: –

— chiamò il Furri improvvisamente, scotendosi, mentr'ella stava per varcare la soglia.

La vecchia signorina si volse di scatto; tese le lunghe braccia e ruppe in singhiozzi: —

— tuonò il Furri. —

La Lander non piangeva piú: imbalordita, con gli occhi rossi, guardava il Furri e, nell'attesa, era a tratti scossa da certi singulti nel naso. Il Furri stette un po' con una mano su gli occhi, come per vedere quel che pensava dentro e studiare il modo di manifestarlo.

— rispose con esitanza la Lander, non intendendo il perché di quella domanda, perché ormai non poteva piú fare a meno di riferir tutto al suo segreto tormento. —

— disse il Furri recisamente, per impedire che la vecchia governante, richiamata dal ricordo al paese natale, si perdesse in inutili particolari, a lui per altro notissimi. —

— rispose la Lander, dopo aver cercato nella memoria — è Braunschweig.

— interruppe di nuovo il Furri. —

— s'affrettò a rispondere la signorina Lander con insolita scioltezza di lingua —

— riprese il Furri. —

— rispose, piú col cenno del capo che con la parola, il Furri.

Il Furri ripeté il cenno.

— domandò esitante la Lander.

— domandò costernata la Lander.

— S'interruppe; stava per aggiungere: — — ma poi, temendo non farle intendere piú che non bisognasse, la pregò d'uscire, e quella uscí stordita, ma pur rassicurata per sé, sebbene con la certezza che ci doveva esser sotto qualcosa di grave, se il sighnor era cosí umwölkt a cagione della lettera per cui tanto lei aveva lagrimato.

— sospirò il Furri, appena rimasto solo, tentennando leggermente il capo. E quasi imitando una voce che venisse da molto lontano, aggiunse: — — Strizzò gli occhi, contrasse il volto come per un interno spasimo insopportabile, e si mise a passeggiare per la camera mormorando a capo chino: — — Gli occhi a un tratto gli andarono sulla busta, lí su la scrivania; la prese e rilesse, con gli angoli della bocca contratti in giú dallo sdegno:

Trasse di tasca la lettera listata a nero, ma non ebbe animo neanche di posarvi lo sguardo, e la richiuse nella busta lacerata.

Si rimise a passeggiare.

Poco dopo, quasi attirato dalla propria imagine, si fermò davanti allo specchio dell'armadio e, nel vedersi cosí stravolto, impallidí e si premé forte con una mano il grosso capo calvo, guardandosi fiso negli occhi, imponendo a se stesso di calmarsi, di domare l'interna agitazione. Sparve subito infatti la contrazione della fronte, gli ritornò agli occhi, quasi velati da costante cordoglio, lo sguardo fioco, che s'intonava al pallore del volto contornato da una corta barba brizzolata. Tutto il corpo stanco dimostrava una senilità precoce.

Di questo suo rapido deperire s'era fatta il Furri una tremenda fissazione, una costernazione non ovviata mai, alla quale dava in apparenza sostegno di ragione o di scusa il fatto, che veramente nessuno della sua numerosa famiglia era pervenuto al limite d'età superato da lui (ma in quelle condizioni!), da lui e dalla sorella Maddalena, credeva ancora per la pietosa cura di Lauretta, vana cura in parte, perché i nipoti lontani, per scusare la mancanza di caratteri di colei, in ogni lettera erano costretti a ripetere che incessanti infermità le impedivano di scrivere.

Ogni giorno per lui poteva esser l'ultimo!

Certo, avvertiva una grande debolezza alle gambe, come un abbandono di tutte le membra divenute pesanti. Mormorava di tanto in tanto qualche frase su quel suo stato, e tendeva l'udito alle lugubri parole, come per sentire egli stesso con che voce le pronunziava. Le improvvise, impulsive ribellioni a quest'incubo sortivan sempre lo stesso effetto: una maggiore angoscia, la riprova ch'egli era un essere ormai finito. Non era terrore della morte, no: la morte l'aveva tante volte sfidata, da giovine; ma quel doverla aspettare cosí, quasi spiandola, quel sapere che di minuto in minuto poteva sopravvenire, quell'infinita sospensione nell'attesa che a un tratto qualcosa dovesse mancargli dentro: ecco il terrore, ecco l'orrenda ambascia.

