CONTRO LA BIBLIOFILIA
Molto prima di diventare un libro, la Bibbia era una raccolta di racconti che aveva per protagonisti uomini e donne di questo mondo. Mentre le grandi mitologie precedenti narrano soprattutto la sfera del divino e la sua intersezione con quella umana, le pagine del testo ebraico mostrano sempre una patina di polvere e la solidità di una roccia, e sono popolate di esseri umani in carne e ossa, con Yahweh come primo motore immobile e personaggio secondario, che va e viene – dio invisibile o deus ex machina – a seconda di come più conviene alla struttura drammatica di ciascuno dei libri che formano artificiosamente Il Libro.
O a ciascun autore, perché molto prima di essere i capitoli di un’unica opera monumentale, la Genesi, il Cantico dei Cantici o il Vangelo secondo Paolo, erano poemi o racconti o novelle o trattati o leggende o biografie, del padre e della madre di ognuno. L’unità della Bibbia è un’illusione collettiva, alimentata per secoli sia dai lettori ebrei sia da quelli cristiani. Rimanendo racchiusa in un unico volume si è persa la forma originale, molto più appropriata al suo contenuto: uno scaffale colmo di rotoli, senza alcun ordine né armonia, una ragnatela senza il centro, un archivio.
Il primo grande editore della storia, pertanto, non fu il geniale umanista Aldo Manuzio, che nella propria stamperia a Venezia creò un centro di studio, composizione e diffusione tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI, bensì l’editore o gli editori anonimi che gli eruditi chiamano “P.”. Così ce lo spiega Karen Armstrong nella Bibbia: una biografia: «Revisionò le narrazioni di J. ed E. e aggiunse il Libro dei Numeri e il Levitico, ricorrendo ad antichi documenti – genealogie, leggi e antichi testi rituali – alcuni già scritti e altri trasmessi oralmente fino ad allora». La rivoluzione di P., che sicuramente doveva essere una scuola e non un singolo individuo, fu spettacolare. Dopo aver riletto e discusso tutti i materiali più o meno sacri venne deciso che il verbo “shakan” significava “condurre la vita dei nomadi che abitavano nelle tende”, e che, pertanto, Dio non desiderava un tempio, ma il deserto in cui vivevano i suoi credenti: «Nella storia corretta da P., l’esilio era l’ultima di una serie di migrazioni: Adamo ed Eva furono espulsi dall’Eden, Caino fu condannato a condurre una vita da vagabondo senza un focolare dopo aver ucciso Abele, l’umanità venne dispersa nella torre di Babele, Abramo lasciò Ur e le tribù emigrarono in Egitto per finire a vivere come nomadi nel deserto». P. ampliò all’infinito i limiti del tempio: il mondo intero diventò, da allora, una chiesa. O meglio, un libro.
Ma P. è solo un gradino di una lunga scala, che comincia con le prime decisioni editoriali di J. ed E., e prosegue con le aggiunte e le reinterpretazioni di Esdra, e con i traduttori ebrei che fecero le versioni in greco dei loro testi sacri nel III secolo a. C., sull’isola di Faro, di fronte ad Alessandria, e con i fantasiosi narratori giudeocristiani delle sette che credevano nei poteri di Gesù e decisero di «scrivere una raccolta di testi sacri completamente nuova», e con la lettura allegorica delle Origini, e con la traduzione di san Girolamo (la Vulgata), e con il cambiamento radicale dei criteri di selezione e di edizione che portarono a compimento Martin Lutero e i rivoluzionari protestanti.
Dalla Bibbia di Gutenberg a oggi, il libro più famoso e più venduto e più influente – nel bene e nel male – della storia dell’umanità, è sempre stato legato alle nuove tecnologie della trasmissione della conoscenza. Manuzio ha inventato il libro tascabile in Italia, la famiglia Elzevir lo ha reso popolare nel XVII secolo nel nord Europa e la modernità non ha più potuto fare a meno di questo formato che dava accesso a tutti alle conoscenze che, per secoli, erano state monopolio esclusivo delle gerarchie ecclesiastiche e dei ricchi. La grande metafora di questa democratizzazione è, precisamente, la cosiddetta “carta bibbia”. Una carta fine, ma molto resistente, che assorbe bene l’inchiostro e che divenne molto diffusa risultando perfetta per stampare bibbie e vocabolari.
