41.
ODILE
A Parigi, le linee del gas erano state interrotte e quasi nessuno aveva corrente in casa; eppure c’era come una certa elettricità nell’aria. I manifesti incollati alle fiancate degli edifici esortavano i parigini ad «attaccare il nemico dovunque fosse». La polizia scioperava, così come i dipendenti delle ferrovie, le infermiere, i postini e i siderurgici. Paul contribuì a scavare i selciati e a creare barricate, qualsiasi cosa potesse servire a intrappolare e tendere imboscate al nemico.
I combattimenti erano qualcosa di cui avevo letto, qualcosa che avveniva lontano, ma adesso sentivo spari nelle strade vicine e la gente dava fuoco ad auto e carri armati. Le voci rimbalzavano come proiettili. Erano gli americani venuti a liberarci! No, era de Gaulle! No, i parigini ne avevano abbastanza e stavano reagendo! I tedeschi si stavano ritirando! No, non si sarebbero arresi senza combattere!
Andando e tornando dal lavoro, strisciavo lungo i perimetri degli edifici, spaventata dai cecchini, spaventata dalle bombe, spaventata dalla prospettiva che non sarebbe cambiato nulla e che avremmo vissuto così per sempre.
La sera del 24 agosto, mentre cercavo di finire Viaggio nel buio prima che ciò che rimaneva della candela tremolasse un’ultima volta e si spegnesse, le campane delle chiese di Parigi presero a suonare. Mi alzai e incontrai i miei genitori in corridoio. In vestaglia, maman guardava il cielo, quasi a meravigliarsi del miracolo di Dio. Papà tese le braccia, come faceva quando io e Rémy eravamo piccoli e galoppavamo verso di lui. Sapevo che io e i miei genitori stavamo pensando la stessa cosa: se solo Rémy fosse qui. Senza parole, ci abbracciammo, sapendo che l’occupazione era finita.
Parigi era stata liberata. Il signor Pryce-Jones zoppicò per la Library gridando: «I tedeschi sono fuggiti!». Dietro di lui, monsieur de Nerciat esclamava: «Siamo liberi!». Dopo avermi baciato sulle guance, i due uomini si abbracciarono, per poi scostarsi in fretta e furia. Erano gli unici discreti. Io abbracciai Bitsi, Boris e la contessa. I domestici di quest’ultima portarono tutto lo champagne rimasto nella sua cantina. Bevvi più quel giorno che in tutta la mia vita.
«La guerra non è finita», ammonì il signor Pryce-Jones.
«Ma è l’inizio della fine», ribatté la contessa.
«Berrò all’occasione», commentò monsieur de Nerciat.
«Tu berresti per qualsiasi cosa, vecchio mio!»
Sul prato incolto, lo staff e i frequentatori della biblioteca risero, si baciarono e piansero. L’orchestra – composta da sei utenti – oscillava tra Stars and Stripes Forever e La Marsigliese. Io e Paul ballammo tutta la notte. Era come se avessi trattenuto il respiro per mesi e ora potessi lasciarlo andare. Avevo vissuto nel presente, quasi temendo il futuro. Ma la lotta per sopravvivere era finita, e io e Paul potevamo iniziare a fare progetti. Mi permisi di sognare una casa e dei bambini.
Malgrado i festeggiamenti in tutta la città, Margaret era triste. Il suo Leutnant era stato arrestato e lei non sapeva dove lo avessero portato. Come se non bastasse, dopo un’assenza di quattro anni, suo marito era tornato. La vita con Lawrence si profilava davanti a lei come una desolata strada di campagna. Per distrarla, la invitai a fare una passeggiata nelle Tuileries. Tra gli alberi, nella luce maculata, la osservai toccare le sue perle. Volevo consolarla, ma non sapevo cosa dire.
Dall’altro lato della recinzione si udì un frastuono, il battito di un tamburo e le urla dei parigini. Forse una sfilata per celebrare la liberazione, o addirittura la vittoria! Sperando che la rallegrasse, convinsi Margaret a varcare il cancello.
Su entrambi i lati di rue de Rivoli, centinaia di uomini, donne e bambini applaudivano mentre passava un uomo che batteva una grancassa. Dietro, un vecchio con un abito stracciato faceva dondolare un pollo spennato, agitandolo in aria. Sotto la cadenza dei battiti, mi parve di intercettare un lamento.
«Non è possibile.» Margaret indicò il vecchio.
Mentre si avvicinava, vidi che l’uomo non teneva in mano un pollo, bensì un bambino nudo. Alla vista del neonato che piangeva, ammutolii per lo shock.
«I crucchi hanno lasciato un souvenir!» gridava l’uomo, facendo oscillare il bambino per le gambe.
«Bastardo, bastardo!» inneggiava la folla. «Figlio di puttana!»
Dietro di lui, due uomini trascinavano una donna per la strada. Era nuda. Ed era calva. Aveva i piedi insanguinati per avere sfregato contro il selciato, il corpo bianco per la paura. La chiazza scura dei peli pubici risaltava sulla pelle. Tentò di liberarsi, di raggiungere il figlio, ma i carcerieri la strattonarono indietro.
«Sgualdrina!» gridò un uomo tra la folla. «Dov’è finito il tuo amante?»
Non avevo mai visto una donna nuda, e mi sentii nuda e violata io stessa. Mi feci avanti per aiutarla, ma Margaret mi afferrò per un braccio.
«Non possiamo fare niente», disse.
Aveva ragione. Quella non era una sfilata, era una folla tumultuante. Non c’era modo di fermarla. Le persone erano selvagge; ne avevo avuto la prova per anni. «Bastardo, bastardo!» scandivano. «Figlio di puttana!» Le lacrime mi rigavano le guance. Completamente circondate, io e Margaret cercammo di andare avanti, attraverso il mare di gomiti ossuti e di dita puntate con disprezzo.
«I tedeschi non lo avrebbero mai permesso!» esclamò con disdegno una donna di mezza età.
«Vedete quello che tiene ferma la donna, lì sulla destra?» disse un altro. «La settimana scorsa serviva birra e saucisses ai crucchi.»
«Chi se ne frega di lui!» disse un uomo. «Quella sgualdrina ha infranto le regole.»
«Non decidi tu chi amare», sussurrò Margaret.
«Qui non si tratta di amore», ribatté lui. «Solo le puttane fanno quello che ha fatto lei.»
Margaret tremava. Era sconvolta dalla condanna della folla o si vedeva nella giovane madre? La strinsi contro di me e la guidai verso casa.
La giornata non era finita. A quattro isolati di distanza, su un’impalcatura improvvisata nel mezzo della piazza, un funzionario della città che indossava una fascia blu, bianca e rossa era in piedi dietro una donna e la teneva ferma per la nuca. Vestita con quello che sembrava il suo abito della festa, lei guardava avanti mentre un barbiere le rasava la testa. Zac, zac, zac, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se avesse rasato decine di donne. Mentre il rasoio scivolava sul suo cuoio capelluto, ciocche color sabbia le cadevano sulle spalle. Le barbier le gettava a terra come spazzatura. Su un lato del palco, circondate da uomini in uniforme, cinque françaises osservavano cosa sarebbe successo a loro mentre la folla le scherniva. Non c’era stato processo, solo quella sentenza indecorosa. Alla vista di quelle donne dignitose e composte, mi asciugai le lacrime.