— mormorò additando e fissando con torvo sdegno la propria imagine nello specchio. Ma l'imagine ritorse e appuntò contro a lui l'indice teso, come se volesse significare: «».

Sorrise, difatti, tristemente.

Poco dopo si staccò dallo specchio, fermo nel proponimento di non pensare piú, per il momento, alla lettera inattesa e di studiare poi pacatamente quel che gli sarebbe convenuto di fare.

Ritornò alla scrivania per leggere le altre lettere ricevute la mattina. Scorse la prima, scorse la seconda, a metà della terza piegò il capo sulle mani, sentendo l'incapacità di continuare e quasi la voglia d'addormentarsi. Balzò in piedi: la sonnolenza lo atterriva; ma simulò a se stesso che non tanto la paura d'addormentarsi lo avesse spinto ad alzarsi, quanto un pensiero sortogli in mente all'improvviso: —

Non aveva voluto far mai consapevole di nulla la vecchia governante. Si pentiva ora d'averle rivolto quelle inutili domande con la sciocca speranza di potere dalle risposte di lei trarre un filo per uscire dal labirinto delle tante sue supposizioni. Ma l'avergli la Lander domandato se egli conoscesse Anny lo assicurava che non aveva sospetti di sorta. Gli era poi sovvenuta a tempo la scusa verisimilissima della sua ricerca infruttuosa in Germania, quella lettera importante, cioè, da recapitare alla de Wichmann.

Anny! Anny! Se egli la conosceva!

Tredici anni erano trascorsi dal suo viaggio in Germania, che gli si ridestava adesso nella memoria come un sogno turbinoso. Nessuna traccia di lei, né vicina, né lontana. Ma quante notizie tuttavia e quanta parte della vita d'Anny non aveva raccolte a Bonn! Aveva voluto visitare finanche la casa abbandonata nella Wenzelgasse, come ogni altro luogo della città, per investigare la prima vita di lei; perché nulla, con l'ajuto delle notizie, al cospetto delle cose intorno, gli restasse ignoto. Lí, per la Poppelsdorf-allée, ella era certo andata a passeggio con le amiche; e lí, su l'ampio e lungo argine del Reno, aveva certo atteso il piccolo battello a vapore che tutto il giorno, come una spola, riallaccia la vita di Bonn a quella di Beuel dirimpetto; o era andata fin dove l'argine termina in un sentieruolo su la riva che conduce a Godesberg, a diporto, i dí festivi. Tutto, tutto aveva voluto vedere, quasi con gli occhi di lei. E qual segreta corrispondenza non gli era parso di sorprendere tra l'aspetto di quei luoghi e l'indole di Anny! E come le notizie apprese su l'antecedente vita di lei e della madre lo avevano confermato nel concetto ch'egli s'era formato di loro! Della madre aveva sentito che tutti parlavano male, non quanto però l'odio ch'egli le portava avrebbe desiderato: era antipatica a tutti per le sue arie e velleità nobilesche cosí poco fondate, come quel de davanti al cognome, in luogo del von, dimostrava. Notizie, notizie; ma nessuna traccia: nessuna! Come mai ora, improvvisamente, da Wiesbaden, quella lettera? Da Wiesbaden egli era pur passato; vi si era trattenuto otto giorni; ma c'era Anny allora? Veramente non aveva piú alcun indizio per cercarla in quella città. Era morta dunque a Wiesbaden la signora de Wichmann, come la lettera di Anny annunziava? Quand'era morta? Anny non precisava né il tempo né il luogo; non precisava nulla, fuor che il giorno che sarebbe arrivata a Roma.

