LA CASSA RIPOSTA

Quando il biroccino fu sotto la chiesina di San Biagio lungo lo stradone, il Mèndola, di ritorno dal podere, pensò di salire al cimitero sul poggio a veder che cosa ci fosse di vero nelle lagnanze rivolte al Municipio per quel custode Nocio Pàmpina, detto Sacramento.

Assessore comunale da circa un anno, Nino Mèndola, proprio dal giorno che aveva assunto la carica, non stava piú bene. Soffriva di capogiri. Senza volerlo confessare a se stesso, temeva d'esser colpito da un giorno all'altro d'apoplessia: male, di cui erano morti tutti i suoi, immaturamente. Era perciò sempre di pessimo umore; e ne sapeva qualche cosa quel suo cavalluccio attaccato al biroccino.

Ma tutta quella giornata, in campagna, s'era sentito bene. Il moto, lo svago… E, per bravar la paura segreta, aveva deciso lí per lí di fare quell'ispezione al cimitero, promessa ai colleghi della Giunta e rimandata per tanti giorni.

«», pensava, salendo al poggio, «»

Tutte calunnie.

Come custode di cimitero, Nocio Pàmpina, detto Sacramento, era l'ideale. Già una larva, che lo portava via il fiato; e certi occhi chiari, spenti; una vocina di zanzara. Pareva proprio un morto uscito di sotterra per attendere, cosí come poteva, alle faccenduole di casa.

Che c'era da fare poi? Tutta gente dabbene, lí – ormai – e tranquilla.

Le foglie, sí. Qualche foglia caduta dalle siepi ingombrava i vialetti. Qualche sterpo era cresciuto qua e là. E i passeri monellacci, ignorando che lo stil lapidario non vuole interpunzioni, avevano seminato con le loro cacatine tra le tante virtú di cui erano ricche le iscrizioni di quelle pietre tombali, troppe virgole forse e troppi punti ammirativi.

Piccolezze.

Se non che, entrando nel bugigattolo del custode a destra del cancello, il Mèndola restò:

Nocio Pàmpina, detto Sacramento, aprí le labbra squallide a un'ombra di sorriso e bisbigliò:

Era difatti una bellissima cassa da morto. Lustra, di castagno, con borchie e dorature. Fatta proprio senza risparmio. Là, quasi in mezzo alla stanzetta.

— riprese il Mèndola. —

— disse Pàmpina. —

Il Mèndola non volle piú né sapere né veder altro. Non gli parve l'ora di giungere al paese per spargervi la nuova di quella cassa da morto, che Piccarone aveva fatto riporre per sé.

Era famoso in paese Gerolamo Piccarone, avvocato e, al tempo dei Borboni, cavaliere di San Gennaro, per la spilorceria e la furbizia. Mal pagatore, poi! Se ne raccontavano sul suo conto da far restare a bocca aperta. Ma questa – pensava il Mèndola, tempestando allegramente di frustate il povero cavalluccio – questa le passava tutte; e vera, ohé, come la stessa verità! La aveva veduta lui, là, la cassa da morto, con gli occhi suoi.

Pregustava le risate che avrebbero accolto il suo racconto bisbigliato con la vocina di Pàmpina, e non avvertiva neppure alla nuvola di polvere e al fragore che il biroccino sollevava per la corsa furiosa del cavalluccio, quand'ecco: — — udí gridare a squarciagola dall'Osteria del Cacciatore, che un tal Dolcemàscolo teneva lí su lo stradone.

Due amici, Bartolo Gaglio e Gaspare Ficarra, cacciatori accaniti, seduti davanti all'osteria sotto la pergola, s'erano messi a gridare a quel modo, credendo che il cavalluccio avesse preso la mano al Mèndola.

— disse il Gaglio. —

— esclamò il Mèndola, smontando ilare e ansimante; e, per cominciare, narrò a que' due amici la storia della cassa da morto.

Quelli finsero lí per lí di non volerci credere, ma per un modo di dimostrar la loro maraviglia. E allora il Mèndola a giurare che – parola d'onore – la aveva veduta lui, con gli occhi suoi, la cassa da morto, nel bugigattolo di Sacramento.

Gli altri due, a loro volta, presero a narrare di Piccarone altre prodezze già note. Il Mèndola voleva rimontar subito sul biroccino; ma quelli avevano già ordinato a Dolcemàscolo un bicchiere per l'amico assessore, e volevano che questi bevesse.

Dolcemàscolo però era rimasto lí, come un ceppo.

— gli gridò il Gaglio.