Ho eccessivamente sottolineato le pagine della mia copia del libro di Armstrong, perché la storia della Bibbia mi sembra affascinante. Il viaggio da quei rotoli manoscritti per arrivare all’esemplare che si trova in tutte le biblioteche (e, negli Stati Uniti, nei cassetti dei comodini di tutti gli hotel). La sua singolare evoluzione: all’inizio era una sequenza di testi ispirati da una volontà descrittiva e storica – diciamo: di non fiction – che poi si è trasformata in una antologia sacra – diciamo: fiction camuffata da non fiction – e infine è stato accettato il fatto che fosse una fiction simbolica – diciamo: non fiction camuffata da fiction. Ma, al di là di queste letture concordi ai teologi, la si può leggere come poesia o epica o romanzo o testo di auto-aiuto, perché tutti i classici si adattano agli occhi dei lettori di qualsiasi periodo futuro.
Non concepisco l’eventualità che nella mia biblioteca vi siano libri che io non possa sottolineare. O di cui non possa ripiegare l’angolo di una pagina. O prestarlo. Metterlo su una pila con gli altri. Portarlo a lezione. Leggerlo sulla metropolitana o in un caffè. Persino perderlo. Per me è questo la bibliofilia: l’amore critico e condiviso per i libri, per la loro storia e per le loro storie, per il linguaggio, la capacità di penetrazione intellettuale, psicologica, morale, spirituale. È per questo che non capisco l’altra forma di bibliofilia, quella del collezionismo di esemplari unici, delicati e cari. Libri che poi devi consultare mettendo i guanti bianchi, che non puoi prestare a un amico, e che devi tenere nascosti come i tesori che sono (mentre uno dice dentro di sé, con l’espressione deformata dall’avarizia: “Il mio tesoro…”).
Durante la Rivoluzione francese uno dei modi per individuare un aristocratico era esaminare la sua biblioteca. Le rilegature in pelle, spesso firmate da un noto artigiano, potevano costare caro; così come le scaffalature di ebano. Condorcet avrebbe potuto salvarsi la pelle se si fosse sbarazzato della sua preziosa copia di Orazio, con il timbro delle stamperie reali, che lo tradiva come falso repubblicano. La prima cosa che facevano i rivoluzionari nelle biblioteche requisite era staccare via dai libri le rilegature, sontuose e pesanti, l’esatto contrario della leggerezza e la comodità che invitano alla lettura.
Da allora siamo milioni noi lettori che ci possiamo permettere una biblioteca personale. Una biblioteca che – come le librerie in cui si riflette, specchi complementari – è stilisticamente e formalmente diversa, con copertine e fodere e risvolti e dimensioni diverse, con grande varietà cromatica, come se l’idea della biblioteca moderna stia ancora rifuggendo l’immagine di certe biblioteche nobiliari dove tutti i libri erano rilegati secondo il gusto univoco del proprietario, e non secondo quello pluralistico di autori ed editori. Una biblioteca democratica, dove regna il gusto della lettura, la volontà di evasione o l’amore per la conoscenza al di sopra di tutte le maschere dell’involucro che, sebbene sia una testimonianza di una forma artigianale e di un’arte e di una tradizione culturale, è anche vero che distrae da ciò che conta davvero: il contenuto.
Come la numismatica o la filatelia, la bibliofilia è una passione che riguarda più i musei che la vita vissuta. È un anacronismo che riporta a un’epoca in cui la lettura era patrimonio esclusivo di una élite. La democrazia, nonostante tutto, è l’ordine del reale in cui possono convivere tutte le repubbliche con le monarchie, i videogiochi con l’ippica, l’ingegnere spaziale con il boscaiolo, lo youtuber con il ciabattino. E la cosa certa è che se sei un amante dei libri, anche se non spendi una fortuna in esemplari unici né in volumi esotici, non smetti di acquistare libri, libri tascabili, novità, libri usati, perché la pulsione è una tirannia. Se sei un amante dei libri le pareti della tua casa si ricoprono di scaffali, fino a rivestirle completamente. Se sei un amante dei libri, con il tempo dimenticherai persino che la tua casa aveva delle pareti. Se sei un amante dei libri, infine, sei condannato a essere anacronistico, perché il prezzo al metro quadro non permette biblioteche infinite. Ma noi esseri umani possiamo forse vivere se non in un costante stato di contraddizione?