Coi gomiti su la ribalta della scrivania, la testa tra le mani e gli occhi chiusi, il Furri s'immerse negli antichi ricordi. Era come se si conficcasse una lama in una vecchia ferita. Ma il pudore dell'età, la coscienza dello stato in cui era ridotto, non gli consentivano indugio nella tenerezza di certi ricordi. Ricordando, voleva giudicare; e, giudicando, raffermarsi in un proposito irremovibile. Dietro una porta chiusa, un mondo di cose morte: là dentro il sole non poteva né doveva piú penetrare; vi entrava lui per cercare, ma con tal sentimento, come se dovesse trovarvi fra l'altro bambole e giocattoli appartenuti a bambini morti, cose che le mani d'un vecchio dovevano scostare e sfuggire; dopo, avrebbe richiuso la porta e si sarebbe messo a guardia contro chiunque avesse voluto forzarla. In quel nascondiglio bujo dei ricordi era pure una culla abbandonata: la culla di Lauretta ignara.

Com'era? Il Furri, al ricordo di questo lontano dialogo con la figlia fanciulletta, s'addentò furiosamente una mano per soffocare i singhiozzi irrompenti che gli scotevano tutta la persona.

— annunziò il Furri, uscendo dalla sua camera per la colazione.

— domandò Lauretta sorpresa. —

— esclamò Lauretta.

— disse il Furri inchinandosi.

Lauretta rise del buon umore del padre. Le mie civiltà era il modo d'accomiatarsi nelle lettere d'un mercante di Torino che provvedeva Lauretta delle stoffe per gli abiti. A tavola poi concertarono l'itinerario della gita.

Il Furri non disse alla figlia, che il giovedí avrebbe dovuto lasciarla sola con la governante. — «» — avrebbe potuto domandargli Lauretta, che ora si mostrava tutta lieta di quella partenza improvvisa, e già proponeva, giusto per giovedí, un'ascensione a Monte Cave. E mentre il Furri ascoltava il caro chiacchierio, pensava: —

Anny sarebbe, appunto arrivata giovedí. Bisognava ch'egli si trovasse ad accoglierla alla stazione. L'interno sconvolgimento gli dava intanto un'insolita vivacità di gesti e di parole. Lauretta non ricordava d'aver mai veduto il padre cosí. E il Furri, nel compiacersi del buon effetto della sua dissimulazione, pigliava animo per la tremenda prova che lo attendeva, pur con la coscienza che quello sforzo avrebbe amaramente scontato, se pure non gli sarebbe riuscito addirittura fatale. E anche di questo faceva segretamente carico a colei, e non tanto per sé, quanto per la figliuola. Pensando alla quale, un dubbio angoscioso gli teneva tuttavia l'animo sospeso. Come sarebbe rimasta Lauretta, quando, tra poco, e forse anche per questo colpo improvviso, egli non sarebbe piú? Non era forse provvidenziale e quasi un annunzio della sua prossima fine, la venuta di colei? — «» —. Mario Furri era credente, e inoltre, per la sua fissazione, tenuto e legato da superstizioni. Se non che, quale madre veniva a prendere il suo posto? Per Lauretta la sua mamma era morta. Chi sarebbe stata ora costei? Un'estranea, un'intrusa che, comunque, non avrebbe mai potuto incarnare l'imagine che la figliuola, fantasticando in un passato senza ricordi, s'era creata della propria madre morta nel darle la vita. Quale comunione d'affetti, da un altro canto, avrebbe potuto stabilirsi tra colei e la figlia se egli le avesse detto tutto? Era meglio aspettare, prima di prendere una decisione; vederla, parlarle. Soltanto – ah questo sí! – condurre lontano la figlia, sottrarla a ogni probabile pericolo.

Partirono la mattina dopo.

