32.
BORIS
Boris e Anna giocavano sempre a carte dai vicini, il martedì sera. Guerra o non guerra, occupazione o meno. Andavano dagli Ivanov per un bicchiere di vino e una cena leggera, che diventava sempre più tale ogni settimana. Hélène giocava con Nadia in camera da letto. Dietro le porte chiuse, Bach sul fonografo, le imposte serrate, le coppie si rilassavano davanti a fette di salo. A tavola, in vena di confidarsi come si fa con i vecchi amici, Vladimir raccontò dell’alunno che lui e Marina nascondevano nella soffitta della loro scuola. I suoi genitori erano spariti e lui era rimasto nascosto a casa per tre giorni prima di dirlo a qualcuno. Sebbene avesse solo tredici anni, Francis mangiava come un lupo ed era difficile ottenere razioni extra.
Il discorso finì sui rispettivi figli. A Boris piaceva ascoltare Anna che parlava di Hélène. Il suo tono diventava tenero. Anche i suoi occhi. Benché fosse esausta per le file che faceva, per il pane, per il burro, per tutto, Anna non aveva permesso che la guerra le segnasse il viso. Nessuna ruga per le preoccupazioni, nessuna rabbia. A volte Boris incurvava le spalle, sconfitto e, sì, amareggiato per quella vita: dopotutto erano fuggiti dalla Rivoluzione solo per affrontare una guerra. Invece Anna rimaneva seduta dritta come sempre, finché la sua forza rincuorava il marito.
Dopo avere sparecchiato, Boris mescolò e distribuì le carte. Anna s’illuminò quando vide la sua mano, e lui ne fu contento.
Bussarono alla porta. Sorpresi, si guardarono. Forse è qualcosa, forse niente. Andrà via. Aspetteremo.
Bam! Bam! Bam! sulla porta. Anche se i loro sguardi si incontrarono, gli amici non dissero nulla. Vladimir, Marina e Anna posarono le carte. Boris tenne in mano le sue. Vladimir andò alla porta e sbirciò attraverso le judas. La sua schiena si irrigidì, confermando ciò che Boris sapeva già. La Gestapo.
Ah, ci hanno beccati… a giocare a carte e ad ascoltare Bach, mentre le nostre bambine giocano a «far finta che» in cameretta. Vladimir aprì lentamente la porta. Quattro nazisti si fecero avanti. Uno gli puntò una pistola contro. Due buttarono giù i libri dagli scaffali; un altro strappò i cuscini dal divano. Maledetti ficcanaso, non erano mai soddisfatti. Forse avevano saputo del ragazzo. Vladimir e Marina erano insegnanti, non rivoluzionari, eppure eccoli lì, nei guai per avere aiutato un bambino. Quale sarebbe stato, altrimenti, il motivo di quella visita? Non che avessero bisogno di un motivo.
Boris non si sorprendeva più nel vedere quegli uomini. I parigini avevano visto i nazisti al loro meglio – gli stivali lucidati, l’acquisto di ninnoli per le loro madri a casa – e al loro peggio: troppo da bere, barcollanti per le strade. La faccia rossa dopo un netto rifiuto da parte di una parisienne. Certo, anche i nazisti avevano visto i parigini al loro peggio. Affamati e pieni di risentimento, mentre litigavano in fila dal macellaio. No, erano intimi nemici. Uno sopra l’altro, accanto all’altro, fuori di sé.
Il nazista con la pistola ringhiò qualcosa in tedesco. Anna, Marina e Boris erano rimasti seduti al tavolo. Questo lo fece infuriare: perché sedevano così calmi?
«Alzatevi!» gridò in francese.
Anna si alzò con la grazia di una zarina che si levava da un trono. Non avrebbe mostrato di aver paura. Sarebbe stato come dargliela vinta.
«Tu, vicino alla porta», disse il nazista a Vladimir. «Stai con gli altri. Mani in alto!»
Alzarono le mani e Boris si rese conto di non aver posato le carte.
La pistola lo prese di mira. Lo avrebbero arrestato? La Russia e l’America erano entrambe in guerra con la Germania, e lui era un franco-russo che lavorava in un’istituzione americana. Sì, ora riconosceva l’uomo che brandiva la pistola, anche se quell’informatore indossava un completo di tweed quando aveva frugato nella collezione, alla ricerca di prove incriminanti. Quel ficcanaso era andato così spesso nella sala di lettura che Odile aveva osservato: «Qualcuno deve dire a quel bastardo che perlomeno sarebbe il caso che pagasse l’iscrizione alla Library».
Quella Odile! Lui aveva riso, allora. Lo fece anche adesso.
La Luger fece fuoco. Il dolore riverberò nel corpo di Boris, mentre il sangue inzuppava la camicia biancastra. Lui lasciò andare le carte. Caddero fluttuando ai suoi piedi. Il dolore era troppo. Barcollò. E in quell’ultima danza, pensò: “Di’ ai bambini che li amo. Anna, oh, Anna. Tu sai tutto quello che provo”.
Non ricordava di essere caduto, non sentì la testa colpire il pavimento. Avvertì Anna accanto a sé, vide il rosso scorrere giù dalla camicia sulle sue mani livide di lei. Udì gridare i nazisti. Era tutto troppo. Boris avvertì l’urgenza di salire su per la scala a chiocciola, di camminare lungo le file isolate di libri, di perdersi nella dolce quiete dell’Aldilà.