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2323 – Anno Dodici

Silo 17

Solo non aveva programmato di scendere nel ventre del silo, ci era finito per caso. Si era incamminato verso i Ricambi, per cercare delle batterie e un apriscatole, e si era ritrovato invece in mezzo a un campo di battaglia cosparso di ossa e bulloni. Frugando tra gli scaffali trovò una nuova torcia. Era accesa e l’impugnatura era ancora calda. Ci mise un po’ a capire cosa significava. Solo si precipitò fuori dai Ricambi, ripromettendosi che non ci avrebbe mai più messo piede. Corse giù per la scala, inseguito dai fantasmi, finché i suoi scarponi non sguazzarono nell’acqua gelida. Si fermò di colpo, la mano perse la presa sulla ringhiera e lui scivolò in avanti. Allargò le braccia cercando di riacquistare l’equilibrio e cadde sulle ginocchia. Sentì l’acqua salirgli fino alla cintola, il fucile gli scese dalla spalla e lo zaino si bagnò.

Solo lanciò una serie di imprecazioni e si rimise faticosamente in piedi. L’acqua sgocciolò dalla canna del fucile come una raffica di pallottole liquide. La tuta fradicia gli si attaccò alla pelle, facendolo rabbrividire.

«Stupido» disse. Salì un gradino e guardò la superficie agitata placarsi lentamente. Il silo era pieno d’acqua. Si sporse in avanti e vide la scala che scendeva a spirale nel torbido pozzo, scomparendo nelle tenebrose profondità del silo. Fissò l’ultimo gradino asciutto per controllare se la marea stava salendo.

Le onde provocate dalla sua caduta facevano oscillare una porta del 139. L’acqua arrivava mezzo metro sopra il livello del pianerottolo. Anche le stanze dietro la porta erano allagate. Tutto il silo si stava riempiendo d’acqua, pensò. Ci erano voluti anni perché giungesse così in alto. Avrebbe continuato a salire per sempre? Quanto ci avrebbe messo a invadere la sua casa al trentaquattresimo? E per arrivare fino in cima?

L’idea di una lenta morte per annegamento gli fece emettere un sordo mugolio. La tuta continuava a sgocciolare, il freddo stava penetrando nelle ossa. Solo cercò di staccarsela dalla pelle e udì di nuovo quello strano gemito. Non usciva dalla sua bocca.

Si accucciò sul pavimento e sbirciò nelle stanze allagate, tendendo l’orecchio. Un altro mugolio, come se qualcuno stesse piangendo. Proveniva dai piani allagati. Sembrava la voce di un bambino.

Solo scrutò la superficie dell’acqua. Doveva guadarla. Le fioche luci verdi sul soffitto conferivano al mondo un pallore spettrale. L’aria era fredda, l’acqua ancora di più.

Risalì qualche gradino e posò lo zaino. I pantaloni della tuta erano fradici. Li arrotolò sopra i polpacci e cominciò a slacciarsi gli scarponi.

Tese l’orecchio per controllare se il mugolio era cessato, e non udì nulla. Si chiese se valesse la pena affrontare quell’acqua gelida per qualcosa che forse aveva solo immaginato, per un altro fantasma che sarebbe scomparso appena lui gli avesse prestato un po’ d’attenzione. Fece colare l’acqua fuori dagli scarponi e li appoggiò sullo scalino. Si sfilò le calze – una con un grosso buco in corrispondenza dell’alluce –, le strizzò e le appese sulla ringhiera per farle asciugare.

Lasciò lo zaino quattro scalini sopra il livello dell’acqua e gli parve di udire di nuovo il gemito di quel bambino. Era abbastanza grande per avere un figlio, pensò. Fece il calcolo, una cosa che gli capitava di rado. Quanti anni aveva? Ventisei o ventisette? Un altro compleanno era passato senza che nessuno si ricordasse di lui.