Non fu possibile a Lauretta impedire che la signorina Lander si mettesse un cappellaccio di paglia, che pareva un canestro rovesciato su la mèsse dei capelli. La vecchia governante portava con sé il cofanetto, ov'erano custoditi i ritratti del signor Wahlen e famiglia; e s'ostinava intanto a sorprendere di tratto in tratto evidentissime somiglianze tra quel lembo laziale e le contrade del Reno presso Bonn. Lauretta ebbe l'ingenuità di mettersi a discutere con lei, ravvicinando piuttosto Monte Cave coi boschi e i laghi a un pezzo di Svizzera, lí – che delizia! – a due passi da Roma, con di piú il mare, che di lassú si scorge benissimo, specie nelle notti di luna. Ma no; Monte Cave con la vetta incoronata d'aceri e faggi, per la signorina Lander era, naturalmente, tal quale il Drachenfels; tanto vero che, ove lí, su la vetta, ci sono le rovine d'un antico castello, qui c'è un convento: tal quale! E se n'appellava al sighnor avvocato. Il Furri non badava a quei discorsi; guardava fuori, dal finestrino. Ricordava, e gli pareva di sognare: ora, come allora, in treno: da Novara andava a Torino; gli era nata una bambina; andava in fretta per una balia; la bambina era là, dietro quei monti, in una campagna presso Novara, con la madre.

— gridò a un tratto Lauretta.

— domandò il Furri, turbato.

— balbettò la signorina Alvina, per scusarsi.

— interruppe entrambe il Furri. —

Si sforzò di parer lieto tutto quel giorno a Castel Gandolfo, ad Albano: la sera, rientrando all'albergo per la cena, annunziò alla figlia che la mattina seguente, per tempo, avrebbe dovuto trovarsi a Roma per un affare che s'era dimenticato di sbrigare

— domandò Lauretta contrariata.

Ma infine si rimise. Dalla finestra dell'albergo, la mattina dopo, gridò al padre che partiva:

E il padre, già in vettura per la stazione, assentí sorridendo. Una veste nuova di mezza stagione e un cappellino di paglia: ecco a che pensava in quel momento la figlietta sua.

— domandava a se stesso il Furri passeggiando su la banchina della stazione, in attesa del treno da Firenze. Socchiudendo gli occhi, richiamava l'imagine di lei, rilevata e spirante nella sua memoria, di lei a diciannove anni: in una testina da birichino, coi capelli tagliati a tondo maschilmente, due occhietti furbi brillanti e provocanti, quasi armati di spilli luminosi, e la bocca accesa, dai piccoli denti pari, aperta sempre a un riso vibrante di fremiti, dalla quale sgorgava la voce tutta trilli e scivoli; alto il corpo agile e svelto su l'esilissima vita, ma dovizioso il seno e incarnate le guance.

E ora?

Il Furri computava gli anni: doveva già averne trentacinque, e poiché aveva potuto abbandonare la figlia appena nata e vivere tant'anni senza domandarne notizia, ignorandone finanche il nome, poteva essere, nell'anima e nel corpo, se non piú troppo giovane come prima, molto giovane ancora; a ogni modo, giovane.

E lui?

Non che sperare, riteneva il Furri assolutamente inammissibile ch'ella potesse riconoscere in lui, in quel suo corpo cadente, nel volto già disfatto, il Mario d'allora, il gigante: il Riese, come lei lo chiamava pretendendo ch'egli chiamasse lei Riesin, gigantessa, meine liebe Riesin, e ne rideva, giacché quel Riesin lui lo pronunziava cosí dolcemente, come se le dicesse invece: fiorellino.

Molta gente attendeva con lui il treno da Firenze già in ritardo. Il Furri pensò di piantarsi presso l'uscita, per modo che tutti i viaggiatori gli passassero sotto gli occhi.

Fu dato finalmente il segnale d'arrivo. I numerosi aspettanti s'affollarono, con gli occhi al treno che entrava sbuffando strepitoso nella stazione.

Si schiusero i primi sportelli; la gente accorse ansiosa, cercando da una vettura all'altra. Il Furri non seppe trattenersi alla posta, spinto quasi dall'ansia degli altri. A un tratto si fermò: —

Una signora bionda, vestita di nero, sporse il capo dal finestrino, e lo ritrasse subito: un signore aprí dall'interno lo sportello. Il Furri aspettò poco discosto. La signora fece per discendere, ma sul predellino si volse verso l'interno della vettura ad abbracciare e baciare un bambino di circa due anni:

Era la voce di lei.

