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Silo 1

Negarle il cibo fu un’ardua impresa e alla fine la lasciò mangiare un’ora prima che scadesse il termine. Donald le suggerì di fare piccoli bocconi e inghiottirli lentamente. E, mentre Charlotte masticava, la aggiornò sugli ultimi eventi. La sorella aveva sentito parlare dei silos durante l’orientamento. Donald le raccontò della Vista e dei Pulitori, e le spiegò che l’avevano svegliato per prendere il posto di qualcuno che era scomparso. Per Charlotte non fu facile cogliere il senso delle sue parole e Donald dovette ripeterle parecchie volte, tanto che alla fine anche a lui parvero strane.

«E hanno permesso agli altri di vedere cosa c’era fuori? Alla gente degli altri silos?» chiese la sorella, masticando un pezzetto di biscotto.

«Sì. Una volta ho chiesto a Thurman perché avevano messo gli schermi, e sai cosa mi ha risposto?»

Charlotte si strinse nelle spalle e bevve un sorso d’acqua.

«Per impedire che se ne vadano. Se vogliamo che restino in quei silos, dobbiamo mostrare loro la morte. Altrimenti vorranno vedere che cosa c’è là fuori. Thurman diceva che è la natura umana.»

«Ma qualcuno esce lo stesso» ribatté lei, pulendosi la bocca con il tovagliolo. Poi impugnò la forchetta con mano tremante e afferrò il piatto con i resti della colazione di Donald.

«Sì, ci provano comunque» confermò lui. «Cerca di mangiare più piano» la ammonì, osservandola ingurgitare le uova e pensando al suo giretto sulla piattaforma di lancio dei droni. Anche lui era tra quelli che ci avevano provato, ma non c’era bisogno che la sorella lo sapesse.

«Ricordo di aver visto ribollire le nuvole su uno di quegli schermi» disse Charlotte. «A cosa servono?» chiese, guardandolo negli occhi.

Donald tirò fuori il fazzoletto e tossì avvicinandolo alla bocca.

«Perché siamo umani» rispose, rimettendolo in tasca. «Se pensiamo che fuori non ci sia nulla da vedere, e che uscendo rischieremmo di morire, puoi star certa che resteremo qui e faremo quello che ci dicono. Ma conosco un modo per scoprire cosa c’è là fuori.»

«Davvero?» Charlotte inghiottì l’ultimo uovo e attese il seguito.

«E mi servirà il tuo aiuto.»

Tolsero il telo di plastica che copriva un drone. Charlotte sfiorò l’ala con la mano e girò attorno alla macchina. Afferrò un alettone laterale e lo piegò in alto e in basso, ripetendo l’operazione con quello della coda. Il drone aveva una cupola nera e una prua che gli conferivano una vaga somiglianza con un volto umano. Se ne stava lì, immobile e silenzioso, mentre lei continuava a ispezionarlo.

Donald notò che dalla sala mancavano tre droni: là dove un tempo drappeggiavano i teli, ora c’erano solo tre lucide sagome sul pavimento polveroso. La piramide di bombe sullo scaffale delle munizioni era diventata molto più bassa. Erano state usate nelle ultime settimane. Si avvicinò alla porta dell’hangar e la aprì.

«Nessun hardware?» chiese Charlotte sbirciando sotto le ali, dove di solito venivano inseriti i dispositivi letali.

«No» rispose Donald. «Non in questo modello.» Corse indietro e la aiutò a spingerlo verso la porta del montacarichi. Le ali entrarono per un pelo.

«Dovrebbe esserci una cinghia o un collegamento» disse lei, chinandosi a terra e strisciando sotto l’ala.

«C’è qualcosa sul pavimento» replicò Donald, ricordando il gancio che lo faceva scivolare sul binario. «Fammi prendere una torcia.»

Ne recuperò una da una cassa, si assicurò che le batterie fossero cariche e gliela passò. Charlotte agganciò il drone al binario del meccanismo di lancio e si allontanò prontamente. Sembrava malferma sulle gambe e lui la sostenne con una mano.

«Sei sicuro che questo sistema funzioni?» chiese Charlotte scostandosi dal volto i capelli ancora umidi dalla doccia.

«Sicurissimo» ribatté Donald. La guidò in fondo al corridoio, oltre i dormitori e i bagni. Charlotte si irrigidì quando la fece entrare nella cabina di pilotaggio e tolse i teli di plastica. Donald premette l’interruttore della piattaforma di lancio. Lei fissò con aria assente i pannelli di controllo, i joystick, i display e i monitor.

