«CON I
LIBRI SI ABBATTONO LE BARRIERE»
UNA CONVERSAZIONE CON JANET SKESLIEN
CHARLES
Com’è nata l’idea del romanzo?
Sono rimasta affascinata dalla storia dei bibliotecari che, contro tutto e tutti, hanno deciso di tenere aperta l’American Library durante la guerra. Credevano nell’importanza dello spirito comunitario e nella capacità dei libri di unire e creare ponti. La loro missione continua ancora oggi. L’amministratore delle collezioni, Simon Gallo, di origini italiane, ha lavorato e fatto volontariato per anni alla biblioteca. Quando ci lavoravo io, il personale arrivava da tutto il mondo: da Cuba, dall’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Ora, ci sono quattromila membri che rappresentano sessanta paesi. Di questi tempi, l’internazionalizzazione è più importante che mai.
Poi c’erano alcune tematiche che ci tenevo a trattare. Che differenza c’è tra affermare di essere dispiaciuti e mostrarsi dispiaciuti? Oggigiorno, piuttosto che chiedere sinceramente scusa quando facciamo del male a qualcuno, rispondiamo: «Mi dispiace ti sia sentito così». Tutti commettiamo degli errori, ma il modo in cui ci assumiamo la responsabilità delle nostre parole e delle nostre azioni rivela chi siamo davvero. Odile non si tira indietro, affronta le conseguenze dei suoi gesti e si mostra sempre dispiaciuta.
Uno degli elementi più importanti del romanzo è il passare di generazione in generazione di storie e ricordi. Nel discorso che tiene alla cerimonia di diploma, Lily ricorda i suoi genitori e condivide con il pubblico la loro saggezza. Cita altre persone che hanno fatto parte del passato di Odile, da Paul alla professoressa Cohen, dalla signorina Reeder a monsieur de Nerciat. Tutti rivivono attraverso le parole di Lily. Mi piace pensare che possiamo tenere in vita i nostri cari grazie alla memoria e alla condivisione di un pezzo di ognuno di loro.
Può raccontarci il periodo trascorso all’American Library di Parigi? Quali sono i ricordi a cui tiene di più?
Che bella domanda! Organizzavo incontri settimanali con scrittori e artisti per la rassegna dal titolo «Serata con l’autore», gratuita e a ingresso libero. Prima di iniziare offrivamo vino, succo di frutta e canapè, così le persone potevano chiacchierare e scambiarsi opinioni. È davvero bello dare vita a una comunità fondata sull’amore per i libri.
Tra i miei incontri preferiti c’è stato quello con Livia Manera Sambury, che ha presentato il suo magnifico documentario su Philip Roth. È stato incredibile ascoltare la storia di come si sono conosciuti e di come è riuscita a intervistarlo. Prima del documentario non mi era mai interessato leggere Roth, ma il film mi ha incuriosito e mi ha fatto venire voglia di scoprire le sue opere. È sempre straordinario quando un autore riesce a trasmettere la propria passione al pubblico.
Un’altra ospite deliziosa è stata Tatiana de Rosnay. Si è mostrata gentile con i suoi fan e si è presa tutto il tempo necessario per parlare con loro. Anche Lionel Shriver è stata molto generosa, concedendoci tempo e condividendo pensieri e opinioni – intervistarla ha rappresentato il punto più alto della mia carriera di manager della rassegna. Ci sono voluti diversi anni e tre agenti letterari perché La biblioteca di Parigi venisse pubblicato. Queste scrittrici hanno affrontato grandi difficoltà per vedere le loro opere date alle stampe e mi hanno ispirato e convinto a non mollare.
Il romanzo si compone di due linee narrative principali? Come si rispecchiano l’una nell’altra?
In sostanza, Odile e Lily sono la stessa persona, nate a distanza di mezzo secolo l’una dall’altra in continenti diversi. Hanno le stesse passioni e gli stessi dubbi. Entrambe amano i rispettivi migliori amici, ma ne sono anche gelose. Quando Lily si sente sopraffatta dalla gelosia, Odile la aiuta a comprendere meglio le sue emozioni e a incanalarle: nella vita, avere qualcuno che ci guida fa un’enorme differenza. Se i lettori dovessero far proprio un elemento del romanzo, vorrei che fosse l’importanza della comunicazione. È fondamentale imparare a parlare dei nostri sentimenti prima che diventino ingestibili e ci schiaccino.