Si voltò, saltò agile e svelta dal predellino, guardò il Furri fermandosi e strizzando un po' gli occhi, quasi un dubbio che la voce non fosse partita da lui. Ma egli le tese la mano.

— fece Anny accorrendo imbarazzata, con un sorriso nervoso su le labbra. — — aggiunse subito, volgendosi verso la vettura.

Il signore che aveva aperto lo sportello gliele porgeva. Il Furri spinse subito un facchino a prenderle, e Anny ringraziò in francese il signore; poi si rivolse al Furri aprendo la borsetta da viaggio a tracolla e, traendone uno scontrino, aggiunse in tedesco:

— (trasse altri due scontrini dalla borsetta) —

Il Furri, quantunque stupito da tanta disinvoltura, inutí subito che questa non veniva da sfrontatezza, per come aveva malignato all'annunzio dell'arrivo, ma da vera e propria incoscienza: lo dimostrava l'eleganza dell'abito da viaggio, tutta l'accurata persona ancora fresca e florida, sebbene di forme piú complesse, ma forse perciò piú piacente. Ecco, ed era venuta col cagnolino, e non si dava pensiero d'altro, appena giunta.

Prese quasi esitante quegli scontrini; avrebbe voluto gridarle: — — Si mosse, e lei dietro.

— riprese ella. —

Il Furri piegò il capo sul petto, alzando le spalle, come se ella lo avesse colpito di dietro.

Non rispose: seguitò ad andare con le spalle alzate.

— pregò smaniando il Furri. —

Egli chinò il capo piú volte.

— la interruppe il Furri, non reggendo piú alla tortura di quelle domande.

Appena ella ebbe tra le mani il cagnolino che gagnolava e si storcignava tutto dalla gioja, cominciò a sbaciucchiarlo, a confortarlo con frasucce carezzevoli, e gli diceva che tra poco avrebbe trovato un'altra padroncina: — — Aprí la borsetta da viaggio e ne trasse una zolla di zucchero per la bestiola festante.

— disse il Furri con voce roca, come se le parole gli facessero groppo alla gola, —

— esclamò sorpresa Anny.

Montati finalmente in vettura, Anny cominciò a sentirsi un po' a disagio accanto al compagno, che si teneva chiuso e quasi ristretto in sé, come se sentisse freddo. Egli non la guardava, guardava innanzi a sé, con le ciglia un po' aggrottate, triste e assorto.

— bisbigliò Anny, prendendogli una mano.

Egli aggrottò maggiormente le ciglia accennando di sí col capo e traendo un lungo sospiro.

— domandò sommessamente, poco dopo; e aggiunse: — — S'interruppe; si portò subito il fazzoletto agli occhi. Il Furri si voltò a guardarla: il fazzoletto era listato di nero.

— ripeté, piú commosso che intenerito.

Il Furti ebbe quasi l'impeto di saltare dalla vettura, fuggire. — — disse, —

— esclamò Anny trionfante. —

«» pensava il Furri stupito e, ormai, dall'incoscienza di colei irritato piú a sdegno che a ira.

— fece Anny improvvisamente, sollevando la mano di lui, che teneva ancora nella sua. — — E poiché egli ritrasse la mano quasi istintivamente: — — insisté Anny. —

— disse il Furri, quasi senza volerlo.

— esclamò Anny, mostrandogli le due mani bellissime. —

Il Furri la guardò fisso e quasi con durezza, come non potesse piú trattenere le tante domande che gli facevan ressa alle labbra.

— ripeté Anny con fermezza. —

La carrozza si fermò davanti all'Albergo della Minerva.

— domandò Anny, alzandosi col cagnolino in braccio; ma subito aggiunse: —

Entrati nella camera loro assegnata, Anny riprese:

— fece il Furri —

— gridò Anny correndo dietro al cagnolino che col musetto aveva aperto l'uscio accostato e se n'era uscito sul corridoio. Poco dopo rientrò con Mopy in braccio e, buttandolo sul canapè, gli gridò: —

— riprese il Furri severamente.

