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Silo 18
Lo studio del medico legale, una donna, era al trentaduesimo, appena sotto le fattorie, nascosto alla fine di quei corridoi bui e umidi che serpeggiavano sotto le radici. Il soffitto era basso. Le tubature erano scoperte e sferragliavano con rabbia quando le pompe si attivavano per convogliare il concime alle piante assetate. L’acqua gocciava da decine di piccole fessure, raccogliendosi in secchi e pentole. Una pentola svuotata di recente emetteva un rumore metallico a ogni goccia. Un’altra tracimava. I pavimenti erano scivolosi, le pareti umide come pelle sudata.
Nello studio, i ragazzi sistemarono il corpo su una lastra di metallo, e la coroner firmò lo stato di servizio di Mission. Diede loro una mancia per la rapidità della consegna, e quando Cam vide tutti quei buoni extra gli passò il malumore per l’andatura veloce. Di nuovo nel corridoio, salutò Mission e si diresse sciaguattando verso l’uscita.
Lui lo guardò allontanarsi, sentendosi molto più vecchio dell’amico malgrado avesse solo un anno in più. Cam non sapeva niente dei progetti per quella sera, non gli avevano detto dell’incontro di mezzanotte tra portatori. C’era quasi da invidiarlo, per quello che non sapeva.
Poiché non voleva arrivare alle fattorie senza carico e sentire suo padre che si lanciava in una ramanzina sull’indolenza, Mission si fermò nella sala di manutenzione in fondo al corridoio per vedere se avevano qualcosa da consegnare su. C’era Winters di turno, un uomo scuro con la barba bianca e la passione per l’idraulica. Guardò Mission con sospetto e gli rispose che non aveva fondi per un portatore. Mission gli spiegò che sarebbe salito comunque, e non gli dispiaceva dare una mano.
«In tal caso…» fece Winters. Issò una grossa pompa sul suo piano di lavoro.
«Solo questa?» scherzò Mission con un sorriso.
Winters socchiuse gli occhi, come se il ragazzo avesse appena allentato un bullone.
La pompa non entrava nello zaino da portatore, ma le cinghie esterne si avvolgevano alla perfezione intorno ai tubi sporgenti e ai rivetti. Winters lo aiutò a infilare le braccia nelle bretelle e a sistemarsi la pompa sulla schiena. Mission ringraziò il vecchio, attirandosi un’altra occhiata torva, e si avviò. Arrivato alla scala, l’odore di muffa che proveniva dai corridoi bagnati era meno forte, sostituito da quello del concime e del terreno appena arato, odori di casa che riportarono Mission indietro nel tempo.
Il pianerottolo del trentunesimo era affollato, un capannello di persone che cercavano di entrare nelle fattorie per procurarsi da mangiare. Separata dal gruppo c’era una madre vestita con il verde dei contadini che stringeva un bambino in lacrime. Aveva sulle ginocchia chiazze da raccoglitrice e in volto l’aria agitata di chi era stata cacciata dai campi perché zittisse i lamenti del pargolo. Quando le passò accanto, Mission sentì le parole di una filastrocca familiare. La donna cullava il piccolo spaventosamente vicino alla ringhiera e gli occhi del neonato erano sgranati in quella che a Mission sembrò una paura ancestrale.
Si fece strada tra la folla e gli strilli del bambino si persero nel baccano generale. Gli venne da pensare che ormai vedeva sempre meno bambini. Quando lui era piccolo ce n’erano di più. C’era stata un’esplosione di nascite dopo gli atti di violenza dell’ultima generazione, ma adesso c’era solo il lento rivolo delle morti naturali e della manciata di vittorie alla Lotteria. Meno bambini che piangevano, e meno genitori che gioivano.
Raggiunse finalmente le porte e da lì il grande atrio d’ingresso. Mission si asciugò il sudore dalle labbra con il fazzoletto. Aveva dimenticato di riempire la borraccia al piano di sotto e aveva la bocca secca. Il motivo per mantenere un’andatura tanto rapida ora gli sembrava futile. Era come se il suo compleanno fosse una scadenza da rispettare, e quindi era meglio fare visita al padre e andarsene il prima possibile. Ma adesso, inondati dalle scene e dai suoni della sua infanzia, quei pensieri cupi e rabbiosi si erano disciolti. Quella era casa sua, e Mission detestava ammettere quanto gli piacesse stare lì.