Avanzò verso la porta, con i piedi resi insensibili dal freddo. La superficie iridescente si increspò e vorticò attorno ai sostegni della ringhiera. Solo si fermò e scrutò in fondo al pianerottolo. Era strano essere circondati da quella massa liquida a qualche piano di distanza dal fondo del silo. Se ci fosse caduto dentro, l’acqua avrebbe rallentato la sua discesa? Oppure sarebbe rimasto a galleggiare sulla superficie come quella spazzatura poco lontana? La prima opzione era la più probabile, e così avanzò cautamente, trascinando i piedi. Qualcosa di metallico lampeggiò sotto la grata, ma lui ipotizzò fosse soltanto il suo riflesso o la patina oleosa che copriva la superficie dell’acqua.

«Spero che tu valga tutto questo» disse al fantasma del bambino alla fine del corridoio.

Attese per qualche istante una risposta, ma il gemito era cessato. Al di là della porta non c’era nessuna luce e Solo accese la torcia. L’acqua rifletté la luce proiettando onde iridescenti sul soffitto.

«Ehi!» chiamò.

L’eco della sua voce rimbalzò sulle pareti. Puntò la torcia verso il fondo del corridoio, che si biforcava in tre direzioni. Due curvavano, come se si ricongiungessero oltre la tromba della scala. Era uno di quei livelli chiamati hub-and-spoke, mozzo e raggio. Solo rise fra sé. Aveva finalmente capito cosa volesse dire quell’espressione. Gli tornò in mente il volume delle parole che cominciavano per BI e la definizione di «bicicletta». Mozzo e raggio, già, perché, proprio come i raggi nella ruota di una bici, a quel piano convergevano le traiettorie di tanti abitanti del silo.

Riecheggiò un altro gemito. Lo udì distintamente, non poteva essere un’allucinazione. Solo si girò e attese. Silenzio. Soltanto il mormorio dell’acqua che lambiva le pareti. Seguì la direzione da cui era arrivato il lamento, increspando di nuovo la superficie oleosa. Avanzò galleggiando come un fantasma. Non riusciva più a sentire i piedi.

Non era un livello di appartamenti. Solo si chiese che cosa ci facesse lì quel bambino. Si fermò davanti a una sala ricreativa e perlustrò le tenebre con la torcia. Al centro della stanza c’era un tavolo da ping-pong. Le gambe metalliche erano coperte di ruggine. Le racchette, nelle loro custodie, erano ancora sul tavolo verde in decomposizione. Verde come l’erba, pensò Solo. I libri del Lascito avevano dato un nuovo senso alle parole di sempre.

Qualcosa sbatté contro la sua tibia e lo fece sobbalzare. Puntò la torcia verso il basso e vide un cuscino di gommapiuma galleggiare accanto ai piedi. Lo allontanò con un calcio e avanzò verso la porta successiva.

Una cucina comune. Solo riconobbe i grandi tavoli. La maggior parte delle sedie erano rovesciate e parzialmente sommerse dall’acqua. Nell’angolo c’erano due fornelli e una fila di armadietti pensili. La stanza era buia, la luce verde delle scale non arrivava fin lì. Solo pensò che, se le batterie della torcia si fossero scaricate, avrebbe dovuto avanzare a tastoni per tornare alla scala. Avrebbe dovuto portare la torcia nuova, non quella vecchia.

Un lamento. Più forte, adesso. E più vicino. Sembrava provenire proprio da quella stanza.

Solo spazzò le tenebre con la torcia, illuminando tutti gli angoli, gli armadi e i ripiani. All’improvviso gli parve di cogliere un movimento. Spostò indietro il cono di luce e scorse qualcosa muoversi su un ripiano, balzando verso l’alto, e udì uno stridio di artigli, come se si fosse aggrappato a un’anta aperta. Poi vide guizzare una folta coda e scorse un’ombra nera scomparire nelle tenebre.

Shift trilogia 2
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