La sua storia prende vita anche grazie a personaggi vividi e originali. Odile è, senza dubbio, la protagonista. Ci racconti a cosa si è ispirata per creare Odile e il suo rapporto con Lily.
La mia principale fonte di ispirazione è stata una libraia francese, Odile Hellier, su cui si basano l’amore per i libri e anche la descrizione fisica della mia protagonista.
A mano a mano che i temi del romanzo hanno preso forma concreta, ho riflettuto sulle relazioni della mia vita. Da adolescente, mi trovavo più a mio agio con persone più grandi che con i miei coetanei. Sono stata fortunata ad aver conosciuto anziani che hanno avuto la pazienza di ascoltare le mie storie e di farmi sentire che erano di qualche valore. Volevo che il mio libro trasmettesse l’importanza di essere ascoltati, a qualunque età.
Vedo i miei genitori con i loro nipoti e mi rendo conto che per gli anziani è una risorsa avere persone giovani nella loro vita: sono fonte di vitalità e allegria. Mi auguro che, nel corso della narrazione, i lettori capiscano che Lily è fortunata ad avere Odile, ma che anche Odile è fortunata ad avere Lily.
Lei suggerisce che i libri abbattono barriere e costruiscono ponti capaci di mettere in comunicazione le persone nel mondo. Secondo lei, come avviene questo incantesimo?
Certo che i libri abbattono barriere e costruiscono ponti. Numerosi studi hanno dimostrato che chi legge romanzi è più empatico perché riesce a mettersi nei panni degli altri – o “nella pelle” degli altri, come direbbero i francesi. Nella vita reale, non siamo in grado di leggere la mente altrui per conoscerne il sistema di pensiero. Osserviamo le azioni di una persona, ma difficilmente ci rendiamo conto di come arrivi a compiere questo o quell’altro gesto. I romanzi, invece, ci offrono uno sguardo privilegiato nel cuore e nell’animo dei personaggi per meglio comprenderne decisioni, scelte e speranze.
«I ricercatori della New School di New York hanno scoperto che la letteratura migliora l’abilità che un lettore ha di comprendere ciò che gli altri pensano e provano», scrive Julianne Chiaet.
«Guidata da David Dodell-Feder, professore di psicologia alla University of Rochester, questa nuova ricerca ha messo in discussione studi precedenti sulla relazione tra lettura di romanzi ed empatia… Leggere romanzi, invece che leggere saggi o non leggere del tutto, produce un piccolo, ma, a livello statistico, significativo miglioramento della performance socio-cognitiva», scrive Jessica Stillman.
La signorina Reeder lo dice ancora meglio: «Perché i libri? Perché nessun’altra cosa possiede quella facoltà mistica di riuscire a far guardare la gente con gli occhi degli altri. L’American Library è un ponte di libri tra le culture.»*
Che libri ha sul comodino?
Sul comodino e per terra! Non so dire se ho troppi libri o se ho bisogno di un comodino più grande, ma eccone alcuni: Viaggi con Charley di John Steinbeck, Jane Austen Book Club di Karen Joy Fowley, una raccolta di racconti di Zora Neale Hurston, Un’incantevole aprile di Elizabeth von Arnim, Le cose crollano di Chinua Achebe, Ali e Nino di Kurban Said, Walking Life di Antonia Malchik.
Sta già scrivendo un nuovo romanzo? Può anticiparci qualche dettaglio?
Questo libro è stata una sfida. Ho fatto moltissima ricerca e trascorso quasi dieci anni immersa in uno dei periodi più bui della storia, leggendo lettere conservate in archivi storici e guardando video di donne che venivano rasate in pubblico. Quando mi prendevo brevi pause dal romanzo, mi mettevo a cercare informazioni su altri librai e su altri paesi. Spero di potervi raccontare presto qualcosa di più sui miei nuovi progetti.
Nell’attesa, buona lettura! E grazie per aver letto la mia intervista.