Scambiò qualche saluto mentre andava verso i cancelli. Alcuni portatori che conosceva stavano caricando i sacchi di frutta e verdura da consegnare in mensa. Vide sua zia che gestiva una delle bancarelle fuori dai cancelli di sicurezza. Dopo la carriera di scalpellina, aveva cominciato a lavorare come venditrice, ma non aveva mai prestato servizio come Ombra per quel mestiere e non aveva il diritto di svolgerlo. Mission fece di tutto per non incrociare il suo sguardo; non voleva finire risucchiato in uno dei suoi lunghi discorsi, né farsi scompigliare i capelli e sistemare il fazzoletto.
Oltre le bancarelle, una manciata di ragazzini se ne stavano in un angolo buio; probabilmente smerciavano semi, dando nell’occhio ben più di quanto credessero. Nel complesso, il grande atrio sembrava una specie di mercato, con i contadini che vendevano i propri prodotti e persone arrivate lì da piani lontani per procurarsi il cibo che temevano non sarebbe mai arrivato nei loro negozi. Paura chiamava paura, la folla diventava sempre più numerosa ed esagitata, ed era facile immaginare come sarebbe andata a finire.
Di turno al cancello di sicurezza c’era Frankie, un ragazzo alto e dinoccolato cresciuto insieme a lui. Mission si asciugò la fronte con un lembo della maglietta, che era già fredda e bagnata di sudore.
«Ehi, Frankie» gridò.
«Mission.» Un cenno del capo e un sorriso. Nessun risentimento da parte di un altro ragazzo che tanto tempo prima aveva deciso di scegliere il proprio destino. Il padre di Frankie lavorava nella sicurezza, giù all’IT. Lui aveva deciso di diventare contadino, cosa che Mission non aveva mai capito. La loro insegnante, la signora Crowe, ne era stata felicissima e l’aveva incoraggiato a inseguire i suoi sogni. E ora Mission trovava ironico che Frankie fosse finito a lavorare come addetto alla sicurezza per le fattorie. Era come se non potesse sfuggire al destino per il quale era nato.
Mission ricambiò il saluto e indicò i capelli lunghi di Frankie.
«Ti hanno spruzzato con il fertilizzante?»
Frankie si sistemò una ciocca dietro l’orecchio. «Lo so, cosa credi? Mia madre minaccia di venire qui con un coltello per tagliarmeli mentre dormo.»
«Dille che ti terrò fermo mentre lo fa» rispose Mission, ridendo. «Mi lasci passare?»
Di lato c’era un cancello più largo per carretti e carriole. Mission non se la sentiva di infilarsi tra i tornelli con quella grossa pompa idraulica sulla schiena. Frankie premette un pulsante e il cancello si aprì con un ronzio. Mission lo varcò.
«Che cosa trasporti?» chiese Frankie.
«Una pompa idraulica da parte di Winters. Come te la stai passando?»
Frankie controllò la folla oltre il cancello. «Aspetta un secondo» disse, mentre cercava qualcuno. Due contadini mostrarono i badge di lavoro e superarono i tornelli continuando a chiacchierare. Frankie chiese a un tizio vestito di verde e bianco se poteva coprirlo.
«Dài» fece poi, rivolto a Mission. «Facciamo due passi.»
I due vecchi amici percorsero il corridoio principale verso l’alone luminoso delle lontane lampade da coltivazione. Gli odori erano inebrianti e familiari. Mission si chiese cosa significassero per Frankie, che era cresciuto vicino al fetore della centrale idrica. Forse per lui erano fastidiosi, come quelli della centrale lo erano per Mission. Forse, per Frankie, era invece la puzza della centrale a riportare cari ricordi alla memoria.
«Da queste parti è tutto un casino» sussurrò Frankie quando si furono allontanati dai cancelli.
Mission annuì. «Già, ho visto che sono spuntate altre bancarelle. Ce ne sono sempre di più, eh?»