L'oste, col berretto di pelo a barca buttato a sghembo su un orecchio, senza giacca, con le maniche della camicia rimboccate su le braccia pelose, si riscosse sospirando:

— disse. —

Il Mèndola, il Gaglio, il Ficarra scoppiarono a ridere. Il Mèndola disse:

Dolcemàscolo alzò un pugno; schizzò fiamme dagli occhi:

— ribatté di fronte alle risate incredule e al negare ostinato dei tre avventori. —

E con un gesto furbesco, che gli era abituale, strizzò un occhio e con l'indice teso si tirò giú la palpebra dell'altro.

Che via avesse trovato, non volle dire; disse che aspettava dalla campagna i due contadini che erano stati presenti, la mattina, al furto della salsiccia, e che con essi prima di sera si sarebbe recato alla villetta di Piccarone.

Il Mèndola rimontò sul biroccino, senza bere; Gaglio e Ficarra saldarono il conto e, dopo aver consigliato all'oste di piantare per il suo meglio quell'impresa di farsi pagare, andarono via.

A metter sú quella villetta d'un sol piano, sul viale all'uscita del paese, Gerolamo Piccarone, avvocato e cavaliere di San Gennaro al tempo di Re Bomba, s'era industriato per piú di vent'anni, ed era fama non gli fosse costata neppure un centesimo.

Le male lingue dicevano ch'era fatta di sassolini trovati per via e sospinti fin là a uno a uno coi piedi dallo stesso Piccarone.

Il quale era pure un dottissimo giureconsulto, e uomo d'alta mente e di profondo spirito filosofico. Un suo libro su lo Gnosticismo, un altro su la Filosofia Cristiana erano stati anche tradotti in lingua tedesca, dicevano.

Ma era malva di tre cotte, Piccarone, cioè nemico acerrimo di ogni novità. Andava ancora vestito alla moda del ventuno; portava la barba a collana; tozzo, rude, insaccato nelle spalle, con le ciglia sempre aggrottate e gli occhi socchiusi, si grattava di continuo il mento e approvava i suoi segreti pensieri con frequenti grugniti.

Pagava poco o nulla, veramente, a furia di sottilissimi cavilli, che stancavano ed esasperavano la pazienza piú esercitata. Concludeva sempre cosí:

S'era infatti appartato in quella sua villetta, ritirato dalla professione, che pure fino a pochi anni addietro gli aveva dato lauti guadagni. Ne doveva aver messi da parte parecchi. A chi li avrebbe lasciati, alla sua morte? Non aveva parenti, né prossimi né lontani. E i biglietti di banca magari, sí, avrebbe potuto portarseli giú con sé, in quella bella cassa da morto che s'era fatta riporre. Ma la villetta? e il podere laggiú al Cannatello?

Quando Dolcemàscolo, in compagnia de' due contadini, si fece innanzi al cancello, Turco, il canaccio di guardia, come se avesse compreso che l'oste veniva per lui, si fogò furibondo contro le sbarre. Il vecchio servo accorso non fu buono a trattenerlo e allontanarlo. Bisognò che Piccarone, il quale se ne stava a leggere nel chiosco in mezzo al giardinetto, lo chiamasse col fischio e lo tenesse poi agguantato per il collare, finché il servo non venne a incatenarlo.

Dolcemàscolo, che la sapeva lunga, s'era vestito di domenica e, bello raso, tra quei due poveri contadini che ritornavano stanchi e cretosi dal lavoro, appariva piú del solito prosperoso e signorile, con un certo viso latte e rosa, ch'era una bellezza a vedere, e la simpatia di quel porretto peloso sulla guancia destra, presso la bocca, arricciolato.

Entrò nel chiosco esclamando, con finta ammirazione:

Piccarone, con le ciglia aggrottate e gli occhi socchiusi, grugní piú volte, assentendo col capo a quegli elogi; poi disse:

E indicò gli sgabelletti di ferro, disposti giro giro nel chiosco.

Dolcemàscolo ne trasse uno avanti, presso la tavola, dicendo ai due contadini:

Piccarone aprí gli occhi.

— s'affrettò a soggiungere Dolcemàscolo. —

Piccarone richiuse gli occhi:

— cominciò Dolcemàscolo. Ma Piccarone ebbe uno scatto e uno sbuffo:

Dolcemàscolo rimase un po' male; tuttavia sorrise e ricominciò:

Piccarone accennò di sí col capo, poi aggiunse misteriosamente:

— rispose Dolcemàscolo, ingollando. —

— interruppe a questo punto Piccarone. —

— rispose subito Dolcemàscolo. —

Piccarone non pose tempo a rispondere:

Dolcemàscolo balzò dalla gioja, ma subito si contenne; si volse a' due contadini:

— raffermò Piccarone. —

— rispose Dolcemàscolo gongolante, giungendo le mani. —

Piccarone stette un pezzo a guardare Dolcemàscolo come allocchito; poi, tutt'a un tratto, abbassò gli occhi e si mise a leggere nel libraccio che teneva aperto su la tavola.