«Sai come funzionano?» gli domandò, uscendo per un istante dal suo stato di trance e fissandolo dritto negli occhi. «Sempre che si accendano» aggiunse, scuotendo la testa.

«Ce la faranno.» La luce sopra il pannello della piattaforma di lancio lampeggiò mentre Charlotte si sedeva dietro una centralina.

La sala era vuota e silenziosa, con tutte quelle centraline coperte dai teli di plastica. Donald si accorse che non c’era polvere. Qualcuno era passato di lì recentemente. Pensò alle requisizioni che aveva firmato per i voli e a quanto gli erano costate. Pensò al rischio di essere individuati negli schermi sulle pareti. Dovevano nascondersi tra cumuli di nuvole. Eren era stato chiaro: i droni potevano essere usati soltanto una volta. L’aria esterna era nociva anche per loro, aveva detto. E il loro raggio d’azione era limitato. Donald aveva cercato di capire il perché frugando tra i file di Thurman.

Charlotte attivò una serie di interruttori e la sua centralina si accese.

«La piattaforma ci mette un po’» la avvertì Donald. Non le spiegò come faceva a saperlo, ma ripensò all’ultima volta che era andato lassù, tanti anni prima. Ricordava il suo respiro che appannava il casco mentre saliva verso quella che aveva sperato fosse la sua morte. Adesso nutriva altre speranze. Gli tornò in mente quello che gli aveva detto Erskine sul bisogno di ripulire la terra. Pensò al biglietto che Victor aveva lasciato a Thurman prima di suicidarsi. Il loro progetto voleva resettare la vita. E Donald, nella sua follia o nella sua lucidità, era convinto che tutto fosse stato organizzato meglio di quanto potessero immaginare.

Charlotte regolò lo schermo. Premette un pulsante e sul monitor apparve un bagliore. Era il riflesso della lampada frontale del drone sulla porta metallica della piattaforma di lancio visto attraverso le sue telecamere.

«Ne è passato di tempo» commentò Charlotte.

Donald abbassò lo sguardo e vide che le tremavano le mani. Lei se le strofinò e poi riprese ad armeggiare con i comandi. Si allungò sulla sedia e posò i piedi sui pedali, regolando la luminosità del monitor per rendere la luce meno accecante.

«C’è qualcosa che posso fare?» chiese Donald.

Charlotte sorrise e scosse la testa.

«No. È strano non dover programmare nessun piano di volo. Di solito avevo un obiettivo» disse, sorridendo.

Lui le posò una mano sulla spalla. Era bello averla accanto. La sorella era l’unica cosa che gli restava.

«Il tuo piano è volare il più lontano e il più veloce possibile» disse. Sperava che senza bombe il drone potesse spingersi oltre il raggio d’azione per il quale era stato programmato.

Una luce lampeggiò sul pannello della piattaforma e Donald si precipitò a controllare che cos’era.

«La porta sta salendo» spiegò Charlotte. «È spuntato il sole.»

Donald corse al suo fianco, guardò la porta e lanciò un’occhiata verso il corridoio, pensando di aver udito qualcosa.

«Controllo motori» annunciò Charlotte, oscillando avanti e indietro sulla sedia. «Accensione.»

Ondeggiò sulla sedia. La tuta che Donald aveva rubato per lei era troppo grande e le penzolava dalle braccia. Donald si piazzò alle sue spalle e guardò il monitor, vide le nubi che si rincorrevano nel cielo e una ripida rampa. Quella vista non gli era nuova e si sentì mancare il respiro. Il drone lasciò la piattaforma e fu trainato sulla rampa. Charlotte premette un altro bottone.

«Dispositivo di frenaggio inserito. Pronti per il decollo!» disse, allungando una gamba e muovendo una mano sulla tastiera. «Era da parecchio che non lo facevo senza la sequenza di lancio automatica» aggiunse nervosamente.

La telecamera puntò di colpo verso il basso, quando il drone spinse contro i freni. Donald stava per chiederle se fosse un problema, ma lei mosse i piedi e l’inquadratura sullo schermo cambiò. Il pozzo di metallo vibrò e sul monitor comparvero soltanto cumuli di nuvole.

«Decollo!» disse Charlotte, abbassando il cursore con la destra. Donald si inclinò da un lato mentre il drone si piegava e per un istante videro apparire la terra prima che tutto fosse inghiottito dalle nuvole.

«Da che parte?» chiese lei. Premette un interruttore e il radar dissipò le nuvole, rivelando il terreno in basso.

