6.
ODILE
Ogni mattina, prima che aprisse la biblioteca, visitavo una sezione diversa. Il lunedì avevo un appuntamento in amministrazione, dove la signorina Wedd, la contabile, era famosa per la mente acuta e gli scones deliziosi. Quando si chinò sul libro mastro, vidi tre matite infilate nello chignon castano. Dopo che mi ebbe spiegato le voci di spesa – dal carbone e dalla legna ai libri e alla colla per rilegare – le chiesi se potessi intervistarla. Avevo un’idea per il bollettino mensile che la signorina Reeder mi aveva assegnato. Oltre alle solite recensioni accademiche e all’elenco dei libri più richiesti in prestito, volevo includere qualcosa di più personale sugli utenti e sullo staff.
«Che tipo di lettrice è lei?» le domandai, con il taccuino in mano.
«A scuola mi piaceva la matematica. Per me i numeri sono sempre stati più comprensibili delle persone. Ecco perché i miei libri preferiti sono quelli degli antichi greci: Pitagora ed Eraclito. Stiamo ancora usando la loro opera, le loro idee. Io non sono come Boris e la signorina Reeder. Non sono brava con il pubblico.» S’infilò una quarta matita nei capelli. «Ma spero che, in minima parte, il mio contributo qui sia importante. Per più di un decennio ho riempito interi libri con i racconti di generosi donatori e di personale esperto che lavora oltre l’orario, solo che io scrivo colonne verticali invece di righe orizzontali.»
Intervistarla fu come vedere sbocciare una rosa: si aprì, e i petali delle sue guance erano rosa di passione. «Grazie», le dissi, contenta di avere scelto lei. «Ai lettori piaceranno molto le sue risposte, e io sono impaziente di scoprire Eraclito.»
Per me era un piacere anche scoprire i miei colleghi. Il martedì passai del tempo con Peter, l’addetto agli scaffali, l’unico cui la statura consentisse di arrivare ai ripiani più alti. Sistemando i libri sul carrello secondo la segnatura, lui riusciva a rimettere al loro posto dieci libri nel tempo che io impiegavo a sistemarne due. Aveva il fisico di un pugile, ma quando il vocione dell’imponente madame Frot tuonava tra gli scaffali: «Peter caro, oh, Peter», lui si precipitava in bagno per evitare quell’abbonata espansiva.
Il mercoledì andai nella sala dei bambini dove le pareti erano rivestite di bassi scaffali e davanti al camino scoppiettante erano raggruppati tavolini e sedioline. Anche se non avevo mai incontrato la bibliotecaria dei bambini, Muriel Joubert, mi sembrava di conoscerla, perché la bella calligrafia della sua firma compariva su tutte le schede dei libri che prendevo in prestito. Solo nell’ultima settimana, mi aveva preceduto con La mia Antonia, Belinda e L’incredibile storia di Olaudah Equiano. Considerato tutto quello che leggeva, l’avevo immaginata come una signora dai capelli bianchi. Invece mi trovai di fronte una ragazza della mia età che mi osservava con vivaci occhi viola. Pur con la treccia nera avvolta a corona sulla testa, non raggiungeva il metro e cinquanta.
«Mademoiselle Joubert?» chiesi.
Mi disse di chiamarla Bitsi, come facevano tutti da quando un abbonato del Texas, squadrandola, aveva esclamato: «Be’, sei proprio una cosina itsy-bitsy!». Aggiunse che aveva voglia di conoscermi da quando aveva notato il mio nome sulle schede dei suoi romanzi preferiti.
«Siamo gemelle di libri», disse, nel tono deciso con cui qualcun altro avrebbe potuto dire che il cielo è azzurro o che Parigi è la più bella città del mondo. Ero molto scettica a proposito delle anime gemelle, ma potevo credere nelle gemelle di libri: due persone legate dalla passione per la lettura.