— Esitò alquanto, grattandosi celermente l'insenatura tra la pinna destra del naso e la guancia, con un gesto che il Furri le riconobbe abituale. —

Il Furri s'era portate ambo le mani su la faccia, premendovele vieppiú a ogni parola d'Anny.

— riprese questa, cangiando tono, ma pur quasi affettando una seria preoccupazione: —

— disse egli con voce vibrante di sdegno, scoprendo il volto irosamente e stringendo le pugna come per trattenersi.

— domandò il Furri interrompendo. —

— disse Anny. —

— domandò Anny sorpresa e addolorata.

Anny si levò da sedere e, lisciandosi con ambo le mani i capelli dietro la nuca, disse:

— disse il Furri concitato, —

— muggí il Furri tra i denti.

— pregò Anny. —

— domandò egli.

— mormorò il Furri assorto, dopo un lungo silenzio. —

— fece Anny con tenerezza. —

— sospirò il Furri, alzandosi.

— disse Anny, —

— fece con orrore Anny.

Anny era caduta sul canapè e piangeva arrovesciata sulla spalliera. Il Furri passeggiò un tratto per la camera, poi andò presso la finestra e vi si trattenne, fermo nell'odio, contro ogni suggerimento pietoso che potesse venirgli dai singhiozzi di lei. Il cagnolino nero si levò su le quattro zampette sul canapè, cacciando il musetto sotto il braccio della padrona; ma Anny lo respinse col gomito; allora Mopy si rizzò con le due zampette anteriori sul bracciuolo, e si mise a ringhiare contro il Furri alla finestra, poi abbajò. Anny si voltò subito a lui, e se lo strinse al petto piangendo. Il Furri si tolse dalla finestra senza guardare Anny. Entrambi stettero a lungo in silenzio. Poi ella, rimesso alla cuccia il cagnolino, si alzò, prese da una seggiola una valigetta e l'aprí per trarne un altro fazzoletto anch'esso listato di nero, col quale si asciugò a lungo gli occhi. Finalmente disse con durezza nella voce:

Il Furri notò l'espressione torva del volto di lei e, urtato dal tono della voce, rispose:

— riprese Anny con la stessa espressione, ma piú fiera, e la stessa voce. —

E scoppiò di nuovo in singhiozzi, nascondendo la faccia nel fazzoletto.

— disse il Furri. —

— insisté Anny tra i singhiozzi. —

— fece esitante il Furri.

— disse il Furri, —

— esclamò Anny tra le lagrime.

— riprese il Furri. —

— negò Anny. —

Tacquero un tratto, tutti e due assorti in questo nuovo pensiero; lui con gli occhi chiusi dolorosamente, nell'atteggiamento di chi è solito crucciarsi in cuore senza parola; lei con gli occhi alle punte aguzze delle scarpine.

— disse come a se stessa. — — Si levò in piedi di scatto con un'esclamazione indeterminata: — — Non concluse, ritenuta improvvisamente dal fare, anche a se stessa soltanto, una promessa che poteva esser sacra e che la vita, a una prima svoltata, poteva smentire. Domandò: —

— disse il Furri con voce arida, —

Attese un tratto, piangendo, che il Furri le dicesse qualcosa; poi si tolse il fazzoletto dagli occhi e vedendolo chiuso nel cordoglio e col volto contratto, si alzò e asciugandosi gli occhi, disse:

— rispose il Furri.

La prima e piú tremenda prova era superata. E quantunque il Furri, in treno con la figliuola, si sentisse ancora sotto l'incubo della presenza di colei, pure, come se da quel tuffo violento nel passato e dal cozzo interno di tanti opposti sentimenti un po' dell'antico vigore si fosse ridestato in lui, notava che egli, non che soffrire il danno temuto da quell'incontro, ne aveva quasi tratto insperata energia; e, piú che compiacersene, se ne stupiva. Uscito il giorno innanzi, com'ebbro, dall'albergo, gli era parso, è vero, che tutto gli fosse girato intorno, e aveva avuto appena il tempo e la forza di chiamare una vettura e di salirvi. Ma come aveva saputo poi dominarsi, la sera, in presenza della figliuola!