«Non credo sia importante» disse Donald. «Fallo soltanto andare dritto.» Si sporse in avanti per guardare lo strano e familiare paesaggio che sfilava sotto i loro occhi. Vide le grandi conche che aveva aiutato a creare. Al centro di una depressione c’era un’altra torre. I resti della convention – le tende, gli stand e i palcoscenici – erano scomparsi da tempo, divorati dai minuscoli meccanismi che vorticavano nell’aria. «Proseguiamo in linea retta» ordinò, indicando un punto davanti a sé. Era soltanto una teoria, una folle idea, ma voleva controllarla di persona prima di condividerla con qualcuno.

La successione delle conche si perdeva in lontananza, le nuvole si diradarono per qualche istante, consentendogli di scorgere il terreno. Donald allungò il collo per guardare al di là delle depressioni; Charlotte tolse il piede dal pedale dell’acceleratore e allungò la mano verso una fila di pulsanti e indicatori.

«Uh… sembra ci sia un problema.» Accese e spense un interruttore. «Stiamo perdendo pressione.»

«No.» Donald fissò il monitor mentre attorno a loro le nuvole vorticavano e la terra pareva sollevarsi. Era troppo presto. Si chiese se avesse dimenticato un passaggio o qualche precauzione. «Non mollare!» disse sia alla macchina sia al pilota.

«Non risponde ai comandi» spiegò Charlotte. «Credo si sia allentato qualcosa.»

Donald pensò ai droni nell’hangar. Avrebbero potuto lanciarne un altro, ma temeva che il risultato sarebbe stato lo stesso. Lui poteva anche resistere a quello che c’era là fuori, ma le macchine no. Pensò alle tute per la Pulizia, a come tutte le cose erano state costruite per avere una durata limitata. I distruttori invisibili entravano in azione appena un Pulitore saliva su una collina, raggiungeva una certa altitudine o cercava di ribellarsi. Si coprì la bocca per tossire e all’improvviso un vago ricordo degli operai che pulivano la camera di decompressione dopo averlo tirato dentro gli attraversò la mente.

«Sei sul margine» disse, indicando l’ultimo silo sul radar mentre la conca scompariva sotto la telecamera del drone. «Avanza ancora un po’.» Ma in realtà non sapeva quanto avrebbero dovuto avanzare. Potevano anche fare il giro completo del mondo senza arrivare dove volevano.

«Sto perdendo quota!» urlò Charlotte. Le sue mani si muovevano freneticamente sui pulsanti e i pannelli. «Il secondo motore si è spento. Stiamo planando. Altitudine duecento…»

Sullo schermo sembrava stessero volando molto più in basso. Avevano superato l’ultima collina e le nuvole si erano diradate. Sulla terra c’era un solco, una sorta di trincea che un tempo doveva essere un fiume, fiancheggiato da pali carbonizzati, come mine di matite, che sembravano vecchi alberi o le barre d’acciaio di una recinzione di sicurezza erosa dal tempo.

«Vai, vai!» sussurrò Donald. A ogni secondo che passava, sotto di loro scorreva un nuovo scenario. Una boccata di libertà. Una fuga dall’inferno.

«La telecamera tra poco sarà fuori uso. Altitudine centocinquanta!»

Una vampata bianca illuminò lo schermo. Poi scorsero un alone rosso e partì una serie di ronzii; sul monitor il grigio e il marrone del paesaggio lasciavano il posto all’azzurro.

«Altitudine cento metri. Sarà un atterraggio brusco.»

Donald si asciugò le lacrime mentre il drone precipitava vorticando e la terra si avvicinava paurosamente. Si asciugò le lacrime alla vista del monitor, la telecamera funzionava ancora.

«Azzurro…» disse un istante prima che il drone fosse inghiottito da un paesaggio verde brillante.

Lo schermo si oscurò; Charlotte armeggiò con i comandi e imprecò battendo il palmo della mano sulla consolle. Si voltò verso Donald, che l’abbracciò baciandola sulle guance.

«Hai visto?» le chiese ansimando. «Hai visto?»

«Visto cosa?» domandò lei, scostandosi e fissandolo con aria di disappunto. «Tutte le strumentazioni erano fuori uso. Maledetto drone. Probabilmente è rimasto fermo troppo a lungo…»

«No, no» rispose Donald, indicando lo schermo nero e senza vita. «Ce l’hai fatta! L’ho visto. Là fuori c’erano cieli azzurri ed erba verde, Charla! L’ho visto!»

Shift trilogia 2
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