Mi suggerì I fratelli Karamazov. «Ho pianto quando l’ho finito.» La sua voce era carica di emozione. «Primo, perché ero felice di averlo letto. Secondo, perché la storia era molto commovente. Terzo, perché non potrò più fare l’esperienza di scoprirlo.»
«Dostoevskij è il mio autore morto preferito», dissi.
«Anche il mio. Chi è il tuo vivente preferito?»
«Zora Neale Hurston. La prima volta che ho preso in prestito I loro occhi guardavano Dio, ho divorato i capitoli, abbuffandomi di parole. Dovevo scoprire come sarebbe proseguita la storia: Janie avrebbe sposato l’uomo sbagliato? Tea Cake sarebbe stato all’altezza delle speranze che nutrivo per Janie? Poi, quando mancava una manciata di pagine, ho cominciato a sentirmi in ansia perché quel mondo che amavo stava finendo. Non ero pronta a congedarmi. Lessi lentamente, assaporando le scene.»
Lei annuì. «Io faccio lo stesso, per far durare il più possibile ogni pagina.»
«Ho finito il romanzo in quattro giorni, ma l’ho tenuto tutte e due le settimane del prestito. Alla consegna, l’ho appoggiato sul bancone ma ho messo la mano sulla copertina: non ero ancora pronta a lasciarlo andare. Boris mi ha trovato altri tre libri della signorina Hurston.
«Ho divorato anche quelli, come una torta al cioccolato, come l’amore. Ero così legata ai personaggi che sono diventati reali. Mi sembrava di conoscere Janie, credevo che un giorno sarebbe potuta entrare in biblioteca e invitarmi a prendere un caffè.»
«Anch’io provo lo stesso nei confronti dei miei personaggi preferiti», disse Bitsi.
Si avvicinò una madre. «Mio figlio ha scelto questi» – sollevò due libri illustrati – «però mi sembrano… molto sfogliati.»
«Sono molto amati», replicò Bitsi. «Se preferisce, abbiamo libri nuovi sullo scaffale degli ultimi arrivi.»
Quando Bitsi mi disse, solo con le labbra: «Torno al lavoro», e li accompagnò all’espositore, sbirciai nella sala di consultazione sperando di vedere Paul, ma lui non c’era.
Delusa, tornai alla mia scrivania, dove trovai un’utente che batteva il piede, aspettando di avere il suo «Harper’s Bazaar». «Dov’era finita?» mi sgridò madame Simon.
Dopo che le ebbi consegnato l’ultimo numero, ancora avvolto nella carta da pacco, si ammorbidì e mi confidò che a casa lei era l’ultima della fila.
Con la dentiera che le ballava, mi spiegò che tutto quello che possedeva era stato di qualcun altro: la pelliccia di visone spelacchiata di una zia morta, i denti falsi della suocera. Ma lì lei era la prima ad assaporare la moda, anche se non c’era niente che si potesse permettere. «O che potrebbe andarmi bene», si lamentò, accarezzandosi con le mani robuste la figura corpulenta. Poi si sedette vicino alla professoressa Cohen.
Osservando Boris, madame disse: «Pare che il suo patrimonio di famiglia sia andato perso durante la rivoluzione russa. Ha dovuto ricominciare da zero qui in Francia. Senza un soldo come un indigente».
«Qualunque sia la sua situazione, è un vero principe», disse la professoressa.
«È sua moglie la principessa, o almeno lo era. Ora fa la cassiera. Come sono caduti in basso i potenti!»
«Detto da una che non si è mai dovuta guadagnare da vivere.»
Clara de Chambrun ci passò accanto, carica di fogli.
«A proposito di nobiltà», ridacchiò madame, «ecco la contessa dell’Ohio.»
«Oggi lei ha proprio un’ape nel berretto, e anche piuttosto pungente. Clara è un’amministratrice fiduciaria eccellente, sa come raccogliere i fondi necessari. Se non fosse per lei, non saremmo certo sedute qui. Visto che lei è affascinata dalla moda, le dico questo: i pettegolezzi maligni non donano a nessuno.»