I due contadini si guardarono negli occhi; Dolcemàscolo alzò una mano per far loro cenno di non fiatare.

Piccarone, fingendo tuttavia di leggere, si grattò il mento con una mano, grugní, disse:

— esclamò Dolcemàscolo, alzandosi in piedi e incrociando le mani sul petto per dar solennità al giuramento.

— riprese, cupo e calmo, Piccarone, —

— negò subito Dolcemàscolo. —

— borbottò Piccarone. —

Dolcemàscolo, venuto con la prevenzione di dover combattere chi sa che battaglia contro i cavilli e le insidie di quel vecchio rospo, di fronte a tanta remissione, s'abbiosciò a un tratto, mortificato.

— disse. —

— rispose Piccarone, fermo. —

Dolcemàscolo si strinse nelle spalle, sorrise e disse:

— domandò Piccarone.

— rispose Dolcemàscolo, tutto miele. —

— negò Piccarone. —

Dolcemàscolo, lí per lí, credette d'aver inteso male.

— ripeté placido Piccarone. —

Dolcemàscolo lo guardò in faccia, perplesso, se ridere o piangere, non volendo credere che dicesse sul serio e parendogli tuttavia che non scherzasse.

— balbettò.

— spiegò Piccarone. —

— confessò Dolcemàscolo con le lagrime in pelle, aprendo le braccia. —

— esclamò Piccarone. —

— scongiurò di nuovo Dolcemàscolo a mani giunte, alterandosi però in volto improvvisamente.

Piccarone alzò il mento, alzò le mani:

Dolcemàscolo allora perdette il lume degli occhi. L'ira lo acciuffò. Che era il danno? Niente. Alle beffe pensò, che avrebbe avute, che già indovinava guardando le facce allegre di quei due contadini: lui che si credeva tanto scaltro, lui che s'era impegnato di spuntarla e già aveva quasi toccato con mano la vittoria. Tale impeto gli diede il vedersi preso, ora, quando meno se l'aspettava, nella sua stessa ragna, che si trovò d'un tratto mutato in bestia feroce.

— disse, accostandoglisi, con le mani levate e contratte, —

Piccarone si levò in piedi, torbido, levò un braccio:

— ruggí Dolcemàscolo, afferrandogli quel braccio e scotendoglielo furiosamente.

I due contadini si precipitarono per trattenerlo; ma tutt'a un tratto, che è che non è, il vecchio si abbandonò appeso inerte per quel braccio alle mani violente di Dolcemàscolo. E come questi, allibito, le aprí, cascò prima a sedere su lo sgabello, traboccò poi da un lato e rotolò per terra giú tutto in un fascio.

Di fronte al terrore de' due contadini, Dolcemàscolo contrasse il volto, come per uno spasimo di riso. O che? Non lo aveva nemmeno toccato.

Quelli si chinarono sul giacente, gli mossero un braccio.

Dolcemàscolo li guardò entrambi, come inebetito. Scappare?

S'intese, in quel punto, cigolare una banda del cancello, e si vide la cassa da morto, che il vecchio aveva fatto riporre per sé, entrare in trionfo su le spalle di due portantini ansanti, quasi chiamati lí per lí, al bisogno.

A tale apparizione restarono tutti come basiti.

Dolcemàscolo non pensò che Nocio Pàmpina, detto Sacramento, dopo la visita e l'osservazione dell'assessore, si fosse affrettato a mettersi in regola, rimandando a destino quella cassa; ma si ricordò in un lampo di ciò che il Mèndola aveva detto la mattina, là, nella trattoria; e, all'improvviso, in quella cassa vuota che aspettava e sopravveniva ora al punto giusto come chiamata misteriosamente, vide il destino, il destino che s'era servito di lui, della sua mano.

S'afferrò la testa e si mise a gridare:

E prendendo per le braccia i due portantini per scuoterli dallo stupore:

Ma non erano per nulla stupiti, quei due portantini. Da che avevano portata appunto quella cassa da morto, era per loro la cosa piú naturale del mondo che trovassero morto l'avvocato Piccarone. Si strinsero nelle spalle, e:

— dissero, —

Novelle per un anno
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