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Silo 18

Mission si sentiva sepolto vivo. Precipitò in uno sgradevole stato di trance nel sacco sempre più caldo e appiccicoso per il sudore e il respiro. Una parte di lui aveva paura di svenire, paura che Lyn e Joel lo trovassero morto. Un’altra parte lo sperava.

Al 117 i portatori, che erano a un pianerottolo dall’esplosione che aveva ucciso Cam, vennero fermati e interrogati. Quelli che si occupavano delle riparazioni avevano l’ordine di trovare un certo portatore. La descrizione che ne diedero corrispondeva in parte a Cam e in parte a Mission. Questi rimase completamente immobile mentre Joel si lamentava perché l’avevano fermato con un carico così pesante e delicato. Sembrava stessero per chiedergli di aprire il sacco, ma certe cose erano tabù, quasi come i discorsi sull’esterno. E così li lasciarono andare per la loro strada, avvisandoli che più in alto la ringhiera era crollata e che una persona era già morta cadendo.

Mission si sforzò di trattenere un colpo di tosse mentre le voci si spegnevano in lontananza. Ruotò le spalle e si coprì a fatica la bocca per attutire il rumore. Lyn gli sibilò di fare silenzio. Mission sentì una donna che piangeva in lontananza. Attraversarono macerie vecchie di poche ore, e Joel e Lyn trasalirono alla vista di un intero pianerottolo strappato via dalla scala.

Superato il reparto ricambi, al 107 portarono Mission in bagno, aprirono il sacco e gli permisero di riattivare la circolazione delle braccia. Lui ne approfittò per liberarsi la vescica, bevve un po’ d’acqua e assicurò a Joel e Lyn che stava bene. Erano tutti e tre madidi di sudore e mancavano ancora una trentina di piani all’ufficio centrale del reparto spedizioni. Joel in particolare sembrava spossato dalla salita, o forse era per la vista dei danni causati dall’esplosione. Lyn se la cavava meglio, ma non vedeva l’ora di rimettersi in cammino. Era preoccupata per Rodny e pareva ansiosa quanto Mission di arrivare al Nido.

Mission si intravide riflesso nello specchio, con la tuta grigia e il coltello da portatore alla cintura. Era lui che stavano cercando. Estrasse il coltello, afferrò una ciocca di capelli e la tagliò vicino all’attaccatura. Lyn capì che cosa voleva fare e lo aiutò con il proprio coltello. Joel prese il secchio della spazzatura da un angolo della stanza per raccogliere i capelli. Fu un lavoro rozzo, ma ora Mission corrispondeva meno alla descrizione del ricercato. Prima di mettere via il coltello, aprì qualche squarcio nel sacco nero lungo la cerniera. Si tolse la maglietta e asciugò l’interno del sacco prima di gettarla nel bidone. Puzzava comunque di fumo e sudore. Strisciò di nuovo dentro, lo aiutarono con le cinghie, chiusero la cerniera e tornarono alla scala per ricominciare l’ascesa. Mission era impotente, non poteva fare altro che preoccuparsi.

Ripercorse gli eventi di quella lunga giornata. La mattina aveva guardato le nuvole riflettere i raggi del sole mentre faceva colazione, aveva fatto visita al Corvo e consegnato il suo messaggio a Rodny. E poi Cam… aveva perso un amico. La stanchezza finalmente ebbe il sopravvento e Mission scivolò nel sonno.

Si risvegliò di soprassalto e gli sembrò che fossero passati pochi istanti. La tuta era zuppa di sudore, l’interno del sacco viscido per la condensa. Quando Joel lo sentì muoversi, lo zittì e gli disse che stavano per arrivare all’ufficio centrale.

Mission sentì il cuore che gli batteva più forte quando tornò in sé e si ricordò dov’era e cosa stavano facendo. Respirare era difficile. Le fessure che aveva aperto si erano perse nelle pieghe della plastica. Voleva che abbassassero la cerniera, un po’ di luce, un refolo d’aria fresca. Le braccia erano bloccate, insensibili a causa delle cinghie strette intorno alle spalle. Gli dolevano le caviglie, da dove Lyn reggeva la sua parte del carico.

