46.
LILY

Froid, Montana, gennaio 1989

Tornando da casa di Mary Louise, Odile mi chiese cosa stessi per dire a Keith.

«Niente.»

«Lily», mi disse in tono di rimprovero.

«Lo ha tradito con un mietitore a giornata.»

«Non sono affari tuoi. Perché volevi dirglielo?»

«Non lo so!»

«Be’, pensaci.»

«La volevo di nuovo per me.»

«È possibile che tu sia arrabbiata con lei?» mi chiese.

«Forse.»

«Qual è il suo vero crimine?»

«Non voglio parlarne.»

«Invece sì!»

Sapevo che non avrebbe mollato. «Io non ho un ragazzo, e lei ne ha due. Negli ultimi mesi si è completamente dimenticata di me.»

«Capisco», disse.

Mi fece bene sentire quelle parole. La bile amara svanì.

«Se Mary Louise ha fatto qualcosa per ferirti, diglielo», continuò. «Non tenerti tutto dentro e non credere che la sua infelicità ti farebbe sentire meglio. Mary Louise ha un grande cuore: c’è posto per te e per Keith.»

Mentre prendevamo il vialetto di casa sua, Odile aggiunse: «Avrai anche tu dei ragazzi».

«Sì, certo.»

«Fidati.» Sotto le stelle, riuscii a vedere la sua espressione solenne. «L’amore verrà, se ne andrà e tornerà di nuovo. Ma se sei fortunata ad avere una vera amica, fanne tesoro. Non lasciarla andare.»

Aveva ragione, dovevo fare tesoro di Mary Louise. Ma se le avessi mai confessato cosa stavo per fare, ero sicura che non mi avrebbe più rivolto la parola.

Odile aprì la porta di casa e ci lasciammo cadere sul divano.

«Voglio scappare via.»

«Non scappare», disse.

«Perché non dovrei?»

«Te lo dico io perché. Perché io sono scappata.»

«Cosa?»

«Come te, provavo vergogna. Sono scappata dai miei genitori. Dal mio lavoro. E da mio marito.»

«Hai lasciato Buck?»

«No, il mio primo marito. Il mio marito francese.»

Ero confusa.

«Non sei l’unica ad aver provato gelosia nei confronti della sua migliore amica», ammise Odile.

«Tu?»

«L’ho tradita.» Toccò la fibbia ossidata della sua cintura. «Margaret mi ha detto che non voleva più vedermi. Io e lei frequentavamo lo stesso ambiente sociale, ed entrambe adoravamo la Library. Ma per lei era una passione: faceva un servizio volontario, disinteressato, dava tutto senza chiedere in cambio un centesimo.»

«Come hai potuto venire via?»

«Se fossi rimasta, lei avrebbe perso tutto, soprattutto il posto che considerava la sua casa. Io amavo la Library, però amavo di più Margaret. Mi vergognavo troppo per raccontare la verità agli amici e ai parenti, avevo troppa paura delle conseguenze, così ho sposato Buck e ho lasciato la Francia senza dire addio a nessuno. Non ho mai visto la tomba di mio fratello e spero che i miei genitori siano riusciti a riavere le sue spoglie.» Fece un respiro profondo. «Sono scappata. E tu sei la prima persona a cui l’ho raccontato.»

La abbracciai, ma lei non ricambiò.

«Non riesco a perdonarmi», sussurrò.

«Per quello che hai fatto a Margaret?»

«Per averla abbandonata.»

«È stata lei a dirti di andartene.»

«A volte è proprio in quei momenti che si dovrebbe restare.»

Sconcertata per quello che mi aveva raccontato, guardai le felci vicino alla finestra, la pila ordinata di dischi, lo scaffale dei nostri libri preferiti. Dopo quel ciclone di rivelazioni, mi aspettavo quasi di vedere che era tutto caduto per terra.

«Ma… tu sai dire sempre la cosa giusta.»

«Perché ho detto molte cose sbagliate.»

«Sei davvero bigama?»