Ora il rombar cadenzato del treno imponeva quasi un ritmo al turbinare di tante impressioni e di tanti sentimenti in lui. Si sentiva di tratto in tratto ferire acutamente dalla spina del rimorso infertagli dalle ultime parole d'Anny; e allora ripeteva a se stesso: — — come se l'aver potuto jeri andar via a tempo, rendesse oggi tardivo e per ciò inutile il rimpianto di non aver ceduto al sentimento di indulgente pietà ispiratogli dalle lagrime di lei. Ma cosí del resto doveva fare! La dura resistenza, per quanto in certi punti ora a lui stesso crudele, era necessaria. E gli bastava posare lo sguardo sulla figlia che gli sedeva dirimpetto per averne conforto e giustificazione. Lauretta gli parlava, e lui guardandola intentamente chinava di tanto in tanto il capo in segno d'approvazione, pur senz'intendere nulla di ciò che lei gli diceva.

— gli gridò a un certo punto Lauretta.

— fece lui, riscotendosi e andando a sederle accanto. —

— domandò la sorda, a sua volta, nel vedersi indicata da Lauretta.

— fece questa indispettita, e si mise a guardar fuori.

— approvò Lauretta. —

— ridomandò la sorda, vedendosi guardata da Lauretta.

— rispose questa, accompagnando le parole con un gesto della mano inguantata; e, rivolgendosi al padre, aggiunse: —

— rispose il Furri. —

— negò Lauretta. —

— disse il Furri ridendo. —

— rispose egli turbandosi. —

— esclamò Lauretta.

Il treno, entrato nella stazione quasi scivolando sul binario, s'arrestò di schianto, e la Lander, che già s'era alzata, ricadde improvvisamente a sedere esclamando: — — mentre il cappellaccio di paglia, urtando contro la spalliera, púmfete! le saltava sul naso. Lauretta scoppiò a ridere. Il Furri, che non s'era accorto di nulla, sconvolto alla vista della stazione dal ricordo del giorno innanzi, si voltò di scatto al riso della figlia, colpito: il riso della madre, lo stesso riso! Non l'aveva mai notato.

— gridò aspramente alla Lander. E come se la scoperta di quella somiglianza nel riso avesse avuto per lui un significato di condanna, cadde in preda a un'agitazione rabbiosa, di cui la signorina Lander volle per un buon tratto esser vittima ostinandosi a scusare il suo cappello e a incolpare il treno che s'era fermato di schianto, cosa che in Germania, naturalmente, non soleva mai avvenire.

L'agitazione del Furri crebbe di punto in punto, fino a fargli perdere ogni dominio di sé, davanti alla figlia; la quale, stupita dapprima ch'egli avesse potuto prendere in cosí mala parte l'incidente occorso alla signorina Lander, non intendeva ora perché avesse quell'angosciosa fretta di condurla in chiesa.

— gli disse.

— rispose recisamente il Furri. —

E appena salito in vettura, gli parve che conducesse la figliuola a un sacrifizio entro la chiesa. Non tirava quasi piú fiato dall'angoscia. E in quella tortura e in quello smarrimento dei sensi non discerneva piú se fosse costernato maggiormente per sé o avesse paura per la figliuola. Piú che determinata paura, sentiva sgomento della chiesa, sapendovi in agguato, invisibile, colei, piccola sotto la poderosa vacuità di quell'interno sacro. Traversando la piazza immensa, sporse un po' il capo a guardar la cordonata della chiesa in fondo: minuscole persone sparse vi salivano e scendevano, altre erano ferme là in alto. Oh se tra queste colei si fosse fermata ad aspettare! Strinse le pugna come per contenere in sé un impeto rabbioso d'odio. Come, come passarle davanti, sotto gli occhi, con la figliuola accanto? – Scese tremando dalla vettura.