«Non respiro» sussurrò.

Lyn gli ordinò di stare zitto. Ma ci fu una pausa, il dondolio cessò. Sentì armeggiare con il sacco sopra la sua testa, e con una serie di piccoli scatti la cerniera scese di una decina di tacche.

Mission si riempì i polmoni di aria fresca. Il mondo ricominciò a dondolare, scarponi che colpivano le scale in lontananza, un tumulto da qualche parte, più su o in basso, non riuscì a capirlo. Altre lotte. Altri morti. Immaginò i corpi che ruotavano nell’aria. Rivide Cam che lasciava i sottolivelli della fattoria appena il giorno prima, la mancia in tasca, ignaro di quanto poco tempo gli rimanesse per spenderla.

Si fermarono all’ufficio centrale del reparto spedizioni. Mission poté uscire dal sacco nel grande atrio spaventosamente deserto.

«Che accidenti è successo qui?» esclamò Lyn. Infilò il dito in un foro nella parete circondato da una ragnatela di crepe. C’erano centinaia di buchi simili.

Sul pianerottolo echeggiò un rumore di passi che però non si fermarono.

«Che ora è?» chiese Mission a bassa voce.

«In mensa hanno già servito la cena» disse Joel. Questo significava che erano stati molto veloci.

In fondo al corridoio Lyn stava osservando la chiazza scura di quella che sembrava ruggine. «È sangue?»

«Robbie ha detto che non era riuscito a contattare nessuno in questo ufficio» le rispose Mission in un sussurro. «Magari sono scappati tutti.»

Joel bevve un sorso dalla borraccia.

«Oppure li hanno cacciati via.» Si asciugò la bocca con la manica.

«Vogliamo passare qui la notte? Sembrate esausti.»

Joel scosse il capo e offrì la borraccia a Mission.

«Secondo me dobbiamo superare i livelli oltre i trenta. Ci sono guardie di sicurezza ovunque. Forse con quella tuta grigia ti conviene andare su di corsa. Magari prima datti una sistemata ai capelli.»

Mission si passò una mano sullo scalpo mentre rifletteva sulle parole dell’amico.

«Forse hai ragione» disse. «Potrei arrivarci prima che spengano le luci.» Guardò Lyn che si dirigeva verso uno dei dormitori lungo il corridoio. Ne uscì quasi subito con una mano davanti alla bocca e gli occhi sgranati. «Che succede?» le chiese alzandosi di scatto.

La ragazza lo strinse tra le braccia e lo allontanò dalla porta, premendogli il viso contro una spalla. Joel andò comunque a dare un’occhiata.

«No» mormorò.

Mission raggiunse l’altro portatore sulla soglia del dormitorio.

I letti erano pieni. Alcuni corpi giacevano sul pavimento, ma dal groviglio degli arti, dal modo in cui le braccia penzolavano dalle cuccette o erano piegate sotto il corpo, era evidente che non stavano dormendo.

Trovarono Katelyn tra i cadaveri. Lyn era scossa da muti singhiozzi mentre Joel e Mission recuperavano il suo corpo e lo caricavano nel sacco. Mission provò una fitta di vergogna, aveva scelto Katelyn per le dimensioni, non solo perché era una loro amica. Mentre stringevano le cinghie e chiudevano la cerniera, nell’atrio saltò la corrente, lasciandoli nel buio più totale.

«Che succede?» sussurrò Joel.

Le luci si riaccesero, ma guizzavano come se in ogni lampadina ci fosse una fiammella. Mission si asciugò il sudore sulla fronte, rammaricandosi di non avere con sé il fazzoletto.

«Se non riuscite ad arrivare al Nido stanotte» disse agli altri due, «fermatevi all’ufficio superiore e vedete come sta Robbie.»

«Ce la caveremo» lo rassicurò Joel.

Lyn gli strinse un braccio prima che si rimettesse in marcia.

«Stai attento.»

«Anche voi» rispose Mission.

Raggiunse di corsa il pianerottolo e la grande scala. Più in alto, le luci tremolavano. Segno che, da qualche parte, c’era un incendio.

Shift trilogia 2
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