Frankie lo prese per un braccio e rallentò, per avere più tempo per parlare. Da una delle botteghe veniva il profumo di pane appena sfornato. Erano troppo lontani dalla panetteria del settimo piano, ma ormai era così che andavano le cose. Probabilmente da qualche parte lì nelle fattorie macinavano anche la farina.
«Hai visto che cosa stanno facendo su alla mensa?» chiese Frankie.
«Ho portato un carico da quelle parti qualche settimana fa» rispose Mission. Infilò i pollici sotto le bretelle dello zaino e si sistemò la pompa più in alto sui fianchi. «Ho visto che stavano costruendo qualcosa accanto al grande schermo. Ma non so cosa.»
«Stanno cominciando a coltivare la verdura» spiegò Frankie. «E anche il mais, a quanto pare.»
«Immagino che questo significherà meno viaggi per noi» ribatté Mission, pensando con la mente del portatore. Batté la punta di uno scarpone contro il muro. «Roker si incazzerà quando lo scoprirà.»
Frankie si morse un labbro e socchiuse gli occhi. «Già, ma non è stato proprio Roker che ha cominciato a coltivare fagioli giù al reparto spedizioni?»
Mission si sgranchì le spalle. Gli si stavano addormentando le braccia. Non era abituato a restare fermo con un carico, doveva muoversi. «Quello è diverso. Quello è cibo per le salite.» Frankie scosse il capo. «Già, ma non è ipercritico da parte sua?»
«Intendi dire ipocrita?»
«Come ti pare, amico. Io dico solo che qui tutti hanno una scusa. “Facciamo così perché lo fanno gli altri, ha cominciato qualcun altro. E allora che cambia se noi ci spingiamo un pochino oltre?” Questo è l’atteggiamento generale, amico mio. Ma poi finiamo in una spirale, dove ogni volta qualcuno si spinge un po’ più in là. E può solo peggiorare, se le cose continuano ad andare così.»
Mission guardò le luci lontane in fondo al corridoio. «Non saprei. A quanto pare da qualche tempo il sindaco si sta lasciando sfuggire di mano la situazione.»
Frankie scoppiò a ridere. «Credi davvero che sia il sindaco a comandare? Il sindaco ha paura, amico. Ha paura ed è vecchio.» Si guardò alle spalle per assicurarsi che non stesse arrivando nessuno. Anche da piccolo era nervoso e paranoico.
All’epoca la cosa era divertente; adesso risultava triste e un po’ preoccupante. «Ti ricordi quando parlavamo di prendere noi il comando? Di come tutto sarebbe cambiato?»
«Non è così che funziona» disse Mission. «Quando succederà saremo vecchi anche noi, e non ci importerà più nulla. E allora i nostri figli potranno odiarci per aver fatto le stesse stronzate.»
Frankie rise e la tensione parve abbandonare il suo corpo ossuto. «Mi sa che hai ragione.»
«Già, be’, io devo andare, prima che mi cadano le braccia.» Mission scrollò le spalle per sistemare meglio la pompa.
Frankie gli diede una pacca sulla schiena. «Giusto. È stato bello rivederti, amico.»
«Anche per me.» Mission annuì e fece per andarsene.
«Oh, ehi, Mish…»
Si fermò e si voltò a guardarlo.
«Vedrai il Corvo in questi giorni?»
«Domani passerò dalle sue parti» rispose, posto che fosse sopravvissuto a quella notte.
Frankie sorrise. «Salutala da parte mia.»
«Lo farò» promise Mission.
Un altro nome da aggiungere all’elenco. Se solo si fosse fatto pagare dagli amici per tutti i messaggi che portava per loro, avrebbe guadagnato ben più dei trecentottantaquattro buoni che aveva già messo da parte. Mezzo per ogni saluto al Corvo e si sarebbe già potuto comprare una casa. Non avrebbe più avuto bisogno di stare nelle stazioni secondarie. Ma i messaggi degli amici pesavano assai meno dei pensieri cupi, e quindi a Mission non dispiaceva che gli riempissero la mente. Perché toglievano spazio agli altri. E, il Signore gliene era testimone, di quelli ne aveva già troppi.