— gli disse Lauretta vedendolo cosí stravolto e quasi in preda a brividi di febbre.

— rispose, —

A ogni passo, sú per l'ampia cordonata, sentiva appesantirsi vieppiú le membra e l'ànsito farsi piú frequente e piú corto. — — diceva alla figlia. Si provava a trarre un largo respiro, guardando intorno rapidamente, e soggiungeva:

Introdottisi attraverso la pesante portiera di cuojo nella enorme basilica, egli lanciò uno sguardo fino in fondo; ma subito la vista gli s'intorbidò quasi perduta nella vastità dell'interno, e chiamò sottovoce: — , — stringendo a sé il braccio di lei, quasi senza volerlo o come per prevenirla di qualche cosa. — — ripeté forte, con schianto, quasi trabalzando, nel vedere la figlia lasciare il suo braccio e correre verso la pila a sinistra sorretta dai colossali angeletti. Nello smarrimento, gli parve in un baleno ch'ella accorresse alla madre nascosta lí dietro. Lauretta si voltò interdetta, e tornando a lui sorridente:

— le disse egli non rimesso ancora dall'interno rimescolamento.

— aggiunse Lauretta, guardando intorno.

Dall'ala destra della crociera in fondo venivano le parole confuse del canto.

— disse Lauretta. —

— pregò lui, vedendo in quest'altra ala della crociera un fitto assembramento di gente curva inginocchiata presso la luminaria densa dell'altare di fianco.

— rispose lei. — — e s'inginocchiò presso il padre.

Il Furri a capo chino si provò a volgere gli occhi in giro, ma li riabbassò subito su la figlia inginocchiata, come se volesse nasconderla con lo sguardo. E non osando dirlo a lei, diceva piano piano a se stesso: — — non resistendo piú a vederla pregare. Era certo che colei la guardava da un punto forse vicinissimo della chiesa, e gli correvano brividi per la schiena, e tremava tutto, quasi in attesa che da un momento all'altro colei, non sapendo piú trattenersi, irrompesse tra la folla silenziosa, piombasse sulla figlia. Ebbe un sussulto e guardò ferocemente una signora, venuta a inginocchiarsi presso Lauretta. Si voltò: uno scalpiccio confuso veniva dall'altro lato della crociera.

— chiamò.

Ella alzò gli occhi al padre, ancora inginocchiata, e subito sorse in piedi, sgomenta: —

— balbettò il Furri, ansimando.

Si mossero per la navata di centro; ma si videro venire incontro solenne la processione verso il Sepolcro. Parve al Furri che tutti gli occhi della folla sopravveniente fossero appuntati su lui e sulla figlia, e che tutti gli occhi fossero quelli di colei. In quel punto la madre sconosciuta conosceva certamente la figliuola ignara. Il Furri, impedito d'andare, stretto tra la folla, serrava con una mano convulsa il braccio di Lauretta, e incoscientemente, con gli occhi annebbiati, vaganti in giro, singhiozzava tra sé: — — e cercava, tra tanti, due occhi ben noti, su cui appuntare lo sguardo, come per tenerli lontani. — — diceva il suo sguardo a quei due occhi, che non riusciva a scoprire tra la folla: — — E stringeva vieppiú il braccio di Lauretta. —

— intonò in quel momento supremo il coro di ritorno dal Sepolcro; e il Furri che non se l'aspettava, a quelle voci fu quasi per cadere tramortito.

— ebbe appena la forza di balbettare alla figlia.

Tornò, il giorno dopo, all'albergo.

— gli annunziò il cameriere ossequioso.

— disse il Furri come a se stesso; e pensò: «».

Ritornò a casa e, aprendo la porta si meravigliò sentendo Lauretta sonare, lieta e ignara, il pianoforte. Si accostò pian piano e, intenerito si chinò a baciarla sui capelli:

Lauretta, senza smettere di sonare, reclinò il capo indietro e rispose sorridendo al padre:

Novelle per un anno
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