14.
ODILE

Dopo sei giorni nell’esercito, Boris entrò nella sala di lettura come se fosse uscito solo per un pranzo prolungatosi un po’ più del dovuto. Gli utenti lo circondarono, facendo a gara per dargli il bentornato. Monsieur de Nerciat e il signor Pryce-Jones furono i primi a stringergli vigorosamente la mano. Subito dopo fu il turno della professoressa Cohen. «Siamo contenti che lei sia tornato a casa sano e salvo. Sua moglie e sua figlia devono essere sollevate.» Cercai di raggiungerlo, ma gli stava intorno una ressa di topi di biblioteca. Tornai al carrello e presi un libro da ricollocare a scaffale. La segnatura sul dorso diceva 223. Era religione e filosofia? Le nozioni che fino a poco tempo prima sapevo benissimo tendevano a confondersi. Da quando Rémy se n’era andato, spesso mi ritrovavo nel bel mezzo di una stanza, incapace di stabilire quale fosse la mia.

Boris mi trovò in mezzo ai 200. «Come stai?» mi chiese.

«Spaventata per Rémy.»

Ripose il mio libro sullo scaffale. «So come ci si sente. Mio fratello Oleg si è arruolato nella Legione straniera.»

«Spero che se la cavi. Meno male che almeno tu sei riuscito a tornare.»

«Grazie alla signorina Reeder, che ha scritto all’esercito. A quanto pare, qui sono indispensabile.»

«Indispensabile. Suona bene.»

Era riuscita anche a tenere il custode. Per fortuna papà ricevette il permesso di tenere i suoi agenti di polizia a Parigi. Voleva proteggere i suoi uomini, anche se non era stato in grado di proteggere il proprio figlio. Ero terribilmente preoccupata per Rémy, ma grata, davvero grata del fatto che non avrei perso Paul.

Boris rimise a posto un altro libro. «Ho servito nell’esercito francese. Dopotutto ho già combattuto una guerra.»

«Davvero?»

«Mi stavo addestrando come cadetto quando è scoppiata la Rivoluzione russa. Alcuni di noi avevano appena quindici anni, ma siamo scappati per arruolarci.»

«Quindici anni…»

Mi spiegò che lui e i suoi compagni pensavano che centrare con la pistola una fragola a dieci passi, polverizzandola, li rendesse uomini, e che quando lui e il suo migliore amico avevano progettato di scappare, la loro preoccupazione più grande era quale uniforme li avrebbe fatti sembrare più arditi. «Ci chiedevamo se dovessimo andare a piedi o a cavallo. Patire la fame o razziare la dispensa, con il rischio di svegliare la cuoca burbera. Era facile arruolarsi», concluse. «Come la maggior parte dei bambini, non riuscivamo a immaginare un futuro che andasse oltre una settimana.»

Era così che Rémy se n’era andato di casa, bramoso di avventura, impaziente di dimostrare a papà che era un uomo.

«Il mio capitano non era molto più grande di me. Ci ordinava di sparare per uccidere, ma non è facile uccidere i tuoi compatrioti.» Boris deglutì. «Non è facile uccidere chicchessia.»

Gli scaffali erano alti, consacrati come un confessionale. Lui fissò la fila di libri allineati come soldati.

«Dall’altra parte del fiume rispetto a noi c’era una vedetta, uno degli altri», continuò. «Un russo come me, il nemico. Premetti il grilletto e gli scalfii il lobo dell’orecchio.»

«Il lobo dell’orecchio?»

Boris si strinse nelle spalle. «Ero abbastanza bravo come tiratore. Non volevo ucciderlo. Solo intimargli di allontanarsi.»

«Hai fatto bene.»

Lui prese un altro libro e passò la mano sulla copertina con aria pensierosa. «In seguito il mio reggimento si ritrovò faccia a faccia con il suo, e quel soldato uccise il mio miglior amico.»

«Mi dispiace.»

«Mi hanno ferito due volte.» Con un dito tracciò il profilo di una cicatrice sulla guancia. Si vedeva appena, tanto che avevo pensato che fosse una ruga d’espressione. «Ma il tifo mi ha quasi ucciso. L’infermeria era peggio del fronte. Io sono cresciuto in una famiglia esuberante e sono passato dall’accademia militare all’esercito. Non avevo mai sofferto di solitudine, non avevo mai dovuto guardare in faccia i miei pensieri. Trovarmi da solo in ospedale è stata l’esperienza più brutta della mia vita. Solo una cosa mi ha dato la forza di resistere: il pensiero delle mie sorelle.»

Indicò la sala dei bambini, dove Bitsi camminava avanti e indietro.

«Io e lei non siamo sorelle», dissi.

Mi guardò con un’espressione addolorata. «Devo tornare al bancone dei prestiti», disse rassegnato, e mi lasciò sola con i miei rimpianti e il mio risentimento.

La biblioteca di Parigi
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