«Buck è morto. Quindi non più.»

Ridacchiammo, anche se non era divertente. Ma un po’ lo era.

«Che cosa avevi fatto? Una cosa davvero brutta?»

Quando Odile finì di raccontarmi la storia di Margaret e del suo amante, e di come Paul e i suoi colleghi l’avessero aggredita, il pezzo mancante del puzzle andò a posto e riuscii a cogliere il quadro completo.

«Anche se quello che dici è vero…»

«È vero», ribatté lei in tono brusco. «Le hanno rotto il polso.»

«Non è stata colpa tua. Tu non hai rotto nessun osso.»

«È come se lo avessi fatto. Avevo parlato.»

«Ogni persona è responsabile delle sue azioni.»

«In generale sarei d’accordo», disse, «ma non in questo caso. La posta in gioco era troppo alta. Ho messo in pericolo Margaret. Non ho mai fatto parola di questa storia con nessuno, nemmeno con Buck.» Mi guardò dritto negli occhi. «Ma lo sto dicendo a te perché non voglio che tu commetta lo stesso errore. Controlla la tua gelosia, o sarà lei a controllare te.»

Avrei tanto voluto convincere Odile di ciò che ritenevo vero, che lei non avrebbe mai fatto male a nessuno.

«Ti chiedi mai che fine abbia fatto Margaret? Pensi che sia andata in Inghilterra per sua figlia? Non hai mai cercato di contattarla, di vedere se stava bene?»

Odile aprì un cassetto e tirò fuori un ritaglio dell’«Herald» risalente al giugno 1980, e io lessi il profilo di Margaret Saint James:

Avevamo perso amanti, parenti, amici, mezzi di sostentamento. In molti stavamo raccogliendo i pezzi della nostra vita, sebbene alcuni di questi fossero andati persi per sempre. Abbiamo dovuto ricreare noi stessi.

Avevo una conoscente che affrontava questa perdita rompendo gli oggetti. Lo schianto dei piatti che colpivano il pavimento era il suo conforto. Forse voleva distruggerli prima che distruggessero lei, ma lo spreco mi dava fastidio. Erano anni di magra a Parigi: il razionamento continuò anche dopo la guerra. Eravamo affamati e stanchi.

Chiesi alla sua cameriera di darmi i cocci, pensando di riuscire ad aggiustarli, ma erano irreparabili. Misi insieme dei cocci per ravvivare gli abiti logori di mia figlia. Gli utenti alla biblioteca ammiravano le spille. Cominciai a venderle e i parigini indossavano il mio lavoro. Ciò che è di moda a Parigi è presto indossato in tutto il mondo.

Mi emozionò questo scorcio di Margaret, viva e serena, oltre che artista compiuta. «Sei proprio certa che abbia perso l’affidamento della figlia?»

«Lei era sicura di sì…»

«Stando all’articolo, la figlia viveva con lei.»

Odile studiò il ritaglio di giornale. «Non l’ho mai interpretato così.»

«Forse le cose non sono andate così male a Margaret. C’è l’indirizzo della sua boutique a Parigi.» Indicai la pagina. «Dovresti scriverle.»

«Probabilmente non le farebbe piacere.»

«Dovresti provare.»

«Voglio rispettare i suoi sentimenti.»

«Hai paura che non ti risponda.»

«Anche quello, sì.»

«Scrivile!» Forse in quello assomigliavo a mia madre, un’ottimista agguerrita. Sentivo che poteva esserci un lieto fine per Odile e Margaret, lo sentivo con tutto il cuore. “L’amore verrà, se ne andrà e tornerà di nuovo. Ma se sei fortunata ad avere una vera amica, fanne tesoro. Non lasciarla andare.”

«Ci penserò.»

Avevamo percorso una strada oscura, minacciata da brutti sentimenti, ma lei aveva visto il peggio di me e mi voleva ancora bene. La baciai sulle guance e le augurai la buonanotte. Ancora una volta Odile mi aveva salvato.

La biblioteca di Parigi
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